MATTEO PERRINI L’ALLEANZA TRA FILOSOFIA E SCIENZA DELLA VITA IN BERGSON La riflessione, semplicissima e originale, che suscitò «grande stupore» in Bergson, giovane professore in un Liceo di provincia, ad Angers, e dette il primo avvio al «mutamento», fu la seguente: «Se tutti i movimenti dell’universo si producessero due o tre volte più rapidamente, non ci sarebbe nulla da modificare né nelle nostre formule, né nei numeri che noi vi facciamo entrare» (D.I., 77-78). A1 limite, se una rapidità infinita racchiudesse il successivo nell’istantaneo, nessuna formula scientifica sarebbe modificata. Che cosa sta a significare un’ipotesi del genere? «Io mi accorsi, un bel giorno, che il tempo (dei fenomeni meccanici) non serviva a niente, non faceva niente. Ora ciò che non fa niente è niente. Eppure, mi dicevo, il tempo è qualche cosa. Dunque agisce. Ma per far che cosa? Il semplice buon senso rispondeva: il tempo è ciò che impedisce che tutto sia dato in un colpo solo» (Le possible et le réel, 1930, in P. M., 1333). Molto tempo dopo, rispondendo ad una lettera del pensatore statunitense William James, che gli aveva chiesto qualche informazione biografica, dovendo preparare una conferenza sulla sua opera, il filosofo francese spiega in poche righe come egli vedesse allora la storia del suo spirito: «Fu l’analisi della nozione di tempo, così come interviene in meccanica o in fisica, che scompigliò tutte le mie idee. Mi accorsi con mio grande stupore che il tempo scientifico non dura, che non vi sarebbe stato nulla da mutare per la nostra conoscenza scientifica delle cose se la totalità del reale fosse spiegata d’un tratto, in un istante, e che la scienza positiva consiste essenzialmente nella eliminazione della durata. Questo fu il punto di partenza di una serie di meditazioni che mi portarono progressivamente a respingere quasi tutto ciò che avevo accettato fino ad allora e a mutare totalmente il mio punto di vista» (Écrits et paroles II, 294-95, lettera del 9 maggio 1908). Il modello matematico-meccanico del cartesianesimo andava integrato e largamente sostituito. Alla mente del giovane filosofo apparve sempre più evento di straordinario significato che nel secolo XIX, che volgeva ormai alla fine, fossero sorte, e tendessero a darsi uno statuto epistemologico, la biologia, la psicologia e la sociologia, cioè scienze che osservano e sperimentano servendosi della matematica, ma senza il segreto pensiero che l’intelligibilità di ogni livello di realtà sia esclusivamente di tipo matematico. Bergson comprese che sotto i suoi occhi si stava svolgendo la seconda rivoluzione scientifica - dopo la prima di Galilei, Cartesio e Newton - con lo sviluppo impetuoso della biologia, della psicologia e della sociologia. Sviluppo che metteva, però, in evidenza le idee di probabilità e di discontinuità, l’irriducibilità di ogni tipo di fenomeni vitali a ciò che sembra prepararli; quelle scienze nuove, inoltre, come aveva ben visto Boutroux, provavano nei loro rispettivi campi la contingenza delle leggi. Infatti più un fenomeno è complesso e si presenta sotto un aspetto preciso e determinato, meno è soggetto a necessità. A mano a mano che saliamo nella scala delle scienze, dalla logica e dalla matematica fino alla psicologia, noi troviamo più libertà: la ripetizione dell’identico, l’omogeneo e il necessario che regnano incontrastati solo nell’astratto, si manifestano, certamente, anche nei viventi, ma solo alla superficie. Le nuove scienze, dunque, facevano scricchiolare il presupposto meccanicistico, cioè uno schema arbitrariamente esteso da una parte della fisica, la meccanica, dove assolve una sua funzione, a tutto il reale, e a ogni conoscenza scientifica di esso, compreso l’uomo nelle molteplici forme della sua attività. In una filosofia che vuol essere pensiero della vita, sforzo continuo e progressivo in unione a tutti coloro che intendono associarsi nel rispetto dell’esperienza, pensare non significa portare a esecuzione un progetto delineato sin dall’inizio, come se si trattasse di un mosaico o di un puzzle da comporre mediante tessere già esistenti; non vi sono catene di concetti da «dedurre», né verità precostituite alla ricerca stessa e tanto meno verità da «costruire» in vista di un sistema che ci dia l’«intero della vita». All’esaltante ebbrezza dei sistemi, delle costruzioni meccaniche o dialettiche, bisogna finalmente opporre una lucida sobrietà, ossia lo sforzo incessante di stare ai fatti e ragionare sui fatti. Se perverremo ad afferrare qualcosa del tutto, ciò non sarà possibile che attraverso la messa a fuoco e l’approfondimento di un problema, e di un solo problema per volta. Questa è la sollecitazione che viene alla filosofia anche dalle scienze della vita, le quali sono lì a provare, con la loro stessa esistenza, che all’evidenza di tipo matematico si aggiunge adesso quella dei fatti esattamente stabiliti. Occorre fare, osserva Bergson, non quello che Cartesio fece nel suo tempo, ma ciò che avrebbe fatto nel nostro dinanzi a una scienza più flessibile, nutrita di un’esperienza più vasta e disposta ad ammettere nei fenomeni della natura una complessità di organizzazione che non si può ridurre senza disagio al meccanicismo matematico. La storia impone oggi una rottura dell’alleanza, conclusa da Platone e rinnovata da Cartesio, tra metafisica e matematica e, al suo posto, l’avvento dell’alleanza tra metafisica e scienze della vita. La portata rivoluzionaria della fine dell’età cartesiana Bergson l’ha bene espressa nel seguente passo: «Lavoriamo a stringere da vicino l’esperienza quanto più è possibile. Accettiamo la scienza nella sua complessità attuale. Bisogna rompere i quadri matematici, tener conto delle scienze biologiche, psicologiche, sociologiche e - su questa base più larga - edificare una metafisica capace di salire sempre più in alto mediante lo sforzo continuo, progressivo, organizzato di tutti i filosofi associati nello stesso rispetto dell’esperienza» (“Le parallelisme psycho-phisique et la métaphisique positive” Comunicazione letta il 2 maggio 1901 alla Société Française de Philosophie, riportata in Mélanges, 488). Così intesa, la filosofia è suscettibile della stessa precisione della scienza positiva: «Come la scienza, essa potrà progredire di continuo, aggiungendo gli uni agli altri i risultati acquisiti. Ma essa mirerà inoltre - ed è per questo che si distingue dalla scienza - a slargare i campi della conoscenza e a dilatare infinitamente il pensiero umano» (Mélanges, p. 1181). Non è stato possibile rintracciare la pubblicazione e la relativa data.