Università degli Studi di Parma Facoltà di Economia IL COSTO DEL

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Università degli Studi di Parma
Facoltà di Economia
Corso di PIANIFICAZIONE FINANZIARIA
Professor Eugenio Pavarani
IL COSTO DEL CAPITALE
Nota didattica di Gian Marco Chiesi
Indice
1)
2)
3)
4)
5)
Il costo del capitale aziendale
La struttura finanziaria
Il costo del capitale di rischio
Il Capital Asset Pricing Model
o Il tasso privo di rischio
o Il Market Risk Premium
o Il Beta
Il costo del capitale di debito
La minimizzazione del costo del capitale e massimizzazione
del valore dell’azienda
Bibliografia
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
1
3
4
5
5
6
6
12
pag.
pag.
16
18
1) IL COSTO DEL CAPITALE AZIENDALE
Quando un’impresa utilizza il VAN per valutare la convenienza di un investimento, si pone il
problema del tasso per l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri. Se il progetto presenta il
medesimo grado di rischio di tutti gli altri progetti già intrapresi dall’impresa, in virtù della
continuità dell’attività svolta, il criterio migliore è quello del costo del capitale aziendale.
Il costo del capitale aziendale può essere definito come “il rendimento atteso dal portafoglio
composto da tutti i titoli emessi dall’impresa”1, vale a dire quel portafoglio idealmente composto
dai titoli che fanno parte del passivo dell’impresa. Per comprendere meglio quanto affermato può
essere utile fare riferimento alla figura 1 che riporta una sintetica ripartizione degli usi e delle fonti
di capitale di un’impresa.
Ogni progetto genera flussi di cassa operativi che consentono la remunerazione delle fonti che
hanno finanziato gli investimenti necessari per porre in essere il progetto stesso.
1
Brealey R.A.,Myers S.C., Sandri S., “Rischio e capital budgeting” in Principi di Finanza Aziendale, McGraw-Hill,
2003
1
Capitale
circolante
netto
Capitale
proprio
Capitale
immobilizzato
Debiti
finanziari
Figura n.1: Struttura sintetica degli usi e delle fonti di un impresa
Poiché l’impresa ha tipicamente un portafoglio di progetti ognuno di essi è finanziato attingendo
alle medesime fonti, cioè dal complesso di passività che finanziano l’impresa stessa e deve quindi
remunerare il complesso di fonti che lo ha finanziato.
In sede di analisi di un progetto di investimento, un manager potrebbe fare il seguente
ragionamento: l’ investimento ha un TIR dell’8%; i finanziatori richiedono il 6% per prestare
capitale di debito; poichè il costo delle risorse finanziarie è inferiore alla redditività
dell’investimento il progetto è da adottare.
Un calcolo di questo tipo è scorretto poiché l’investimento deve essere valutato tenendo conto del
complesso di fonti con cui implicitamente l’impresa finanzia il nuovo progetto. Tutti i progetti
dell’impresa, compresi quelli già in essere, sono finanziati pro-quota con capitale netto e debito.
Quindi anche i nuovi progetti devono essere finanziati nel medesimo modo, indipendentemente
dalla specifica fonte marginale effettivamente attivata.
Si ipotizzi, ad esempio, che la struttura tipicamente adottata dall’impresa sia 60% capitale netto e
40% debito. Il finanziamento del nuovo investimento comporta tuttavia la necessità di utilizzare
interamente capitale di terzi poiché l’impresa non ha la liquidità necessaria. Ciò muta la
composizione delle fonti, passando, ad esempio, ad una struttura che prevede 50% capitale di
rischio e 50% debito.
Ogni intervento sulla struttura finanziaria si riflette sulla modalità di finanziamento dell’impresa
nella sua complessità ed è scorretto valutare il nuovo investimento solo in base alla fonte marginale
attivata poiché si sta tralasciando di verificare cosa ha determinato il cambiamento nella modalità di
finanziare il complesso degli investimenti preesistenti.
Escludendo che il progetto debba essere valutato solo con la fonte marginale, rimane il problema se
adottare la struttura finanziaria anteriore o successiva al finanziamento. La scelta dipende dalle
ipotesi fatte dai manager in merito alla struttura finanziaria ottimale dell’impresa.
Se pensano che la deviazione dall’attuale composizione delle fonti sia temporanea e che nel corso
degli anni l’obiettivo sia quello di ritornare alla struttura target, per la valutazione dell’investimento
occorre utilizzare quest’ultima. Come determinare la struttura finanziaria ottimale è problema su cui
si tornerà in seguito; per ora si ipotizzi che intenzione dei manager sia quella di tornare alla struttura
finanziaria target. Come realizzare questo obiettivo? I primi flussi di cassa generati dal progetto
devono essere utilizzati per rimborsare il debito, al fine di tornare al livello di struttura finanziaria
ottimale.
Facendo riferimento alla figura 1, occorre sottolineare che l’entità del capitale proprio e dei debiti
finanziari non è determinata contabilmente, ma a valori di mercato.
2
Questa metodologia di stima è coerente con lo scopo per cui si calcola il costo del capitale
aziendale, vale a dire l’attualizzazione di futuri flussi di cassa con l’approccio rischio-rendimento.
La metodologia contabile presenta trascura la problematica del rischio. Chi acquista azioni
dell’impresa non paga il valore contabile, ma quello di mercato ed è quindi su questa base che deve
essere calcolata la remunerazione minima che i progetti di investimento devono generare.
Per definire i valori di mercato è tuttavia necessaria una procedura di stima; si approfondirà questa
tematica nel secondo paragrafo.
Il rendimento atteso di un portafoglio è pari a:
E(R p ) = a · E(R A ) + b · E(RB )
(3)
dove a e b sono rispettivamente i pesi assunti nel portafoglio dai titoli A e B. Considerando il
complesso dei titoli dell’impresa come un portafoglio, è possibile determinare il costo del capitale
aziendale:
K = We · K e + Wd · K d
(4)
oppure, sostituendo a WD e WE, valori percentuali, i rispettivi valori di mercato di debito ed equity,
si ottiene:
K =
E
D
· Ke +
· Kd
E+D
E+D
(5)
ove:
E = valore di mercato del capitale proprio (equity)
D = Valore di mercato del debito
Kd = Costo del capitale di debito, al netto della deducibilità fiscale
Ke = Costo del capitale di rischio (equity)
Sostituendo nella (4) al costo del debito netto, il costo lordo si ottiene la seguente formula:
K =
E
D
· Ke +
· K d ·(1 − T )
E+D
E+D
(6)
Nei prossimi paragrafi sono analizzati i diversi fattori che compongono la (6) poiché ognuno di essi
necessita di un processo di stima.
2) LA STRUTTURA FINANZIARIA
Poiché il Wacc attualizza flussi finanziari futuri, la struttura finanziaria adottata per il calcolo
dovrebbe essere quella prospettica, vale a dire quella che l’impresa dovrebbe adottare nel futuro.
Ciò implica la necessità di stimare quale sia la struttura finanziaria target, non potendo essere
desunta dal bilancio.
Come evidenziato in precedenza, ogni progetto di investimento deve essere valutato come se fosse
finanziato in modo analogo a tutti gli altri asset dell’impresa sotto l’ipotesi di stabilità della struttura
finanziaria. In realtà, ciò non accade poiché, tipicamente, a fronte di investimenti tende ad
aumentare la quota di debito rispetto a quella dei mezzi propri. Tuttavia, se in seguito l’impresa
corregge le deviazioni dalla struttura ottimale, occorre utilizzare quest’ultima per il calcolo del
costo del capitale aziendale.
3
La correzione avviene utilizzando i primi flussi di cassa liberi generati dal progetto al rimborso di
parte dei debiti finanziari eliminando l’eccesso di indebitamento che ha causato la deviazione.
Esistono numerosi contributi in merito alla problematica della struttura finanziaria ottimale2,
tuttavia, per ora, si ipotizzi che l’impresa conosca la propria struttura ottimale e che sia quella
attualmente adottata. Per una società quotata, è quindi possibile operare la stima relativizzando i
valori di mercato di debito ed equity che attualmente caratterizzano l’impresa stessa. E’ quindi
semplice stimare i valori di mercato di equity e debito, poiché gli strumenti finanziari emessi da
queste imprese (obbligazioni ed azioni) hanno un prezzo. Moltiplicandolo per il numero di titoli in
circolazione della stessa categoria, si ottiene il valore di mercato della fonte di finanziamento.
Occorre considerare che solo il debito finanziario deve essere considerato per determinare la
struttura delle fonti poiché le passività operative sono portate a diretta deduzione del capitale
investito.
Esempio
L’impresa Alfa, società quotata, presenta la seguente struttura delle fonti, composta da sole
obbligazioni ed Equity:
Valore contabile delle
obbligazioni
Valore contabile dell’Equity
40.000 Valore di mercato delle
obbligazioni
70.000 Valore di mercato dell’Equity
39.000
76.000
I pesi da assegnare al costo dell’Equity e del costo del capitale di debito, ossia la struttura
finanziari espressa in termini percentuali, è la seguente:
Totale fonti (a valori di mercato) = 76.000 + 39.000 = 115.000
We = Peso % Equity = 76.000 / 115.000 = 66,1%
Wd = Peso % Debito = 39.000 / 115.000 = 33,9%
3) IL COSTO DEL CAPITALE DI RISCHIO
La difficoltà nella stima del costo del capitale proprio discende dalla considerazione che è un costo
opportunità non rilevato contabilmente. Occorre quindi implementare metodologie che ne
consentano la stima. La prassi e la letteratura suggeriscono diverse metodologie3 per la stima del
costo del capitale proprio, ma questa nota didattica si focalizza soprattutto sul CAPM4 .
2
Modigliani F., Miller M.h., “The Cost of Capital, Corporation Finance and the Theory of Investment”, in American
Economic Review, 48, giugno 1958; Hamada, R.S., “Portfolio Analysis, Market Equilibrium and Corporation Finance”
in Journal of Finance, 24, marzo 1969; Stiglitz., “On the irrelevance of Corporate Financial Policy”, in American
Economic Review, 64, dicembre 1974; Myers S.c., “The Capital Structure Puzzle”, in Journal of Finance, 32, luglio
1984
3
Altre metodologie possono essere il Dividend Discount Model illustrato in Gordon M.J., Shapiro E. “Capital
Equipment Structures: The required Rate of Profit”, in Management Sciences, e l’Arbitrage Pricing Theory introdotta da
Ross S.A.: “The arbitrage Theory of Capital Asset Pricing”, in Journal of Economic Theory, 13 dicembre 1976.
4
Lintner J., “The Valuation of Risk Assets and the Selection of Risky Investments in Stock Portfolios and Capital
Budgets”, Review of Economics and Statistics, Febbraio 1965; Mossin J., “Equilibrium in a Capital Asset Market“,
Econometrica, Ottobre 1966; Sharpe W., “A simplified Model of Portfolio Analysis”, Management Science, Gennaio
1963; Sharpe W., “Capital Asset Prices: A Theory of Market Equilibrium”, Journal of Finance, Settembre 1964.
4
3.1)
IL CAPITAL ASSET PRICING MODEL
E’ il modello più utilizzato per la stima del costo del capitale proprio di un’impresa e si basa
sull’equazione della SML:
[
]
E (Ri ) = R f + E(RM ) − R f β i
(7)
Nei seguenti paragrafi, per ognuno degli elementi che compongono la (7), sono approfondite le
problematiche di stima poiché non tutti gli elementi sono direttamente osservabili dai dati di
mercato. Determinare il rendimento atteso delle azioni di un’impresa comporta una serie di
problematiche che possono portare a valori assai eterogenei a seconda delle scelte operate dal
valutatore.
Il tasso privo di rischio
Il titolo con rendimento privo di rischio è caratterizzato, nella modellistica della Teoria di
Portafoglio, da varianza nulla dei rendimenti previsti; ciò significa che il risultato atteso coincide
con quello effettivo a scadenza. Per realizzare questa situazione, un titolo deve soddisfare due
condizioni5:
•
•
Assenza di rischio di insolvenza dell’emittente (default risk): tale condizione può essere
garantita solo da titoli emessi da Stati caratterizzati da un modesto rischio paese che, in virtù
del potere di emettere moneta, possono teoricamente garantire, benché in termini nominali,
il rimborso dei propri debiti.
Assenza di rischio di reinvestimento dei flussi intermedi: se il titolo prevedesse flussi di
cassa intermedi, gli investitori dovrebbero reinvestirli ad un tasso che al momento della
sottoscrizione non è conosciuto; solo un titolo senza cedole intermedie può evitare il rischio
di reinvestimento. Inoltre, occorre che la durata del titolo coincida con l’orizzonte temporale
di investimento, cioè l’holding period. Se fosse inferiore, il detentore sarebbe soggetto al
rischio di reinvestire, a scadenza, il valore di rimborso a condizioni che possono differire da
quelle presenti al momento dell’investimento iniziale. Se fosse superiore, l’investitore
sarebbe sottoposto ad un rischio generato dall’andamento dei tassi di mercato dovuto alla
volatilità del valore del titolo a causa del movimento dei tassi. Il titolo potrebbe subire un
incremento di valore, in presenza di un ribasso generale dei tassi, o un decremento nel caso
inverso6.
Per ridurre il rischio di insolvenza il titolo dovrebbe emesso da Stati aventi riconosciuta stabilità
internazionale. Per eliminare il rischio di reinvestimento, il titolo dovrebbe essere uno Zero Coupon
Bond con durata pari all’orizzonte temporale di investimento. In realtà, non sempre tali condizioni
sono garantite dai titoli effettivamente in circolazione soprattutto per quanto riguarda la durata
temporale dell’investimento e l’assenza di cedole intermedie. Si sottolinea, comunque, la necessità
di far riferimento a rendimenti di titoli di Stato di lungo periodo in essere al momento della stima7.
Occorre, peraltro, sottolineare che il tasso privo di rischio adottato deve essere coerente con gli
scopi che ci si pone in sede di valutazione: ad esempio, per attualizzare flussi di cassa espressi in
valuta estera, il tasso deve essere quello dei titoli di Stato espressi in quella valuta.
5
Cfr.: Damodaran A., Finanza Aziendale, 2001, Apogeo e Capizzi V., Costo del Capitale e operazioni di investment
banking, 2003, Egea
6
Per approfondimenti sul tema si veda Fabrizi P.L.: “I criteri di valutazione e gli indicatori di rischio dei titoli
obbligazionari” in Fabrizi P.L., (a cura di), L’Economia del Mercato Mobiliare, 2003, Egea
7
Come fonte per la stima dei rendimenti dei titoli di Stato dell’area Euro si segnala il Bollettino Mensile della BCE,
disponibile sul sito della Banca d’Italia: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bce/mb
5
Il market risk premium
Nella (7) il secondo elemento da analizzare è il Market Risk Premium che misura il
sovrarendimento che, in media, gli investitori possono attendersi investendo nel portafoglio di
mercato, rispetto a titoli privi di rischio. Il MRP è un sovrarendimento medio atteso, ma l’effettivo
risultato, in caso di ribassi generalizzati del mercato, può temporaneamente risultare negativo.
Come già evidenziato per il tasso privo di rischio, alla perfezione del modello teorico occorre
contrapporre una serie di problematiche da affrontare per la stima effettiva.
Il primo aspetto riguarda la definizione di portafoglio di mercato poiché nel CAPM non si specifica
da quali titoli sia composto il portafoglio, potendo ricomprendere sia azioni, sia obbligazioni. Non
pare, tuttavia, incoerente il confronto con il rendimento medio fornito da un paniere di imprese e
quindi ai soli titoli azionari. Un indice, come il MIBTEL, composto da sole azioni può quindi essere
un buon benchmark.
Per il mercato finanziario italiano, uno studio della Banca d’Italia8, realizzato sul periodo tra il 1861
e il 1994, ha stimato la media aritmetica dei rendimenti al netto dell’inflazione, per titoli azionari e
di Stato, risultati rispettivamente pari al 6,72% e all’1,03%. Il Market Risk Premium, ottenuto come
differenza dei due risultati, risulta essere quindi il 5,69%.
Il Beta
Il terzo parametro da utilizzare nella stima del costo del capitale è il Beta, che esprime, in misura
sintetica, il rischio dell’impresa rispetto al mercato complessivamente considerato. Nell’equazione
della SML, ha la espressione definita dalla (8), che prevede al numeratore la covarianza tra i
rendimenti del mercato e quelli dell’impresa e al denominatore la varianza dei rendimenti del
mercato.
βi =
σ im
σ m2
(8)
Mentre il tasso privo di rischio e il Market Risk Premium sono dati esogeni, il Beta è un parametro
che si riferisce specificatamente all’impresa oggetto di valutazione.
Poiché la (7) definisce una relazione lineare tra il rendimento del titolo e quello del mercato,
ponendo che il Beta sia pari ad 1,2, ad incrementi del mercato pari al 10%, dovrebbero
corrispondere aumenti nel valore del titolo pari al 12%. Parimenti, un calo del valore del portafoglio
di mercato del 10% si dovrebbe tradurre in un decremento del 12% del valore del titolo.
Diversamente, titoli caratterizzati da Beta inferiore ad uno dovrebbero registrare variazioni più
contenute rispetto ad analoghi movimenti del mercato. Un titolo caratterizzato da Beta pari a 0,8, a
fronte di un decremento del portafoglio di mercato pari al 10%, dovrebbe registrare un calo
dell’8%. Appare quindi evidente che titoli caratterizzati da un Beta superiore ad 1 possono essere
caratterizzati come titoli rischiosi, poiché si muovono in modo più intenso a parità di variazione del
mercato.
Quanto affermato trova validità sotto la presunzione che gli investitori siano diversificati; le vicende
del singolo titolo considerato isolatamente sono più incerte: il fallimento dell’impresa determina la
perdita del 100% del capitale di rischio investito nel titolo stesso. Tuttavia, questa eventualità non
determina la perdita dell’intero capitale di un investitore diversificato poiché rappresenta una quota
minima dell’intera propria ricchezza. Chi non diversifica in modo adeguato il proprio portafoglio è
soggetto, oltre al rischio sistematico, anche al rischio idiosincratico, in misura tanto più intensa
quanto minore il numero di titoli presenti nel portafoglio.
8
Panetta V., Violi R., “Is there an Equity Premium Puzzle in Italy? A look over the Last Century”, Temi di discussione
del servizio Studi, Banca d’Italia, n. 353, giugno 1999
6
L’interpretazione economica dei Beta
Secondo il CAPM, ogni fattore di rischio che impatta sul singolo titolo è riassunto, se legato a
componenti sistematiche, nel Beta, quantificando ogni caratteristica dell’impresa in un solo numero.
E’ possibile individuare9 sette fattori, caratterizzanti l’impresa, che influiscono sul suo grado di
rischio e sintetizzati nel Beta:
•
•
•
•
Variabilità degli utili: dipende dall’attività svolta poiché esistono settori caratterizzati da
un elevato grado di variazione dei ricavi, rispetto alla fase economica attraversata, che
genera volatilità nell’entità (e nel segno) dei risultati di esercizio. Un peggioramento della
situazione economica generale determina, per gli operatori, una riduzione delle possibilità di
spesa e quindi una riduzione nel consumo di beni non primari. Aziende che producono beni
il cui acquisto può essere procrastinato nel tempo sono tipicamente cicliche. La possibilità di
rinunciare all’accquisto si riflette nei risultati ottenuti da queste imprese, che sono
tipicamente caratterizzati da elevata volatilità. Questa può essere circostanza critica per
l’impresa, e può riflettersi nella possibilità di non essere in grado di generare le risorse
finanziarie necessarie per pagare fornitori e finanziatori, determinando lo stato di insolvenza
dell’impresa stessa. Il maggior rischio, sostenuto da chi investe in aziende svolgenti tali
attività, deve essere remunerato con un maggior rendimento atteso. Settori ciclici sono quelli
legati ai beni lusso, al turismo, oppure alle aziende che producono macchinari od
attrezzature industriali. Se il consumo non è rinviabile, si pensi al settore alimentare per il
quale i consumi sono abbastanza stabili, l’azienda non è ciclica. Occorre precisare che,
comunque, un calo delle prospettive economiche generali comporta la diminuzione dei
ricavi anche per queste ultime, benché in misura minore, che viene riflessa in una riduzione
del valore di mercato.
Leva operativa: maggiore è il grado di leva operativa, maggiore è il rischio che l’impresa
assume poiché una diminuzione del fatturato può portare l’impresa dall’utile alla perdita di
esercizio10, a causa del più elevato livello di break-even. Tale aspetto è in parte collegabile
al punto precedente, benché in questo caso non si faccia riferimento alla variabilità dei ricavi
ma alle conseguenze che la medesima variazione dei ricavi può portare al risultato di
esercizio.
Leva finanziaria: maggiore è l’incidenza percentuale dei debiti, rispetto al capitale proprio,
nella struttura delle fonti di finanziamento, maggiore è l’entità degli oneri finanziari sul
reddito operativo. Ciò genera una notevole volatilità dei risultati di esercizio, da remunerare
con maggiori rendimenti attesi. Maggiore è la quantità di debito con cui si finanzia
l’impresa, maggiore è il grado di rischio assunto dagli azionisti che possono subire lo
spossessamento dell’impresa ad opera dei creditori, se l’azienda non è in grado di far fronte
al pagamento dei propri debiti. I crediti vantati possono in tal modo trovare parziale
soddisfacimento nelle attività dell’impresa. Se un’impresa presenta un elevato livello di leva
operativa, od opera in settori ciclici, non dovrebbe assumere una leva finanziaria eccessiva
per non aumentare ulteriormente il rischio di insolvenza.
Politica dei dividendi: l’effetto è collegato alla variabilità degli utili poiché un’impresa che
nel tempo è in grado di stabilizzare i propri dividendi invia al mercato finanziario un
messaggio di stabilità della remunerazione e di ridotta volatilità dei risultati economici.
Questa circostanza si traduce in un minor rischio assunto dall’investitore a parità di
rendimento.
9
Cfr.: Capizzi V., Costo del Capitale ed operazioni di investment banking, pag. 189-192, Egea, 2003
Per la stima del grado di leva operativa e del grado di leva finanziaria si veda: Poletti L., “Gli indici di bilancio”, in
Pavarani E. (a cura di): “Analisi Finanziaria”, McGraw-Hill, 2002
10
7
•
Strategie di crescita: Le imprese caratterizzate da maggiori tassi di crescita sono più
rischiose poiché non è ipotizzabile che la loro crescita continui ad essere superiore al livello
di crescita del sistema economico complessivo per molto tempo. Titoli caratterizzati da
elevati tassi di crescita possono indurre nel mercato aspettative di prolungata crescita dei
medesimi il cui ridimensionamento, può provocare riduzioni dei prezzi assai più elevate di
quelle registrabili per titoli caratterizzati da strategie di crescita abbastanza stabili. Questo
effetto è riconducibile al rilevante contributo apportato dalle aspettative alla determinazione
del prezzo dei titoli.11
Livello di liquidità: Un’impresa che ha a propria disposizione una riserva di liquidità è
maggiormente in grado di “fronteggiare shock esogeni di domanda o eventuali fenomeni di
instabilità congiunturale e finanziaria”12, determinando una minor assunzione di rischio. Un
eccesso di liquidità può tuttavia essere segnale di conclusione del ciclo vitale dell’impresa a
seguito della mancanza di investimenti profittevoli.
Dimensione: l’elevata dimensione consente maggior forza contrattuale sul mercato
finanziario (e quindi minori costi nell’approvvigionamento di risorse finanziarie) nonché
maggior capacità di resistenza ad affrontare situazioni di crisi.
•
•
La stima dei Beta
La stima del Beta può essere effettuata attraverso le serie storiche dei rendimenti, sulla base
dell’ipotesi che il passato possa fornire informazioni in merito al futuro.
Per applicare questa metodologia occorre tuttavia che l’impresa presenti una serie storica di
quotazioni attraverso cui determinare i rendimenti; questa circostanza restringe la possibilità di
stimare i Beta alle sole società quotate.
Il coefficiente Beta può essere stimato tramite il “Market Model” che ipotizza una relazione lineare
(ossia modellizzata da una retta) tra i rendimenti del titolo e quelli del portafoglio di mercato, come
evidenziato dalla seguente formula:
∧
∧
Ri = a + β i R M + ε
(9)
∧
con a = intercetta della regressione;
∧
con β i = pendenza delle regressione;
con ε = errore della regressione.
La (9) è l’equazione di una retta di regressione che stima il legame esistente tra una variabile
indipendente, cioè il rendimento di mercato, e una dipendente, il rendimento del titolo.
Con il legame stimato dalla (9) è possibile determinare i valori assunti dalla dipendente attraverso
quelli registrati, al medesimo istante temporale, dalla indipendente.
La regressione consente di calcolare i parametri incogniti della (9) vale a dire l’intercetta e la
pendenza della retta che consentono di definire la relazione lineare tra le variabili.
Naturalmente il legame non risulta perfetto poiché difficilmente i valori della dipendente possono
essere determinati esattamente tramite il modello.
11
Una metodologia che consente di evidenziare il contributo fornito dalle aspettative nella determinazione della
capitalizzazione di titoli quotati mediante la metodologia EVA™ è illustrata in: Visani M. e Tinessa M., “Il ruolo delle
aspettative nella determinazione del prezzo di borsa. Modello teorico ed evidenze empiriche”, AF-Analisi Finanziaria,
41/2001.
12
Cfr.: Capizzi V., Costo del Capitale ed operazioni di investment banking, pag. 189-192, Egea, 2003
8
Per stimare il Beta, espresso dal CAPM, è possibile utilizzare la (9) poiché la pendenza della retta di
regressione, cioè βi, ha la medesima espressione del Beta dalla SML.
La differenza tra il valore effettivamente assunto dalla variabile dipendente, rispetto a quello che
avrebbe dovuto assumere secondo il modello, è l’errore di regressione. Maggiore è l’entità degli
errori, minore è la capacità del modello lineare di interpretare i valori della dipendente.
Nella figura 1 è possibile visualizzare la distribuzione dei rendimenti settimanali del titolo AEM
rispetto a quelli del portafoglio di mercato per il periodo 2002-2003 e la retta di regressione, che ha
pendenza pari a 0,82. Se la capacità interpretativa della (9) fosse perfetta, tutti i punti del
diagramma di dispersione si posizionerebbero sulla retta. La distribuzione effettiva dei rendimenti
appare tuttavia molto più dispersa, senza coincidere con la retta. Ciò è dovuto al rischio
idiosincratico: costruire un portafoglio caratterizzato dalla sola presenza del titolo AEM pone in
capo all’investitore un rischio legato alla mancata diversificazione, la cui entità è evidenziata
graficamente dalla lontananza tra il rendimento teoricamente assegnato dalla retta di regressione e
quello effettivo. La capacità di interpretazione del modello è sintetizzata dal coefficiente di
determinazione, detto R-quadrato: è perfetta quando il coefficiente di determinazione è pari uno. Al
diminuire della capacità del modello di interpretare la volatilità della dipendente diminuisce l’Rquadrato che, nel caso esaminato, è pari a 0,2086. Ciò significa che solo il 20,86% della variabilità
dei rendimenti del titolo è spiegata dai movimenti del portafoglio di mercato; la rimanente quota è
legata ad altri fattori che il modello non coglie. Poiché secondo il CAPM ciò che non è legato ai
movimenti del portafoglio di mercato, è eliminabile con la diversificazione, L’R-quadrato indica la
percentuale di rischio sistematico rispetto a quello totale del titolo.
Figura n. 1: La dispersione dei rendimenti del titolo AEM rispetto al portafoglio di mercato
9
Infatti il titolo, nel periodo considerato, è stato caratterizzato da uno scarto quadratico medio molto
più elevato di quello del mercato (0,035 rispetto a 0,0204) benché il Beta del titolo fosse inferiore
ad 1. Da questo si evince che solo all’interno di un portafoglio diversificato il Beta è misura
appropriata del rischio di un titolo.
Come già evidenziato per il MRP, anche nella stima del β si pongono diversi problemi
metodologici. Il primo riguarda la scelta dell’indice di mercato, che costituisce la variabile
indipendente della regressione. E’ possibile utilizzare, ad esempio, l’indice MIBTEL. Il secondo
aspetto riguarda la lunghezza temporale della serie storica. Da un lato, una serie temporale di breve
periodo consente di cogliere una situazione aggiornata dell’impresa, che nel corso del tempo, può
mutare le proprie caratteristiche in termini di business, di struttura finanziaria, di assetto
manageriale etc. Queste caratteristiche sono determinanti nel definire il modo con cui i fattori di
rischio esterni, impattano sui rendimenti del titolo.
Poiché il Beta è un parametro che sintetizza in un unico valore tutte le caratteristiche di rischio, è
necessario che derivi da una stima aggiornata per tener conto delle variazioni recentemente subite
dall’impresa. Ciò spinge per la scelta di una serie storica di breve periodo, benché per ottenere
risultati statisticamente significativi occorre disporre di un numero di almeno cento osservazioni. In
tal senso, si consiglia l’utilizzo di rendimenti settimanali su una serie storica di due anni, ottenendo
104 osservazioni.
Beta Unlevered e Beta levered
La stima del Beta tramite le regressioni con le serie storiche genera un trade-off tra attualità del
dato, che spinge verso un accorciamento della serie, e precisione della stima, che spinge verso un
aumento della lunghezza della serie stessa.
Come già affermato, allungare in modo eccessivo la serie storica significa analizzare un’impresa
che, nel corso del tempo, può aver mutato profondamente la propria struttura finanziaria o di
business. Inoltre, le strategie del management possono portare a rilevanti cambiamenti nel grado di
leva finanziaria.
Può quindi essere opportuno depurare l’effetto della vecchia struttura finanziaria sui dati osservati.
In seguito, avendo a disposizione i dati relativi alla nuova struttura finanziaria target, si può
calcolare un Beta che tenga conto del cambiamento nel livello di rischio finanziario. Il processo
appena descritto è realizzabile ipotizzando che il βasset, vale a dire il Beta delle attività operative di
un’impresa, sia la media ponderata del Beta del capitale proprio e del Beta del debito:
β asset = β equity (L )*
E
D * (1 − T )
+ β Debito *
E + D * (1 − T )
E + D * (1 − T )
(10)
Nella (10) occorre osservare che, se l’impresa non ha debiti, il secondo addendo dell’equazione si
annulla, mentre il primo addendo si riduce a βequity (L) moltiplicato per un fattore che assume valore
uno. Nell’ipotesi che l’impresa sia priva di debito, il βasset, è dato dal βequity (L), cioè dal Beta del
capitale proprio. Giova sottolineare che le stime realizzate tramite le serie storiche consentono di
ottenere il βequity (L), mentre non è stimabile in modo diretto il βasset, che quindi deve essere
calcolato tramite la (10).
E’ possibile semplificare la (10) ponendo l’ipotesi che il βdebito sia pari a zero. Infatti, in teoria, i
rendimenti dei titoli di debito dovrebbero essere incorrelati ai rendimenti del portafoglio di mercato.
Ponendo il βdebito pari a zero si ottiene la (11) che determina il βasset moltiplicando il βequity (L) per un
fattore il cui valore è minore di uno. Tale processo consente di eliminare la componente di rischio
dovuto all’effetto della leva finanziaria.
Il Beta stimato con il Market Model è il βequity (L), che tiene conto anche del rischio finanziario. La
(11) consente di estrarre il rischio finanziario dal Beta stimato mediante i rendimenti di Borsa.
10
Nella (11) D ed E sono i valori percentuali assunti da Equity e Debito nell’arco temporale oggetto
di osservazione.
β asset = β equity (L )*
E
E + D * (1 − T )
(11)
La (11) consente di eliminare, dalla stima del βequity (L), l’effetto della leva finanziaria per
evidenziare una misura di rischio legata alle sole componenti operative. Questo processo prende il
nome di unlevering e la (11) viene espressa sostituendo al βasset il termine βequity (U), cioè il βequity
depurato dall’effetto dovuto alla struttura finanziaria. In altre parole, si stima, sulla base della
struttura finanziaria effettivamente adottata, quale sarebbe il βequity delle azioni in assenza di debito
finanziario.
β equity (U ) = β equity (L ) ⋅
E
E + D * (1 − T )
(12)
Incorporando nel βasset il rischio dovuto alla nuova struttura finanziaria, per mezzo dei valori della
struttura finanziaria target si attua il relevering, ottenendo il βequity (RL). Nella (13) le percentuali
obiettivo di debito ed equity, sono D’ ed E’.:
β Equity (RL ) = β
⎛ E' +( 1 − T )* D' ⎞
⎟
E'
⎝
⎠
Equity (U )* ⎜
(13)
Esempio
L’impresa Gamma un Beta pari a 1,1 stimato su un arco temporale in cui la struttura finanziaria era
composta per il 40% da debito e per il 60% da capitale proprio. Aliquota fiscale 35%. Il
management ha, tuttavia, intenzione di aumentare il livello di leva finanziaria, arrivando ad una
struttura 70% debito, 30% Equity. Per determinare il nuovo valore del Beta occorre dapprima
unleverizzare il Beta sulla base della precedente situazione finanziaria:
β equity (U ) = β equity (L ) ⋅
E
60%
= 1,1 ⋅
= 0,7675
E + D * (1 − T )
60% + 40% ⋅ (1 − 35%)
In seguito occorre rilevizzare il Beta per tener conto della nuova struttura finanziaria. Il risultato
ottenuto evidenzia l’incremento di rischio dovuto all’innalzamento del grado di leva finanziaria.
⎛ E '+(1 − T ) * D' ⎞
⎛ 30% + 70% ⋅ (1 − 35% ) ⎞
⎟ = 0,7675 ⋅ ⎜
⎟ = 1,9315
E'
30%
⎝
⎠
⎝
⎠
β Equity (RL ) = β Equity (U ) * ⎜
Beta di società comparabili
Il Market Model non può essere utilizzato per la stima del Beta se l’impresa non è quotata poiché
manca una serie storica dei prezzi che consenta il calcolo basato sulla regressione.
Per stimare il Beta di società non quotate si può fare l’ipotesi queste ultime siano soggette allo
stesso rischio operativo delle quotate, differenziandosi per quanto riguarda la struttura finanziaria.
11
Un approccio metodologicamente corretto può essere quello di stimare i βequity (U) delle aziende che
appartengono al settore. La media dei βequity (U) costituisce il Business Risk Index (BRI), una
misura del rischio operativo senza l’effetto dovuto alla scelte di struttura finanziaria operata delle
singole imprese.
Leverizzando il BRI in funzione della struttura finanziaria adottata dall’impresa non quotata oggetto
di valutazione, si ottiene il βequity (RL) da utilizzare per determinare il costo del capitale proprio
dell’impresa.
I beta operativi
Un problema che si pone per la valutazione del Beta di imprese diversificate è legato allo
svolgimento di attività in settori diversi. Il costo del capitale, per tali imprese, deve essere coerente
con questa circostanza
Se l’impresa è quotata, il Beta è stimabile sulla base dei prezzi di Borsa; se non è quotata, è
possibile fare riferimento ai BRI in precedenza evidenziati. Occorre dapprima individuare i settori
in cui l’impresa opera e, in seguito, calcolare, attraverso una media ponderata, il Beta operativo
medio dell’impresa oggetto di valutazione. La ponderazione può avvenire sulla base del contributo
fornito dalle diverse business unit alla formazione del reddito operativo della società oppure, come
alternativa, in base al capitale investito nelle singole attività.
Dopo aver determinato il Beta operativo medio, occorre operare il relevering con la (13) per tener
conto della struttura finanziaria dell’impresa oggetto di analisi.
Esempio
L’impresa Gamma, società quotata, svolge attività in due settori, rispettivamente caratterizzati da
BRI pari a 0,7 ed 1. L’impresa ottiene, in media, dal primo settore un reddito operativo pari a 1,3
milioni di Euro, mentre dal secondo un reddito operativo di 2,6 milioni di Euro .
Ipotizzando che il tasso privo di rischio sia pari al 3,5%, il Market Risk Premium il 5,7%, l’aliquota
fiscale il 33%, e i valori di mercato di debito ed equity dell’impresa siano rispettivamente pari a 10
e 40 milioni di Euro, il costo del capitale proprio dell’impresa Gamma è il risultato della seguente
stima:
BRI Gamma =
β
1,3 ⋅ 0 ,7 + 2 ,6 ⋅ 1
= 0 ,9
1,3 + 2 ,6
⎛ E + ( 1 − T )* D ⎞
⎛ 40 + ( 1 − 0,33 )* 10 ⎞
⎟ = 0,9 * ⎜
⎟ = 1,05075
E
40
⎝
⎠
⎝
⎠
Equity (RL )Gamma = BRI Gamma * ⎜
[
]
E (RGamma ) = R f + E(RM ) − R f β Gamma = 3,5% + 5,7% * 1,0575 = 9 ,53%
4) IL COSTO DEL CAPITALE DI DEBITO
La stima non riguarda il costo effettivamente sostenuto dall’impresa nel passato, informazione che,
con un certo grado di approssimazione, può essere fornita da indici contabili ma, poiché i flussi di
cassa da attualizzare sono futuri, deve considerare il costo atteso del debito, cioè quello che
l’azienda sosterrebbe se, al momento della stima, si rivolgesse al mercato dei capitali per ottenere
nuove risorse finanziarie.
12
Come già accennato in precedenza, il costo da stimare riguarda solo il debito finanziario poiché
quello operativo deve essere portato a diretta deduzione del capitale investito. Se il debito
finanziario fosse rappresentato da sole obbligazioni quotate, non sarebbe complicato stimarne il
costo in base al valore di mercato. Infatti, il prestito produce, nel corso del tempo, una serie di uscite
di cassa in funzione delle proprie caratteristiche intrinseche, quali valore nominale e tasso cedolare.
Ipotizzando che il prestito sia a tasso fisso, il rendimento richiesto dal mercato in virtù del rischio
del titolo può differire dal tasso cedolare. Questa differenza si riflette nella differenza tra valore di
mercato e valore nominale.
In genere, il tasso cedolare riflette le condizioni in essere in sede di emissione del debito, sia
macroeconomiche, sia specifiche dell’impresa. Un abbassamento generalizzato dei tassi di interesse
determina, ceteris paribus, un minor tasso richiesto da parte dei finanziatori dell’impresa. D’altro
canto, un peggioramento della situazione operativa dell’impresa determina l’incremento del rischio
di insolvenza traducendosi in un maggior tasso di remunerazione.
Chi compra le obbligazioni dell’impresa pretende una remunerazione attesa in linea con le
condizioni e le informazioni presenti alla data di acquisto.
Se, in seguito, l’impresa subisce un deterioramento delle proprie prospettive e il mercato
cominciasse ad attribuire una maggiore probabilità di insolvenza a scadenza, si avrebbe un
incremento del tasso richiesto dai finanziatori. Ciò determinerebbe una riduzione del prezzo di
mercato, rendendo possibile il maggior tasso di remunerazione a scadenza. Il valore di mercato
deriva comunque dal processo di attualizzazione dei flussi cedolari futuri ad un tasso coerente con
la probabilità di insolvenza implicitamente attribuita al titolo. Avendo a disposizione i flussi di
cassa prodotti dal titolo n-esimo nel corso degli anni e il valore attuale di mercato, è possibile
trovare il tasso prezzato dal mercato all’emissione obbligazionaria risolvendo la (14):
Valore di mercato del debito =
N
∑
Ft
i =1 (1 + k d )
t
(14)
Il valore incognito è il tasso di attualizzazione kd,.tuttavia risolvere algebricamente la (14) è assai
complicato. Il problema può essere superato utilizzando fogli di lavoro che consentano di calcolare
il tasso incognito che uguaglia i due termini dell’equazione, cioè il tasso di rendimento a scadenza
(TRES).13
La deducibilità fiscale degli oneri finanziari riduce il costo del capitale di debito, quindi, per
calcolarne l’effettivo costo, occorre moltiplicare il costo lordo per il fattore (1-T). Nel caso
dell’impresa Delta, ipotizzando che l’aliquota fiscale sia pari al 33%, l’effettivo costo del debito è
pari a:
Kd =8,97%* (1-0,33) = 6,01%
La metodologia di stima illustrata è valida solo se l’impresa ha un unico prestito obbligazionario
quotato sul mercato; tuttavia, difficilmente esiste un’unica emissione obbligazionaria. La realtà è
costituita da diverse emissioni con caratteristiche diverse in termini di priorità di rimborso o
garanzie accessorie. Determinare un unico costo del capitale di debito in simili situazioni è assai
difficoltoso. In questi casi è utile far riferimento al rating esterno delle società. Le imprese di
maggiori dimensioni contattano agenzie specializzate che, dopo aver effettuato analisi quantitative e
qualitative sullo stato di salute dell’azienda, assegnano un giudizio sull’”affidabilità creditizia
dell’impresa emittente strumenti di debito, fornendo al mercato una base di riferimento per il
pricing del rischio di credito dell’emittente”14.
13
Per un’analisi del TRES e degli altri indicatori di rendimento per i titoli obbligazionari si veda Fabrizi P.L., (a cura
di): Economia del mercato mobiliare, Egea, 2003
14
Cfr.: Capizzi V., Costo del Capitale ed operazioni di investment banking, pag. 374, Egea, 2003
13
Esempio
L’impresa Delta ha emesso un prestito obbligazionario nell’anno zero con cedole annuali
posticipate al tasso del 7% e rimborso complessivo al valore nominale alla fine del quinto anno.
Tempo
Flusso
0
100
1
-7
2
-7
3
-7
4
-7
5
-107
Alla fine del secondo anno il valore di mercato è pari a 95, poichè il mercato sta scontando un
maggior tasso di attualizzazione rispetto a quello cedolare.
Valore di mercato del debito = 95 =
N
∑
Ft
i = 1 (1 + k d
)t
=
7
7
107
+
+
(1 + k d ) (1 + k d )2 (1 + k d )3
Il tasso incognito kd riflette una situazione aggiornata, poiché tiene conto sia delle eventuali
variazioni intervenute nel livello generale dei tassi di interesse, sia delle modifiche del grado di
rischio percepite dagli investitori in merito all’impresa. Nel caso in esame il tasso interno di
rendimento è pari all’8,97%.
Le principali agenzie di rating assegnano un giudizio lungo una certa scala di valori per esprimere
sinteticamente lo stato di salute dell’impresa analizzata; un esempio potrebbe essere il seguente:
AAA nei casi migliori, CCC, in quelli peggiori.
Collegati ad ogni livello di rating, a seconda del settore di appartenenza della società, sono i credit
spread, differenziali di rendimento da applicare al tasso privo di rischio per determinare il tasso da
applicare al prenditore di fondi.
Se la società non ha un rating esterno occorre invece implementare una procedura di stima del costo
del debito. Le banche, tipicamente, assegnano un giudizio sull’affidato attraverso un processo di
rating interno per il quale, data la complessità del tema, si rimanda alla letteratura specializzata.15
Metodologie di rating sintetico possono invece essere di aiuto per determinare il costo del debito di
un’impresa non quotata, senza disporre di un team di specialisti pronto ad analizzare l’impresa
(rating esterni) né di un modello per la concessione del credito (rating interni).
Il processo di rating sintetico analizza solo alcune variabili quantitative per assegnare un giudizio
sulla solvibilità dell’impresa. Un processo di questo tipo non è in grado di cogliere aspetti
qualitativi determinanti ad analizzare lo stato di salute dell’impresa. Queste metodologie
consentono la stima, benché con un certo grado di approssimazione del costo del debito, in funzione
di variabili considerate esplicative.
Il modello16 cui si fa riferimento utilizza una sola variabile quantitativa per assegnare un giudizio di
solvibilità dell’impresa: l’indicatore EBIT/OF17. Questo indice sintetizza la capacità dell’impresa di
far fronte, con le risorse generate dal reddito operativo, al pagamento degli oneri finanziari connessi
al debito finanziario, evidenziando il livello di solvibilità dell’impresa. La tabella 4 riporta, per
società industriali di grandi e modeste dimensioni, i rating associati a diversi livelli di EBIT/OF e i
relativi credit spread.
15
Cfr. De Laurentiis G., Rating Interni e Credit Risk Management, Bancaria
Cfr.:Damodaran A., Finanza Aziendale, 2001, Apogeo
17
Questo approccio sintetico è peraltro una delle accezioni con cui si può intendere l’equilibrio finanziario di
un’impresa: si veda in tal senso Tagliavini G. “L’analisi degli equilibri finanziari: alcuni criteri guida e relative
indicazioni di metodo” in Pavarani E. (a cura di): “Analisi Finanziaria”, McGraw-Hill, 2002.
16
14
Grandi Imprese Industriali
EBIT/OF
Rating
Da
a
negativo
0,199999
D
0,2
0,649999
C
0,65
0,799999
CC
0,8
1,249999
CCC
1,25
1,499999
B1,5
1,749999
B
1,75
1,999999
B+
2
2,2499999
BB
2,25
2,49999
BB+
2,5
2,999999
BBB
3
4,249999
A4,25
5,499999
A
5,5
6,499999
A+
6,5
8,499999
AA
8,50
oltre
AAA
Spread
20,00%
12,00%
10,00%
8,00%
6,00%
4,00%
3,25%
2,50%
2,00%
1,50%
1,00%
0,85%
0,70%
0,50%
0,35%
Piccole e medie imprese industriali
EBIT/OF
Rating
Da
a
negativo
0,499999
D
0,5
0,799999
C
0,8
1,249999
CC
1,25
1,499999
CCC
1,5
1,999999
B2
2,499999
B
2,5
2,999999
B+
3
3,499999
BB
3,5
3,9999999
BB+
4
4,499999
BBB
4,5
5,999999
A6
7,499999
A
7,5
9,499999
A+
9,5
12,499999
AA
12,5
oltre
AAA
Spread
20,00%
12,00%
10,00%
8,00%
6,00%
4,00%
3,25%
2,50%
2,00%
1,50%
1,00%
0,85%
0,70%
0,50%
0,35%
Tabella n. 4: Rating e credit spread associati a diversi livelli di EBIT/OF. Fonte: sito Aswath
Damodaran, aggiornati a febbraio 2004
Analizzando la tabella, si evidenzia che i rating e gli spread associati ad imprese di diversa
dimensione, a parità di EBIT/OF, sono diversi. Ciò deriva dal maggior rischio che assume chi
finanzia un’impresa di modeste dimensioni a causa di diversi fattori che determinano la maggior
proababilità di insolvenza di queste imprese. Possono esserne un esempio il minor poter contrattuale
nei confronti di fornitori, finanziatori e clienti, la più difficoltosa possibilità di miglioramento
tecnologico della produzione, l’impossibilità di accedere ai circuiti diretti di finanziamento etc.
Per imprese di modeste dimensioni, un processo alternativo per la stima del costo del debito
consiste nell’adozione del tasso praticato per operazioni recenti da parte di intermediari creditizi.
Questi ultimi, adottando modelli di rating interni, sono in grado di tener conto di caratteristiche
qualitative che un processo di rating sintetico non è in grado di cogliere.
Esempio
Ipotizzando che il tasso privo di rischio sia pari al 3,5%, che il reddito operativo di un’impresa
industriale di grosse dimensioni sia 200.000.000 di Euro e che gli oneri finanziari siano pari a
120.000.000 di Euro, per ottenere il costo del debito dell’impresa Gamma, occorre dapprima
stimarne l’EBIT/OF:
EBIT/OF = 20.000.000 / 12.000.000 = 1,67
Il rating associato al livello di EBIT/OF è B e il relativo credit spread è pari al 4%. Il costo del
debito è la somma dello spread e del tasso privo di rischio:
Kd = Tasso privo di rischio + Spread = 3,5% + 4% = 7,5%
15
5) MINIMIZZAZIONE DEL COSTO DEL CAPITALE E MASSIMIZZAZIONE DEL
VALORE DELL’AZIENDA
Obiettivo della nota didattica è stato finora evidenziare metodologie che consentano di stimare il
costo del capitale, in diverse situazioni di impresa, in particolare facendo riferimento al livello di
rischio che le caratterizza. In stretta connessione al tema del costo del capitale, è la determinazione
del valore dell’impresa.
Non è possibile, in questa sede, evidenziare le diverse metodologie che la letteratura ha proposto in
tema di valutazione di impresa. In questo paragrafo sono indicate solamente le linee guida
principali. Come evidenziato in precedenza, il valore di un progetto può essere determinato
l’attualizzazione dei flussi di cassa operativi futuri18 che saranno prodotti nel corso del tempo ad un
tasso che tenga conto del costo opportunità delle risorse impiegate per finanziarlo. Poiché l’impresa
può essere intesa come un portafoglio di progetti, il suo valore può essere calcolato attualizzando i
flussi di cassa prodotti da tutti i suoi progetti ad un tasso che rifletta il rischio assunto da chi
finanzia l’impresa. Il Wacc è un tasso espressivo delle modalità di finanziamento dell’impresa, e il
suo utilizzo può consentire l’attualizzazione dei flussi finanziari operativi che caratterizzano
l’impresa nel suo complesso. A parità di flussi finanziari, la diminuzione del Wacc aumenta il
valore, quindi la minimizzazione del Wacc dovrebbe consentire la massimizzazione del valore di
impresa.
La determinazione del Wacc dipende tuttavia dal tipo di struttura finanziaria che l’impresa ha
adottato. La letteratura sul tema è vasta e non si vuole entrare nel merito dei diversi modelli teorici19
che hanno indagato la relazione tra struttura finanziaria e valore20.
Una struttura finanziaria orientata al debito aumenta il rischio che il mercato associa all’impresa,
come correttamente evidenziato tra i fattori che determinano l’entità del Beta. Aumentare il livello
di debiti finanziari da un lato consente benefici fiscali, ma, dall’altro, aumenta il livello di rischio di
insolvenza; il calcolo del Wacc incorpora sia i benefici, sia gli svantaggi dovuti al livello di struttura
finanziaria adottata. Infatti, per quanto riguarda il costo del capitale proprio, con il processo di
relevering si riesce a stimare l’incremento di rischio connesso all’aumento dell’indebitamento
finanziario, incorporando tale aspetto in un maggior rendimento atteso.
L’incremento del rischio legato alla struttura finanziaria trova manifestazione nell’incremento del
costo del debito, stimato attraverso il modello di rating sintetico che penalizza bassi livelli
dell’indicatore EBIT/OF, dovuti ad un eccesso di indebitamento.
Occorre rilevare che l’indicatore EBIT/OF non dovrebbe essere quello storico, ma quello
prospettico in relazione ai futuri livelli di indebitamento ipotizzati.21
Poiché il Wacc è la media ponderata delle risorse finanziarie impiegate, il Wacc dovrebbe
presentare l’andamento evidenziato nella figura n. 2.
Se i debiti sono pari a zero, il costo medio ponderato del capitale coincide con il costo dell’equity
All’aumentare dei debiti, si registra una progressiva sostituzione di una risorsa costosa (l’equity)
con una meno costosa (il debito). Ciò consente di ridurre il costo del capitale in virtù del beneficio
fiscale del debito. Finché non si verificano incrementi rilevanti del costo del debito, il Wacc tende a
diminuire, determinando l’incremento del valore dell’impresa. L’aumento del valore si arresta
quando l’impresa entra in una zona di rischio dovuto all’elevato livello del debito in relazione alle
attività complessive dell’impresa.
18
Per la determinazione dei flussi di cassa operativi si veda Ielasi F.:”Analisi della dinamica finanziaria”, in Pavarani E.
(a cura di): “Analisi Finanziaria”, McGraw-Hill, 2002
19
Vedi nota n. 6
20
Brealey R.A.,Myers S.C., Sandri S., “Quanto dovrebbe indebitarsi un’impresa?” in Principi di Finanza Aziendale,
McGraw-Hill, 2003
21
Per le tecniche di elaborazione dei bilanci pro-forma si veda Regalli M., “La Previsione Finanziaria”, in Pavarani E.
(a cura di): Analisi Finanziaria, McGraw Hill, 2002
16
Valore di
impresa
Tassi di
rendimento
Valore d’impresa
Ke
Wacc
Kd
D/E
Figura n. 2: Costo del capitale delle risorse finanziarie per diversi livelli di indebitamento e
valore di impresa.
Le imprese, per definire il proprio livello di indebitamento ottimale, cioè il livello target di struttura
finanziaria, dovrebbero determinare qual è il livello di equity e debito che massimizza il valore
dell’impresa.
Quello evidenziato è un modello di interpretazione della realtà poiché calcolare effettivamente il
valore di impresa è un processo complesso basato su stime.
Tuttavia, il modello fornisce un’indicazione metodologica con cui affrontare i problemi in merito
alla struttura dell’indebitamento.
La scelta della struttura ottimale può essere realizzata stimando, per ogni livello di indebitamento,
l’entità di oneri finanziari che gravano sul reddito operativo. Con il modello di rating sintetico
proposto in precedenza è possibile calcolare il costo del debito sulla base degli oneri finanziari
generati da ogni livello di indebitamento
Aumentare in modo eccessivo il peso del debito nella struttura finanziaria dell’impresa porta a
situazioni di disequilibrio finanziario che si ripercuotono sulla possibilità di sopravvivenza
dell’impresa. Il direttore finanziario deve trovare una soluzione che consenta da un lato di ottenere
benefici fiscali, dall’altro, di non aumentare in modo eccessivo il rischio.
Benché il debito sia meno oneroso dell’equity, in realtà, accentuare l’esposizione debitoria ha
conseguenze che si riflettono sia sul costo del capitale proprio, sia su quello di debito, determinando
l’incremento del Wacc e la riduzione del valore dell’impresa.
Occorre tuttavia rilevare che il processo di minimizzazione del costo del capitale non è statico
poiché l’impresa, in relazione alle nuove opportunità che si presentano, dovrebbe sempre decidere,
con un approccio orientato alla massimizzazione del valore d’impresa, eventuali cambiamenti della
struttura finanziaria.
Una procedura più semplice per l’applicazione del Wacc, per imprese non quotate, prevede
l’utilizzo delle percentuali di indebitamento assunte in media dalle imprese operanti nel settore di
appartenenza.
17
Bibliografia
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18
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