marzo '10 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Marzo '10 Numero Marzo '10 EDITORIALE Calato il sipario da pochi giorni su un Festival di Sanremo squallido quanto poche volte prima (con princpi farlocchi e pupi in ogni lago), e sempre più ostaggio dei cosiddetti talent show, torniamo a occuparci di musica di un certo spessore e di una certa onestà, e lo facciamo ancora una volta con un sommario ricco di nomi e di stimoli. Più che soffermarci sulle interviste e sulle recensioni, però, ci preme attirare la vostra attenzione sulle sezioni “Sul palco” e “Dal basso”. Nella prima trovano posto due report abbastanza particolari: il doppio concerto capitolino degli Aidoru, nel quale la band romagnola ha mostrato sia il lato più “colto” della propria personalità che quello maggiormente legato alla forma-canzone, e la reunion delle Black Candy, formazione capace di infiammare gli animi di tanti ascoltatori nonostante abbia prodotto solo un demo. Nella seconda, invece, si parla di un’interessante iniziativa discografica legata a una scena, quella di Brescia, estremamente prolifica e ricca di realtà notevoli. Sperando di avervi incuriositi, non ci rimane che augurarvi come sempre buona lettura e, naturalmente, buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Betzy Stravagante intervista incrociata con Fabio Cussigh e Ru Catania, ovvero i responsabili dell’interessante progetto Betzy, all’esordio con “Romancing The Bone” (Lady Lovely/Audioglobe). Quanto peso hanno avuto le coordinate geografiche, cioè il fatto che “Romancing The Bone” sia stato ideato a New York e successivamente registrato in Italia? FC: In America vivevo come il personaggio di un film: scendevo al negozio all’angolo alle tre del mattino, con la vestaglia e le scarpe da ginnastica, compravo le sigarette e la birra, poi tornavo sul divano a finire di guardare qualche partita di baseball. Ovvio che, quando sono tornato in Italia e ho provato a fare la stessa cosa, non solo non ho trovato un negozio che vendesse birra e sigarette a quell’ora di notte, ma oltretutto il mio vicino di casa, quando mi ha visto uscire per strada in vestaglia, ha chiamato la Croce Verde convinto che fossi in stato confusionale. Fu in quel momento che chiamai Ruggero e gli dissi: “Ciao Ru, sono in commissariato a Udine, dicono che sono pazzo ma secondo me sono loro che non sono a squadra... Ti va di fare un disco?”. RC: Spesso accade che i gruppi scrivano in Italia e poi emigrino oltreoceano per produzione, registrazione, mix e mastering, mentre con Betzy è accaduto l’esatto opposto. Non per snobismo, è andata così per puro caso, non c’era nulla di meditato. Fabio non è andato a New York per scrivere un album, ci è andato e basta. Poi, che lui e i suoi coinquilini americani finissero a cantare sbronzi sotto a un tavolo, è stata un’evoluzione naturale. Per il suono è accaduto il contrario: quando ho fatto sentire il disco a Rudy, che suona con me nella WAH Companion ed è un produttore che stimo parecchio, mi ha detto “Bravo Ru, molto bello, anche se a dirla tutta, ho capito dove volevi arrivare, ma non è proprio quella roba lì, ti ci sei solo avvicinato”. Beh, sul momento gli avrei tirato un pugno sul naso, ma pensandoci a posteriori non è una caratteristica del tutto negativa. Non ho le orecchie di un produttore americano né i suoi mezzi. Forse è l’insieme delle due cose che mi ha stimolato e Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 soddisfatto. Come vi siete conosciuti, come si è innescata l’alchimia artistica e in che modo avete proceduto lavorando fianco a fianco? FC: Io e Ru ci siamo conosciuti molti anni fa, in un backstage del “Rototom Sunsplash”: ero sbronzo e ci provai spudoratamente con la sua ragazza dell’epoca, lui stranamente non si irritò e mi piacque subito, ancora più della sua ragazza. Comunque, devo avergli fatto lo stesso effetto perché poi ha lasciato lei ma non me. L’alchimia si basa fondamentalmente sulla reciproca stima: lui è uno dei miei chitarristi preferiti in Italia, io sono uno dei suoi fotografi preferiti. Fianco a fianco, nella vita e sul lavoro, siamo un po’ come Roger Moore e Tony Curtis in “Attenti a quei due”. Lui è l'inglese, ovviamente. RC: Ci siamo incontrati nel backstage del “Rototom Sunsplash”. Suonavo con gli Africa Unite, c’era questo tizio che faceva le foto, mi era simpatico perché aveva i baffi, che dieci anni fa non erano ancora tornati di moda... Prima che salissi sul palco, mi ha salutato dicendomi: “Non ho il pass, amico, mi sa che mi buttano fuori”. Così gli ho dato il mio, senza pensarci due volte. L’alchimia artistica è scattata quando mi ha prestato (a vita) la sua maglietta dei Black Crowes. Lavorare insieme è stato quasi perfetto: Fabio aveva le idee chiarissime sulle visioni, sui personaggi, paesaggi, profumi, influenze del disco, ma non ha messo becco sugli arrangiamenti, sulla produzione e sul mix. Questo mi ha permesso di lavorare serenamente e portare a temine delle versioni con molta libertà e senza stress, anche se ovviamente abbiamo tenuto solo quelle che soddisfacevano entrambi. Quando sai di avere la fiducia di chi ti sta accanto, lavorare è molto più facile e produttivo. Quando ti rompono i coglioni a ogni click di mouse, diventa un disastro e non puoi venire a capo di nulla. Il disco si rifà a coordinate blues abbastanza ancestrali, ma al contempo riesce a suonare assolutamente moderno grazie all’innesto di elementi sintetici: un connubio che vi eravate prefissi sin da principio o che si è prospettato strada facendo? FC: Si era partiti con l’idea di schiacciare REC e incidere un paio di chitarre sgangherate e qualche calcio a un tamburo, farmi bere tutto quello che c’era in casa e mettermi in una conca con il microfono peggiore. Poi, invece, Ru si è fatto prendere la mano e... non mi ha messo nella conca! RC: Era l’idea di base. Volevamo fare un album rock-blues, ma non volevamo diventare patetici facendo finta di essere i Lynyrd Skynyrd. Non siamo i Lynyrd Skynyrd, ci siamo detti. Ed è il 2010, ci siamo detti. Purtroppo, ci siamo detti. Ogni canzone si differenzia dall’altra, ma l’impressione complessiva è quella di un lavoro con una sua ben precisa, omogenea visione di fondo: come avete bilanciato urgenza espressiva e successiva limatura del materiale? RC: L’urgenza espressiva riguarda sicuramente la scrittura. La produzione è un processo artistico più concettuale, anche se è stata molto ludica! Oltretutto sono fiero di avere usato Ableton Live: è una DAW piuttosto anomala per registrare un album come “Romancing The Bone”, ma ci ha permesso di giocare moltissimo con degli elementi insoliti. FC: Ho bilanciato il tutto bevendo birrette allo “Cheznous”, il bar sotto casa di Ru, a Pomaretto. Devo dire che è stato Catania a prendere le decisioni: gli facevo ascoltare i miei provini e faceva su e giù, destra e sinistra con la testa. Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Nelle note per la stampa si legge che “Betzy racconta la storia del giovane peccatore Frank McKlusky e del suo antagonista, il Reverendo Crawford, che ogni giorno cerca di salvargli l’anima e di bere tutto il suo whiskey”. Ce ne parlate meglio? RC: Io me ne lavo le mani. Chiedi al genio... FC: Frank fa una vita semplice, gode di cose semplici, per anni si è occupato di contrabbando di whiskey e tuttora, quando la posta è alta e il gioco vale la candela, porta qualche bottiglietta aldilà del confine. Frank comunque ha un debole, e quel debole sono le donne, ed è qui che entra in gioco il Reverendo, l’uomo che cerca di insegnargli che l’amore equivale al rispetto e il rispetto è sito nella dedizione, che a sua volta provoca un forte senso di compiacimento e benessere. Se accompagnata da una buona bottiglia di whiskey, ovviamente. La scelta di approdare alla Lady Lovely è stata immediata? RC: Immediatissima, visto che la Lady Lovely siamo noi. Si può dire? Non si può dire? Massì, chi cazzo se ne frega. Siamo nati per non dovere sottostare a nessun tipo di dinamica. Infatti ci piace definirci “etichetta emancipata”, che è una furbata per dire che siamo un gradino oltre l’indipendente, siamo liberi per quanto riguarda la produzione dei dischi dei gruppi in cui suoniamo. Facciamo la musica che ci piace e la facciamo uscire per noi stessi, quando siamo pronti. Cosa c’è di più bello? Come dici? Diventare ricchi? Ci stiamo lavorando. Da una parte le possibilità comunicative offerte dalla Rete stanno facilitando la diffusione di nuove proposte, mentre dall’altra l’iperproduzione contemporanea rende difficile poter emergere sul serio. Che ne pensate e come vi rapportate a una simile situazione? FC: Non ci penso più di tanto. Di solito affronto le cose per come sono e non per come vorrei che fossero. Se la situazione non fosse questa, dubito ad ogni modo che un caprone come me sarebbe riuscito a fare un disco. RC: Direi che nella domanda hai già riassunto un concetto, che condivido. I mezzi sono OK, ma c’è un surplus di produzioni. Come ci rapportiamo? Diciamo che cerchiamo di essere come il prezzemolo in Rete, piano piano. Se vai a sentire dal vivo le band della Lady Lovely, possono piacere o meno, ma di certo non sono un bluff. Ci sono un sacco di ragazzini che partono con magliette, spillette, MySpace, Facebook, ufficio stampa... Noi siamo vecchi, nessuno nella crew è sotto i trent’anni e quindi curiamo certi aspetti comunicativi, ma alla fine quello che abbiamo dentro è la voglia di suonare e fare dischi. Se fosse altrimenti, avremmo già smesso cento volte. La nostra forza è suonare. Per tutta una serie di motivi, la vostra formula potrebbe funzionare anche all’estero: ci sono possibilità in tal senso? FC: Direi di sì, indubbiamente. Ma come dice una ragazza che mi piace molto: “Io non ho fretta”. RC: Ci stiamo muovendo, a piccoli passi per non romperci l’osso del collo, ma ci stiamo muovendo. Una curiosità: che significato ha la bizzarra fotografia di copertina, scattata dallo Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 stesso Fabio? FC: Ah, finalmente qualcuno che non mi chiede se mi sono portato a letto tutte le donne in copertina. In realtà, si tratta di una citazione di “Electric Ladyland” di Jimi Hendrix. Non sapevo se dare un volto a Betzy, così ho cercato di confondere le acque prendendo una piccola parte di lei da ognuna delle ragazze che ho chiamato. È stato un inferno, far tacere venti donne e due travestiti! Avete dei concerti in programma? FC: Vai tu, Ru? RC: Sì, in via di definizione... Le prime date confermate sono il 4 marzo al Neon di Rimini, l’11 marzo da Giancarlo ai Murazzi di Torino con a A Dog To A Rabbit e il 13 marzo all’Espresso Italia di Pinerolo (TO). Per il resto, le aggiorneremo su www.ladylovely.it. Per concludere, dobbiamo considerare Betzy come un progetto estemporaneo o come il primo passo di un percorso in evoluzione? RC: Diciamo che la formula dell’“etichetta emancipata” ci permetterà di fare come viene: potrebbe essere un episodio unico, così come potremmo tornare in studio tra due settimane. Comunque, è una bella esperienza che sta ottenendo riscontri positivi, per cui non vedo perché dovremmo seccarla sul nascere. FC: Cara Elena, a questo non so rispondere ora ma penso che se mi invitassi a bere un paio di birre nel pub vicino a casa tua non faticheresti a strapparmi qualsiasi tipo di confessione. Aloha, baby! Contatti: www.myspace.com/betzybetzy Elena Raugei Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Curtis Jones & The Gossip Terrorists Curtis Jones & The Gossip Terrorists, partenopei influenzati da David Bowie e dalla nuova ondata revival new wave sulla scia di Interpol e Editors, dopo i due EP autroprodotti “Wolftown” e “Vade Retro Baby” escono sulla lunga distanza con“The Assassination of Alabama Whitman” (Discipline/Venus). Curtis Jones è accompagnato da Vincent Piccirillo (chitarra), Danny Rivera (basso) e Jim Kowalski (batteria). Band angloamericane come Interpol ed Editors hanno riportato in auge certe sonorità del passato, innovandole ma rimanendo ben ancorate ai vecchi canoni. In America e Inghilterra è una conseguenza diretta della tradizione musicale di quei paesi. Ma come si suona, così, in Italia? Semplicemente facendo proprie le grandi lezioni della musica internazionale, che costituiscono un linguaggio universale, potenzialmente comprensibile da chiunque; naturalmente un percorso simile è più facile nei paesi in cui quel linguaggio è nato e si è sviluppato, ma non per questo deve essere precluso a chi, pur vivendo in territori dalla tradizione differente, ha sempre rivolto lo sguardo al di là della Manica e dell’Atlantico con interesse e passione. Non c'è forse il rischio di passare per i soliti emuli di gruppi stranieri sull'onda del momento? Casomai i riferimenti sono alle band internazionali del passato più che a quelle in voga oggi; comunque è un rischio che siamo disposti a correre. D’altra parte presupponiamo che buona parte del pubblico a cui ci rivolgiamo possieda un certo background che implica il superamento di certi pregiudizi; solo così si può apprezzare appieno il risultato del lavoro di persone che mettono in ciò che fanno tutto il proprio entusiasmo e il proprio amore per il rock’n’roll. Curtis come Ian, Jones come David Robert. Le influenze sono già nel nome, insieme Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 alla citazione tarantiniana del titolo dell'album. Quanto passato musicale, cinematografico e, in generale, artistico c'è nel vostro modo di comporre e di scrivere? Il nostro progetto nasce come omaggio alla grande storia del rock; in tal senso non si può prescindere dal passato - anzi: è proprio lì che troviamo le coordinate da seguire per riuscire a far arrivare al pubblico il nostro messaggio musicale e non solo. E tra l’altro sono personalmente convinto che nulla di quello che si fa oggi nella musica sia totalmente scevro dall’influenza del passato, per cui tanto meglio dichiararlo apertamente. Giacca e cravatta fanno parte del progetto? Fanno parte della nostra immagine, che non è semplicemente una posa assunta tanto per darsi un tono ma rientra in un’ottica più ampia che è quella della comunicatività a 360°. Dal modo di raccontare storie alla forma delle canzoni, dal sound dell’album all’immagine, fa tutto parte di quello che vogliamo sia considerato il nostro “stile”. Sul comunicato stampa si dice che le canzoni scritte erano una sessantina. Ne avete scelte undici. Con quale criterio si seleziona un sesto del repertorio per i quaranta minuti di un disco come il vostro? Ho selezionato i brani che secondo me all’interno di un album non solo si facevano più apprezzare singolarmente ma andavano anche a comporre il quadro generale che meglio rispecchiava la nostra intenzione di partenza, che era quella di legare con un sottile filo rosso una serie di storie di amore e malavita raccontate in modo quasi “cinematografico”. E qual è la sorte dei cinquanta pezzi scartati? Alcuni fanno parte del nostro spettacolo dal vivo, che prevede una scaletta lunga circa il doppio rispetto al disco; altri li abbiamo “nel cassetto” in attesa di farne uscire qualcuno, magari come b-side o in altra veste. Sicuramente però nessuno dei cinquanta farà parte del prossimo album, che verrà concepito ex novo. La lingua usata è l'inglese. Eppure ci sono voluti quasi due anni per cesellare e rimodellare i testi. Quanto di questo lavoro impegnativo e meticoloso pensate possa arrivare al pubblico italiano? Sicuramente c’è una parte di pubblico italiano che ha un approccio più approfondito nei confronti di quello che ascolta – che si tratti di leggere e tradurre un testo o di documentarsi sulla biografia di un musicista per capire meglio il suo percorso artistico – ed è quella la parte di pubblico che godrà di più del nostro lavoro. È un album fatto da chi ama la musica per chi ama la musica. Quante e quali cose sono cambiate dai tempi dell'autoproduzione dei primi due EP a quelli sotto etichetta dell'ultimo album? È cambiata la formazione, è aumentata la fiducia nel progetto, è migliorato il modo di lavorare – avendo alle spalle un’etichetta e un team di lavoro eccezionali – e abbiamo un pubblico sempre più numeroso. L’unica cosa che non è cambiata di una virgola è l’entusiasmo e il piacere di fare musica. Le etichette indipendenti sono ancora così importanti in un periodo storico in cui i Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 volumi di vendita sono sempre e comunque irrisori e, in generale, la musica non passa necessariamente per il disco come oggetto fisico? Sono, se possibile, ancora più importanti perché in un mercato in ginocchio, o quantomeno in mutazione, al di là del discorso della scomparsa del supporto fisico in favore del digitale, le major tendono a puntare soltanto su investimenti “sicuri”, per cui senza il gradino intermedio delle indipendenti si verrebbe a creare una frattura insanabile tra musica di serie A e musica di serie B, cioè tra major da una parte e autoproduzione e autodistribuzione dall’altra. Sarebbe una prospettiva pericolosissima perché impedirebbe uno sviluppo “verticale”, dal basso verso l’alto, della carriera di un musicista. Qual è il futuro di Curtis Jones & The Gossip Terrorists dopo “The Assassination of Alabama Whitman”? Nell’immediato, gireremo un video per il secondo singolo estratto dall’album, che è “Space Invaders”; contemporaneamente continueremo a viaggiare per l’Italia portando in giro il nostro show, magari con qualche puntata all’estero. Più a lungo termine, una volta portati a termine questi impegni inizierò a lavorare sul nuovo materiale per il prossimo disco, per il quale c’è già più di un’idea. Contatti: www.myspace.com/curtisjonesandthegossipterrorists Marco Manicardi Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 DJ Myke Ne avevamo parlato già su carta, nelle pagine di “Soundlab”, ma è bene tornarci sopra su “Hocus Pocus” (Men In Skretch/Venus): un progetto che merita davvero l’attenzione di tutti. Perché riesce ad essere trasversale mantenendosi autentico, riesce ad essere complesso senza diventare involuto. Perché si prende dei rischi e delle sfide, e questa è una cosa che dalle nostre parti non si vede tanto spesso. Nasce tutto dall’hip hop e dal rap – l’artefice principale della faccenda, DJ Myke, è chiaro in tal senso, così come chiara è la sua biografia artistica (da un decennio e passa uno dei migliori turntablist italiani, virtuoso di scratch e quant’altro). Ma chiare e interessanti sono anche le sue parole, con uno sguardo a trecentosessanta gradi sulla musica che gira intorno... So che gli artisti lo trovano spesso seccante, ma noi giornalisti dobbiamo sempre trovare dei punti di riferimento, quando parliamo di un disco o di un artista... Ma guarda che è normale, figurati. ...e nel caso di “Hocus Pocus” mi è venuto da citare U.N.K.L.E., soprattutto il primo disco. Beh, grazie! Ti dirò, è un onore. In generale ti posso raccontare che ascolto talmente tanta roba che faccio fatica a focalizzarmi solo su un genere e sì, in tal senso il confronto con U.N.K.L.E. ci sta. Sia chiaro, non è che mi voglia mettere allo stesso livello di James Lavelle. La cosa è semplice: io arrivo da un approccio molto hip hop, dove prima di tutto c’è poca teoria e molta pratica. Mi viene da fare una cosa? La faccio. Questo è. Ma sapevi fin da quando hai iniziato a lavorarci che “Hocus Pocus” sarebbe stato un progetto compiuto, ovvero che sarebbe diventato un disco? Sì. Sono una persona testarda. Se decido di fare una cosa, la porto sino in fondo. Perfettamente consapevole che posso metterci un sacco di tempo, che ci vorrà un po’, ma questo non mi scoraggia mai. Chiaro che il risultato finale è diverso da quello che potevo Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 immaginarmi all’inizio, ma anche questo è sempre da mettere in conto. Che ne so, ospiti che sul disco ci sono e a cui invece all’inizio non avevo proprio pensato... Lucariello in tal senso è un buon esempio, inizialmente non era nella mia lista, poi però il mio socio Aladyn se n’è venuto fuori dicendo “Qua manca un po’ di Napoli, secondo me Lucariello sarebbe perfetto”, e l’abbiamo chiamato, restando poi molto contenti del suo contributo. Hai mai avuto la preoccupazione che si stesse accumulando troppa roba? Troppi stimoli, troppi ospiti, troppe idee...? Assolutamente no. La musica per me è un’esperienza totalizzante, col risultato che mi sembra che non basti mai, e che le idee in essa non bastino mai. Quindi semmai ho sempre avuto la preoccupazione contrari: che non ci fosse abbastanza roba. Poi comunque “Hocus Pocus” non è il mio disco: io ho diretto la cosa, l’ho gestita, ho dato il tocco finale, ma il contributo prima di tutto di DJ Aladyn e di Svedonio (quest’ultimo fondamentale per quanto riguarda il livello compositivo) e poi di tutti gli ospiti è stato a dir poco decisivo. Col risultato che abbiamo fra le mani, credo, un disco complesso, sfaccettato. Un disco che non vuole finire nelle mani di chi ascolta solo un determinato genere, o almeno non solo in quelle. Il mio ascoltatore medio lo immagino come un ascoltatore. Nel senso più puro del termine, non so se mi spiego. Il tuo background di provenienza è comunque hip hop... basti dire che con Aladyn come Men In Skratch siete una crew di prestigio assoluto per quanto riguarda il turntablism, vi siete fatti e vinti le vostre gare, il DMC, eccetera... Certo, e non dimenticherò mai che questa è la mia provenienza. Proprio per questo approfondisco il concetto: esattamente l’hip hop dovrebbe essere il genere musicale che ti dà più libertà, che ti permette di pescare ovunque. Per questo negli anni passati sono stato criticato dai molti – all’epoca erano molti – puristi dell’hip hop. Che ne so, quando assieme a Fibra, Nesli e Lato come Men In Skratch abbiamo dato vita al progetto Piante Grasse: spiazzammo molti. Fummo anche criticati. A pensarci oggi, pare assurdo, gli stessi che ci criticavano sono spesso e volentieri i primi a cercare le contaminazioni. Per quanto riguarda invece il pop? Perché in “Hocus Pocus” non c’è solo una bella fetta della scena rap italiana, ci sono anche featuring come Max Zanotti e Diego Mancino. Beh, il pop... Trovo che i generi musicali siano usati spesso e volentieri impropriamente; o almeno, capita che sfuggano alle loro coordinate iniziali. Quanti brani, nati assolutamente in contesti e con intenti non pop, sono diventati pop? Vale anche il contrario. Sia come sia, affrontare la componente melodica trovo che sia in ogni caso una bella sfida. Prendiamo la musica italiana: la nostra tradizione, quella assolutamente melodica, trattata in un certo modo potrebbe diventare molto interessante anche per chi non è un consumatore dozzinale di musica – il problema è che quasi sempre è prodotta di merda. Gli americani, gli inglesi, ma anche gli indiani sono riusciti a rendere interessante e contemporanea la loro tradizione melodica, noi invece non ci siamo riusciti, o ci siamo riusciti con progetti artistici come quello della Pausini che sono diventati il nostro biglietto da visita all’estero. È un peccato. Ci sarebbero ancora molti margini. Per quanto riguarda gli ospiti che dicevi, sia Diego che Max li ho conosciuti quando io e Aladyn abbiamo fatto qualche set coi Rezophonic; su Mancino comunque avevo già ottime referenze che mi erano state date da Fabri Fibra. Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 C’è qualche personaggio del pop italiano con cui ti piacerebbe collaborare? Mmmmh... una cosa che ho sempre pensato è che sarebbe bello far fare ad Elisa delle cose estreme, penso che il risultato sarebbe molto interessante. Domanda finale, e te la faccio in questo considerandoti come DJ: è finito il live di “Hocus Pocus”, ora ti tocca prendere il possesso della console per un DJ set – qual è il pezzo con cui inizi, qual è quello da mettere nel momento di massima adrenalina, e qual è quello con cui chiudere la serata. Apro con “Breathe” dei Prodigy. Tocco il culmine col remix di Sebastian di un pezzo dei Rage Against The Machine. Chiudo – e l’ho fatto più volte davvero – con una poesia di Remo Remotti... Contatti: www.myspace.com/reversemyke Damir Ivic Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Hana B Sbarcati a Londra ormai tre anni fa, gli eporediesi Hana B pubblicano ora il loro primo album in inglese, “Ruin's Hotel” (Summer Dawn/Family Affair), disco cui contribuiscono la produzione di James Loughrey e gli arrangiamenti di Davide Rossi, un lavoro sospeso tra energia rock e melodie di ampio respiro. Abbiamo intervistato Fabrizio Vitale, voce della band, cercando di fare un bilancio dell'ultimo trienni, facendoci raccontare la genesi del nuovo lavoro. Si parla spesso di fare armi e bagagli e cercare fortuna all'estero, ma voi ad un certo punto lo avete fatto davvero... Eravamo saturi del mondo musicale italiano, sinceramente non ce la facevamo più, e così abbiamo deciso di trasferirci in Inghilterra, ormai tre anni fa più o meno. È stata una mossa che ha sconvolto completamente le nostre vite ma direi che ha portato i suoi frutti, nel senso che, dopo un primo attimo di smarrimento, ha portato a questo disco, di cui siamo molto contenti. Dal punto di vista della registrazione abbiamo lavorato in uno dei migliori studi di Londra e forse del mondo, con produttori inglesi che la sanno lunga, e anche a livello di qualità artistica siamo molto contenti del risultato. La scelta, sul lungo periodo, ha funzionato. Non è stato facile, in primo luogo deciderlo, ma ad un certo punto abbiamo deciso di rischiare il tutto per tutto. Abbiamo anche provato a fare altre cose, ma abbiamo visto che non ci riuscivano, e quindi abbiamo capito che forse la musica era l'unica risposta al nostro malessere. Non è facile tuttora, nel senso che alcuni aspetti della vita quotidiana non sono semplici, ma andandocene dall'Italia abbiamo detto addio a tanti suppellettili, a false modestie e ipocrisie. Senza falsa modestia crediamo di avere per le mani un prodotto che può competere a livello internazionale, quindi ci rincuoriamo per il nostro atto di coraggio. Un paio d'incontri, soprattutto, sono stati fondamentali: James Loughrey che ha prodotto il disco e Davide Rossi che ha contribuito agli arrangiamenti. Assolutamente sì. Con James tutto è iniziato parecchio tempo fa, ha sentito la nostra Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 musica in tempi non sospetti diciamo, sì è appassionato a quello che facevamo ed è nata un'amicizia. All'epoca addirittura io cantavo ancora in italiano, quindi ha colto nella musica qualcosa che probabilmente lo ha molto colpito, e la collaborazione dura tuttora. Con Davide il nostro incontro è stato davvero sopra le righe. Non avevamo idea di chi fosse, poi abbiamo letto di un italiano, un italiano di Torino peraltro, vicino a casa quindi, che collaborava con nomi importantissimi come Coldplay, Royksopp, Siouxsie, allora lo abbiamo contattato via MySpace. Lui ci ha confessato che appena ha letto il nostro messaggio si è chiesto chi diavolo fossimo. Poi gli abbiamo linkato un paio di pezzi che gli sono piaciuti molto, così ci ha contattato, dicendoci che era impegnatissimo ma che avrebbe voluto lavorare con noi. Abbiamo iniziato a lavorare alla preproduzione sia con James che con Davide, e anche con lui si è stretta un'amicizia importante. Dagli incontri con Davide vengono sempre fuori cose particolari, ad esempio quando eravamo in studio abbiamo conosciuto tutti quanti Nick McCabe, il chitarrista dei Verve, lui e Davide hanno fatto amicizia e poi hanno fondato un gruppo insieme. È anche questo il bello di Londra. Gli arrangiamenti d'archi sono integrati nel tessuto dei brani, non si tratta di un arricchimento successivo. Sì, questo nasce dal fatto che Davide è veramente un artista, non si limita ad arrangiare, si comporta da musicista. È stato un incontro a tratti simbiotico, e lui si è comportato molto poco da arrangiatore di archi e molto più musicista, ha una capacità di calarsi nella musica come pochi altri. Il dualismo tra rock e ballata, tra violenza e tranquillità, presente fin dagli inizi, continua a far parte della vostra musica. Il mischiare la violenza sonora con l'armonia e la dolcezza fa sicuramente parte del nostro DNA e sarà così fino a quando suoneremo. Sono sicuramente cambiate molte cose, nel senso che l'approccio, se vogliamo, ora è più anglosassone, è un po' più rock e molto meno pop... è difficile parlarne perché per noi è davvero un mondo diverso, “Camera oscura”, che è uscito nel 2006, era più una prova di registrazione che un album vero e proprio, per quel che mi riguarda, con “Ruin's Hotel” è uscito fuori qualcosa di compiuto. A distanza anche di un anno e mezzo dal momento in cui lo abbiamo registrato, e a due anni da quando lo abbiamo iniziato, lo riascolto ogni tanto e continua ad emozionarmi, e così penso che abbiamo fatto bene ad aspettare così tanto. Rispetto al primo è cambiato il nostro immaginario, e si sente. Com'è stata accolta finora la vostra musica in Inghilterra? Abbiamo suonato in lungo e in largo qui, a Londra, Manchester, Leeds, Liverpool... tutto molto positivo, il pubblico inglese ha forse la nomea di essere un po' snob e razzista ma non è assolutamente così, anzi, nei posti più importanti vale davvero la qualità del live, della performance, soprattutto se vai verso Nord la qualità di chi suona diventa alta. Suonando a nord siamo diventati amici del gruppo che suonava prima di noi, e loro continuano ad incoraggiarci, si è creato un bel rapporto. Io mi sono sentito spesso snobbato di più a Milano o Torino rispetto all'Inghilterra. Contatti: www.myspace.com/hanabofficial Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Alessandro Besselva Averame Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Mamuthones “Sator” è il nuovo disco dell'ex Jennifer Gentle Alessio Gastaldello. Qualche parola con il diretto interessato per capire cosa avvicina i Mamuthones a concetti come religione, psichedelia, attitudine e krautrock. Se “The First Born” (A Silent Place, 2008) trafficava con un ambient etereo, immaginifico ma piuttosto malleabile, “Sator” (Boring Machines, 2010) sembra virare in maniera netta verso una progettualità più consapevole in cui ogni frammento sonoro contribuisce a definire i confini semantici del disco. Pur nell'ottica di uno stile che rimane ancorato al landscape tout court. Cosa è cambiato in Mamuthones tra il primo e il secondo disco? La differenza fondamentale è che “The First Born” è un disco mio e di Fabio Orsi, mentre questo è il mio primo album completamente da solo. “The First Born” è nato da una serie di scambi di materiale e condivisioni, senza mai un incontro fisico. Un metodo di lavoro molto stimolante perché non si sa mai con precisione quale direzione prenderà un pezzo. E' un gioco di azione e reazione, quasi una jam in differita. Lavorare da soli, invece, ti dà la possibilità di controllare tutti gli aspetti, di poterci tornare sopra, di rivedere le cose. Per “Sator” ho lavorato molto d'istinto ma con un'idea precisa sul suono e sulle atmosfere. Per la coesione molto ha influito il lavoro di editing finale, che effettivamente è stato abbastanza ragionato. “Sator” ha tutto l'aspetto di un concept album. Qual è l'idea alla base del disco? Come ti dicevo, pur lavorando molto d'istinto, l'idea del suono e delle atmosfere che volevo era molto chiara. Ciò che ho voluto “mettere” in questo disco ha a che fare con la mia necessità - che credo sia anche universale - di una dimensione sacra, se non religiosa. Penso sia del tutto evidente come l'aver voluto espellere Dio dal confronto pubblico sulle idee abbia portato a un impoverimento culturale e a una condizione umana distorta, se non disperata. Con “Sator” ho voluto in qualche modo celebrare un mio rito personale che Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 contribuisse a mettermi in contatto con gli aspetti più veri e autentici dell'essere uomo. “Vaste programme”, potrebbe dire qualcuno, ma è un primo passo. Una delle influenze più evidenti della tua ultima fatica pare il krautrock tedesco. Come ti poni nei confronti di una scuola di pensiero - com'è quella dei corrieri cosmici teutonici - che ha saputo unire psichedelia, elettronica e sperimentazione in una concezione di musica non imbrigliata dai limiti formali? Mi pongo molto bene, ovviamente. La scoperta del krautrock è avvenuta in relativa tarda età, per me, e ha completato la mia ricerca da ascoltatore (almeno in ambito rock). Penso di non essermi mai entusiasmato tanto per dei musicisti, quanto mi sono entusiasmato per i Can. Devo dire, comunque, che abitualmente non mi formalizzo su stili ed etichette e non tutta la musica che mi piace è fatta di sperimentazione e superamento dei limiti formali. Ciò che conta è il risultato finale. Per cui meglio un bel pezzo pop di tre minuti che una jam pallosa... Hai un passato nei Jennifer Gentle, una delle formazioni indie italiane che più ha saputo raccogliere buoni risultati in patria e all'estero. Quanto ha influito sulla tua formazione l'esperienza con il gruppo e cosa credi che i Mamuthones abbiano conservato – se hanno conservato qualcosa - dei Jennifer Gentle? La mia maturazione come “musicista” è tutta nei Jennifer Gentle. Prima di quella non ho avuto altre esperienze particolarmente significative. Per cui tutto ciò che ho fatto con i Jennifer Gentle è stato di fondamentale importanza per arrivare a Mamuthones, in particolare il “giocare” con il processo di registrazione dei brani. Stilisticamente direi che i brani più dilatati dei Jennifer Gentle sono abbastanza in stile Mamuthones. E infatti dal vivo è capitato di eseguirne un paio. Cos'è la psichedelia per Alessio Gastaldello? D'istinto mi verrebbe da dirti “un'etichetta di cui un po' si abusa”. Pur amando molta musica definita psichedelica, devo dire che mi sento un po' lontano dalla retorica che ci si fa attorno. Father Murphy, Slumberwood, Jennifer Gentle: tre realtà capaci di reinterpretare in maniera personale il concetto di psichedelia. I primi virando verso un impianto strumentale vicino a certo rock/folk apocalittico, i secondi lavorando sulle potenzialità “espansive” del suono, gli ultimi combinando Syd Barrett con il garage americano anni Sessanta. Dovessi sintetizzare invece la ricetta e gli obiettivi di Mamuthones? Ti butto lì alcuni aggettivi e qualche nome: rituale, primitivo, esoterico, cristiano, ossessivo, ipnotico, Popol Vuh, Tangerine Dream, Can, Nico, Giovanni Lindo Ferretti, Cormac McCharty... La scena veneta è quella che forse ha saputo rielaborare meglio la tradizione del rock psichedelico. Abitudine al pensiero laterale o semplice casualità? Polenta? Vino? A parte gli scherzi, dieci o quindici anni fa suonavano tutti noise da queste parti. Mi piace pensare che poi sono arrivati i Jennifer Gentle e sono cambiate un po' di cose. Non so se sia realmente così, sta di fatto che attorno ad alcune persone legate in qualche modo ai Jennifer Gentle si sono coagulate diverse realtà riconducibili al rock Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 psichedelico. Realtà che stanno ottenendo un discreto consenso sia in Italia che all'estero. Contatti: www.myspace.com/themamuthones Fabrizio Zampighi Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Nexus Anche se hanno alcune esperienze discografiche alle spalle, in un decennio abbondante di vita, i veronesi Nexus, considerano in qualche modo “Firesound” (Vrec/Venus) il loro album della nascita o della rinascita se vogliamo dirla alla loro maniera. Al trio originale, Cristiano Mackie (batteria, voce), Andrea Vero (basso, voce) e Diego Dal Kodo (chitarra, voce), si è unito l’anello mancante, il chitarrista, batterista, cantante Christopher Tooker, un ragazzo italoamericano che ha aggiunto quel tocco di energia positiva che forse mancava ad una band di lungo corso, che sembrava destinata a non trovare più nuovi obiettivi. E con il suo arrivo, nel giro di pochi mesi tutto si è trasformato in un nuovo traguardo da raggiungere, il repertorio viene riarrangiato, i concerti assumono un tasso adrenalinico maggiore (i musicisti sul palco amano scambiarsi i ruoli continuamente) e i nuovi pezzi odorano davvero di quel rock ad alto voltaggio che ingloba una moltitudine di influenze (diciamo The Clash, AC/DC, The Cult, ma anche Green On Red e Soundgarden e il resto cercatelo da soli), tanto che diventa difficile dare un’identità precisa ai Nexus. E questo, come racconto loro stessi, può essere un limite ed allo stesso tempo un pregio. Nonostante numerosi anni di attività, siete arrivati a concretizzare qualcosa al di fuori dei confini locali, solo con l’uscita di “Firesound”. È stata una decisione voluta o forzata quella di vivere ai margini in attesa di un’occasione in qualche modo importante e credibile? È ancora presto per dire di aver concretizzato qualcosa con la musica. Ognuno di noi deve ancora svegliarsi la mattina e andare al lavoro, quello che ti fa mettere la benzina nell’auto e pagare le bollette. Durante questi anni abbiamo messo in atto parecchi cambiamenti: nella formazione con l’aggiunta di Christopher e il cambio di bassista. Per quest’ultimo abbiamo speso un sacco di tempo prima di arrivare ad Andrea. Per il resto abbiamo sempre fatto quello che ci piaceva e ci piace, lo stile si è evoluto ed è in continua evoluzione. Abbiamo lavorato un sacco di tempo sui pezzi in sala prove. Adesso è il momento di farli ascoltare. Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 L’arrivo di Christopher Tooker in formazione, cantante e polistrumentista, ha di fatto solo ampliato una vostra tendenza originale di non essere cioè una band con dei ruoli ben definiti, infatti vi scambiate compiti e strumenti sia in studio che dal vivo, situazione questa che pur se vista spesso in un’ottica di divertimento, in realtà dimostra una grande competenza artistica. Christopher è un musicista eccezionale, sa suonare tutto e impara molto in fretta. La prima volta che l’abbiamo visto in azione suonava la batteria e cantava cover di Jimi Hendrix in un localaccio in zona università. Ci ha colpito per l’energia che sprigionava. Quando è venuto nella nostra sala prove abbiamo improvvisato un sacco, poi si è seduto alla batteria e Cristiano ha allora preso il microfono ed ha cominciato a cantare, insomma era un vero e proprio gruppo nel gruppo. L’artwork di “Firesound” è curato ed originale, con il CD che si apre a croce. Vuole essere anche un omaggio all’epoca dei vinili e quanto è importante per voi anche l’aspetto estetico in generale in una rock band? Certamente sì, l’impatto visivo è importante, altrimenti sarebbe come bere un buon vino nei bicchieri di plastica di un fast food. La copertina è un disegno preso da un cerchio nel grano apparso qualche anno fa nei pressi di Silbury Hill, una collina artificiale del megalitico in Inghilterra. Il significato è ignoto, alcuni dicono possa essere il conto alla rovescia della fine di questa era. Quello che traspare nel packaging e nelle immagini è la ripetizione del numero 4. Nella numerologia cinese (così come in altre lingue orientali) la parola "quattro" è una omonima della parola "morte" e quindi il numero viene considerato sfortunato. Nella sua valenza positiva il Quattro rappresenta l’essere pratico (o "terra-terra"), mentre il fatto che sia il primo numero non primo lo lega a una personalità composita che trae idee da fonti diverse e spesso in conflitto per elaborare un fiero modo di pensare "fuori dal coro". Stilisticamente “Firesound” sembra essere una spugna di fiumi di rock americano degli anni 80/90, tanto da fregiarsi della stelletta di “non classificabile”, questo a mio avviso è un merito, ma non temete che in tempi di etichette a tutti costi, questo possa diventare il vero limite dei Nexus? Secondo me l’etichetta limita e può deludere. L’etichetta serve per catalogare e ai negozi per metterti su uno scaffale. Io metto l’etichetta mentale a un gruppo se mi piace. Musica questa è una buona etichetta. Poi comunque è tutto intriso di rock quindi "musica rock". Siete il tipo di musicisti/band che non accetta nessun tipo di intromissioni nelle decisioni artistiche o pensate che dei buoni consigli possano essere utili? In tutti questi di esperienza, quanto e come è cambiata, se è cambiata, la scena rock, magari con una considerazione anche per l’Italia? Ben vengano i consigli, poi però bisogna essere tutti convinti e d’accordo. Nella nostra passata esperienza (con la Sony) abbiamo provato a fare "il patto col diavolo" ma il risultato alla fine era veramente deludente. Se non si è convinti di una cosa, si fa male. Tutto ciò è però servito per mettere in atto dei cambiamenti nella band. Io ero emotivamente demolito e ho smesso di cantare, abbiamo quindi deciso di prendere un quarto elemento, una nuova voce oltre alla rivelazione della voce di Mecchi. Riguardo la scena rock è talmente vasta e comunque solitamente si ascolta una band per consiglio di un amico. Con MySpace, Facebook, YouTube e iTunes ci metti un attimo. Senti i pezzi, guardi i video, le foto, sai Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 quando suonano. Pensa a 10-15 anni fa,un sacco di proposte e pochi canali di diffusione. Allora le riviste e i critici ricoprivano effettivamente nei pro e i contro la carica di (re)censori. Ora invece, tutta, ma proprio tutta la musica viene tutta convogliata in Rete come in una gigantesca cloaca dove purtroppo, finiscono anche le proposte buone che non sarà facile trovare. Vince chi ha visibilità. Oggi la visibilità si acquista solo suonando dal vivo, eppure il problema più grosso sembra quello di trovare locali disposti a far suonare cose diverse dalle cover band? Come e soprattutto perché, secondo voi, è nata questa piaga dei gruppi tributo? La visibilità si guadagna anche con Internet. Bisogna pompare la propria immagine, creare un evento e inoltre avere dei buoni pezzi. Quello è il tuo biglietto da visita. I soldi che un musicista può prendere dipendono dalla musica live, dal merchandising e dalle royalties se ti mettono su una pubblicità o un videogioco o una sigla. Non tanto dai dischi. I gestori ricevono un sacco di proposte, alcuni lavorano solo con agenzie, il loro lavoro è riempire il locale. Con la tribute band,vai a colpo sicuro. La gente conosce già i pezzi e si lascia andare, come quando fai sempre la solita strada, ti distrai e rischi di fare un incidente, il rischio è creare un audience distratta e poco critica. Cosa vi aspettate dal futuro immediato e sulla lunga distanza? Avete insomma un obiettivo concreto ed un sogno nel cassetto? E parlando per assurdo, quale potrebbe essere un motivo per decidere di farvi smettere di suonare come band e come singoli musicisti? Un tour, poi il nuovo album,poi un altro tour e un nuovo album, e così via nei secoli dei secoli. Sarebbe bello vivere di questo. Per adesso la band ha resistito,abbiamo anche suonato gli stessi pezzi in formazioni stravolte o ridotte e il bello è che comunque le canzoni stanno in piedi e anzi, hanno un fascino diverso, come un quadro di Andy Warhol:stessa immagine ma diversi i colori. Riguardo al discorso di lasciare la musica, non se ne parla proprio, probabilmente quando saremo completamente sordi continueremo ad alzare il volume! Contatti: www.nexusfiresound.com Gianni Della Cioppa Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Sorella Maldestra Sorella Maldestra faceva punk quando era il momento di fare punk: a cavallo degli anni 70 e 80, con il '77 nel mezzo. Insieme a Skiantos e Gaznevada, il gruppo vercellese è tra le dieci punk band storicamente più importanti dello stivale. Ora, dopo quasi trent'anni, Sorella Maldestra si riunisce per tornare a dire le cose solo come le sa dire: a malo modo. “Maltempo” (Banksville) è il primo di tre album in quattro anni. Anche se non il vostro non era un vero e proprio scioglimento, come mai tornare dopo trent'anni? I legami tra le persone non si sciolgono. Un'idea, una visione, un approccio comune alle cose esistono indipendentemente dalla frequentazione, dal provare tre sere a settimana, dallo stare tutti nello stesso posto. Se capita, meglio, ma non è questo che fa un gruppo. Siamo un corpo sottile, in senso esoterico, non seguiamo un senso del tempo, della materia, dell'essere in un luogo come la maggior parte delle persone. Siamo capitati nel pensiero di Stefano Cavedoni degli Skiantos (ancora loro, ma per fortuna almeno tu non ci rompi i coglioni con la storia degli Skiantos... siamo amici, punto e basta, loro facevano il demenziale per cultura, noi venivamo dalla demenza di Vercelli, è molto diverso) per un pomeriggio alzheimeriano nel 2007. Guarda caso trent'anni giusti dal '77. Eravamo, e lo siamo tutt'ora, sparsi per l'Italia e per l'Europa. Andrea, l'altra chitarra, aveva dato forfait, ci siamo visti alle Officine Sonore di Vercelli, ne abbiamo parlato anzi no perché se non ce ne fregava prima figurati trent'anni dopo, Baltaro e Ranghino stavano lì e il giorno dopo, in studio da Baltaro, abbiamo attaccato e dato di volume. Come se avessimo provato due giorni prima. Se dopo trent'anni ti siedi a bere e ti metti a parlare con una continuità logico-temporale, un’immediatezza e un “sentire” le cose come se stessi riprendendo il discorso sospeso la sera prima, significa, molto probabilmente, che eravamo sinceri quando mollammo perché non ci divertivamo più e lo siamo stati anche nel “ritorno”. I gruppi vanno e vengono, probabilmente con cadenza trentennale, un modo di essere non rientra in questa regola, un modo di essere è e basta; puoi filtrarlo con l'esperienza degli anni, se così non Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 fosse soffriresti di arresto dello sviluppo, ma non segue una logica temporale. Quando è vaffanculo, è vaffanculo sempre. Sorella non è mai stata una bandarock (una parola sola), è un’attitude. Siete sicuri che quello che andava bene nei primi Ottanta sia ok anche oggi? Su un numero del “Mucchio” di qualche mese fa, Federico Guglielmi ragionava con Manuel Agnelli sul perché in Italia i gruppi in grado di dare continuità alla loro presenza non fossero bande di ragazzini venticinquenni, in teoria nel momento di massima “urgenza espressiva”, ma gente della generazione “anta”, ovvio con dovute eccezioni. Quando qualcuno di noi ha iniziato a votare, più o meno trent'anni fa, se la memoria non inganna, c'era De Mita. Alle ultime amministrative Furio Suonosporco se l’è ritrovato tra i coglioni come capolista in Campania. Non andava bene negli anni 80, siamo sicuri che vada bene adesso? Una cosa che ha senso qui e adesso, se la rifaccio domani, quindi temporalmente contigua, ma vengono meno le motivazioni che l'hanno generata, è solo una banale rappresentazione di sé stessi e basta, come l'aperitivo con l'olivina alle sei. Non siamo realmente sicuri di nulla, figurati se possiamo ricordarci che cazzo andava bene ieri rispetto ad oggi. Sappiamo solo che non è la stessa identica cosa, oggi è molto peggio.

 Non pensate che il suono originario avesse come valore aggiunto l'urgenza, mentre quello di oggi sia, in un certo senso, manieristico? Il valore aggiunto dovrebbe essere l'onestà intellettuale, parola grossa, in realtà non c’è nessuna imposta da pagare se non quella di essere sempre al posto giusto nel momento sbagliato. La maniera, poi, manca anche oggi. Il modo no. Nella nuova formazione ci sono Vittorio Ranghino al basso e Paolo Baltaro alla batteria e alla produzione. Che apporto danno queste nuove influenze al vostro vecchio suono? Si ricordavano i vecchi pezzi che gli altri non ricordavano più, ascoltavano la “vecchia” Sorella da piccoli, di nascosto dai loro genitori. Non è una palla, è la verità. Danno continuità al tenore alcolico, sono una ritmica compatta e con un interplay non indifferente e soprattutto non esiste un gap generazionale. Ranghino è molto istintivo, lui e il basso sono un corpo unico, aggressivo e sporco. Magari a discapito dell'arrangiamento e della finezza espressiva ma non ci interessa essere i Dream Theater o gli Stranglers. Quando è il caso, se la vede Baltaro a suggerire di provare un giro o una divisione diversi, se se li ricorda. La ritmica deve essere un peso sullo stomaco, te la devi sentire lì, una tensione oppressiva come nei RATM, per fare un nome a caso. 

 Il punk '77 italiano è sempre stato un microverso a parte rispetto a quello anglosassone. Forse con meno voglia d'apparire, ma con più coscienza nel disgustare. Spesso i vostri testi sono volutamente sgradevoli, dite che vi si ama o vi si odia. Onestamente non ci sembra che ci sia molta differenza tra dire “vaffanculo” e vedere lo scendiletto di berlusconi a masturbarsi (potendo) davanti alle scene del delitto riprodotte nel plastico del momento. La sgradevolezza è soggettiva. Se ci fermiamo all'apparenza uditiva allora ti chiedo se hai ma sentito, carpito un discorso medio qualunque, hai mai buttato l'orecchio in mezzo alla gente, ai ragazzi, agli anziani? Certo, non è che ci sia una pandemia Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 di sindrome di Tourette ma la lingua parlata è molto spiccia, diciamo così. Un bel fighetto o il berlusconide di turno che se ne esce con un “però che gnocca” nei confronti di una che passa, oppure il solito puttanone biondo che molla il SUV all'angolo per andare dal parrucchiere non sono altrettanto volgarmente sgradevoli come dire “m'attacco al cazzo”? Può non sembrare, ma le nostre parole sono pesate, limate, provate, devono suonare in un certo modo, si devono incastrare con il suono. Godano dei Marlene ha spiegato bene questo approccio in una video intervista con Cheyenne. Durante le registrazioni abbiamo discusso a lungo su un “dio bastardo” che era nativo e strutturale in un testo. Il solo fatto di esserci posti il problema dell'interpretazione sulla gratuità o meno dell'espressione legittimerebbe l'accusa di paraculaggine. Si nota di meno se non vengo? In realtà per noi le parole pesano molto e hanno un cazzo di senso, anche se a qualcuno può non sembrare. In questo caso basta chiedere, una spiegazione non si nega a nessuno. Il fatto che nessuno di noi si chiami Bianconi, massimo rispetto, non significa che le mani vadano per i cazzi loro in preda al Parkinson. La realtà è che prima di parlare/scrivere siamo soliti attaccare il cervello e mettere un lock di sicurezza. Se ti diamo tre parole, solecuoreamore (una parola sola), non sono una rima, sono un calcio nelle palle. Forse se lo collegassimo di meno potremmo scrivere qualche stronzata in più a cuor leggero. Comunque, anche per “Maltempo”, come per “Cadavere”, l'esegesi dei testi da parte dei maschi è stata molto più problematica rispetto alle femmine. Tra le varie recensioni pubblicate, quelle che hanno colto il significato di testi e di tutto il lavoro sono di due donne. Con una chiarezza, una lucidità, consapevolezza forse, che nemmeno noi avevamo. In trent'anni i modi di comunicare sono cambiati parecchio. Prima la TV, ora internet. Forse la musica si è liberata dal supporto, ma il punk ne ha risentito in qualità. C'è ancora una via di scampo per salvarsi dall'immagine? Sembra dire da fatti, eppure, per ciò che ci riguarda, puntiamo sull’immagine: quella negativa, che non significa tale se non l’inverso dell’immagine del Grande Bordello, leggi i media inconsulti, se vuoi internet, false libertà, anzi, sistemi di controllo ormai assodati. E consapevoli che l’unico supporto “punk” è forse quello delle tue rughe, dell’assenza di voce e del tuo benessere, in fondo. Così, magari, ci si salva. Non sarà mica una risposta manierista?! Che cosa ha influenzato la scrittura della mezzora di “Maltempo”? Vivere con i piedi per terra. Forse il pezzo “Sorella Maldestra” è la risposta corretta. Power chord, Marshall, beat molto alti, divisioni quasi sempre in ottavi e ancora power chord, cantati/recitati (cantato è un termine impegnativo) a ipotizzare una scelta tonale sull'indeterminatezza del power chord. Non è stata una scelta ponderata, ci siamo trovati a sentire, pensare, virare in modo naturale e spontaneo verso questo suono. Poi il vissuto musicale di ognuno di noi, i gusti, ma soprattutto il vissuto, non in senso di passato ma proprio di “spugna dei fatti sonori”. Per esempio, Furio Suonosporco si porta dentro Jones, Page, Coltrane, Morello, Charlie Hunter e Van Leeuwen, per dire, è chiaro che gli venga istintivo buttare dentro tutto ciò, incastrare power chord e corde libere in saturazione e muovere tutto per terze maggiori. I testi sono il quotidiano o il paradosso di un falso movimento, è il nostro personale che riflette quello che ci circonda o il contrario. Leggi “Telefuso”. È del '78. In quell'anno non esistevano Sky e il digitale. Sono stati l'unico rewording di una riflessione fatta trent'anni fa, quando tornavi a casa perché verso Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 mezzanotte su Tele Alto Milanese si vedevano le tette. Adesso si vedono tettefigaculo (una parola sola) in prima serata. Solo una questione di orario. Per il resto, telefusi allora televotanti adesso. Se quello che abbiamo scritto trent'anni fa sembra una riflessione sul quotidiano, c'è qualche cosa che non quadra, o no? Abbiamo vissuto circa vent'anni nel paradigma del modello tettona di Drive In e adesso un coacervo di puttanieri indagati impone per legge il divieto della plastica estetica alle minorenni, in teoria sotto la responsabilità educativa di qualcuno che talmente monotono e amorfo ha permesso la lobotomia delle figlie. Boh. Il pubblico di oggi, dal vivo, oltre ai vostri vecchi fan e ai passanti casuali, come vi accoglie? Si diverte, beve, ride, ci manda affanculo, canta. A maggio scorso abbiamo suonato al MADS a Roma. I ragazzi non erano nati all'epoca di “Cadavere”. Lo conoscevano a memoria! Qualcuno s'è anche incazzato perché non abbiamo suonato “Pronto”. E chi cazzo se la ricorda! In linea di massima abbiamo riscontrato che il tipo di reazione non è cambiato nel corso degli anni e la cosa è bella e interessante perché due o addirittura tre generazioni reagiscono allo stesso modo. Forse potrebbe significare che siamo credibili adesso come allora. Vuoi che i vecchi fan si comportino allo stesso modo dei giovanissimi perché sono rimasti degli idioti cognitivi? O che i giovanissimi, per il semplice fatto di comportarsi come la vecchia fan base, siano dei “nati vecchi”? “Maltempo” è il primo di tre album con la Banksville per i prossimi quattro anni. Ci aspettiamo ancora una volta di amarvi oppure odiarvi, senza mezze misure. Facciamo del nostro peggio. Abbiamo bisogno di trovare il tempo per provare il materiale nuovo. La logistica e gli impegni di ognuno non ci aiutano. Voci e ritmica presidiano la Rocca dei Celti, le tastiere vagano per le calli veneziane, la chitarra si sporca con la cenere del Vesuvio. Non è semplice incrociare disponibilità e tutto il resto. Siamo grezzi e, a parte Baltaro che lo fa di mestiere, proprio non ci passa per l'anticamera l'idea di preprodurre bozze, idee, spunti in digitale e condividerli. Noi ci dobbiamo vedere in faccia, ci dobbiamo spaccare le orecchie anche quando proviamo i pezzi nuovi, che alla fine dici “non ho sentito un cazzo”. Ci dobbiamo sudare addosso. Giusto i testi, spesso rimpallano Vercelli-Salerno via mail. Comunque, visto che il nostro parlar forbito in “Maltempo” pare abbia destato particolare attenzione, anticipiamo che al momento le uniche parole sgradevoli che abbiamo usato sono culo e sperma. D'altronde ci è sempre riuscito bene, senza forzature e del tutto spontaneo: quando è vaffanculo è vaffanculo sempre. E cazzo no?! Contatti: www.myspace.com/sorellamaldestra Marco Manicardi Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Squarcicatrici Dopo l’esordio in proprio “Bossa Storta”, uscito per la Saravah tre anni fa, alla fine del 2009 Jacopo Andreini ha dato alle stampe il suo il secondo album, per Wallace, Burp, San Giuseppe e Frigorifero Produzioni. Solo che stavolta, invece che pubblicarlo a proprio nome, ha utilizzato la ragione sociale Squarcicatrici (che è anche il titolo dell’album), come chiamava cioè il progetto quando lo portava dal vivo. Il disco nuovo ha ancora questo sapore internazionale che sembra tangere gli stili e l’essenza più preziosa di mille personalità musicali: quella multiforme del leader e quelle dei musicisti che vi hanno partecipato. Per il primo disco, realizzato con una band di tredici elementi, avevi usato il tuo nome; adesso che il gruppo è di undici elementi (quasi tutti differenti dai primi) Squarcicatrici è diventato il nome del progetto anche per il disco. Esatto. Perché nel frattempo il mio progetto è diventato un gruppo e non più mio e basta, anche se la maggior parte dei pezzi del disco sono miei, però avevo voglia di agglomerare tutte queste energie intorno alla sensazione di gruppo. Nel disco troviamo “Izgubljen sambetta”, che mi incuriosisce sin dal titolo. “Izgubljen” vuol dire “mi sono perso” che a volte è un concetto che si ritrova nella vita di tutti i giorni e avendo chiesto di fare un remix ai Vuneny – che è gruppo bosniaco fantastico che ho conosciuto anni fa tramite il gruppo di cui faccio parte, l’Enfance Rouge, e con cui abbiamo fatto tanti concerti sia in Italia che in Francia e in Bosnia – gli ho chiesto di tradurre questo concetto dell’essersi persi in bosniaco e da lì è venuta fuori questa doppia versione del titolo. Quali sono le differenze tra il primo e il secondo album a livello compositivo? Nel primo ci sono canzoni più o meno intorno a questo concetto della bossa storta: quindi sapori brasiliani anche se molto “violentati”, mentre il secondo album, tagliando grosso, è una specie di afro jazz punk, quindi un po’ più aggressivo e molto più strumentale, perché Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 alla fine anche se la voce è in moltissimi pezzi le parole sono soltanto in due e un pezzo non lo canto neppure io, ma il cantante di République du Solage: un progetto che avevamo fatto qualche anno fa, in Francia sempre legato all’Enfance Rouge e quindi è un pochino più rivolto a questa specie di aggressività romantica. A proposito della tua voce, come fai a riprodurre questo tuo “urlo primitivo”? Viene fuori. Ho scoperto una valvola nella gola che si è aperta per conto suo ed è uscita questa voce molto alta come ad esempio in “Macedone” e sono alcuni anni che per i miei live in momenti di improvvisazioni uso questa voce, che per la prima volta ho registrato adesso anche su disco. Quando conosci le persone in cui ti imbatti andando in giro, ti capita di vedere la persona che hai di fronte come un suono? No. Penso di trovare piuttosto immediatamente delle affinità di tipo umano, di tipo personale e da lì magari nasce ad un certo punto qualcosa di musicale, però penso che la prima cosa che mi fa notare una persona sia il suo lato umano. Secondo me, i tuoi incontri sono stati fondamentali anche per il tuo istinto compositivo. Chi tra gli undici elementi che ti accompagnano in questo disco ti ha ispirato o è tutto partito prima da te? Molti pezzi sono partiti da me, però molti sono nati altrove ma si sono sviluppati e sono diventati adolescenti in studio. E lo studio, vorrei sottolinearlo, è la casa dove vivo adesso in mezzo ai boschi che è un bellissimo posto per comporre arrangiare, registrare, stratificare, cancellare, ripensare a quello che si fa. Per cui è vero in parte, ad esempio la voce di Erwan Naour dei Les Hurlements d’Leo, mi ha fatto sviluppare quel pezzo in una chiave più drum‘n’bass molto sporca, come poteva suonarla Fela Kuti. Oppure c’è Enrico Antonello alla tromba che ho conosciuto con la Pangoliniorchestra. Ecco, lui forse è una persona che ho voluto anche per il suono che ispira quando lo conosci. Dentro il disco poi troviamo anche un cartoncino che riporta uno scritto del tuo amico Chico Caminati. Visto che è scritto in portoghese, cosa dice? Chico è un sociologo brasiliano che si occupa di free software Linux e radio indipendente e mi raccontava di fare radio né fuori legge né dentro la legge, ma libera. E sono cose che fa in Brasile nel posto dove vive e nella foresta Amazzonica. Nel corso degli anni abbiamo parlato tanto e molto spesso di quello che succede adesso nel mondo a livello sociale, socio economico, politico, e allora gli ho chiesto di scrivere un saggio sulla situazione attuale e lui ha scritto questa cosa che in realtà nega la possibilità di scrivere un saggio sociologico, perché la sociologia è stata inventata dagli occidentali; e invece dà, secondo me, un bellissimo punto di vista terzomondista (senza vergognarsi del termine) della crisi economica di oggi come prima possibilità per la cultura del terzo mondo di inserire, per la prima volta, la propria voce e proporre, un vero sistema di pensiero alternativo a quello che ha dominato il mondo negli ultimi cinquecento anni. Chi ha registrato il disco? Io con Andrea Caprara che mi ha sempre aiutato in queste idee folli e con cui collaboro per un sacco di progetti. Abbiamo un quartetto con le musiche di Edoardo Ricci e abbiamo Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 messo su anche un nuovo progetto che è dedito a versioni free jazz di canti anarchici italiani dell’inizio del secolo scorso. È una persona molto appassionata che ama mettere disposizione quello che ha per far realizzare le cose anche agli altri. Adesso ci stiamo dedicando a Tsigoti di cui fa parte anche Matteo Bennici al basso perché il pianista Thollem McDonas che completa il gruppo torna in Italia dagli Stati Uniti per delle date qui. Il disco nuovo è uscito alla fine di gennaio per Esp Disk e stiamo lavorando a quello nuovo che fa parte della trilogia sulla guerra. Dal vivo com’è composta la band di Squarcicatrici? Anche questa ha avuto un sacco di rimaneggiamenti. Ho avuto alla batteria anche Jonathan Burgun dei Radikal Satan che veniva da Bordeaux o adesso suoniamo anche con Andrea Belfi che ha tutta la sua carriera di musicista elettroacustico con Mike Watt. Sono entrati dopo pochissimo, Simone Tecla alla batteria e Piero Spitilli al contrabbasso che vengono dalla scena sia jazz che rock di Firenze con soprattutto Piero sta bruciano un sacco di tappe con la sua curiosità infinita per gruppi, stili e generi e sta studiando tutto e suonando dappertutto di continuo. È fantastico averlo con noi. Contatti: virb.com/squarcicatrici Francesca Ognibene Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Alchera Discarica di sogni autoprodotto Sempre su “Fuori dal Mucchio” di questo mese potete leggere un’intervista all’artefice del progetto “Hocus Pocus”, DJ Myke, in cui fra le altre cose il DJ umbro afferma come tendenzialmente il pop italiano sia arrangiato da cani, o comunque in modo poco interessante. Verissimo. Però poi senti un lavoro come “Discarica di sogni” e ti dici che no, non tutto è perduto: possiamo ancora sperare che arrivi una generazione che abbia voglia di lavorare su un pop dalle sonorità e soluzioni d’arrangiamento non banali, e che soprattutto abbia personalità, portando così avanti il lavoro del cantautorato romano fiorito negli anni 90 (può piacere o non piacere, ma è indubbio che sia stato un marchio preciso, riconoscibile e lavorato; per giunta, a noi piace). I siciliani Alchera hanno lavorato molto al momento di vestire le loro tracce; se qua e là si sentono delle soluzioni non entusiasmanti (certe parti di sintetizzatore, ad esempio) sono peccati assolutamente veniali e soprattutto sono gocce rispetto ad un mare di qualità. Margini per migliorare però ce ne sono: in primis nell’uso della voce, talora un pelino troppo melodrammatica (più composta e misurata sarebbe perfetta), poi nella scrittura musicale vera e propria dei pezzi, che non è male, siamo lontani dalle banalità insipide, ma siamo convinti che possano fare ancora di meglio. Complessivamente lavoro promosso in pieno, e non lo diciamo per amore di scuderia (il “Mucchio” sul suo sito ha ospitato il download di quest’album), ché nella scelta chi scrive non c’entra nulla e lo ha saputo solo a cose fatte. Se qualche major si accorge degli Alchera, li aiuta ad aggiustare alcune pecche e gli dà in mano mezzi di studio di livello, potremmo sentir parlare di loro in futuro. Evviva. Non tutto il pop viene per nuocere. Contatti: www.myspace.com/alcheramusic Damir Ivic Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Alibia Manuale apocrifo delle Giovani Marmotte Cni/Venus Rubando un po' qua e un po' là, come fa chiunque abbia l'ambizione di crescere artisticamente, gli Alibia hanno costruito poco alla volta una credibile poetica indie-rock: un terreno misto tra rock e cantautorato che nasce tra le pieghe dei dischi degli Scisma, raccogliendo per strada certi languori e struggimenti di marca Baustelle, insediandosi infine in uno spazioso appezzamento nell'ambito del nuovo pop italiano di area indipendente, riconoscibili nel mezzo dell'ondata di artisti che hanno riscoperto un certo modo di considerare il pop: radici in bianco e nero, da ricercare tra le scenografie di Studio Uno, e la trattazione appassionata di una materia nobile e dimenticata. Con appresso, naturalmente, tutte le loro peculiarità. Tra queste ultime, il nuovo capitolo discografico, “Manuale apocrifo delle Giovani Marmotte”, sottolinea in particolare una eccellente e inventiva organizzazione del suono, con pianoforti, orchestrazioni, cori, voci femminili e maschili e chitarre capaci di ricoprire un impressionante numero di sfumature. Forse manca ancora il brano decisivo, quello che provoca la svolta definitiva, ma l'artigianato tecnologico e frastagliato degli Alibia è senza dubbio di primissima qualità, e sa toccare parecchie corde in chi ascolta. Bravi, continuate così. Contatti: www.alibia.it Alessandro Besselva Averame Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Babylonia Motel La Solitude Halidon Se assomigli in modo pazzesco ai Depeche Mode, prendendone proprio un sacco di cambi armonici e saccheggiandone senza ritegno un bel po’ di soluzioni d’arrangiamento, tendenzialmente noialtri critici ti tiriamo le pietre: hai stufato. Se nel cantare hai una inquietante vicinanza con Samuel dei Subsonica (non solo il timbro, anche e soprattutto i vezzi), in linea di massima noialtri critici alziamo gli occhi al cielo e ti guardiamo con compatimento: hai stuccato. Se come nome per il tuo progetto hai scelto Babylonia e non sei una band di cover reggae ma ti eserciti invece nell’elettropop anni 80, sostanzialmente sempre noialtri critici ti manderemmo a scopare il mare prima ancora di aver sentito una nota: hai steccato. Siamo brutta gente, noialtri critici, ma – ne converrete – abbiamo anche le nostre ragioni. E quindi? Stiamo stroncando senza pietà “Motel La Solitude”? È l’inevitabile conclusione di queste premesse? Nossignori. Queste considerazioni, che per altro sottoscriveremmo non una ma dieci volte, sono tutte applicabili a questo disco, con la sottolineatura non da poco che invece questo album viene fuori indenne dalle prostrazioni verso Depeche, Samuel e l’onomastica discutibile perché le canzoni sono (quasi tutte) veramente buone e la qualità di registrazione e mixaggio è assolutamente ai vertici. Non fosse stato così, vi garantiamo, questo lavoro l’avremmo fatto a brandelli. Invece ci tocca dire che, nei nostri ascolti di “Fuori Dal Mucchio”, “Motel La Solitude” è uno dei non tanti lavori che ci ricapiterà di mettere nel nostro lettore, giusto per il piacere di farlo e non per dovere recensorio. Contatti: www.babyloniamusic.com Damir Ivic Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Brain Brainstorm Semai Fuoco Negli Occhi è la famiglia di provenienza, ovvero una delle crew della nuova generazione bolognese (una Bologna che, ricordiamolo, ha dato negli anni Sangue Misto, Joe Cassano, Inoki, giusto per fare tre nomi – zona sostanziosa per quanto riguarda l’hip hop nostrano). Come sempre succede nelle crew, prima i lavori tutti-insieme, poi via con le sortite soliste, iter ormai immancabile. Che comunque Brain abbia messo in circolazione “Brainstorm” non per semplice autocompiacimento ma perché sentiva davvero di avere cose da dire e stile da mettere in circolazione, è evidente. Qui più che in altri dischi. Si tratta infatti di un concept album, o per lo meno le varie tracce sono introdotto da pillole di bignami psicanalitico. Diciamo la verità, di quest’ultima cosa sinceramente se ne poteva fare a meno, nulla aggiunge e qualcosa toglie all’ascolto – c’è il sapore del pretenzioso. In generale tuttavia Brain non è male a livello di scrittura di testi, con l’esplicita (e dichiarata) volontà di rivolgersi ad un pubblico intelligente. I difetti sono due: da un lato la voglia di essere per l’appunto intelligente nei testi e nei temi blocca in qualche modo il flow creativo (parliamo di immagini, metafore, colpi di scena verbali... Il rap si nutre di queste cose); dall’altro a Brain manca ancora un po’ di carisma e di esperienza nella modulazione della voce. Se aggiungiamo che le produzioni sono complessivamente discrete ma non indimenticabili, il risultato è un disco che non colpisce abbastanza il segno. Pur essendo, sia detto chiaramente, superiore rispetto alla media delle uscite italiane del genere. Contatti: www.myspace.com/brainfno Damir Ivic Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 A Dog To A Rabbit A Dog To A Rabbit Lady Lovely/Audioglobe Niente a che vedere con il dialogo a due suggerito dalla surreale ragione sociale che il gruppo si è scelto: i toscani A Dog To A Rabbit sono un trio, un classico power trio chitarra basso e batteria, e fanno quello che la formula prevede. Suonano una forma di rock'n'roll piuttosto diretta, senza troppi fronzoli, con riferimenti tuttavia abbastanza ampi, che potrebbero andare dagli Strokes ai Queens Of The Stone Age, passando per quei Nirvana così chiaramente evocati nelle linee vocali, una traccia stilistica che si muove parallelamente ad una certa sensibilità grunge, intesa in senso lato, e un deciso impeto garage che li rende occasionalmente parenti prossimi dei Mojomatics. Non di solo muscoli si tratta però, visto che c'è spazio per momenti più riflessivi e d'atmosfera come la title track, e tuttavia è l'aspetto aggressivo del progetto quello che ci pare più convincente, soprattutto nei momenti in cui le chitarre non lasciano tregua. Si ascoltino in tal senso soprattutto l'introduttiva “Rock Abuse”, con quel tiro post punk incrostato di residui garage, una “Flavor” stradaiola e imbevuta di aromi stoner, e una “Bedlam Minds” che è un puro fuoco incrociato di riff con un porsi quasi stoogesiano. Un buon lavoro, insomma, con qualche ombra, come abbiamo detto, in modalità lenta, e con più di una scintilla quando il motore gira al massimo. Contatti: www.myspace.com/adogtoarabbit Alessandro Besselva Averame Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Carry-All Emotivhate Sin/Self Anche se questo è il loro disco di esordio sulla lunga distanza, i friulani Carry-All si muovono nei circuiti underground dal 2002. Otto anni spesi a suonare dal vivo in ogni occasione possibile, con numerosi concerti in Italia, Francia, Germania, Spagna e Slovenia, dove hanno sfoggiato tutta la loro carica istrionica e contagiosa e una notevole presenza scenica. Tour contrappuntati di tanto in tanto con appuntamenti con singoli, EP, split, contribuite ad antologie varie, sempre apprezzati dal pubblico e dalla critica. Otto anni che nel complesso hanno portato tante soddisfazioni e persino alcuni loro brani nelle colonne sonore di note serie TV americane come “The OC”, “Smallville” e altre. I Carryall si muovono con abilità nella più classica tradizione punk, un suono che ha sicuramente contrassegnato i loro ascolti adolescenziali e si fanno notare con un punk-ska scandito – come da tradizione – da ritmi reggae, ma nonostante uno stile assodato è impossibile non apprezzarli, perché le canzoni ti prendono per il bavero e ti portano esattamente al centro del vortice che ha alimentato la musica che amano e suonano. Chitarre sparate, ritmiche dirette e sincopate, refrain da non smettere di cantare ed un accompagnamento di fiati che rimbalza e saltella tra una nota e l’altra. Dodici brani che scorrono belli belli senza tanti ripensamenti: te li godi, ti mettono di buon umore e pensi che forse la vita non è poi così malaccio. Non c’è un solo passaggio debole in questo “Emotivhate”, ma non si può esimersi dal citare la rivisitazione di “What A Feeling” di Irene Cara, dalla colonna sonora del film “Flashdance”, qui resa una dinamica e pop punk song. Ah, che divertimento questi Carry-All. Contatti: www.myspace.com/carryall Gianni Della Cioppa Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Cartavetro We Need Time EP Anomolo/BrigaDisco/Marsiglia/Taxi Driver/Tesla A cinque anni da “Bruxia”, pubblicato dalla net-label marchigiana Anomolo, i genovesi Cartavetro ritornano in pista con una formazione abbondantemente rinnovata e un EP di quattro tracce all’insegna di un rock spigoloso e dai nervi a fior di pelle, che si rifà all’alternative statunitense di fine anni 80 ma non dimentica la lezione del noise, grazie al lavoro tanto di una sezione ritmica guizzante e sfuggente quanto di una chitarra appuntita e liquida insieme. Vi è parecchia rabbia all’interno di queste composizioni; non si tratta però di una furia cieca, ma controllata, meditata, che non rinuncia alla propria fisicità ma la incanala lungo percorsi studiati e calcolati al millimetro. A benedire nel migliore dei modi l’operazione, un mostro sacro come Mike Watt (Minutemen, fIREHOSE, Stooges), ospite alla voce nella title track. Musica di testa e allo stesso tempo di stomaco; ma, soprattutto, di ciò che grossomodo vi è in mezzo: il cuore. Contatti: www.myspace.com/cartavetro Aurelio Pasini Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Did Hello Hello Foolica Sul numero dello scorso novembre di “Fuori dal Mucchio”, Alessandro Besselva Averame spendeva belle parole per “Kumar Solarium”, l’esordio dei Did, e in particolare parlava della traccia di apertura “Hello Hello” come di “un impressionante concerto di tribalismi, bassi distorti e chitarre alla Gang Of Four”. Lo citiamo perché ora quel brano è uscito anche su singolo, un sette pollici in vinile trasparente, e la sensazione è ancora una volta quella di un pezzo di gran tiro e buona sostanza, tra le migliori produzioni nostrane in ambito punk-funk. Sul lato B, invece, trova posto un altro brano tratto dal summenzionato album, “Another Pusher”, remixato per l’occasione dai britannici These New Puritans, vale a dire una delle band più interessanti partorite dalla scena albionica negli ultimi tempi. Nelle loro mani la canzone perde parte del proprio impatto ritmico, ma guadagna una viscosità oscura e non poco inquietante. Una collaborazione importante, per il prestigio e per il risultato ottenuto, che ci auguriamo possa essere per l’ensemble torinese soltanto il primo passo verso una visibilità internazionale di tutto rispetto. Contatti: www.myspace.com/didmusik Aurelio Pasini Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Diverting Duo Lover/Lover Zahr Una sorpresa. Una bella sorpresa. Un duo cagliaritano, lei e lui, forse innamorati, non sappiamo, ma certamente invaghiti di folk, indiepop e soavità con la testa tra le nuvole. Lei canta con voce eterea e vellutata e suona una chitarra dolcissima; lui è all'altra chitarra, qualche beat o piccole batterie d'accompagnamento, glockenspiel e organo appena accennati, seconde voci soffuse e melodie delicate. I Diverting Duo regalano atmosfere trasognate come i primi Comaneci o quasi una Joni Mitchell rallenttissima, un po' di psichedelia acustica, Cat Power adolescente e sobria, fino a Le Man Avec Les Lunettes, che peraltro mettono lo zampino nel disco e prestano lo studio di registrazione. Non che i due siano nuovi nel mestiere: sono all'esordio discografico, ma hanno girato l'Europa in lungo e in largo tra il 2008 e il 2009; e vien da chiedersi cosa stessero aspettando a regalarci un disco di una delicatezza così. Ci si può perdere a dondolar la testa con gli occhi chiusi nelle litanie di “Bunnies” e “Good For A Day” o nei feedback di “That Gold”. Forse l'unica pecca è la monotonia degli arrangiamenti, ma sono soltanto trenta minuti ripartiti in nove tracce sognanti e sorridenti, come un volo a ciel sereno dal nord dell'Europa fino alla costa ovest degli States. Con tutti i gruppi stranieri che fanno musica del genere e invadono costantemente locali e localini della penisola, ai Diverting Duo auguriamo il percorso inverso, speriamo possano girare il mondo e allietarlo e trasognarlo. Intanto ascoltiamo “Lover/Lover”, che è una sorpresa. Una bella sorpresa. Contatti: www.myspace.com/divertingduo Marco Manicardi Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Enempidi Quanto basta Bagana/Edel Un balzo in avanti oppure uno sguardo ad un passato recente? Non riesco ancora a inquadrare l'esordio degli Enempidi, che dall'hinterland milanese se ne escono con “Quanto basta”: un debutto che in poco più di quaranta minuti ci offre dell'ottimo crossover a metà, e qui si ritorna al dubbio iniziale, tra passato e futuro. È indubbio infatti che certi suoni, e soprattutto il cantato, si rifacciano alla stagione d'oro di questo movimento, ma non si tratta solo di revival; troviamo infatti soluzioni sonore che strizzano l'occhio al presente, specialmente al punk più moderno. Una miscela comunque molto energica, capace di essere credibile sia coi brani in inglese sia in quelli in italiano, anche se a spiccare nella mia personale classifica sono tutti pezzi in madrelingua, per esempio “Sottocontrollo” o, meglio ancora, “Bolla”, con le sue atmosfere cupe tra l'acustico e l'urlato. Niente male davvero, e anche la scelta di non adagiarsi sulle mode del momento per suonare quello che suppongo sia il genere in cui il gruppo crede è encomiabile. Dovendo dare loro qualche consiglio per il futuro propongo di concentrarsi sulle liriche in italiano e di esplorare meglio il loro lato crepuscolare, perché quello che c'è in “Quanto basta” mi lascia la curiosità per il futuro. Speriamo che sia così anche per molte altre persone. Contatti: www.enempidi.net Giorgio Sala Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Girolamo De Simone Ai piedi del monte KonSequenz/Hanagoori Music Si conclude alla Verna, in modo arcano, il viaggio per piano solo di Girolamo De Simone raccontato in “Ai piedi del monte”. La sommità del titolo è Somma Vesuviana, a ridosso del Vesuvio, dove il compositore napoletano vive. La ricerca del musicista – che proviene dall’avanguardia – si snoda tra “Fabulae contaminatae”, esecuzioni devozionali, riletture di Vincenzo Romaniello, tradizionali come “Canto dell’Arco”. Quest’ultimo vede Di Girolamo alla spinetta, in una rivisitazione che trasfigura l’originale, come se passandogli attraverso lo trafiggesse, lasciandolo miracolosamente illeso. “Il tramonto e Donizetti” è una parafrasi donizettiana, perché il compositore bergamasco proprio qui, sul Monte Somma, iniziò la stesura di “Lucia di Lammermoor”, e ha lasciato tra Pollena e Sant’Anastasia tracce di melodie che ancora si rinvengono all’imbrunire (per chi le sa ascoltare). Ancora, a catturare lo spirito dei luoghi, aleggiante è la presenza di Vincenzo Romaniello – che fu tra l’altro il maestro di Carosone – del quale De Simone rielabora l”Ave Maria”, i lirici frammenti “Tristezza dell’anima” e “Ultima prece”. I brani del disco sono improntati a una sottrazione virtuosa, frutto di lavorìo, che non lascia trasparire la fatica di asciugare e levigare. Musica di frontiera, si (auto)definisce la musica di De Simone. E infatti frontiera è questo lembo, non solo geografico, di resistenza, consapevolezza e onestà intellettuale. Se John Cage era pervenuto a un’estetica del silenzio, si può dire, parafrasando, che De Simone sia approdato a un linguaggio di poche, essenziali parole. Quello che manca sarebbe stato superfluo. L’epilogo “La Verna”, un’improvvisazione di due minuti per organo, è eseguita nel silenzio del Convento della Verna, con le “campane liete” che chiudono, come meglio non si potrebbe, un disco di splendida serenità. Contatti: www.konsequenz.it Gianluca Veltri Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 La Materia Strana Raptus autoprodotto La Materia Strana è un progetto plasmato nel 2008 da Francesca Messina (testi, voce, chitarre e scacciapensieri), poi affiancata nella sua avventura da Massimiliano Lo Sardo (basso e tastiere) e Umberto Bartolini (batteria e percussioni). Dopo essersi fatto notare sul palco di varie manifestazioni toscane (dal RockContest a ItaliaWave o al Marea Festival), lo scorso dicembre il terzetto fiorentino ha inciso il suo EP di debutto negli studi Danza Cosmica, sotto la produzione di Donato Masci (Rio Mezzanino e Tribuna Ludu, tra gli altri). L’autoprodotto “Raptus” propone così quattro tracce a mezza strada tra pop-rock e cantautorato, bilanciandosi fra carica comunicativa e attenzione alle liriche, affrontate coraggiosamente in italiano. Ci si destreggia fra episodi più sostenuti (“Gli occhi”), semi-ballate oblique (“Mondi” e “Il Conquistatore”, che ricordano a più riprese certe soluzioni stilistiche di Cristina Donà) e interessanti progressioni strumentali (la title track). C’è ancora parecchia strada da percorrere, per affinare ulteriormente una personalità comunque già evidente. Se per adesso è difficile sbilanciarsi in giudizi netti, anche in virtù dell’esigua durata del dischetto, gli incoraggiamenti sono senza dubbio d’obbligo. La formula, diretta nelle timbriche e al tempo stesso curata nelle sfumature, funziona sufficientemente bene e merita di essere sviluppata appieno. Contatti: www.myspace.com/materiastrana Elena Raugei Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Lana Good Morning Apnea Riff Leggendo le biografie di tante rock band nostrane, si scoprono storie di coraggio e di eroismo che meriterebbero davvero di essere raccontate in un libro. Come si può sopravvivere suonando rock per uno, dieci, venti anni, in un’Italia che del rock sembra da sempre voler fare a meno? Siamo circondati da gruppi di valore che combattono in un sottobosco fatto di precarietà, istituzioni assenti e pubblico esterofilo, eppure sempre più spesso capita di ascoltare cose interessanti che meriterebbero ben altra visibilità. Prendete questi lombardi Lana: affondano le loro radici nel lontano 1996, hanno un curriculum pieno di belle cose (finalisti di Arezzo Wave 2002, concerti con Verdena, Ulan Bator e avanti per una pagina zeppa di informazioni), ma sono ancora qui in quel limbo fatto di speranze e volontà. Poi ascolti questo “Good Morning Apnea” – terza tappa discografica dopo l’EP “Presenza” del 2004 e “C’è il sottile dentro e sotto i ponti” dell’anno successivo – che solo per la stupenda confezione a libro orizzontale meriterebbe di trovare spazio nella vostra personale discoteca, e ti assale la frustrazione, perché i Lana sono un quartetto (il batterista è un ospite) che sprigiona un’emotività avvolgente, fatta di energia e sensualità. Gli otto brani di questo CD, che poggia su un’ottima registrazione e su un sound moderno ma caldo, suonano originali e allo stesso tempo classici, una sorta di Pearl Jam a spasso con i Depeche Mode, e la voce di Matteo Perego, anche chitarrista/tastierista, ha temperamento da vendere e quando si cimenta con l’italiano mi ha ricordato Alessandro Ranzani dei Movida, una band il cui spettro appare di tanto in tanto tra i solchi di “Breath”’, “Buio”, la splendida “Fine” e “Plexa”; ma credetemi, i Lana si muovono sinuosi e originali, in un percorso che definiscono cupo e livido ma – aggiungo – saprà emozionarvi. Contatti: www.myspace.com/lanaweb2008 Gianni Della Cioppa Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Leonora Electronic Ballads LOL Productions/BTF “Electronic Ballads” è l’esordio della romana Leonora. Dieci canzoni fuori sincrono. Ballate? Forse “Right Turn On Red” musicalmente avrebbe potuto essere definita tale, ma la cantante va troppo veloce rispetto alla musica e distrugge l’atmosfera. Cercavo da qualche parte una manciata di spirito emozionale, non per me, ma per intravedere (anche di traverso) l’artisticità, però trovo solo artifizio nell’album di questa ragazza; perché sì, lei canta, ma la musica manca totalmente. Un disco diviso a metà. Cinque canzoni in inglese e cinque in italiano, ed è incredibile come lei canti sempre allo stesso modo. E la cosa dispiace, perché il talento, nonostante le pennellate di elettronica “usa e getta” che la accompagnano, c’è: la voce si lascia ascoltare, ma davvero è possibile uscire da se stessi e creare qualcosa di così emotivo come la musica in maniera così distaccati e freddi? O forse sono io che non ho capito quello che vi si nasconde dietro. Se le tue canzoni non le senti tue, non ti struggono dentro, non parlano di te, non sono sincere, non sono fatte di rabbia, di estasi, di ironia, di turbamenti, di solitudini, che senso ha? Eppure tale è l’impressione che ricavo dall’ascolto. Mi sembra impossibile che io stia dicendo queste cose ma ho dentro la rabbia di tanti artisti che non vedo uscire fuori nonostante abbiano parole preziose, musiche magnifiche, poeticità e pensieri profondi ma anche evanescenti. Io ricomincerei da “La luna nel pozzo”, risuonandola solo con la linea melodica e basta, e poi seguirei quel sentiero. Per quanto vale. Contatti: www.myspace.com/leparoledentro Francesca Ognibene Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Malecorde Da ora Block Nota Progetto nato nel 1999 da un'idea del cantante e chitarrista torinese Giovanni Battaglino, inizialmente con l'obbiettivo di riproporre le canzoni di Fabrizio De André, le Malecorde ha maturato nel corso di questi dieci anni una propria vena poetica, collaborando a iniziative musical-letterarie e partecipando a compilation come “Duemila papaveri rossi”, pubblicata un paio d'anni fa da Stella Nera. In repertorio, canzoni che raccontano di Resistenza, battaglie civili e storie personali, nella più classica vena civile di area folk, che tuttavia in questo secondo lavoro, il primo a poter contare su una vera e propria etichetta, Block Notes, mostrano uno spessore notevole. Al di là della qualità non banale dei testi e della bella voce del frontman, è la veste musicale che il gruppo ha scelto di fornire alle canzoni la vera arma vincente. I brani di “Da ora” si dipanano spinti da sincero eclettismo, dando vita ad un folk elegante, ricco di spunti e rimandi, con strumentazione acustica che ricorre spesso a violini e fisarmoniche, dal ritmo in levare di “Quello che mi dici”, alla decisa impronta pop di “Sono stata sempre così”, valorizzata dalla bella prova vocale di Valeria Benigni, alla notevole “Mantello” attraversata da umori fiabeschi e tuttavia resa con asciutta modernità, mentre le riletture di De André (“Preghiera in gennaio”, vagamente sudamericana nell'incedere, e pure un poco jazz, e “L'illogica allegria” rispettivamente) risultano sobrie, personali e particolarmente a fuoco. Una bella sorpresa, in un ambito affollato che di certo non si può dire non abbia fatto proseliti. Contatti: www.malecorde.it Alessandro Besselva Averame Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Mandara Mandara MK Records/Venus Batterista e percussionista cosentino attivo da parecchi anni a fianco di artisti come Marco Messina, Raiz, Parto Delle Nuvole Pesanti, così come motore di altrettante iniziative in territori jazz e teatrali, Gennaro De Rosa è da qualche anno titolare del progetto Mandara: si tratta, sostanzialmente, lo stesso De Rosa alle prese con musicisti dalle provenienze più disparate. I parterre di artisti che prendono parte a questo nuovo lavoro, omonimo, è in effetti impressionante. Si passa da Marco Messina (presente come Marcoposse) al sassofonista Marco Zurzolo, da Peppe Voltarelli (voce nella jazzata “Apfelsaft”, una prova all'insegna dell'ironia e della canzone leggera) alla multistrumentista americana Amy Denio (il cui contributo marchia le altrimenti moderatamente contaminate “Wind Song” e “Hassan I Sabbah”), fino al ripescaggio prog de “L'uomo” degli Osanna, ospite lo stesso leader dello storico gruppo napoletano Lino Vairetti, una rilettura sobria e moderatamente world. Un disco che rischia di sfaldarsi sotto il peso della discontinuità, ma che riesce in realtà a portare avanti una traccia continua, una pulsazione che resta in equilibrio tra oriente, occidente e tecnologia. Non sempre incisivo, ma spesso assai interessante, come accade nella divertente rilettura etnica di “Pot Head Pixies” dei Gong. Contatti: www.mkrecords.it Alessandro Besselva Averame Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 New Cherry Le forme di Pedro My Place/Venus Incisivo EP d’esordio per i New Cherry, fondati dalla songwriter/cantante/chitarrista Sara Piolanti - già nei Caravane de Ville e collaboratrice di Modena City Ramblers, Marta sui Tubi e Vince Vallicelli - e completati dal batterista Ulisse Tramalloni e dal bassista Antonio Vinci, subentrato a Michele Benincaso al termine delle registrazioni. Il dischetto offre cinque canzoni, oltre al bel video del singolo “Coca Magnum” e contenuti extra come fotografie e liriche, in italiano e ricche di immagini suggestive. Canzoni che “sono le favole e gli incubi della mia vita”, secondo l’alter ego narrante Pedro. A livello sonoro abbiamo a che fare con un rock decisamente energico e di sicuro impatto, provvisto di melodie che non fanno fatica a stamparsi in testa. Il vero punto di forza, però, è senz’altro la duttilità di una voce magnetica, sia nei momenti più aggressivi sia negli incisi maggiormente evocativi, che poi vanno spesso ad alternarsi all’interno degli stessi brani aggirando ogni prevedibilità. “Coca Magnum” (proiettile altamente abrasivo, dal ritornello killer), “Matematica” (connubio di morbidezze e spigoli, strumentazione elettrica e violoncello struggente) ed “Et Juliette” (grintoso omaggio a Shakespeare, alla PJ Harvey) piacciono in maniera particolare, ma “Sintesi erotica” (andamento sinuoso e accelerazioni improvvise) e “Cera” (ballata avvolgente, in crescendo emotivo) se la cavano altrettanto bene. “Le forme di Pedro” assicura ottime vibrazioni, in fiduciosa attesa di un lavoro sulla lunga distanza. Contatti: www.myspace.com/thecherrypedrosimenez Elena Raugei Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Nolan Secondi fini per fare le ore piccole
 Totally Unnecessary Records/Audioglobe Lo spirito dell’arte, in molti e chiacchierati casi, nasce da fatti, oggetti e parole prelevati dalla quotidianità. Così, la capacità di rendere “diverso” quello che nella maggior parte dei casi sarebbe considerato banale è una caratteristica apprezzabile di molti artisti di successo. Gipo Gurrado, in arte Nolan, con “Secondi fini per fare le ore piccole” fa proprio questo: non c’è la presunzione di esibire a tutti i costi un vocabolario ricco e raffinato, le parole sono le stesse di tutti i giorni, quelle pronunciate davanti allo specchio, al bar, tra sé e sé, e non ricercano spasmodicamente la corona d’alloro o il trionfo poetico. Apparentemente ingenue e libere di trovare strade alternative di significato, le frasi si accostano a melodie semplici e suoni acustici, che ruotano attorno all’abbinamento di voce, chitarra, batteria e contrabbasso. Di tanto in tanto fanno una breve comparsata i tasti del pianoforte, le corde metalliche della chitarra elettrica e gli elementi sintetici del programming, che mettono in primo piano l’anima vagamente jazz a tratti poppeggiante del disco. Si tratta, in sintesi, di una canzone d'autore minimalista con qualche elemento intriso di gusto teatrale, dove i concetti percorrono frasi frammentarie e musiche altalenanti, che possono essere ora docili melodie (“Inverno veritas”), ora improvvise accelerate (“La pazienza”). Mi viene in mente Ani DiFranco, penso al cantautorato della scuola romana e ai Baustelle. Ma “Secondi fini per fare le ore piccole” rappresenta in primo luogo un viaggio all’interno dei pensieri e del vissuto di Nolan, autore di se stesso, che non segue stili e prova a “vivere in corsivo”. Molto autoreferenziale, certo. Ma sicuramente piacevole e suggestivo. Contatti: Federica Cardia Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Ossi Duri Scadenza perfetta LaZaRiMus Ossi Duri, devotamente, fottutamente Zappiani, sin dagli esordi. Stavolta sgombrano il campo dalle molte cover-partecipazioni riferite al baffuto zio Frank e da consolidate canzoni e parole imparentate con l’Elio nazionale, sbizzarrendosi in un bizzarro concept (perdonate il voluto, rafforzativo gioco di parole) per lo più strumentale. Ed è la scelta più importante, ottimamente funzionale alle notevolissime qualità tecnico-espressive della band torinese. “Dieci brani inediti di jazz-rock che raccontano la simpatica storia del cantautore errante Silvano Garrè, di un malvagio produttore di musica elettronica e di un singolare locale, il Bar Totevigo”: questo cita la didascalia nel loro sito, ma quel che emerge preponderante è l’eclettismo sonoro, mirabolante equilibrismo sull’ottovolante di cotanto dinamico progressive, tra digressioni jazz e sferzate rock-fusion, ad alto tasso tecnicistico. Il filo conduttore di una metaforica ironia riunisce i variegati e fantasiosi tasselli di “Scadenza perfetta”, laddove i nostri eroi si lanciano, spinti da una valanga di energia e da peculiare abilità, nella loro personale crociata contro Caval Donato, sindaco di Luogo Comune, e la sua fissazione per la musica elettronica prodotta dal computer. Riusciranno a vincere il confronto a favore del suono degli strumenti tradizionali? I mezzi sono ragguardevoli e convincenti per sostenere l’epitaffio conclusivo: “la musica non ha scadenza”. Come dare loro torto, al di là delle trame mercantili? Contatti: www.ossiduri.com Loris Furlan Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Paolo Andreoni & Bussuku Bang! La caduta delle città del nord autoprodotto La canzone italiana a trecentosessanta gradi, in un sol colpo, e in quaranta minuti scarsi soprattutto, forse non è mai stata esplorata. Fino a oggi. Paolo Andreoni e i Bussuku Bang! prendono tutta la tradizione italica, dagli anni '20 ai giorni nostri, e la mischiano, la rielaborano, la masticano e la sputano in un miscuglio di valzer, jazz, cabaret, assolo elettrici, violini, ukulele e mandolini, psichedelia e rock su testi intricatissimi e dal sarcasmo politico acceso o dalla poetica intima. I dieci pezzi de “La caduta delle città del nord” - titolo preso dalla guerra in Iraq e riadattato al declino dell'occidente contemporaneo – sono pietre preziose di melodia e insieme macigni granitici di declamazione ora lirica ora politica. C'è un uso sapiente della lingua, eccezion fatta per due sole canzoni: “Evelin”, in inglese claudicante forse evitabile e la conclusiva “Sonhadores (o meu amigo trasmontano)” in portoghese. La band è in giro dal 2008, è un'unione inscindibile tra Paolo Andreoni e il resto dei Bussuku Bang! (Bussuku significa "gli amanti delle tenebre" in un dialetto della Mauritania, patria d'elezione del batterista portoghese Jorge Fonseca). “La Caduta delle città del nord” è un disco strano di primo acchito, ma che suona riconoscibile e conosciuto, perché in esso è compressa tutta la storia musicale italiana, dagli anni 20 in poi, influenze anglosassoni comprese. Un disco preciso, meticoloso, serio e giocoso al contempo. Bello. Contatti: www.myspace.com/paoloandreoni Marco Manicardi Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Park Avenue Time To BKM L'attacco della prima canzone è quasi un plagio dei Joy Division, ma per fortuna le cose cambiano... in peggio, visto che su quella scala di chitarra e basso discendenti i Park Avenue costruiscono una energica quanto inconsistente ipotesi di canzone rock odierna, e per odierna intendiamo perfettamente smerciabile ai ragazzini che pensano che i Tokio Hotel siano, per l'appunto, un gruppo rock. Sarà la cadenza, dobbiamo ammetterlo, un poco birignaosa del cantante, ma le cose, alle nostre orecchie, non migliorano granché con i brani successivi, che siano ballate strappalacrime che piacerebbero ai fan di Bon Jovi (“Goldenmind”) o più aggressivi brani come “South Road”, che tuttavia ha il pregio di indossare più agevolmente vere vesti rock, pur senza brillare per originalità o profondità di scrittura. Il fatto è che, da un certo punto di vista, hanno probabilmente ragione loro, e questo disco potrebbe davvero funzionare alla grande, nel caso arrivasse alla orecchie giuste. Che, per inciso, non sono le nostre. Dal punto di vista di chi scrive, infatti, “Time To” è uno di quei dischi che non aggiunge nulla al panorama complessivo della musica attuale, se non l'entusiasmo della gioventù e un conformismo privo di slancio. Contatti: www.myspace.com/gcpamusic Alessandro Besselva Averame Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Postit Mumble autoprodotto I Tortoise non potrebbero mai fare la backing band di Michele Zarrillo. Frase di per sé ovvia, no?, ma forse a sentire “Mumble” ti viene il sospetto che non sia poi tale. Si tratta infatti di un album molto interessante, di post rock morbido (venature armoniche jazz, tipo), e in più di un’occasione – giusto per fare un esempio, la traccia “Happy Hour” – seduce davvero. Peccato che a sporcare la seduzione arrivino spesso e volentieri passaggi in cui un po’ il mixaggio un po’ gli strumenti stessi (la voce della chitarra, il pianoforte finto-acustico...) puzzano lontano dieci miglia di pop dozzinale italiota. Imparassero ad essere più taglienti i Postit avrebbero delle carte da giocarsi, eccome. Non diciamo che devono cominciare ad affondare in svisate noise alla Sonic Youth vecchia maniera, ma prendersi più rischi questo sì. Del resto se fai musica strumentale ti sei già auto-destinato a non entrare mai in classifica, a non frequentare mai il mainstream; tanto vale allora percorrere questa strada fino in fondo. Se così sarà, “Mumble” diventerà un incoraggiante esordio primo passo di un cammino interessante, e non un album di un gruppo che come tanti passerà lasciando, educatamente, poche flebili tracce di sé in grado di persistere nel tempo. Contatti: www.myspace.com/bandpostit Damir Ivic Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Saesciant Andiamo a Zanzibar Saesciant Records La band romana, attiva dall’inizio degli anni Zero, pubblica il suo primo album di lunga durata. Quartetto auto-battezzatosi “di musica ricreativa”, vincitori di “Rock Targato Italia” nel 2003, scanzonati e surreali, i Saesciant sono una realtà fresca del nostro panorama. Sarcastici senza mai varcare la soglia del demenziale, i ragazzi sembrano essere nelle corde di un Gaetano o di un Bennato, nomi sempre più ricorrenti come padri delle nuove generazioni di band, rocker e cantautori. In “La cameretta”, il divertente brano ska-rock di apertura nel quale viene consigliato di lasciarsi alle spalle abitudini e personaggi, si citano Mastella, l’idealismo dei cantanti, Giovanna (“quella vacca sfracidata”), la mamma, Silvestri (Daniele?), con un accumulo di concetti un po’ nello stile di “Nuntereggaepiù”. Continuando in questo gioco di filiazione gaetaniana, la finale “Malavolessimo” potrebbe rimandare a “Il cielo è sempre più blu”, con quell’andamento a cantilena, con la tecnica dell’iterazione e dell’enumerazione (“ci vuole la croce, ci vuole l’antrace, ci vuole un commando di destra”). I Saesciant però sono più rock, possiedono un’attitudine rock. Il 6/8 di “Terra” è indie, voce tremolante e chitarre in jingle-jangle, la traccia più “seria” – à la Marlene Kuntz – insieme a “Maria”, contrassegnata da licks chitarristici. I Police si affacciano in “Nicotina”. Un’influenza ben visibile è quella del sound classico rock-blues, codificato da Rolling Stones e Led Zeppelin, in “La globalizzazione”, “Mosconi” e “Com’è”, per esempio; nell’uso del riff, soprattutto, o certi riverberi stile “Aftermath”. Il nome del gruppo dovrebbe essere un segreto: diciamo che è un’onomatopea, quello che vorresti dire quando non ti escono le parole, quello che stai pensando ora o quel che ti pare. Contatti: www.myspace.com/saesciant Gianluca Veltri Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Satàn Satàn Shit Music For Shit People Sette pollici di buon vecchio vinile, trecento copie numerate e bella confezione stampata su carta da pacchi per questa nuova uscita targata Shit Music For Shit People. Protagonisti ne sono i Satàn, duo italofrancese che nell’arco di neanche dieci minuti racchiude quattro canzoni a metà strada tra (post)punk e pop a bassissima fedeltà. Strepiti, chitarre urticanti e rumorosissime, urla acutissime ma anche melodie cantilenanti: questi gli ingredienti di una proposta che più che alla forma sembra puntare direttamente alla sostanza, scandita da un’urgenza espressiva forse un po’ ingenua ma senza dubbio alcuno coinvolgente. Un prodotto underground, come collocazione di mercato (se ancora si può parlare di tale) ma ancora di più nello spirito e nella lontananza dai compromessi. Nel suo genere, un gran bel lavoro, che ci piace pensare possa diventare col passare del tempo un piccolo oggetto di culto. Contatti: www.myspace.com/shitmusicforshitpeople Aurelio Pasini Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Sinclear Nothing Ever Happens autoprodotto In dieci anni di attività i Sinclear si sono distinti per una costante attività discografica, sempre nei circuiti indipendenti, contribuendo anche ad alcune raccolte, il tutto accompagnato da un intenso dinamismo dal vivo, sede ideale per il loro (punk) rock a tutto tondo, fatto di riff diretti, ritmi semplici e coinvolgenti e refrain a pieni polmoni. Il primo salto di qualità la band, un classico quintetto con due chitarre, lo compie nel 2008 quando realizza il videoclip del brano ‘1984’, con l’importante contributo dello scrittore Enrico Brizzi e Occhi Aperti. La maturità si completa con questo nuovo mini album e una nuova struttura manageriale, che allestisce un tour di sostegno a questo “Nothing Ever Happens”, che pur nello spazio ridotto dei suoi venticinque minuti è in grado di portare solo buone notizie sul fronte compositivo, con colate di energie prese a cazzotti dalla voce sicura di DeeElle che si incunea tra le due chitarre di Junino e Ciko, il tutto solidamente trasportato da una sezione ritmica compatta. Degli otto brani proposti i più convincenti sono “6:75” e “Candice”, anche se, dopo aver ascoltato “L’ego” e “Soffocare” dispiace che la scelta dell’italiano sia stata ridotta solo a due brani, perché c’è tanta sostanza nel connubio musica/testi, soprattutto la prima con quel suo incedere potente e sincopato, quasi una sorta di Caparezza privo di orpelli radiofonici. Non inventano nulla i Sinclear, ma nel loro territorio si sanno muovere agili e sicuri. Contatti: www.myspace.com/sinclearcore Gianni Della Cioppa Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Sur Il limite Sidecar A quattro anni dall’omonimo esordio, tornano con un nuovo lavoro i Sur di Eloisa Atti. Intorno alla cantante e autrice bolognese, un quartetto di musicisti bravi ed essenziali: il chitarrista Marco Bovi, al quale viene dedicato un omaggio nel pezzo “Bovi in moscone”; il bassista (e altro) Francesco Giampaoli, che è coautore, insieme alla Atti, di una metà dei pezzi originali in scaletta; il trombettista Maurizio Piancastelli, e il batterista Roberto Rossi. È ancora eleganza trasognata, levigatezze; “arcobaleni sotto le scale e meraviglie sudamericane”, per citare De Gregori, a interpretare il quale i Sur si sono nel frattempo cimentati insieme a Patrizia Laquidara, nel cover album “Con quali occhi” (il pezzo era “La cattiva strada”, per inciso). La voce di Eloisa è suadente e diretta, gli arrangiamenti intrecciati e intessuti in una trama lieve: “Colibrì” fa pensare a un certo De André – tra quello primo chansonnier e “La buona novella” – mentre “Cavallino di vetro” sorprende con quella sovrapposizione di voci su uno strato strumentale un po’ stralunato, che potrebbe far pensare a Joni Mitchell. “Lontano”, titolo tenchiano, per cantare un amore di convinzione e forza, si veste di sommesso, piuma e spuma. A dir poco indovinate le due scelte esotiche a firma altrui: “La sandunga”, nota – si fa per dire – per la versione di Lila Downs, è uno struggente brano messicano con accompagnamento di chitarra e banjolele (banjo + ukulele); “Làgrima” è invece un classico fado di Amália Rodrigues, eseguito con coraggiosa espressività soltanto per voce e calimba. Contatti: www.myspace.com/eloisaatti Gianluca Veltri Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 The Flying Sebadas Vol. 1 Zahr Quando c'erano i Pavement, non c'era nessuno che suonava come i Pavement. Qualcuno ha cominciato a suonare come i Pavement a metà del nuovo millennio, c'è voluto un lustro almeno perché le nuove generazioni metabolizzassero l'indie sghembo del gruppo di Malkmus e iniziassero ora a emularlo, ora a ispirarvicisi. L'incipit di “Vol. 1” dei Flying Sebadas è esattamente a metà strada tra l'emulazione e l'ispirazione. E l'attitudine permane per i trenta minuti delle sette tracce del disco, a volte sbilanciandosi da una parte, altre volte pendendo per la strada della citazione. Se gli Yuppie Flu erano i Pavement italiani più curati e neomelodici, The Flying Sebadas sono i Pavement storti di “Wowee Zowee”, meno seri e più giocherelloni, con uno spruzzo beatlesiano di vernice come in “Cha Cha Cha”, seconda traccia dell'album. E niente, l'andazzo è più o meno lo stesso per tutto “Vol. 1”, senza perdere mai di tono, ma senza nemmeno impressionare. Una piccola deviazione a metà del disco, con il pezzo lento “Your Wet Clothes”, quasi una ballata degli Oasis senza la distorsione e la strafottenza dei fratelloni inglesi, ma con un piccolo tributo centrale a “A Day In The Life” dei Beatles. Poi si ritorna a pavimentare il suono, fino alla fine. Quando c'erano i Pavement, non c'era nessuno che suonava come loro. Ma ultimamente i Pavement si sono riformati, e a tutti i gruppi che emulano o si ispirano alla band di Malkmus toccherà fare i conti con la realtà. E quindi rinnovarsi oppure sparire. Contatti: www.myspace.com/theflyingsebadas Marco Manicardi Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 The Huge The Colossus Killed The Giant Perfect Groove Vision Ora che l'onda lunga del revival Eighties sta ormai perdendo di senso, visto l'incombere del revival, che iddio ce ne scampi, degli anni Novanta, recuperare certi stilemi e certe sonorità sembra quasi una commovente mossa suicida. Sarebbe però un errore prospettico vederla così, perlomeno nel caso di Gianluca Plomitallo, alias The Huge. Come già avveniva parzialmente, spaziando un po' di meno tra i registri – in occasione di un esordio ingiustamente passato in sordina, “Landescape”, uscito quattro anni fa su Amico Immaginario, in questo più che corposo seguito (forse un po' troppo lungo, nonostante l'autore del disco abbia voluto comprensibilmente riversare in questa uscita quattro anni di intenso lavoro, ma è l'unica possibile pecca), il nostro uomo utilizza gli stilemi del decennio di plastica come punto di partenza per escogitare quelli che sono, a conti fatti, puri e semplici brani pop di alto livello. Con qualche interessante ucronia stilistica, come gli accenti spudoratamente punk-funk nel corpo di una “Boy” che sa di Prince. In generale restano le melodie memorabili e i momenti di romanticismo (“Father” si inoltra addirittura dalle parti dei Blue Nile, senza far gridare allo scandalo) a dettare legge, ma spesso si incrementano i BPM, e il dancefloor diventa in più di una occasione terreno di gioco, mentre quell'aria da Club Tropicana che pare soffiare qua e là tra gli spifferi sintetici è un divertente diversivo, non il fulcro del discorso. Che resta, anche questa volta, la realizzazione di un pop di eccellente fattura. Contatti: thehuge.bandcamp.com/album/the-colossus-killed-the-giant Alessandro Besselva Averame Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 The Orange Beach Fuzz You! Second Shimmy Fondati nel 2005, gli Orange Beach di Paolo Broccoli (chitarra), Agostino Pagliaro (voce e basso) e Maurizio Conte (batteria e percussioni) arrivano a pubblicare un album di debutto dopo aver accumulato un paio di demo e varie esperienze dal vivo. Registrato nel 2008, “Fuzz You!” può contare sulla produzione, sul mixaggio e sulla masterizzazione di Kramer, proprietario dell’etichetta Shimmy nonché leggendario musicista newyorkese alle prese nella sua carriera con Butthole Surfers, Ween, Fugs e John Zorn oppure già in cabina di regia per gente come Galaxie 500, Low, White Zombie, Will Oldham e Daniel Johnston, senza dimenticare la canzone “Girl, You’ll Be A Woman Soon” degli Urge Overkill, riportata in auge grazie a “Pulp Fiction”. Il trio campano opta per una spumeggiante, ruvida ed elettricissima miscela di post punk, rock’n’roll, psichedelia e immaginario da colonne sonore, tanto che l’idea di base è che ciascuna delle quattordici tracce in scaletta accompagni le scene di un ideale lungometraggio. Ci si divide così tra schegge estremamente concise a episodi più articolati, tra canzoni vere e proprie (l’impetuosa “Hey! Oh! Eh!” d’apertura, il pop schizoide di “C Wha Wha”) e coinvolgenti strumentali (l’irresistibile “BdS (Bar del sole)”, una “I Talk To The Wine” vagamente alla Calibro 35, una “Country Billy 2” che a dispetto del titolo evoca un garage passato sotto acido, le malinconie finemente cesellate di una “Fairies Wear White Shoes” che sembra sorridere nel titolo ai Black Sabbath, le trame surf-jazzy di “Barbon”). Divertimento di grande spessore. Contatti: www.theorangebeach.net Elena Raugei Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 The Please E’Ltica – Sermon Your Nihilism Humans Fakes/Il Verso del Cinghiale Nell’ambito degli esordi interessanti, questo dei milanesi Please merita un posto particolare. La loro proposta, prende una strada diversa rispetto alle tendenze nostrane (sì, OK, qualunque cosa voglia dire) per avventurarsi in sentieri più di nicchia e personali. Le influenze citate nella loro pagina MySpace funzionano a meraviglia: The National, i Motorpsycho di "It’s a Love Cult", i Belle And Sebastian e qualunque cosa suoni “baroque & baritonal”. Io ci aggiungerei, giusto per dare altri due riferimenti a buon mercato, i Willard Grant Conspiracy e i Tindersticks. Chiaro che la band sia una grande ascoltatrice di musica – si nota nella proposta: "E’Ltica" ha il pregio di essere omogeneo pur attraverso uno spettro sonoro ampio (si va dal pop acustico a certi arrangiamenti “canadesi” senza apparire didascalici) – e abbia preso ogni suggestione sonore per arricchirsi e costruire canzoni di notevole respiro. Ottima anche la forma, oltre che la sostanza, il disco dura 40 minuti: né troppo – solitamente chi vuole “sparare alto” genera dei mattoni indigesti da più di un’ora – né troppo poco – non è Garage o rock’n’roll dove il meno è meglio – così da mantenere l’attenzione di chi ascolta e permettergli di entrare nel loro mondo sonoro. Capita, quindi, che a metà ascolto (il momento esatto in cui se il disco non vale, hai perso attenzione e vai col pilota automatico) ti fai prendere dalla ricchezza e potenza di "Clementine", di gran lunga la migliore canzone di un disco e una band da scoprire. Contatti: www.myspace.com/thepleaseplease Hamilton Santià Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 The Record's De fauna et flora Foolica Forse un giorno si arriverà a parlare anche di fuga dei cervelli in campo musicale. Per ora la fuga è soltanto spirituale, ma c'è da giurare che prima o poi sarà fisica. È forse il caso dei Record's, che dopo l'ottimo esordio di “Money's On Fire” escono con un album perfettamente inglese che meriterebbe di essere suonato là dove la genesi di un certo suono è avvenuta. I Beatles e i Kinks vengono fuori praticamente in ognuna delle tredici tracce di “De fauna et flora”. I Record's sono meno ruvidi dell'esordio ma più concentrati sull'arrangiamento e sulla costruzione di un suono che riviste come l'“NME” incenserebbero dalla mattina alla sera. C'è del moderno revival pop inglese da classifica in stile Artic Monkeys e affini (“I Love My Family), tratti da Franz Ferdinand raddolciti (“Call Of The Ice” e “Colossus”), un singolo che oltremanica potrebbe strappare le mutande a tutta una generazione di giovani ascoltatori come “We All Need To Be Alone”, e tracce beatlesiane evidenti (“Rodolfo” e “Turtles Will Mind Your Fate”). Pezzi scanzonati, ballate, ritmi in levare, arpeggi e singoli ballabili. Il tutto in una quarantina di minuti pregni d'Inghilterra dalla pronuncia quasi impeccabile. Un gruppo come i Record's in Italia lascia un po' il tempo che trova e forse ha poco senso. Buone recensioni, forse concerti superlativi, ma non è questo il suolo sul quale un suono del genere può esplodere o guadagnarsi un pubblico consistente. I Record's non sono fatti per suonare così da queste parti. E non è una cattiveria, tutt'altro. Contatti: www.myspace.com/therecordsrocks Marco Manicardi Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 UnePassante More Than One In Number Anna The Granny UnePassante è il progetto musicale di Giulia Sarno (voce e chitarra), supportata da Giulio Masi alle altre chitarre e al banjo, Michele Staino al contrabbasso e Simone Sfameli alla batteria e alle percussioni. A seguire l’EP “Enjoy The Road” del 2008, “More Than One In Number” è così il primo lavoro sulla lunga distanza per la cantautrice palermitana e i suoi sodali, che si sono occupati della produzione ancora una volta assieme a Gianmaria Ciabattari. Un lavoro per certi versi ambizioso, che oltrepassa l’ora di durata – in realtà, la conclusiva “Lampshade” occupa quasi metà del programma, inframezzata da uno spiritoso siparietto - articolandosi in dodici composizioni perfettamente in grado di sposare raffinatezza formale e buone melodie, cura artigianale e spirito contemporaneo. Del resto, l’apparato strumentale è ampio se i collaboratori coinvolti si distribuiscono fra archi (arrangiati da Gianluca Cangemi), fiati, kazoo africano, pianoforte, organo e Hammond. Tracce come l’iniziale “Wreckage” e “A une passante”, che tra l’altro si rifà nel testo a Charles Baudelaire, testimoniano padronanza nel miscelare pop, influenze jazzy e arrangiamenti cameristici, sicuramente complessi e non alla portata di tutti. Si punta in media alle atmosfere e ai dettagli in chiaroscuro piuttosto che alle tinte forti, sebbene la vivacità non venga mai meno (si senta la più tesa, programmatica “Emotional Countdown (To The Next Encounter)” o la stranita filastrocca “Bats Rats And Cats”). Lode infine alla splendida veste grafica del digipack, che contiene persino delle graziose illustrazioni. Contatti: www.unepassante.com Elena Raugei Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Unfolk The Venetian Book Of The Dead Diplodisc-Stella*Nera/Audioglobe Nato sull’asse Italia-Inghilterra, “The Venetian Book Of The Dead” è il frutto degli sforzi congiunti del produttore/musicista veneto Alessandro Monti e di Kevin Hewick, cantautore britannico che in passato ha fatto parte del roster di etichette storiche come Factory, Cherry Red e Les Disques Du Crepuscule. Affiancati da un discreto numero di collaboratori (tra cui segnaliamo Romina Salvadori, già voce degli estAsia), i due hanno dato vita a un concept album ispirato alle tante, troppe morti causate tra gli anni 70 e 80 nel Veneziano dalle scellerate politiche (anti)ambientali delle industrie petrolchimiche. Un atto di accusa importante dal punto di vista concettuale, certo, ma anche supportato da un notevole spessore artistico, che nell’arco di dieci canzoni vere e proprie e sei strumentali si snoda su intrecci elettroacustici oscuri e affascinanti, ballate a metà strada tra il folk e il pop-rock meno allineato, improvvisazioni di matrice ambiental-sperimentale e lievi manipolazioni elettroniche. Con raffinatezza plettri e archi si incontrano con batteria, percussioni ed effetti sintetici, mentre la voce disegna melodie malinconiche ma non troppo opprimenti, finendo per ricordare in certi frangenti David Sylvian. Un lavoro ambizioso, sicuramente, e forse un tantino troppo lungo, ma toccante e nel complesso pienamente riuscito; importante, sotto tutti i punti di vista. Contatti: www.myspace.com/unfolk Aurelio Pasini Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Aidoru Beba do Samba/Angelo Mai, Roma, 17/18 febbraio 2008 Sono passati per Roma il 17 e 18 febbraio gli Aidoru (si ricordi la rigorosa accentatura della prima vocale nella pronuncia del nome), proponendo due opere così lontane, ma allo stesso tempo così simili nella capacità di delineare, nell’ interpretazione emozionale e profonda compiuta dal gruppo, veri e propri paesaggi dell’anima. Arrivando dalla loro tournée promozionale del nuovo album “Songs – Landscapes” (Trovarobato/Audioglobe), partiti da Cesena, e in cammino per lo stivale, sono planati nei luoghi del Beba do Samba e dell’Angelo Mai. Hanno rotto il ghiaccio con la capitale proponendo il loro viaggio nel mondo di Stockhausen, che ha sorpreso il pubblico attento e selezionato che è intervenuto al Beba, situato nel quartiere di S. Lorenzo. Per interpretare il “Tierkreis” (Zodiaco) presenti sul palco Dario Giovannini (voce, chitarra), Diego Sapignoli (batteria, percussioni, campionamenti, glockenspiel, melodica, chitarra), Michele Bertoni (chitarra, basso, batteria). Dovendo fare a meno di una costola importante del gruppo per le due date: Mirko Abbondanza, e il suo basso. Non volendo pensare che potesse essere un handicap, ma uno spunto per dar sfogo alla loro creatività, gli Aidoru in trio hanno inserito nella loro strumentazione il vibrafono, in modo da avere una maggiore varietà timbrica, che si è subito fatta notare sul palco fin dalle prime note di “Aquarius”: viene infatti spiegato che, come da indicazione del maestro Stockhausen, la presentazione di “Tierkreis” dovrà sempre rispettare il calendario zodiacale. Dunque, febbraio = acquario, e via a procedere, fino a concludere il cerchio che riporterà questo viaggio astrale di nuovo all’inizio. Assorti e ispirati, i tre rispettano, zodiaco dopo zodiaco, quanto affermato: “Abbiamo scelto di lavorare sulle melodie di ‘Tierkreis’ perché hanno un sapore celeste e sospeso, sono libere ed estasianti...”. Il piccolo palco è tagliato dalle luci che vanno a illuminare gesti attenti, che, proponendone una versione rock-punk lunare, con momenti di quiete e accelerazioni improvvise, assolvono a quanto promesso. In attesa che esca l’album a ottobre per la Trovarobato/Audioglobe, arriva il bis della travolgente “Libra” (Bilancia) e un pezzo dal nuovo album, “Interludio”, che ci spinge a forza in altre dimensioni. E verso il live del giorno dopo nei pressi delle Terme di Caracalla, altri spazi temporali dove ha trovato finalmente posto il nuovo Angelo Mai, sfrattato nottetempo dal Rione Monti. Un grande capannone multiuso artistico, accanto a una casetta per il bere e mangiare, accoglie il nostro trio, sul palco pronto a lasciarsi andare di fronte a un pubblico di nuovo conquistato dalle esplosioni emotive del gruppo che con generosità non si tira indietro nel regalarci questo viaggio nel loro mondo personale. Occhi chiusi, presi dall’ispirazione, con amorevole attenzione consegnano un’ora di concerto che a tratti viene rotto dall’applauso sentito del pubblico, che in un dialogo silenzioso col gruppo, sente quando anche quel battito di mani fa parte davvero di quanto sta avvenendo. Non risparmiandosi, dopo l’ingresso iniziale d’acuto di Giovannini, alla voce e chitarra, Sapignoli avvolgendo la sua batteria, Bertoni alla chitarra e al live electronics, tutti dedicandosi a effetti distorcenti essenziali, procedono tra i brani di repertorio, concentrandosi in particolare sui 17 di “Songs - Landscapes”. Il pubblico, entusiasta, alla fine ringrazia con decisione. Giacomo d’Alelio Pagina 62 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Black Candy Kalinka Club, Carpi (MO), 12 febbraio 2010 Quando è stata diramata la notizia, mesi fa, di una reunion delle Black Candy per una notte soltanto, più d'una schiena, in tutta l'Emilia lungo il suo asse centrale d'asfalto, ha sentito un brivido d'eccitazione. E infatti il Kalinka è pieno di gente, gente che nei primi anni zero vedevi bazzicare per gli stessi posti, festival, locali e centri sociali. Tutto è già pronto per l'evento quando i Sumo riempiono l'aria di hardcore in salsa Washington DC. Non hanno mai registrato un pezzo, ma sono acclamati dalla folla, e Amarezza è il primo a scatenarsi davanti a loro cantando a squarciagola. Poi arrivano i Tunas e un garage da movimento del bacino e teste che sobbalzano. Quando appoggiano gli strumenti la calca sotto al palco diventa pressante. Mara, Alice e Amarezza imbracciano le armi e parte l'urlo della folla tra le loro scuse del tipo “Non sappiamo suonare, lo sapete, non abbiamo mai imparato, ma tanto tutte le reunion fanno cagare.” Così esordiscono e così suonano tutto il repertorio. Amarezza si divide tra una chitarra sguaiata che perde una corda dopo l'altra e una batteria suonata male coi nervi; Mara è subito alla batteria e poi al basso, fino a spaccarlo completamente, coi cavi elettrici che escono dal foro del jack; Alice è impostata e suona più o meno accordi maggiori e minori. E poi cantano. E il pubblico canta insieme a loro “Yr Medicine”, “Automatic Lock” e “Fucked Up Situation”. Scendono lacrime a fiotti per “Revolution Winter” e “Straight To Your Hands”. Cantano tutti e tre a rotazione, le Black Candy, mentre la sala si scalda sempre più per il sudore e l'affetto. Chiudono con “Christine” e un'improvvisata hip hop così tanto per fare. Poi cala il silenzio e, dopo venti minuti di applausi e di abbracci, i sorrisi non si contano, le pacche sulle spalle nemmeno, tutti a dire quanto erano belli i primi anni zero nella bassa modenese dei festival, i locali e i centri sociali, la Fooltribe e “Musica nelle Valli”. E le Black Candy tornano a sciogliersi, e noi ad attendere un altro brivido d'eccitazione lungo la schiena il giorno in cui decideranno di riunirsi ancora. Marco Manicardi Pagina 63 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '10 Eureka L’unione fa la forza, si dice. O, per lo meno, può aiutare a guadagnare un poco di visibilità, mai come oggi determinante per una band underground. Ecco allora che la Kandinsky Records e l’associazione BandSyndicate si sono unite per dar vita a “Eureka”, una collana di quattro EP dedicati ad altrettante realtà della loro città, Brescia, in vendita solamente ai concerti, su Internet e in qualche negozio selezionato. Andando in ordine alfabetico, ci sono gli Àltica, con la loro miscela di metal e post-core, i ruvidi Gli Eroi, i nervosi e rumorosi (e forse eccessivamente teatrali nella voce e nelle liriche) Fraulein Rottenmeier e Jet Set Roger, il più noto del lotto, con il suo rock-beat venato di glam. Ogni CD della serie, oltre a essere contenuto in un digipack dalla raffinata veste grafica, contiene cinque brani, finendo così per rappresentare un bel biglietto da visita per esperienze diverse qualitativamente e artisticamente e, allo stesso tempo, per una scena vitale e sfaccettata come quella della cittadina lombarda. Davvero una bella iniziativa, che non ci dispiacerebbe avesse un seguito. Contatti: www.kandinskirecords.com Aurelio Pasini Pagina 64 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it