GLI ANESTETICI NELLA STORIA DELLA FARMACOLOGIA Di Antonino Annetta Immaginiamo, solo per un attimo, di essere pazienti destinati ad un’operazione chirurgica nei primi anni del 1800: non esistendo non solo gli anestetici, ma il concetto stesso di anestesia, gli interventi chirurgici venivano eseguiti solo per casi d’emergenza, con un notevole incremento della mortalità. Alcuni mezzi, per tentare di alleviare il dolore durante un intervento chirurgico, erano noti fin dai tempi più antichi: l’alcol, l’hashisch e i derivati dell’oppio, mezzi fisici come gli impacchi di ghiaccio su un arto, l’uso di un laccio per renderlo ischemico oppure l’induzione di uno stato di incoscienza mediante un colpo inferto alla testa o lo pseudo strangolamento. Tuttavia, il metodo più comune consisteva nell’immobilizzare con la forza lo sfortunato paziente e, di conseguenza, appare chiaro come la chirurgia fosse considerata l’ultima risorsa prima della morte. Il protossido d’azoto venne sintetizzato da Priestley nel 1776, ma dovettero passare molti anni prima che ci si accorgesse delle sue potenzialità. Alla sua diffusione, come per quella dell’etere, contribuirono non poco i dentisti, in quanto erano i sanitari che entravano quotidianamente a diretto contatto con il dolore. Fu, infatti, un dentista, Horace Wells, che notò come uno dei suoi pazienti, sotto l’effetto del protossido d’azoto, era in grado di provocarsi lesioni senza sentire dolore. A seguito di tale osservazione Wells organizzò una dimostrazione presso il Massachusetts General Hospital, ma l’esperienza fu considerata un insuccesso poichè il paziente si lamentò molto durante l’operazione. Un amico e collega di Wells, nonché studente al secondo anno di medicina, William Morton, conoscendo queste osservazioni sul protossido d’azoto , saputo degli effetti anestetici dell’etere, pensò di fare un esperimento, che lo rese famoso in tutto il mondo. La dimostrazione di Morton può essere considerata la prima conferma pubblica sull’utilizzo dell’etere come anestetico chirurgico: era il 1846. La “camera operatoria” era la sala centrale del Massachusetts General Hospital, colma di spettatori, tutti scettici sul fatto che uno studente in medicina avesse trovato il modo per alleviare il dolore chirurgico. Il paziente si chiamava Gilbert Abbott, il chirurgo dottor Warren e all’evento erano presenti anche una decina di uomini molto robusti pronti ad immobilizzare il malato nel caso in cui il farmaco non avesse prodotto gli effetti sperati. Le condizioni di asepsi erano, ovviamente, totalmente sconosciute: il chirurgo attendeva il paziente vestito, non con camice e mascherine, ma in abito da sera, senza guanti e senza la minima cognizione dei rischi di un’infezione batterica. Morton arrivò all’appuntamento con un certo ritardo, tanto che il Dr. Warren stava apprestandosi ad operare il paziente con i metodi tradizionali. Morton fece inalare l’etere a Gilbert Abbot e, quando quest’ultimo perse i sensi, invitò il chirurgo ad eseguire l’intervento. Quando l’operazione fu terminata il Dr. Warren si rivolse alla platea, completamente attonita, e pronunciò la famosa frase: “Signori, non è inganno” ed un suo collega, che assisteva all’operazione, affermò: “Oggi ho visto qualcosa che farà il giro del mondo”. Nonostante questo successo la vita di coloro che avevano cambiato la storia della chirurgia non fu felice: Morton, dopo aver tentato inutilmente, di brevettare l’uso dell’etere come anestetico, morì in solitudine e anche Wells, morì di stenti in preda a confusione mentale. La strada dell’anestesia chirurgica era, però, tracciata e, sebbene ai giorni nostri venga raramente impiegato, l’etere rappresentò, senza dubbio, il primo anestetico ideale: relativamente semplice da somministrare, a differenza del protossido d’azoto, è potente e, quindi, piccoli volumi possono produrre effetti anestetici senza diminuire la concentrazione di ossigeno nell’aria fino a livelli ipossici. Inoltre, è in grado di mantenere normali, sia la funzione respiratoria che quella circolatoria, proprietà molto importanti in tempi in cui la fisiologia umana non era ben conosciuta. Infine, l’etere non aveva effetti tossici sugli organi vitali. L’altro anestetico che ebbe un enorme successo fu il cloroformio, introdotto in terapia nel 1847 dall’ostetrico scozzese James Simpson e trovò immediatamente largo impiego anche per il suo gradevole profumo e grazie alla mancanza di infiammabilità. Il cloroformio venne impiegato per oltre un secolo, nonostante i suoi effetti tossici a livello epatico e la sua azione depressiva a livello cardiovascolare che provocavano una elevata mortalità intraoperatoria e postoperatoria. Per quanto riguarda il protossido d’azoto esso cadde in disuso, dopo la dimostrazione del 1846 e il sui impiego venne reintrodotto alla fine del 1800 miscelato con ossigeno. Nel 1929 vennero scoperte, casualmente, le proprietà anestetiche del ciclopropano da alcuni chimici che erano intenti ad analizzare le impurità di un suo analogo, il propilene. A metà degli anni ’30 il farmaco fu introdotto in terapia e rappresentò, per molti anni, l’anestetico generale più ampiamente utilizzato anche se il rischio di provocare esplosioni in sala operatoria dovute all’utilizzo di sostanze elettriche, indussero i ricercatori a studiare nuove molecole. Nel 1956 fu introdotto, nella pratica clinica l’alotano, un anestetico non infiammabile che rivoluzionò il settore degli anestetici per inalazione. La maggior parte degli anestetici più recenti è stata creata prendendo come modello l’alotano.