147-Vini_Natura 03/06/14 12.58 Pagina 2 E N O N A U T A L E F A M I G L I E D E L V I N O Riluce di Giorgio Mercandelli a Canneto Pavese Il vino rapito dalla luce Mirella Vilardi ffascina Giorgio Mercandelli quando parla dei suoi vini. Nella sua esposizione non cita profumi di mora o lamponi, non rimanda a sentori di minerali, non mostra trasparenze o sfumature di colori ed ogni linguaggio codificato per addetti ai lavori e non, sembra ormai obsoleto; di certo quello non è sufficiente per raccontare i vini di Riluce, la sua cantina. A bbiamo sentito ripetere, al consiglio regionale dell’Onav che, chi vende vino, vende molto di più di un semplice alimento o di una semplice bevanda piacevole. Ci si riferiva al ribadito concetto che dentro una bottiglia di A vino, nei suoi colori, nei profumi, nella struttura, c’è tutto un mondo di uomini e terre, un “paesaggio liquido”, si è detto. Poi c’è stato un giorno, a Mazzon in Alto Adige, in cui, nelle vigne di Pinot Nero, in un momento preciso del mez- Sopra: Giorgio Mercandelli zogiorno, ha cominciato a soffiare con levità Ora. Un vento, una brezza, che come una divinità mitologica, arriva ogni giorno dal fondovalle e accarezza viti, OLTRE 147 147-Vini_Natura 03/06/14 12.58 Pagina 3 pampini e grappoli, fino al tramonto. Una conferma alla teoria del “vendere ben altro”. Nelle bottiglie di Pinot altoatesine, vive quel respiro fresco e suadente, benevolo, che rende l’espressione del vitigno diversa da ogni altra di ogni altra zona. Da un incontro con Giorgio Mercandelli apprendiamo che lui, insieme alle sue belle, eleganti, bottiglie, vende un concetto filosofico. Principi che rispondono alle teorie della filosofia biotica. “La filosofia biotica valorizza la natura e le potenzialità delle piante, rispondenti ai pensieri ed alle azioni delle persone che le curano, per conservare l’espressione più pura ed esclusiva del loro intimo rapporto con le forze produttrici e trasformatrici dei frutti: la Terra, il Cielo e l’Uomo. Una pratica che considera l’agricoltura naturale un’arte capace di trasmutare il senso della natura in un vino che sollecita gli uomini con l’armonia del gusto, facendo qualcosa di buono e di sano per il Mondo”. Giorgio Mercandelli è convincente quando parla, si esprime con l’abilità di chi ha molto pensato e rende concetti non campati in aria ma precisi e percepibili. Riluce, si chiama la sua azienda con sede a Canneto 147 OLTRE 79 147-Vini_Natura 03/06/14 12.58 Pagina 4 Pavese, culla della viticoltura oltrepadana. Riluce perché, dice “Il vino biotico conserva la Luce necessaria a ritrovare le limpide fonti dell’esistenza perché crea un campo di esperienza, tra fatti biologici e spirituali, che collega le immagini della coscienza ai contenuti dell’inconscio. Riluce trasmuta la luminosa purezza dei frutti in un vino che, dalla morte materiale del frutto, rinasce purificato nella sua stessa essenza per conservare le armoniose frequenze della natura in una sostanza, sensibile e pura, che pervade l’educazione, i sentimenti e l’intelligenza anche col suono ed il colore di ogni etichetta”. A - E - I - O - U; Rosso Giallo - Verde - Blu - Viola. Ad ogni vocale (le cinque forze originarie del linguaggio che, nella fonetica, fuoriescono in manie80 Sopra: “U”, anno 2007 Cantina Riluce ra libera attraverso la bocca e il naso, articolate senza alcuna chiusura o costrizione), un colore che è la luce riflessa dagli oggetti e percepita dall’occhio. L’associazione fra vocali e colori è una ricerca che va oltre il paradigma intuito da Rimbaud, vuole attingere al senso primordiale della vita, della luce, appunto. A-Rosso forza e sicurezza, E-Giallo spinge al movimento, ad una condizione di libertà ed auto sviluppo, I-Verde solidità, stabilità, equilibrio, valori che non mutano. Con la O-Blu e la U-Viola, si va verso valori più spirituali, la calma, la concentrazione dell’uno, scivola nella forza della metamorfosi dell’altro. Né può passare inosservato il cerchio nel quale le lettere sono inserite, simbolo dell’eterno moto dello spirito. E via dicendo, l’intensità delle etichette, che da sole bastano a catturare interesse e immaginazione, è arricchita dalla scritta in braille capace di allertare anche il tatto, stuzzicando tutti i sensi, proprio tutti, nella comprensione di bottiglie che è riduttivo chiamare bottiglie di vino. Certo, l’approccio alla degustazione, non è dei più semplici. Difficile risulta l’accantonare quanto si è appreso sul suo divenire, sulle vigne abbandonate, figlie di lembi di terra fagocitati dalla vegetazione, sulle cure loro elargite solo dalla mano dell’uomo e dagli agenti atmosferici, sulla voluta non dichiarazione del vitigno (dice Giorgio: “Il vitigno non ha importanza, è solo un mezzo che permette, ad un preciso momento storico di precise zolle, di rivelare la propria essenza vitale”). Difficile è anche rinunciare ai vizi delle degustazioni, alla ricerca di sentori floreali, fruttati, speziati, terziari evoluti che, afferma Giorgio Mercandelli, non solo sono molto personali, rimandano a ricordi olfattivi spesso affettivi del degustatore, ma nulla spiegano del vino stesso. In quanti vini rossi si avvertono profumi di frutti di bosco? Può questo dettaglio veramente fornire indizi sulla bevanda nel bicchiere, sulla sua storia, sulla sua provenienza? Secondo la filosofia biotica che l’autore di Riluce ha sposato, il vino dev’essere un’esperienza interiore, capace di trasformare il momento in cui si degusta in cambiamento, in pensiero, in racconto di un terroir, in consapevolezza di un gesto antico quanto l’uomo. La fermentazione è un processo che riporta in vita, trasformandola, la materia morta. Inerte, come i grappoli staccati dalla pianta. E da qui il non senso del sapere quale vitigno fosse, quale uva. In quegli acini si è concentrata l’energia di un luogo, di un clima, di un uomo che ne ha seguito il divenire. E attraverso l’alchimia della trasformazione insita in tutto quanto appartiene alla terra, diventeranno altro, renderanno la luce di cui si sono nutriti. Non è semplice accostarsi alla degustazione di questo vino. Impegnativo come un raduno di preghiera, a interrogarsi sulle forze evolutrici che regolano i processi della vita. Allora l’abbiamo versato in un decanter, come l’etichetta suggerisce. Abbiamo atteso che il liquido rosso cupo, quasi pece, si scrollasse di dosso la solitudine di anni in bottiglia e riprendesse contatto con l’ossigeno, con la vita e gli umori intorno. Piano piano si è aperto, abbandonando quel senso di chiusura che era quasi reciproca diffidenza. Poi, al primo sorso si è rivelato in tutto il suo grandioso equilibrio. Caldo, avvolgente, luminoso. Mirella Vilardi OLTRE 147