rapito dalla luce

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E N O N A U T A
L E
F A M I G L I E
D E L
V I N O
Riluce di Giorgio Mercandelli
a Canneto Pavese
Il vino
rapito dalla luce
Mirella Vilardi
ffascina Giorgio Mercandelli quando parla dei suoi vini.
Nella sua esposizione non cita profumi di mora o lamponi,
non rimanda a sentori di minerali, non mostra trasparenze
o sfumature di colori ed ogni linguaggio codificato per addetti ai lavori e non, sembra ormai obsoleto; di certo quello
non è sufficiente per raccontare i vini di Riluce, la sua cantina.
A
bbiamo sentito ripetere, al consiglio regionale dell’Onav che, chi
vende vino, vende molto
di più di un semplice alimento o di una semplice
bevanda piacevole. Ci si riferiva al ribadito concetto
che dentro una bottiglia di
A
vino, nei suoi colori, nei
profumi, nella struttura,
c’è tutto un mondo di uomini e terre, un “paesaggio
liquido”, si è detto. Poi c’è
stato un giorno, a Mazzon
in Alto Adige, in cui, nelle
vigne di Pinot Nero, in un
momento preciso del mez-
Sopra:
Giorgio Mercandelli
zogiorno, ha cominciato a
soffiare con levità Ora. Un
vento, una brezza, che come una divinità mitologica, arriva ogni giorno dal
fondovalle e accarezza viti,
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pampini e grappoli, fino al
tramonto. Una conferma
alla teoria del “vendere ben
altro”. Nelle bottiglie di Pinot altoatesine, vive quel
respiro fresco e suadente,
benevolo, che rende l’espressione del vitigno diversa da ogni altra di ogni
altra zona.
Da un incontro con Giorgio Mercandelli apprendiamo che lui, insieme alle
sue belle, eleganti, bottiglie, vende un concetto filosofico. Principi che rispondono alle teorie della
filosofia biotica.
“La filosofia biotica valorizza la natura e le potenzialità delle piante, rispondenti ai pensieri ed alle azioni delle persone che le
curano, per conservare l’espressione più pura ed esclusiva del loro intimo
rapporto con le forze produttrici e trasformatrici dei
frutti: la Terra, il Cielo e
l’Uomo.
Una pratica che considera
l’agricoltura naturale
un’arte
capace
di
trasmutare il senso della natura in un vino che sollecita
gli uomini con l’armonia
del gusto, facendo qualcosa
di buono e di sano per il
Mondo”.
Giorgio Mercandelli è convincente quando parla, si
esprime con l’abilità di chi
ha molto pensato e rende
concetti non campati in aria ma precisi e percepibili.
Riluce, si chiama la sua azienda con sede a Canneto
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Pavese, culla della viticoltura oltrepadana. Riluce
perché, dice “Il vino biotico conserva la Luce necessaria a ritrovare le limpide
fonti dell’esistenza perché
crea un campo di esperienza, tra fatti biologici e spirituali, che collega le immagini della coscienza ai
contenuti dell’inconscio.
Riluce trasmuta la luminosa purezza dei frutti in un
vino che, dalla morte materiale del frutto, rinasce
purificato nella sua stessa
essenza per conservare le
armoniose frequenze della
natura in una sostanza,
sensibile e pura, che pervade l’educazione, i sentimenti e l’intelligenza anche col suono ed il colore
di ogni etichetta”.
A - E - I - O - U; Rosso Giallo - Verde - Blu - Viola. Ad ogni vocale (le cinque forze originarie del
linguaggio che, nella fonetica, fuoriescono in manie80
Sopra:
“U”, anno 2007
Cantina Riluce
ra libera attraverso la bocca e il naso, articolate senza alcuna chiusura o costrizione), un colore che è
la luce riflessa dagli oggetti
e percepita dall’occhio.
L’associazione fra vocali e
colori è una ricerca che va
oltre il paradigma intuito
da Rimbaud, vuole attingere al senso primordiale
della vita, della luce, appunto.
A-Rosso forza e sicurezza,
E-Giallo spinge al movimento, ad una condizione
di libertà ed auto sviluppo,
I-Verde solidità, stabilità,
equilibrio, valori che non
mutano. Con la O-Blu e la
U-Viola, si va verso valori
più spirituali, la calma, la
concentrazione dell’uno,
scivola nella forza della metamorfosi dell’altro. Né
può passare inosservato il
cerchio nel quale le lettere
sono inserite, simbolo dell’eterno moto dello spirito.
E via dicendo, l’intensità
delle etichette, che da sole
bastano a catturare interesse e immaginazione, è arricchita dalla scritta in
braille capace di allertare
anche il tatto, stuzzicando
tutti i sensi, proprio tutti,
nella comprensione di bottiglie che è riduttivo chiamare bottiglie di vino.
Certo, l’approccio alla degustazione, non è dei più
semplici. Difficile risulta
l’accantonare quanto si è
appreso sul suo divenire,
sulle vigne abbandonate, figlie di lembi di terra fagocitati dalla vegetazione, sulle
cure loro elargite solo dalla
mano dell’uomo e dagli agenti atmosferici, sulla voluta non dichiarazione del
vitigno (dice Giorgio: “Il
vitigno non ha importanza,
è solo un mezzo che permette, ad un preciso momento storico di precise
zolle, di rivelare la propria
essenza vitale”).
Difficile è anche rinunciare
ai vizi delle degustazioni,
alla ricerca di sentori floreali, fruttati, speziati, terziari
evoluti che, afferma Giorgio Mercandelli, non solo
sono molto personali, rimandano a ricordi olfattivi
spesso affettivi del degustatore, ma nulla spiegano del
vino stesso. In quanti vini
rossi si avvertono profumi
di frutti di bosco? Può questo dettaglio veramente fornire indizi sulla bevanda
nel bicchiere, sulla sua storia, sulla sua provenienza?
Secondo la filosofia biotica
che l’autore di Riluce ha
sposato, il vino dev’essere
un’esperienza interiore, capace di trasformare il momento in cui si degusta in
cambiamento, in pensiero,
in racconto di un terroir, in
consapevolezza di un gesto
antico quanto l’uomo. La
fermentazione è un processo che riporta in vita, trasformandola, la materia
morta. Inerte, come i grappoli staccati dalla pianta. E
da qui il non senso del sapere quale vitigno fosse,
quale uva. In quegli acini si
è concentrata l’energia di
un luogo, di un clima, di
un uomo che ne ha seguito
il divenire. E attraverso l’alchimia della trasformazione
insita in tutto quanto appartiene alla terra, diventeranno altro, renderanno la
luce di cui si sono nutriti.
Non è semplice accostarsi
alla degustazione di questo
vino. Impegnativo come
un raduno di preghiera, a
interrogarsi sulle forze evolutrici che regolano i processi della vita.
Allora l’abbiamo versato in
un decanter, come l’etichetta suggerisce. Abbiamo
atteso che il liquido rosso
cupo, quasi pece, si scrollasse di dosso la solitudine
di anni in bottiglia e riprendesse contatto con
l’ossigeno, con la vita e gli
umori intorno. Piano piano si è aperto, abbandonando quel senso di chiusura che era quasi reciproca
diffidenza. Poi, al primo
sorso si è rivelato in tutto il
suo grandioso equilibrio.
Caldo, avvolgente, luminoso.
Mirella Vilardi
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