Farmaci per la riduzione del peso: una via percorribile o una

Farmaci per la riduzione del peso: una via percorribile o una
scorciatoia pericolosa?
Di fronte ad un aumento del peso corporeo indotto, con tutta evidenza, da una distimia
nei confronti dell’alimentazione, è purtroppo più facile cercare scorciatoie anziché
puntare ad una modifica radicale delle proprie abitudini alimentari e dello stile di vita. Il
problema centrale è rappresentato dalle cosiddette “scorciatoie”, vale a dire quegli
operatori sanitari e non che, incuranti dei pericoli a cui espongono i pazienti, prescrivono
farmaci “proibiti”, ritirati dal commercio; cercano, in altre parole, risultati facili e ancor
più facili profitti
Quali sono – per entrare nel merito - i limiti di confine tra un peso normale, un
sovrappeso e una franca obesità?
Evidentemente non ci si può riferire ad un peso in assoluto, bensì all’Indice di massa
corporea (BMI) che si esprime in Kg/m2:
NORMALE:18.5-24.9
SOVRAPPESO: 25.0-29.9
OBESO: maggiore o uguale a 30.
Le caratteristiche della persona in sovrappeso o obesa sono due:
1) aumento di assunzione di calorie;
2) riduzione del consumo energetico.
Le complicanze dell’obesità sono le seguenti :
1) diabete. Un BMI maggiore o uguale a 27 Kg/m2 e’ un fattore di rischio maggiore per
lo sviluppo di un diabete mellito tipo II. Per un uomo o una donna di 60 anni che ha un
BMI tra 33 e 34,9 il rischio e’ pari al 54% , per passare al 93% oltre i 35 di BMI (Colditz
1995);
2) dislipidemia. Un incremento di peso sostanzialmente comporta un incremento del
rischio di ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e dislipidemia mista;
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3) CHD (coronary heart disease). Le donne che presentano obesità hanno un
incremento del rischio del 22% di sviluppare una cardiopatia coronarica.
Esiste anche anche un rapporto positivo tra obesità e cancro. Per un body mass index
(BMI) tra 18,5 e 24,9 il rischio di morte per tumore sia nell’uomo che nella donna è pari
all’1%. Per un BMI tra 35.0 e 39.9 il rischio si attesta all’1,3% per lievitare all’1,5%
quando il BMI è superiore a 40, con una incidenza lievemente superiore nel sesso
femminile.
I farmaci antiobesità agiscono sostanzialmente con due meccanismi:
1) riducono l’assunzione di calorie;
2) aumentano il consumo energetico.
Il primo meccanismo è perseguito attraverso la riduzione della fame, l’aumento (e
l’anticipo) del senso di sazietà, l’abbassamento dell’indice di preferenza per grassi e
carboidrati ed infine la riduzione dell’assorbimento intestinale. Per tale obiettivo sono
utilizzati farmaci appartenenti alla categoria dei “noradrenergici”. Si tratta di derivati
della fenietilamina. I principali sono:
1) epinefrina;
2) norepinefrina;
3) dopamina;
4) tiramina;
5) anfetamina;
6) metanfetamina;
7) benzfetamina;
8) efedrina;
9) fenilpropanolamina;
10) mefentermina;
11) fentermina;
12) fenfluramina;
13) propilexedrina.
Il meccanismo di queste sostanze, a livello del Sistema Nervoso Centrale, può essere ad
azione indiretta, in quanto il farmaco aumenta la liberazione della noradrenalina dalle
vescicole delle cellule nervose, ad azione diretta, in quanto attiva il recettore direttamente
a livello della cellula bersaglio postsinaptica, o ad azione mista.
Le caratteristiche sono rappresentate da un aumento dello stato di veglia, da un elevato
potenziale di abuso e da un’efficacia clinica di breve durata per lo sviluppo di tolleranza.
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Gli effetti collaterali sono rappresentati da insonnia, secchezza delle fauci, stipsi,
palpitazioni, ipertensione; per la fenilpropanolamina è stato documentato un aumento
dell’incidenza di ictus che non può propriamente essere definito un semplice “effetto
collaterale”.
Oltre agli effetti centrali, la noradrenalina e quindi anche i farmaci noradrenergici
presentano alcuni effetti periferici che spiegano la solo apparente varietà dei cosiddetti
“effetti collaterali”. A livello del cuore ha una azione inotropa positiva (aumento della
contrattilità miocardica), cronotropa positiva (aumento della frequenza cardiaca); si
determina in questo modo un aumento del consumo di ossigeno a livello miocardico con
possibilità di insorgenza di angina pectoris o infarto miocardico. A livello dei vasi
periferici stimola i recettori alfa 1 con vasocostrizione cutanea e renale : la conseguenza è
un aumento della pressione arteriosa, dell’incidenza di TIA ( attacco ischemico
transitorio cerebrale) e di ictus.
Infine i farmaci noradrenergici hanno anche un effetto di attivazione metabolica,
determinando iperglicemia e lipolisi.
Un’altra classe di farmaci anoressanti è rappresentata dai “Serotonergici”, due dei quali,
la fenfluramina e la dexfenfluramina (anche in associazione con la fentermina), hanno
dimostrato un’efficacia a lungo termine a prezzo di gravissimi effetti sfavorevoli che ne
hanno provocato il ritiro dal commercio: ipertensione polmonare non reversibile neanche
dopo la sospensione del farmaco e alterazioni valvolari cardiache. Altri farmaci
serotonergici, che vengono utilizzati in primo luogo come antidepressivi, sono la
fluoxetina e la sertralina: la loro efficacia come anoressizzanti è però di breve durata.
Un discorso a parte merita la sibutramina noradrenergico-serotonergico che inibisce la
ricaptazione (“reuptake” ) della noradrenalina e della 5-idrossitriptamina (5-HT).
Utilizzata con un dosaggio variabile tra 5 mg e 15 mg, le sono stati associati, quali effetti
collaterali, cefalea, secchezza delle fauci, insonnia, stipsi. Soprattutto è stato documentato
un aumento della pressione arteriosa sisto-diastolica, della frequenza cardiaca e
dell’incidenza di ictus ed infarto. Pertanto, tenuto conto della bilancia rischi-benefici
sfavorevole, è stata anch’essa ritirata dal commercio.
L’Orlistat viene utilizzato alla dose di 120 mg tre volte al dì, è privo di effetti collaterali
a carico dell’ apparato cardiovascolare e sul Sistema Nervoso Centrale. Ha una azione
locale, nel senso che determina una riduzione dell’assorbimento dei grassi, ma anche
delle vitamine liposolubili che devono essere assunte a distanza dei pasti al fine di
prevenire eventuali ipovitaminosi. Gli effetti sfavorevoli sono rappresentati da steatorrea,
crampi, incontinenza e dalla possibile insorgenza di tolleranza in caso di uso prolungato.
Il farmaco richiede, con tutta evidenza, un adattamento dietetico e determina un
aumento del consumo di carboidrati.
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Il Rimonabant antagonista del CB1 degli endocannabinoidi ha una duplice azione, a
livello del Sistema Nervoso Centrale nel senso che riduce l’euforia da cibo e periferica
sugli adipociti e sul tratto gastrointestinale. Oltre agli effetti sfavorevoli rappresentati da
nausea e diarrea, il farmaco, alla dose di 20 mg./dì, ha determinato un aumento dell’ansia
e della depressione e soprattutto un aumento del numero dei suicidi, eventi psichiatrici,
eventi neurologici e crisi convulsive per cui è stato ritirato dal commercio.
L’ultimo gruppo di sostanze utilizzate per tentare di contenere e ridurre il peso corporeo
è assai eterogeneo e comprende farmaci “off label”, integratori, droghe vegetali e
cocktail.Il denominatore comune di queste sostanze è rappresentato dalle insufficienti
prove controllate riguardo all’efficacia clinica, alla sicurezza e alla tolleranza. In altri
termini non c’è nessuna prova che esse siano realmente efficaci, e quel che è peggio, non
c’è neanche nessuna prova della loro reale innocuità. A rendere più complicato il quadro
è la variazione, anche significativa, nel contenuto in principi attivi di prodotti in
apparenza analoghi, la presenza di più principi attivi nello stesso prodotto, che a fronte di
una dichiarata (ma non dimostrata) maggiore efficacia di azione, certamente aumenta la
possibilità di interazioni sfavorevoli.
I farmaci “off label” sono i seguenti:
1) bupropione;
2) metformina;
3) acarbosio;
4) cimetidina;
5) diazossido;
6) bromocriptina;
7) topiramato;
8) zonisamide;
9) felbamato.
Il gruppo degli integratori–farmaci da banco comprende:
1) chitosano;
2) cromo picolinato;
3) deidroepiandrosterone;
4) piruvato;
5) creatina;
6) acido linoleico coniugato;
7) oleoylestrone;
8) aspirina.
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Infine le droghe vegetali e derivati comprendono:
1) fibre alimentari;
2) nicotina;
3) Guaranà, mate, caffeina;
4) Esedra (anche in associazione con caffeina e aspirina);
5) Garcinia Cambogia;
6) Tè verde;
7) Cannella, ginger, cayenne, mostarda, spirulina.
Altre sostanze sono attualmente allo studio come la leptina, per la modulazione
neuroendocrina dell’appetito, gli inibitori della tirosina fosfatasi, la categoria degli
ormoni gastrointestinali, che comprende a sua volta gli agonisti anoressizzanti (amilina,
PYY (3-36), GLP-1, Exenatide, colecistochinina e gli antagonisti di oressizzanti che
comprendono gli antagonisti della ghrelina e un prodotto per il momento contrassegnato
con la sigla PYY (1-36). Infine un’altra categoria è rappresentata dagli analoghi neuro
peptidi che comprendono a loro volta gli agonisti anoressizzanti (alfa MSH e il fattore
neurotrofico ciliare) e gli antagonisti oressizzanti (neuro peptide Y, neuro peptide YY (136), l’orexina e una sostanza contrassegnata con la sigla MCH).
Umberto Piccone
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