Processo di migrazione in Italia e nel sandonatese

IL PROCESSO DI MIGRAZIONE IN ITALIA E NEL SANDONATESE
Il nostro territorio (come altri) del VENETO ORIENTALE è stato da sempre luogo di passaggio
e di migrazione di popoli e di razze, di eserciti e di commercianti, di artigiani e di contadini. Ci
sono state ondate diverse sia di emigrazione, sia più rare di immigrazione, specie nel periodo
della Bonifica.
“Il termine migrazione designa lo spostamento, da un luogo ad un altro di un popolo, di una
nazione, di una tribù o di un insieme considerevole di famiglie o di persone. In senso più ampio
può essere inteso come passaggio da un luogo ad un altro in seguito all’acquisto o alla perdita
di quei caratteri, che non risultano direttamente connessi alle persone. Si parla così di
migrazioni professionali e sociali, favorite e organizzate dalla stato, determinate da crisi
economiche e condizioni di vita... Questo concetto implica nella sua accezione proprio
l’abbandono, per un periodo sufficientemente lungo, del luogo di nascita e di immigrazione,
esso perciò va distinto da movimenti di popolazione comportanti un breve periodo di assenza
per ragioni di svago e di affari ecc. Va differenziato anche dall’idea di “esodo”, che caratterizza
il movimento di intere popolazioni, per cause ad esempio belliche, imposizione di governi,
modifiche estese del territorio ecc. IL concetto non coincide neppure con quello di
“colonizzazione” , che ha lo scopo di costituire un insediamento politico e sociale in un altro
paese conquistato, magari con la violenza. La migrazione caratterizza un fenomeno di
spostamento gregario e di massa, mentre l’imposizione e la necessità uno spostamento
familiare o individuale, inoltre c’è una differenza fra le due dovuta alle cause, che presentano gli
elementi positivi o negativi del fenomeno. Secondo la direzione del movimento e in riferimento
del luogo di origine o di arrivo, si impiegano i termini di EMIGRAZIONE e di IMMIGRAZIONE.
Ci sono anche le emigrazioni costrette e obbligate da un paese, che diventano immigrazioni in
un paese colonizzato, organizzate e previste con progetti statali, dettate dalla crescita
demografica o dalla miseria e mancanza di lavoro, per crisi economiche dopo le guerre, i
fenomeni di cambio di indirizzo industriale e lavorativo di intere regioni o, appunto, dettate
dall’idea di colonizzazione e costruzione dell’Impero altrove, con la convinzione di avere una
“civiltà da esportare, una superiorità di nozioni e conoscenze da imporre e guidare (pretesa di
organizzazione dei lavori agricoli, edili, stradali, di assetto del territorio e anche per collocare
fuori del proprio territorio lavori “sporchi” (pellame), inquinanti, a rischio e quindi rifiutati il loco.
Rispetto al luogo di provenienza e di distinzione, si parla di migrazione “interna”, se non si
valicano i confini dello Stato ed “esterna o interstatale (internazionale)” se si valicano. Le prime
si sottodistinguono per succesive scomposizioni in minime unità geografico - amministrative del
territorio nazionale “interregionali, interprovinciali, intercomunali, traslochi; le seconde in
“intercontinentali e transoceaniche”. ... Sono emersi alcuni vocaboli tipici della DEMOGRAFIA,
cioè della scienza che studia la struttura, i movimenti e la dinamica della popolazione. Tra
questi è bene chiarire il significato di “saldo migratorio”, che avviene in periodi diversi: esso è
la differenza che risulta tra gli immigrati e gli emigrati presi in considerazione in dato territorio.
Se il numero degli emigrati è superiore all’altro dato, si avrà un saldo migratorio negativo; nel
caso contrario il saldo sarà positivo. Altra termine significativo è “movimento naturale” o
“crescita e decrescita naturale” della popolazione. Esso è dato dal rapporto tra nati vivi e i morti,
dal loro saldo o differenza statistica (ivi pag. 11 rif. bibliografico n. 4).
A. EMIGRAZIONE ALL’ESTERO
1. Nell’ Ottocento e con il Regno d’Italia, fino alla Ia Guerra mondiale (Vicende: Famiglia
Rossanese e lo stesso nonno di san Pio X°, da Riese a Belo Orizonte (1840); Famiglia Ruffato
da Camposampiero (Fratte) a San Paolo (Campinas /Bra 1880) e poi ritorno in Italia nel 1903.
Dalla origine del Regno d’Italia nel 1870 e nei primi anni di organizzazione dello steso si
hanno fenomeni di emigrazione, sia stagionale nei paesi limitrofi Germania, Austria, Svizzera,
1
Francia, ma si hanno anche ondate di spostamenti molto consistenti di popolazione per le gravi
condizioni di vita da noi.
Nel 1887 “uno sciame di agenti di emigrazione” prospettano la possibilità di una vita meno
stentata in Brasile: “per la prima volta il contadino lasciò il suolo natio con le lacrime agli occhi
e lo strazio in cuore, certo di non poter vivere in patria e poco sicuro di trovare nel Brasile di che
sfamarsi. Il numero di emigrati oltreoceano fu di 830; negli anni successivi è salito a 2800, dei
quali soltanto un terzo oggi è rimpatriato. Avvenne quindi che la popolazione del Comune, la
quale nel 1887 contava 9.000 abitanti, per 12 anni rimase inferiore a questa cifra. Alla
emigrazione oltreoceanica successe quella temporanea d’oltr’alpe, dove i nostri contadini
trovano da far bene, e così il problema dell’esuberanza di braccia da lavoro fu risolto con la più
viva compiacenza dei possidenti, che cantarono l’antica antifona: “l’emigrazione è la valvola di
sicurezza nei paesi dove la popolazione cresce a dismisura!”. (“L’emigrazione d’oltr’alpe ha
continuato a rendere il contadino più vizioso” scrive lui). Nel 1907, quando il Plateo scrive: “San
Donà aveva almeno 2000 concittadini in Brasile e altrove, sugli 11.593 residenti” (Cfr.
Teodegisillo Plateo ivi pag. 163 e 166).
“Insieme all’intensificata circolazione di merci ed all’unificazione del mercato su scala
mondiale, uno degli aspetti più caratteristici dell’epoca della grande industrializzazione, fu la
emigrazione di grandi masse umane: Il fenomeno dell’emigrazione dall’Europa verso altri
continenti è stato un dato costante in tutta l’età moderna. Fin dall’inizio del ‘600 gruppi di
emigrazione, relativamente esigui (anche gruppi religiosi minoritari e perseguitati) nel corso di 3
secoli avevano dato vita ad insediamenti di popolazioni europee specialmente nelle colonie
americane. IL flusso migratorio era cresciuto a partire dai primi anni dell’’800, alimentato
soprattutto da inglesi e irlandesi, che le trasformazioni nelle campagne, che coincidevano con
l’industrializzazione o le crisi agricole, in corrispondenza delle occupazioni delle colonie, che
offrivano spazi e speranze di libertà, indussero molti ad espatriare, anche dal nostro territorio
(per la coltivazione del caffè e del cotone). Tra il 1880 e il 1914 l’ondata migratoria raggiunse
proporzioni mai prima toccate, avendo come punto di partenza le zone sottosviluppate
dell’Europa (specialmente i paesi Balcani, l’Italia meridionale e l’Europa Orientale) e come
punto di attrazione gli Stati Uniti e in misura molto minore L’America Latina (Brasile, Argentina).
Soltanto negli Stati Uniti vi furono in quel periodo 17 milioni di immigrati, di cui 15 milioni vi si
insediarono stabilmente. Erano in grande maggioranza contadini poveri e analfabeti (4 milioni
provenienti dall’Italia) attratti dalla propaganda di autentici “mercanti di schiavi” e dalla speranza
di migliorare le condizioni di miseria e di fame. Essi furono impiegati nei lavori stradali e
ferroviari e nell’industria edilizia, in un momento in cui la richiesta di manodopera in quei settori
dell’economia americana era enorme; mentre nel Sud America il lavoro era nelle campagne e
nelle colture di cotone e di caffè, dopo l’abolizione della schiavito indios e nera. Nel nostro
ambiente sono partiti interi nuclei familiari, le cui vicende sono legate al declino della
Serenissima e all’abbandono delle terre della terraferma contadina, dove vigeva una cultura
arcaica e feudale... Nel quadro di una economia capitalistica, che aveva acquistato dimensioni
mondiali e che era dominata dalle grandi industrie, queste fornirono alle fabbriche la maggior
parte o le sole materie prime, di cui disponevano in abbondanza e che potevano utilizzare: la
manodopera. Analoghe tendenze si manifestavano allora anche all’interno del continente
europeo, seppure in misura assai più contenuta e con caratteristiche in parte diverse:
migrazione stagionale, provocata dalla richiesta di manodopera nei periodi di punta del
periodo agricolo. Anche l’emigrazione, assumendo nuovi caratteri e funzioni, diventò un aspetto
importante e complementare delle civiltà industriali, e portò ad una perturbazione nella vita
sociale e culturale delle popolazioni. Infatti le sue conseguenze non furono solo di natura
economica, ma si allargarono al costume, alla vita politica, alla cultura. Un mondo rurale
rimasto al margine della vita moderna, chiuso e isolato, ricevette per questa via una scossa,
cominciò ad avvertire nuove esigenze politiche e civili.
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Alla fine di questo periodo anche la Ia guerra mondiale ebbe la stessa funzione, nei confronti
delle zone più arretrate del mondo rurale europeo: milioni di contadini, strappati dalle
campagne e dall’isolamento, pagavano allora a carissimo prezzo (9.033.335 morti e 65.848.164
mobilitati). IL beneficio del contatto diretto con la civiltà industriale e moderna (ivi pag. 24 n. 4).
“...la Chiesa seguì fin dall’inizio il fenomeno della grande emigrazione dall’Europa verso le
Americhe. Essendo essa stessa una comunità migrante fra terra e cielo, comprese la necessità
di dare conforto a chi si trovava privo dei sostegni di amicizia, di parentela, di vicinato, di
appartenenza religiosa. Gesuiti, Salesiani, missionari e missionarie di molte congregazioni
scelsero di seguire la corrente migratoria per un motivo di carità, quello stesso che anima oggi il
lover di tanti gruppi di volontariato. ...Fra queste Congregazioni missionarie, una va certo
ricordata per la sua particolarità di essere in buona parte formata da Veneti, molti dei quali
originari dal vicentino e dal bassanese. Si tratta della compagnia dei missionari di San Carlo,
più noti come “Padri Scalabriniani” dal nome del Fondatore, IL vescovo Giovan Battista
Scalabrini (1839-1905). A partire dal 1887, egli organizza i suoi missionari per la cura d’anime
nelle parrocchie di emigrati in America. Dal 1895 si affiancano le Suore missionarie di San
Carlo, anch’esse impegnate nel sostegno religioso e nell’insegnamento, come nell’assistenza
sociale e... nei Centri per lo studio dell’emigrazione. Queste istituzioni culturali fanno capo alla
Casa madre di Roma e sono presenti a New York, a Buenos Aires, a Sidney, a san Paolo del
Brasile.”
“Tra il 1876 e il 1925, in cinquant’anni di riassestamenti politici, di avventure coloniali, di
industrializzazione pesante, di guerra in Europa e in Africa del Nord, già se ne sono andati 15
milioni di Italiani: 8 dal Nord e 7 dal Sud. Sfuggivano la mortificazione della pellagra, le tasse
sul sale e sul macinato (imposta abolita tra il 1879 e il 1884), che rendevano troppo costosa
perfino la polenta dei poveri, i privilegi di una borghesia urbana, rapace e assenteista, che
odiava i contadini per il loro fervore religioso e papalino. ...Gli emigranti partivano a gruppi di
vicinato, talvolta a paesi interi. I signori parlavano di “americomania” e magari guardavano con
qualche sollievo allo sfoltimento delle campagne, che avrebbe liberato i campi e le piazze dai
fittavoli più fieri e ostinati nelle rivendicazioni. ...L’abito mentale di arroganza denunciato da
Nievo (Cfr. 5) li rendeva da secoli indifferenti alle vicende dei “villani”, tenuti in conto di nonpersone, ignoranti, avidi, sordidi testardi come caproni e ostili sempre alle novità.
LA POLITICA ESTERA DELL’ITALIA NELL’ETÀ GIOLITTIANA: Negli anni di fine secolo il
nostro Paese è travagliato dagli strascichi della politica impopolare di Crispi (1893-1896) . Per
quanto riguarda la politica estera in età giolittiana (Giolitti presidente del Consiglio per un
decennio dal 1903 al 1914 salvo poche interruzioni in cui l’incarico di Governo fu affidato ad
Alessandro Fortis, a Sidney Sonnino e Luigi Luzzatti) con il consenso (assenza) di Vittorio
Emanuele III° (1900-1946) alla morte di re Umberto I° vittima della politica impopolare della
crisi di fine secolo, caduto tragicamente ucciso a Monza per mano dell’anarchico Gaetano
Bresci il 29 luglio 1900. Giolitti fu un uomo politico assai abile ed esperto e mirò a realizzare un
programma praticamente opposto a quello del Crispi, impegnandosi quasi esclusivamente nei
problemi della politica interna, cosiddetta politica di “ordinaria amministrazione” e imprimendo al
proprio governo un indirizzo sempre più nettamente democratico e liberale. Per quanto riguarda
la politica interna ebbe il merito di attuare notevoli riforme di carattere sociale istituendo –a
garanzia delle classi lavoratrici- il Consiglio superiore del Lavoro (1906) promuovendo una
concreta opera legislativa per tutelare e regolare il lavoro delle donne e dei fanciulli; ed
elaborando le prime leggi per l’assicurazione sociale dei lavoratori, contro gli infortuni,
l’invalidità e la vecchiaia. Particolarmente rilevante fu inoltre l’attività di G. dedicata a
proteggere la nostra emigrazione, la quale, in seguito al forte incremento demografico aveva
raggiunto, specie nel mezzogiorno cifre imponenti (nel 1913 si registrarono 300.000 emigrati
temporanei e ben 550.000 emigrati permanenti). Tra i concreti provvedimenti presi a tale
proposito dal governo è da ricordare, tra l’altro, l’istituzione di una Commissione Generale per
3
l’Emigrazione (1902) con il compito di provvedere alle più elementari esigenze dei nostri
emigrati.
Mezzadri, coloni, braccianti, vivevano sotto l’incubo di perdere la casa e il lavoro per la
disdetta padronale a San Martino l’11 di novembre, data che segnava l’avvio dell’annata agraria
e il rinnovo dei contratti. La durezza del lover quotidiano in quell’epoca è documentata dalla
importante Inchiesta agraria “Jacini”e sulle condizioni della classe agricola che il Parlamento
italiano avviò nel 1877, affidandone la direzione al senatore Stefano Jacini e i cui risultati
pubblicati tra IL 1880 e IL 1885, rivelarono la condizione disperata dei lavoratori nelle
campagne italiane (ivi pagg. 6-7-8 cfr. n. 2 e 6). Qui si inseriscono i commerci tra nazioni
europee :* I commercianti “locali” (“‘e cazzarute” con gli strumenti da cucina e da lavoro in
legno dal
Comelico; “i buranei” col “pesse” “schie e scardoe” e gli ortaggi: “‘e sègoe drio i
canai” con il cambio di merci e sistema commutativo).
2.
Emigrazione organizzata-statale in africa orientale: I°. Guerra e colonizzazione
SOMALIA ed ERITREA, con mire sulla LIBIA, che è sotto il dominio della Turchia. Si tratta di
un tentativo di espansione coloniale, a partire dall’insediamento nella Baia di Assab (1882),
anno della Triplice Alleanza (a maggio, uscendo dall’isolamento del Congresso di Berlino del
1878 con la politica delle “mani nette”, ma vuote) in cui Italia, Germania e Austria si alleano
contro la Francia e ogni altra aggressione. Il Governo di Agostino Depretis (e in parte di
Benedetto Cairoli) (1876-1887), sentendosi forte con alle spalle le 2 potenze europee, prende
l’iniziativa di impossessarsi di una zona sulle coste del Mar Rosso, dove risiedeva dal 1872 la
Compagnia di Navigazione italiana (Società Rubattino): in occasione (1885) del massacro
della spedizione Bianchi il Governo interviene ufficialmente e impone il diretto dominio, occupa
il porto di Massaua (1885). Questo avrebbe dovuto costituire come la base per i primi tentativi
di una nostra penetrazione in ABISSINIA (a Bellul e Massaua) col segreto scopo di far
emigrare lavoratori agricoli nella colonia. Ma nel corso di questa impresa -rivelatasi per noi
più difficile del previsto- si verificò il doloroso episodio dell’eccidio di Dogali (gennaio 1887), in
cui una colonna italiana di 500 uomini agli ordini del colonnello De Cristoforis venne assalita di
sorpresa e sterminata dalle soverchianti forze abissine di Ras Alula. Tale insuccesso suscitò
una enorme impressione in tutta Italia e anche in chi sperava un futuro di emigrazione in Africa.
Questo determinò anche il momentaneo arresto di ogni nostra operazione militare in Africa
Orientale.
Con i Governi (“forti”, autoritari e antisocialisti) di Francesco Crispi (I. 1887-1891 e II. 18931896), siciliano, si dà grande importanza alla politica estera e a quella coloniale: a) venne
inviato a Massaua un forte corpo di spedizione al comando del generale San Marzano (1887)
per rinsaldare la nostra posizione militare; b) vengono concessi aiuti al ras Menelik, il quale,
giovandosi dell’aiuto italiano, potè succedere al negus Giovanni e impadronirsi del trono
abissino (1889); c) si stipulò tra l’Italia e l’Abissinia il Trattato di Uccialli (maggio 1889) per il
quale l’Italia riconosceva Menelik il nuovo legittimo negus (=imperatore di Abissinia) e questi a
sua volta accettava una specie di protettorato sull’impero (con confine il Mareb, sui sultanati di
Obbia e Migiurtina). Nasceva una certa facilità di espansione coloniale italiana, che aveva sullo
sfondo gli avvenimenti seguenti: 1. La progressiva penetrazione da Massaua fino ad Asmara e
la conseguente costituzione della colonia dell’ERITREA sulle coste del Mar Rosso (1889) e
quindi l’occupazione e la conseguente colonizzazione del territorio della SOMALIA (18891893). Alcuni anni più tardi , essendo sorte delle contestazioni sull’interpretazione del Trattato
di Uccialli (il testo italiano affermava infatti: che il negus avrebbe dovuto servirsi della
diplomazia italiana per trattare gli affari con le potenze europee; mentre il testo in lingua
amarica diceva soltanto che avrebbe potuto a sua scelta) si giunse ad un aperto conflitto
militare tra l’Italia e l’Abissinia e si aprì per noi la sfortunata GUERRA D’AFRICA.
In primo tempo le nostre truppe, al comando del Generale Oreste Baratieri (Condino (Tn)
1841- Vipiteno (Bz) 1901; Governatore dell’Eritrea 1892, sconfitto più volte) riuscirono a
4
riportare una serie di facili vittorie, sconfiggendo gli avversari negli scontri di Coatit e di Senafè,
e giungendo a conquistare tutta la Regione del TIGRÉ (1895) Ma in un secondo tempo, il
negus Menelik (aiutato dalla Francia e dall’Inghilterra, raccolse e organizzò un ingente esercito,
recuperando il rapporto con i suoi vassalli delle provincie, forte di ben 100.000 uomini, marciò
contro le truppe occupanti e mal organizzate e mal rifornite, infliggendoci un a serie di
disastrose sconfitte. Il maggiore dei bersaglieri Pietro Toselli (Peveragno (Cn) 1856 - Amba
Alagi 1895) inviato all’AMBA ALAGI (1895) con 2.500 soldati e 1500 ascari (soldati mercenari
eritrei) per fermare la marcia del nemico, venne inesorabilmente sconfitto e massacrato con la
maggior parte dei suoi uomini nel dicembre del 1895. Nello stesso periodo il maggiore
Galliano, insediato con 1200 uomini alla difesa del forte di Macallé, venne costretto,
nonostante la resistenza, a ritirarsi di fronte alle preponderanti forze abissine (si era tra
dicembre 1895 e gennaio 1896). Infine il grosso del corpo di spedizione (comprendente circa
18.000 uomini ) venne accerchiato e preso d’assalto, nei pressi di ADUA (marzo 1896) da un
agguerrito esercito abissini (80.000 uomini) e gli Italiani si difesero a spada tratta, ma furono
sopraffatti dal numero, dalle motivazioni, e da alcuni errori tattici dei nostri comandi e fu una
grande disfatta, che lasciò sul terreno oltre 5.000 morti, tra cui i generali Dabormida e
Arimondi. Dopo questa sconfitta decisiva il generale Antonio Baldissera (Padova 1838Firenze 1917, subentrato al Baratieri nel comando delle truppe) riuscì a prendere il controllo
della situazione e riportò una netta vittoria contro gli Abissini, nella battaglia di Adigrat; ma sia il
Paese che il Parlamento erano ormai contrari a proseguire nella impresa africana, con la
prospettiva dell’emigrazione. Francesco Crispi (1818-1901), che era stato il più ardente
fautore della nostra politica coloniale, fu pertanto costretto a rassegnare le dimissioni (marzo
1896) e si costituisce un governo conservatore, presieduto dal marchese Antonio di Rudinì
(1896-1898), il quale pose termine alla guerra d’Africa, concludendo con Menelik la pace di
Addis Abeba (ottobre 1896), rinunciando definitivamente ad imporre i suoi propositi di
protettorato, di emigrazione in Abissinia.
II. Prima e Dopo la Ia Guerra mondiale (1911-1913 // 1919-21) Cfr. file EMIGRA Quaderno //
La pressione della popolazione: Se nel secolo decimonono il fenomeno della emigrazione
italiana è stato specialmente determinato dalla esuberanza della popolazione, che s'è
raddoppiata di numero, è necessario guardare all'aumento della popolazione veneta. per
valutarne la pressione che ne ha progressivamente alimentato e ne alimenta le impetuose
correnti migratorie (1).
Dal censimento della Serenissima, che nel 1770 rilevò nel Veneto 1.697.803 abitanti al nostro
censimento del 1911 che ne rilevò 3.527.360, 1'aumento progressivo è frequentemente
documentato: anno 1770 - Censimento della Serenissima abitanti 1.697.803
» 1779 »
»
»
“ 1.749.515
» 1812 »
francese
“ 1.935.600
» 1857 »
austriaco
“ 2.293.719
» 1881 »
italiano
“ 2.814.173
» 1901 »
»
“ 3.134.4.67
» 1911 »
»
“ 3.537.360
Questi due ultimi censimenti han però provato e riprovato un progresso - nell' aumento di
popolazione - tanto superiore a quello medio nazionale che sarebbe lecito dubitare della
precisione dei dati raccolti dai censimenti precedenti, se non si tenesse conto dei fattori-politici
che han contribuito ad addensare, negli anni più recenti, una più numerosa popolazione nelle
provincie venete.
Dal 1901 al 1911, infatti, l'aumento della popolazione italiana è stato del 6,81 per cento
mentre la popolazione veneta è aumentata del 152,51 per cento: e nel 1911 la densità di
questa era di 143,9 abitanti per chilometro quadrato, mentre la relativa media nazionale era di
120,9. I dati del recentissimo censimento confermeranno indubbiamente il maggiore aumento
della popolazione veneta rispetto a quella media delle altre regioni (2). Questi dati sono
5
abbastanza eloquenti per sé stessi : ma un più particolare esame dei fattori demografici delle
provincie venete mostra all'evidenza la prepotente pressione di questa popolazione. Il Venetovanta una media di nati-vivi ch'è notevolmente superiore alla media Nazionale e ch'è la più alta
media dell'Italia settentrionale (3). Il Veneto ha invece una media di nati-morti inferiore a quella
nazionale (4).
Il Veneto aumenta la sua popolazione per un'aliquota di natalità superiore a quella media
italiana, mentre ha un' aliquota di mortalità inferiore alla nazionale: sì che nel periodo
1910-1914, per esempio, l' eccedenza media dei nati sui morti era per tutto il Regno di 12, 8
per .mille mentre nel Veneto era di 18,8 (5).
È tradizionale la bassissima. percentuale di
morti, nonostante che la pellagra e la malaria vi contribuiscano tuttora notevolmente. Fu rilevata
- come strana caratteristica della regione veneta - la bassa nuzialità della sua gente: ma a
questa caratteristica. fan riscontro due particolari primati accertati dalla indagine statistica : la
massima frequenza di parti multipli e la massima dimensione delle famiglie rispetto a tutte le
altre regioni d' ltalia (6). Indice dell'alta natalità del Veneto è appunto l'esistenza dell’ 11 per
cento delle famiglie composte di dieci e più membri. Dalla origine del Regno d’Italia nel 1870
e nei primi anni di organizzazione dello steso si hanno fenomeni di emigrazione, sia stagionale
nei paesi limitrofi Germania, Austria, Svizzera, Francia, ma si hanno anche ondate di
spostamenti molto consistenti di popolazione per le gravi condizioni di vita da noi”.
III. La Guerra Italo-Turca e la Conquista della Libia ed emigrazione: (1911-12) in seguito
all’occupazione del Marocco avvenuta nel 1911. Il capo del governo Giovanni Giolitti (I
governo 1892-93 e II. 1903-14). In seguito all’occupazione della Francia del Marocco avvenuta
nel 1911, il capo del governo italiano Giovanni Giolitti (I governo 1892-93 e II. 1903-14) per
quanto poco incline ad imprese di espansione coloniale, fu indotto a muoversi alla conquista
della LIBIA, che si trovava allora sotto il dominio della Turchia. L’Italia dichiarò pertanto Guerra
alla Turchia (29 settembre 1911) e procedette senza indugio alla occupazione della
Tripolitania e della Cirenaica (le due regioni in cui era divisa la Libia). Una squadra navale
italiana operò un rapido sbarco nel porto di Tripoli (29 settembre 1911) una volta scaduto
l’ultimatum al Sultano di Costantinopoli, con una motivazione pretestuosa; mentre il nostro
esercito agli ordini del generale Caneva occupa i centri costieri di Bengasi e Homs, Derna :
nella battaglie di Ainzara, Gargaresh, Tobruk, Zanzur ecc. contro gli indigeni, sostenuti dai
Turchi, ma senza grandi piani. È del 5 novembre il Decreto Regio per l’Annessione della
Libia. Intanto si occupa Zuara e Misurata. Più difficile del previsto si presentò, invece, la
penetrazione verso l’interno, dove le truppe arabo-turche , sotto l’abile guida di Enver Bey,
imposero una lunga e insidiosa resistenza, e, per quanto sconfitte nella Battaglia delle 2 palme
(marzo 1912) non vollero in alcun modo rassegnarsi alla resa. Intanto si procedeva
all’inserimento di contadini italiani, specie siciliani, con la promessa di avere un pezzo di terreno
da coltivare. Per indurre la Turchia alla pace L’Italia, che si sentiva forte per mare rispetto a
Costantinopoli, portò la guerra per mare e occupò Rodi e le altre isole circostanti del
Peloponneso
(costituenti
il
cosiddetto
Dodecaneso
(maggio
1912):
mentre
contemporaneamente 5 nostre torpediniere agli ordini del comandante Enrico Millo, si
spingevano fino nello Stretto di Dardanelli verso Istanbul (luglio 1912). Infine, dopo più di un
anno di operazioni militari , la Turchia di rassegnò a firmare la Pace di Losanna (ottobre
1912), per cui veniva riconosciuto all’Italia il DOMINIO DELLA LIBIA, che divenne la nostra
colonia, da fornire di strade e da portare alla coltivazione agricola, con l’emigrazione
organizzata dallo Stato. L’Italia si impegna a sgomberare da Rodi e le altre isole del
Dodecaneso (=12 isole), non appena le truppe turche si fossero ritirate dalla Libia. Ma,
siccome le truppe arabo-turche proseguirono per anni la guerriglia in territorio libico, le isole
rimasero stabilmente in possesso italiano, perdute poi nell’Ultima guerra.
3. 1920-1940 la GRANDE BONIFICA: emigrazione interna nel periodo fascista // e il dopo
Bonifica
6
a) Assistiamo al trasferimento per lavoro, sia di persone singole sia di famiglie da tutta la regione
e i nomi delle famiglie trasferitesi portano il segno delle diverse provenienze (Trevisan, Visentin,
Montagner, Veronese, Mestre, Marcon …), ma soprattutto incide sulla crescita demografica della
popolazione che, dati alla mano, aumenta notevolmente, e che poi, non realizzata la Riforma
Agraria programmata, costringe a lasciare il territorio con un improvviso calo di presenze nei
diversi comuni della zona bonificata. * I “bonificatori”: a) Periodo dei lavori di “bonifica”:
“Compagnie di sterratori”, Cooperative di cariolanti, badilanti, come “La Serenissima” di
Passarella”, la cooperativa di Meolo, la cooperativa di Calvecchia ecc. “La gente che faceva questi
lavori era del posto? No, venivano da diverse parti, racconta uno degli ultimi anziani, che ne
hanno fatto parte. (Cfr. de Il Gruppo “el Solzariol” STORIE DEI SENZA STORIA, tipolitografica
Adriatica, Musile 1989). Dopo il 1930 gli sterratori, badilanti, ossia i lavoratori “locali” vanno
“migranti” nell’Agro Pontino (specie dal 1935-39) a Latina e in Sardegna, dove attualmente vive
una comunità di “VENETI” a Cagliari (1940), ancora caratterizzata da lingua (dialetto di fine ‘800
e costumi e devozioni della stessa epoca): i lavoratori della bonifica veneta hanno esportato la
loro capacità ed esperienza in tante altre realtà, fino alla comunità presente in SARDEGNA,
nell'Oristanese ad ARBOREA (Ca).
b)
La politica estera del fascismo e l’impresa etiopica (1935-36): l’avvenimento più
notevole della politica coloniale ed emigratoria statale. Nella politica estera il Fascismo si
ispirò alle concezioni del più acceso e violento nazionalismo, che progressivamente venne ad
assumere di fatto i caratteri di un vero e proprio programma imperialista (“portare la civiltà
latina”), alimentato da una politica sempre più minacciosa e aggressiva –anche se intimamente
velleitaria e e poco convinta- volontà di potenza e di espansione territoriale: il cosiddetto “posto
al sole”; cui si aggiungevano i più retorici e antistorici richiami all’antica potenza e grandezza di
Roma. Si cerca in definitiva terra da coltivare, pensando illusoriamente di risolvere i problemi di
generazioni di contadini, mantenuti schiavi e scoraggiati nello sviluppo e nell’iniziativa, per non
toccare i privilegi dei grandi agrari (come i Volpi, i Franchetti, i Franchin e così via). Nelle sue
linee generali la politica estera del Fascismo fu caratterizzata dai seguenti atteggiamenti: - a)
una sempre più scarsa considerazione nel sistema della “Società delle Nazioni”; - b) una
sempre più risoluta tendenza alla revisione dei “Trattati di pace” (un mostrare i muscoli
inesistenti e una mistica della forza, ma senza mezzi effettivi!) del 1919; - c) un atteggiamento
di decisa ostilità nei confronti della Francia (rivendicazioni sulla Corsica, su Nizza e sulla
Tunisia); - d) una politica di decisa avversione nei confronti della Juguslavia e sui Balcani
(rivendicazioni sulla Dalmazia e poi sull’Albania); - e) un atteggiamento, fin dai primi anni
sostanzialmente amichevole, ammirato del colonialismo inglese e della decisionalità e
prepotenza, dell’ ”ordine” e della unanimità esteriore dei Tedeschi, nazista e guerrafondaio. Va
poi tenuto presente che il Fascismo ha sempre mirato ad una supremazia sul Mediterraneo
(ambiziosamente definito “mare nostrum”) osteggiando pertanto l’egemonia francese e inglese
su questo mare; e si propose inoltre di inaugurare una più attiva ed energica politica coloniale
(definitivo assoggettamento della Libia; tendenza all’espansionismo africano; rivendicazioni
coloniali, emigrazione – occupazione delle terre ecc.
Determinata dal desiderio di costruire una vasta colonia di ripopolamento e di
sfruttamento di quel territorio, venne progettata l’impresa etiopica. L’occasione cercata per la
guerra, fu data da un banale incidente di frontiera, per cui alcune forze abissine assalirono il
presidio italiano e i pozzi di Ual-Ual, alla frontiera somala (dicembre 1934). L’Italia che aspirava
di fatto alla conquista dell’Etiopia, ne trasse pretesto per intensificare gli armamenti e per far
valere le proprie tesi aggressive alla “Società delle nazioni“, di cui anche l’Abissinia o Etiopia
(faceva parte). Le sanzioni successive contro l’Italia di tutte le nazioni partecipe
all’organizzazione saranno l’occasione per lanciare l’iniziativa dell’”autarchia” e dell’isolamento
europeo del fascismo, di cui prima portavoce fu l’Inghilterra, decisamente contraria
all’espansionismo italiano in Africa. Essa appoggiò decisamente le ragioni del negus Hailè
7
Selassiè, e le sosteneva con ardore, in modo da riuscire ad ottenere un voto contrario all’Italia
(settembre 1935) e a inviare la flotta completa nel Mediterraneo in segno di minaccia. La
questione etiopica si trasformò in una pericolosa tensione anglo-italiana , che assunse, per un
certo periodo aspetti veramente preoccupanti (scontro Antony Eden (1897-1977) ministro degli
esteri britannico (1935-38) e Mussolini (Predappio 1883-Gulino di Mezzegra 1945), che tuttavia
non fermò l’inizio delle ostilità e le operazioni militari contro l’Abissinia (3 ottobre 1935) mentre
la Società delle nazioni su proposta del ministro inglese dichiarava l’Italia “Stato aggressore” e
provvedeva a votare contro di essa l’applicazione delle cosiddette sanzioni economiche
messe in atto, anche se in modo blando) da ben 52 Stati. Tra i paesi che non applicarono le
sanzioni si debbono ricordare l’Austria, l’Ungheria, l’Albania e soprattutto la Germania e gli Stati
Uniti. Da qui nasce l’idea della “autarchia economica”. Il 3 Ottobre 1935 le truppe italiane , al
comando del generale Emilio De Bono (Cassano d’Adda 1866-Verona 1944, poi quadrunviro
fascista alla marcia su Roma e ministro delle colonie (1929-35), processato per aver fatto
cadere il Gran Consiglio il 25 luglio 1943: condannato a morte e fucilato) varcarono il confine
etiopico sul fronte eritreo; mentre sul fronte Sud, altre divisioni al comando del generale
Rodolfo Graziani (Filettino (Fs) 1882-Roma 1955, poi vicerè di Etiopia (1936-37), capo di SM
dell’esercito (1939) guida le truppe nelle operazioni in Africa settentrionale (1940-41), capo
dell’Esercito della Repubblica Sociale (1943-45), del MSI 1950) passano il confine sul fronte
somalo. I soldati italiani sotto la guida del generale Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato
1871- Grazzano Badoglio 1956, sostituì ben presto il De Bono) riuscirono ad ottenere decisivi
successi contro gli Abissini: battaglia del Lago Ascianghi, marzo aprile 1936), penetrando
rapidamente nell’interno del paese, fino alla decisiva conquista della capitale Adis Abeba(5
maggio 1936) e concludendo in pochi mesi la guerra contro l’Etiopia. Subito si avvio la
ristrutturazione agricola e il trasferimento-emigrazione di alcuni contadini con le famiglie. Il 9
maggio 1936 venne solennemente proclamato l’ “IMPERO DELL’AFRICA ORIENTALE
ITALIANA” e il re Vittorio Emanuele III assunse il titolo di “Imperatore di Etiopia”. Dopo pochi
mesi la “Società delle nazioni” decretò la fine delle sanzioni all’Italia, ma non volle riconoscere
la sovranità italiana sull’Etiopia, che portò come conseguenze gravi per la pace nel mondo, la
perdita di autorità dell’organismo internazionale e la ripresa degli armamenti degli stati Europei,
soprattutto della Germania, e degli Stati Uniti, sotto la mentalità dell’impossibilità di una
collaborazione pacifica fra i popoli.
4.
1946-1954 dopo la IIa guerra mondiale (NORD AMERICA: Stati Uniti e Canada; SUD
AMERICA: Argentina e Brasile; AUSTRALIA; NORD EUROPA: Belgio, Francia, Germania, Olanda,
Svizzera e Lussemburgo). La difficile situazione post bellica e la lenta ripresa dopo le distruzioni
diffuse delle città e delle fabbriche industriale, fa pensare a uno sbocco migratorio, che coinvolge gli
Stati e che risponde a progetti di sviluppo agricolo specie in Nord e Sud America, e questo flusso è
fatto da singoli lavoratori, ma anche da intere famiglie che partono con “contratto” di lavoro, anche
accompagnate dalla organizzazione Chiesa e che invia dei sacerdoti accompagnatori (cfr. STORIA
CRISTIANA DI UN POPOLO cit.). Da riscoprire la Corrispondenza presente negli archivi
parrocchiali, tra parroci ed emigrati a testimonianza dei progetti, delle speranze, delle delusioni e
del senso di frustrazione che accompagna gli emigranti di questo periodo. Ricorda Dino Cagnazzi
(nel volume del 1979 su SAN DONÀ, Amministrazione Comunale, 12.1979) nel 1946 la
disoccupazione operaia e l’eccesso di braccia nell’agricoltura incentivano l’emigrazione, che si
sviluppa su 2 direttrici: verso i poli industriali italiani (nel Piemonte si prende anche il posto in
agricoltura degli operai che vanno alla Fiat) e all’estero; qui abbiamo sia una emigrazione
temporanea (prevalentemente orientata verso la Svizzera e il Belgio (ove è rimunerativo il duro
lavoro nelle miniere di carbone, e ogni minatore produce un sacco di carbone in cambio allo Stato
italiano), sia un trasferimento definitivo: sono oltre 300 i sandonatesi che partono per crearsi una
nuova vita oltre oceano: in Argentina e Brasile. (pag. 256)
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5. 1955-1975 Industrializzazione al Nord ed emigrazione SUD-NORD ITALIA // anche
spostamento all’interno e interregionale (2.345.000 lavoratori, donne, famiglie, domestiche
dalle regioni del Sud. Accanto al massiccio spostamento per la disponibilità della assunzione
nelle industrie e nelle zone del triangolo industriale (MILANO-TORINO-GENOVA), si ha il
fenomeno (continuativo) delle donne che si spostano dal Sud per incontri a seguito del Servizio
militare), l’emigrazione costante di addetti in certi settori della burocrazia statale, legata alla
sicurezza, alle forze della polizia, della finanza, dell’esercito e, in generale, dell’apparato dello
Stato italiano, che facilmente si accasano e impostano qui la loro famiglia. Soprattutto non
cessa mai da noi il fatto de “I pendolari” per lavoro (Zone industriali del Nord con arrivi da tutta
la regione, dai piccoli centri alla zona industrializzata, con centri come Marghera, Pordenone,
Conegliano (alla Zanussi), la zona del Brenta per l’industria della scarpa, nella
B. IMMIGRAZIONE DALL’ESTERO
1976-2010: l’emigrazione si fa IMMIGRAZIONE soprattutto dai paesi dell’Africa, dell’India
e del Medio Oriente, Sud America (con fenomeni di rientro dall’estero) a seguito di
povertà, guerre (rifugiati), persecuzioni di dittature (Sudan, Egitto, Bangladesh, India
(Sik), fame e desertificazione (carestie e siccità nell’ Africa sub-sahariana (sbarchi a
Lampedusa). Dati recenti e analisi del fenomeno con attenzione al territorio dove si
inseriscono facilmente gli Indiani (Sik) nel settore agricolo dell’allevamento e nell’attività di
“boèri” e addetti al bestiame, i Senegalesi e gli Africani nei lavori agricoli e industriali “sporchi”
come il trattamento delle pelli nelle Valli
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Ciclostilato in proprio.
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1882 -Monografia Agraria dei Distretti di Conegliano, Oderzo e Vittorio (in Provincia di Treviso)
dei
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9
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Spinea 2005
a cura di Don Giancarlo Ruffato
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