Lezione Prof.Donati

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13-SUSS lezione Donati.doc
Lezione introduttiva al Seminario sulla sussidiarietà come principio di regolazione e
governance sociale, Bologna novembre 2013
SCHEDA DIDATTICA della LEZIONE
del Prof. Pierpaolo Donati
Università di Bologna
IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
IN ITALIA E IN EUROPA E IL NUOVO WELFARE
1. Inquadramento generale: il contesto storico e il senso sociologico di emergenza del
principio di sussidiarietà.
2. Interpretazioni e applicazioni del principio di sussidiarietà.
3. Un nuovo principio architettonico della società.
--oo-1. Inquadramento generale: il contesto storico e il senso sociologico di emergenza
del principio di sussidiarietà.
1.1. Il principio di sussidiarietà è stato inizialmente adombrato da Leone XIII (Rerum
Novarum, 1891, pr. 36). Ha avuto una prima formulazione esplicita con Pio XI
(Quadragesimo Anno, 1931, pr. 80) nei seguenti termini: "come non è lecito togliere agli
individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla
comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle
minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno
sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi
intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo
sociale, non già distruggerle o assorbirle".
Da allora in poi, la dottrina sociale della Chiesa ha più volte ripreso e sviluppato
questo principio. Giovanni XXIII (enciclica Pacem in Terris, 1963, pr. 48) ne ha fornito
una prima estensione, quando lo ha addirittura riferito all'attività delle comunità politiche a
livello internazionale (la formulazione è interessante proprio per l'ampiezza e la vastità
delle attività cui si riferisce).
Da ultimo, Giovanni Paolo II (Centesimus Annus, 1991), dopo aver ribadito che il
principio di sussidiarietà va coniugato con quello di solidarietà (ivi, pr. 15), rileva che le
degenerazioni dello "stato del benessere" sono proprio dovute al mancato rispetto della
sussidiarietà: "disfunzioni e difetti nello stato assistenziale derivano da un'inadeguata
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comprensione dei compiti propri dello stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato
il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita
interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve
piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella
delle altre componenti sociali, in vista del bene comune" (pr. 48).
Il principio di sussidiarietà va coniugato con quello di solidarietà, perché entrambi
legati ad un comune fondamento, che è quello della dignità umana: in virtù del secondo
(solidarietà) l'uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune della società, a tutti i
livelli. Con ciò, ci si oppone a tutte le forme di individualismo sociale o politico. In virtù
del primo (sussidiarietà), né lo Stato, né alcuna società devono mai sostituirsi all'iniziativa e
alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse
possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà. Con ciò, ci si oppone a
tutte le forme di collettivismo.
Il principio ha ricevuto commenti e riflessioni positive da parte di vari studiosi e, cosa
ancor più rilevante, riconoscimenti in campo politico, a livello di organismi nazionali e
internazionali, inclusa la Comunità europea (Libro Bianco di Jacques Delors, vari
documenti dell'Unione Europea, il Trattato di Maastricht, che accoglie il principio di
sussidiarietà all'art. 3/B, sebbene nella forma limitata di un principio politologico di
federalismo fra gli Stati membri; l’articolo infatti recita: “La Comunità agisce nei limiti
delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente
trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene,
secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi
dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e
possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere
realizzati meglio a livello comunitario”).
Con ciò si è operata una generalizzazione del concetto, dal primitivo campo
strettamente economico (di salvaguardia dei lavoratori, di interventi di assistenza ai poveri),
a tutto il campo del welfare e in pratica a tutte le attività interessate dallo Stato. Se si
concepisce quest'ultimo - come sembra necessario - quale organismo politico che regola la
società nel suo insieme, in pratica il principio di sussidiarietà viene a toccare tutte le attività
umane.
Tale generalizzazione appare allo stesso tempo interessante e problematica. Estendere
il principio dalle prime formulazioni, ristrette a pochi campi, all'intera società può essere
dirompente. É così. Il principio si oppone tanto all'individualismo che al collettivismo, che
sono i due principi su cui si basa la modernità.
Che cosa vuol dire che lo Stato deve essere sussidiario alla società, e non viceversa ?
Che cosa significa, più in generale, che la società deve essere sussidiaria, cioè essere
organizzata sul principio di sussidiarietà ? Significa mettere l'accento sulla originarietà
delle relazioni sociali e sulle soggettività che ne nascono come realtà autonome, nei
confronti delle quali le altre relazioni debbono porsi in termini di servizio, non di
strumentalizzazione o colonizzazione. La prospettiva è quanto mai stimolante. Essa ci
invita a pensare "diversamente" da come ha fatto la modernità.
Nello stesso tempo, si vede chiaramente che le proclamazioni di principio e le
generalizzazioni del principio non hanno ancora avuto le debite elaborazioni pratiche.
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approfondimenti bibliografici:
 AA.VV., Sussidiarietà, vari articoli in "La Società", n. 98, , luglio-settembre 1998.
 Donati P., Una società sussidiaria: le associazioni come soggetti di una nuova
cittadinanza, in Id., Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice Ave,
Roma, 1997, pp. 151-216.
 Millon-Delsol C., L'Etat subsidiaire, Puf, Paris, 1992 (tr. it. Lo stato della sussidiarietà,
CEl, Gorle -Bg, 1995).
2. Interpretazioni e applicazioni del principio di sussidiarietà.
2.1. Possiamo esaminare in maniera sociologica il principio di sussidiarietà, sia per
quanto riguarda la sua interpretazione che la sua applicazione.
A) Per quanto concerne l'interpretazione, non ne esiste una soltanto, ma se ne
possono dare diverse. La ragione di questa non univocità non sta tanto nel principio in se
stesso, quanto piuttosto dipende dal contesto in cui lo si interpreta.
Nel quadro della società tradizionale e di prima industrializzazione, il principio serve
soprattutto a difendere i più deboli, e per questo è una concezione che chiamerò difensiova
o "protettiva".
(I) L'interpretazione protettiva dice, in buona sostanza, che lo Stato (o la comunità di
ordine più elevato in genere, quanto a complessità di funzioni) non deve - per la forza che
ha - prevaricare sulle comunità di ordine inferiore, ma deve rispettarne i loro compiti e la
loro natura propria, anche se possono essere deboli e limitate.
Da quando non esiste più una società gerarchica, organica e stratificata, sul modello
della polis classica, non si può più pensare la società nei termini di un corpo organico, le
cui parti stiano in relazioni simili, per così dire, alle membra di un organismo fisico. Quella
rappresentazione è ormai morta e sepolta da tempo. La nostra società deve perciò ripensare
il principio di sussidiarietà in un altro contesto, quello della complessità, che vuol dire
assenza di un centro e crescente contingenza di ogni ambito di vita. In questo contesto, vale
ancora l'interpretazione che ho chiamato "protettiva", ma essa diventa insufficiente.
Occorre produrre una interpretazione che sia adeguata alla nuova situazione. Chiamerò
questa interpretazione "promozionale".
(II) L'interpretazione promozionale del principio di sussidiarietà dice che lo Stato (o
la comunità di ordine funzionalmente più complesso in generale) deve non solo
salvaguardare le comunità infra-statuali (o di ordine funzionalmente meno complesso in
generale), ma deve promuoverne attivamente e positivamente l'autonomia, aiutandole ad
ottenere o recuperare, ove l'avessero perduta, la propria capacità di autoregolazione. Non si
tratta più solo di difendere i più deboli, contro le prevaricazioni dei più forti, ma di dar loro
gli strumenti per emanciparsi senza diventare dipendenti da chi aiuta, cioè in primo luogo
lo Stato e tutti i suoi apparati. Promozionale, quindi, significa tale da incrementare
l'autonomia come possibilità di scelta dell'ambiente da cui dipendere e con cui avere scambi
significativi, necessariamente attraverso interazioni selettive.
B) Per quanto riguarda l'applicazione, il principio può trovare sbocchi in varie
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direzioni, non solo in verticale (per quei pochi aspetti in cui la società è ancora organizzata
in maniera gerarchica), ma anche e soprattutto in orizzontale, e in generale nei rapporti
inter-attivi di rete.
(i) In verticale, significa che lo Stato deve essere sussidiario verso tutti gli attori che
cadono sotto la sua sfera di competenza e di azione.
(ii) In orizzontale, significa che i vari attori debbono essere sussidiari fra loro, cioè
venirsi incontro a vicenda, ciascuna con la propria originalità e originarietà; in generale, in
una società concepita come rete di relazioni, applicare il principio di sussidiarietà comporta
che ego si comporti con alter in modo tale da porre la massima attenzione ai bisogni di alter
e fare quanto gli è possibile per sostenerlo in modo tale che possa raggiungere quel grado di
autonomia che gli consenta di compiere bene il proprio compito. In ciò il principio di
sussidiarietà mostra di essere, già in se stesso, un principio pedagogico.
2.2. Il principio di sussidiarietà è chiaro. Sostiene che le comunità di ordine
"superiore" (per ampiezza, funzioni, complessità) non devono prevaricare su quelle di
ordine "inferiore", ma devono invece aiutarle nel raggiungere e mantenere la loro
soggettività, in concreto la loro autonomia. Ma l'applicazione di questo principio è tutt'altro
che semplice e scontata.
Di fatto, oggi esso viene interpretato secondo due linee, praticamente divergenti fra
loro, che lo stravolgono da una parte e dall'altra.
Da un lato, c'è chi lo intende come un modo per scaricare lo Stato da compiti e
responsabilità pubbliche verso le famiglie, gli individui e le organizzazioni di volontariato
(leggi: per ridurre le spese sociali).
Dall'altro, c'è chi lo intende invece come un nuovo modo di agire delle istituzioni
politico-amministrative, le quali dovrebbero servirsi di questi soggetti per chiamare i
cittadini ad una maggiore "partecipazione".
Se la prima strada è alienante, tra l'altro perché non coniuga la sussidiarietà con la
solidarietà, anche la seconda via è fuorviante, tra l'altro perché strumentalizza i mondi vitali
delle associazioni a fini che sono loro estranei, annullando così il senso e la fecondità di
quelle soggettività sociali di cui parla la Centesimus Annus come realtà che costituiscono il
tessuto più civile e vitale della nostra società. (Vale la pena di riportare una citazione:
"Oltre alla famiglia, svolgono funzioni primarie e attivano specifiche reti di solidarietà
anche altre società intermedie. Queste, infatti, maturano come reali comunità di persone e
innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell'anonimato e in un'impersonale
massificazione, purtroppo frequente nella moderna società. E' nel molteplice intersecarsi
dei rapporti che vive la persona e cresce la 'soggettività della società'. L'individuo oggi è
spesso soffocato tra i due poli dello stato e del mercato. Sembra, infatti, talvolta che egli
esista come oggetto dell'amministrazione dello stato, mentre si dimentica che la convivenza
tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo stato, poiché possiede in se stessa un
singolare valore che stato e mercato devono servire. L'uomo è, prima di tutto, un essere che
cerca la verità e si sforza di viverla e di approfondirla in un dialogo che coinvolge le
generazioni passate e future" (Centesimus Annus, pr. 49).
Il fatto è che il principio di sussidiarietà non viene ancora visto come principio vitale,
cioè culturale, della società, ma come un'altra cosa: da un lato, come principio di risparmio
(per le istituzioni statali, a vantaggio del mercato e a danno delle famiglie più deboli e del
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privato sociale), e dall'altro come strumento politico che dovrebbe "dare più spazio ai
cittadini", favorendo la loro partecipazione a commissioni, comitati, organismi di
coordinamento, e così via. Un principio di sussidiarietà così inteso porta da un lato alla
subordinazione dei soggetti di mondo vitale al mercato, e dall'altro ad una ulteriore
colonizzazione delle libere organizzazioni non-di-profitto da parte delle vecchie tecnostrutture di welfare state neo-corporativo.
Purtroppo, le stesse realtà del privato sociale, o terzo settore (volontariato,
cooperazione, associazionismo sociale e organizzazioni non profit in senso lato), debbono
ancora chiarire a se stesse questa prospettiva. Esse sono in gran parte ancora immerse nel
vecchio stile politico, di tipo rivendicativo e sindacale. Il terzo settore si esprime come una
delle tante lobbies. É certo ragionevole far presente che il terzo settore può essere uno
strumento utile per ridurre la disoccupazione, ma se questa diventa poi la chiave di volta del
discorso, allora il Terzo Settore rischia di tramutarsi in un'altra cosa.
Il mondo del privato sociale e del terzo settore in Italia ha ancora bisogno di riflettere,
e molto, sulla propria identità e su che cosa esattamente può e deve chiedere, a se stesso
prima ancora che al sistema politico. C'è il rischio che diventi una specie di "sindacato del
2000", preoccupato di esprimere rivendicazioni e di strappare qualche maggiore quota di
spesa sociale ai poteri pubblici nazionali e comunitari, invece che diventare la voce di
un'altra Europa, quella di un nuovo progetto sociale e umano. Per far questo, deve prendere
maggiore coscienza del fatto che rappresenta l'espressione di un modo nuovo di vivere in
società, di fare la società, di elaborare cultura vitale, in quanto mette al primo posto il senso
della dignità umana, la solidarietà, il nesso fra libertà e responsabilità, assumendosi l'onere
di una piena autonomia che si legittima in quanto realizza il bene comune. Affinché il
principio di sussidiarietà possa diventare un pilastro portante della nuova Europa si richiede
che il sistema politico lo promuova con regole e interventi legislativi che, lungi dal volerlo
legittimare dall'alto, nella misura in cui serve allo Stato, lo riconoscano per quello che è e lo
valorizzino nei fatti in quanto mettono a sua disposizione gli strumenti - innanzitutto
regolativi e fiscali - necessari per realizzare una società intesa come luogo di incontro, di
co-esistenza, di co-operazione, di produzione di beni comuni fra persone che vogliono
accrescere, non diminuire, la loro umanità.
Saremo in grado di avere un'altra società, meno impersonale e meno burocratica,
meno alienata in consumi insensati, più sensibile ai valori di una vita buona, cioè una
società realmente vitale, se sapremo comprendere la portata del principio di sussidiarietà e
trovare strumenti appropriati per la sua implementazione.
approfondimenti bibliografici:
 Donati P., Colozzi I. (a cura di), Generare “il civile”: nuove esperienze nella società
italiana, il Mulino, Bologna, 2001.
 Donati P., Colozzi I. (a cura di), La cultura civile in Italia: tra Stato, mercato e privato
sociale, il Mulino, Bologna, 2002).
 Donati P., Colozzi I. (a cura di), La sussidiarietà: che cos’è e come funziona, Carocci,
Roma, 2005.
3. 3. Un nuovo principio architettonico della società.
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3.1. Il principio di sussidiarietà, espresso come tale, è rimasto in gestazione per
circa un secolo da quando fu enunciato (enciclica Rerum Novarum, 1891). Come mai è
stato riconosciuto e posto a fondamento della nuova Europa (cioè nel Trattato di Maastricht
1992) e della nuova Italia (legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001) solo dopo un
secolo?
Bisogna capire il mutato contesto storico.
È ben vero che una lunga tradizione di pensiero europeo lo aveva già delineato in
vari modi, particolarmente nelle versioni del cosiddetto federalismo e nelle dottrine del
pluralismo sociale. Ma le varie tradizioni federaliste e pluraliste non coincidono
esattamente con il principio di sussidiarietà, quale si ritrova nelle due formulazioni appena
dette, sebbene vi siano notevoli vicinanze e anche convergenze.
Le ragioni del riconoscimento del principio di sussidiarietà come principio fondante
della società europea del secolo XXI sono, ovviamente, molte. Qui vorrei riassumerle
brevemente così.
Il principio di sussidiarietà emerge allorché la società tipicamente moderna, cioè
quella uscita dalle rivoluzioni politiche inglesi e francese del Sei-Settecento, entra in crisi
assieme alle ideologie (liberali e socialiste) che ne hanno segnato la storia, soprattutto come
storia di costruzione dello Stato-nazione, in quanto Vertice e Centro della società, su cui ha
influito in vari e disparati modi la visione hegeliana (e poi marxista) dello Stato come
sintesi etica dei rapporti dialettici tra famiglia e società civile (quest’ultima intesa come
mercato).
Fintanto che la società (sottinteso: civile) è concepita in funzione dello Stato (o
sistema politico), la cittadinanza è quella degli individui se e in quanto appartengono allo
Stato-nazione. La cittadinanza è individuale, è un attributo dell’individuo e solo di esso,
non riguarda le formazioni sociali intermedie che sono considerate come realtà derivate,
secondarie e marginali rispetto all’asse Stato-individuo.
Questo assetto regge fino alla fine del Novecento. Ma poi esso entra in crisi, perché
una società non può essere fatta di individui atomizzati (come succede in quell’assetto di
individualismo istituzionalizzato che è prodotto dagli Stati moderni e oggi è prodotto come
individualizzazione degli individui da parte dei processi di globalizzazione). Ritornano in
campo le formazioni sociali intermedie. E sono esse che costituiscono i soggetti portatori
(nel senso tedesco di Traeger) del principio di sussidiarietà.
Il problema da cui partiamo è il seguente: che cosa viene dopo la crisi del binomio
individuo-Stato come asse portante della società moderna ? La risposta è: una
configurazione complessiva della società che è ispirata al principio di sussidiarietà (vedi
schema 1).
Questo principio è di tipo architettonico, il che significa che costituisce un pilastro
centrale della nuova società (non solo della costruzione europea), senza il quale tutta la
costruzione cade.
L’osservazione sociologica che io introduco è la seguente: il soggetto storico
portatore del principio di sussidiarietà non è né lo Stato, né l’Unione Europea, né il
mercato, ma la società civile in quanto costituita di formazioni sociali intermedie che non si
definiscono all’interno del “complesso Stato+mercato”.
Questo spiega perché il principio non sia un principio di government (= governo
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politico attraverso il comando e la forza della legge), ma di governance (= principio di coordinamento sociale).
Schema 1- Contesto storico e senso sociologico di emergenza del principio di
sussidiarietà.
AREA DI GOVERNMENT
(asse Stato-mercato)
Stato
Mercato
degli individui
‘casuali’ e
delle imprese
for profit
terzo settore
privato sociale
(formazioni sociali
intermedie di
società civile)
Famiglie
AREA DI GOVERNANCE
(principio di sussidiarietà)
Negli ultimi anni, il principio di sussidiarietà è venuto acquisendo una crescente
importanza nel prefigurare la nuova società del secolo XXI. L’Unione Europea ne ha fatto
da tempo un riconoscimento esplicito e si ispira ad esso nei lavori della Convenzione
incaricata di aprire la strada alla futura Costituzione Europea (“decisi a portare avanti il
processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli di Europa, in cui le
decisioni siano il più possibile vicino ai cittadini, conformemente al principio di
sussidiarietà…”). L’Italia ha posto questo principio a fondamento del suo ordine
costituzionale (con la riforma del Titolo V della Costituzione italiana: “Stato, regioni, città
metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà”).
Si tratta di un principio, a carattere ordinativo e di governance, che sta modificando
tutti gli assetti politici, economici e sociali attraverso nuove istituzioni e nuove modalità
organizzative le quali richiedono una riflessione e una preparazione ad hoc per essere
comprese e gestite nei vari campi applicativi, da quello del welfare e delle politiche sociali
e dei servizi a quello dei sistemi fiscali e di regolazione normativa.
3.2. Il principio di sussidiarietà implica e rimanda ad una nuova "lettura" o "visione"
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della società e con essa dell'uomo. Non si tratta di una lettura idealistica o idealizzata della
società. Non proviene "dall'alto", come del resto non proviene "dal basso", ma piuttosto
dall'intimo essere delle cose. Non è l'espressione di un qualche "soggetto"", né di un
qualche "sistema". É la visione che proviene, fondamentalmente, da un atteggiamento
attento al carattere "sorgivo" delle relazioni sociali umane. Questo atteggiamento verso il
sociale-umano nasce da un sentimento di valorizzazione e rispetto verso ciò che manifesta
la verità (la ricchezza vera) della persona umana e da una scelta non manipolatoria nei suoi
confronti.
A mio modesto avviso, questa visione consiste in una "interpretazione relazionale
della società". Essa sola può consentirci di comprendere a fondo la dinamica attuale della
società senza rimanere imprigionati nel labirinto delle contingenze storiche. Alla base di
questa visione sta l'osservazione secondo la quale le relazioni che promanano dai soggetti
sociali tendono ad autonomizzarsi rispetto alle determinazioni estranee ed esterne al loro
"carattere originario". Laddove "originario" significa conforme alla natura più intima e
sorgiva delle relazioni sociali nella loro specificità distintiva.
Se non ci si colloca in un tale sistema di osservazione, non si può vedere come la
famiglia e le associazioni familiari agiscono nella società. Si resta ciechi di fronte ai
cambiamenti sociali, pur avvertendo dilemmi e conflitti, spinte e controspinte.
3.3. La società europea contemporanea, e italiana in particolare, è di fatto ad una
svolta epocale: la crisi radicale della modernità. Cosa ciò implichi e comporti è un lungo
discorso. Mi limito a toccarlo per quanto riguarda l'aspetto che ci interessa più da vicino.
Con la caduta dei regimi comunisti e il crollo del marxismo come dottrina politica
(non però come filosofia), è venuta a cadere una delle due anime, quella giacobinailluminista, della modernità, che vedeva nello Stato il garante e lo strumento-principe
dell'emancipazione dell'umanità. In apparenza, viene rivalutata, anzi sembra riesplodere,
l'altra anima, quella liberale, o borghese-illuminista, basata sull'individualismo (seppure in
qualche modo "istituzionalizzato"). Ma le cose non stanno proprio così.
Benché pochi lo avvertano, la crisi della modernità comporta anche una crisi
profonda del liberalismo, perlomeno di quello caratterizzato da una matrice individualistica
e utilitaristica. Quest'ultimo, infatti, pur nell'apparente vittoria sul marxismo, di per sé tende
ad una totale mercificazione della vita, la quale comporta una "deriva totalitaria". Il
liberalismo individualistico e utilitarista è alle corde in quanto dottrina che, utilizzando lo
stesso codice simbolico del marxismo anche se in maniera rovesciata, fa del binomio
individuo-Stato l'asse portante della società moderna e della sua cittadinanza. In questo
codice, le formazioni sociali intermedie hanno bensì dei diritti (civili), ma non hanno una
propria cittadinanza.
Ora, è precisamente questo assetto storico che sta crollando. La società come
relazione si incarica di sgretolare l'edificio della modernità.
I diritti individuali, beninteso, continuano ad espandersi e restano fondamentali. Nella
storia umana non si può mai ritornare indietro. Ma, nel contempo, si evidenziano i limiti
della "cittadinanza individualistica", e anche le patologie da essa indotte a causa di un
eccesso di soggettivismo. Sorgono altri diritti, di nuove soggettività sociali, e soprattutto si
rende evidente la natura relazionale dei diritti di cittadinanza.
L'interrogativo che sorge, allora, è il seguente: verso quale assetto societario è
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possibile/probabile che la società attuale si incammini qualora voglia stare alla larga sia da
Scilla (le patologie del socialismo) sia da Cariddi (le patologie del liberalismo) ? Se è vero
che la modernità entra in una crisi strutturale, non contingente, allora per forza di cose deve
cambiare l'asse portante della società. Altri attori debbono entrare in gioco, e con essi un
nuovo codice simbolico del "fare società". Le famiglie e le associazioni sono fra questi
attori.
Come "soggettività sociali", le famiglie e le associazioni sociali sono portate a dar
vita ad una società diversa da quella tipicamente moderna. La società che sta nascendo
sotto i nostri occhi, se non ci lasciamo pietrificare dal pensiero nichilista e paradossale,
aspira profondamente - anche se confusivamente - al primato della persona umana come
essere relazionale. Deve quindi porre come asse centrale della sua costituzione le
formazioni sociali in cui vengono perseguiti e realizzati i diritti umani in senso relazionale.
Il principio dialettico fra pubblico e privato viene sostituito dal principio dell'autoorganizzazione delle sfere sociali in base alla loro propria distinzione direttrice.
3.4. La lezione si sviluppa in quattro punti.
a) Innanzitutto si richiama il fatto che la società complessa tende a strutturarsi attorno
a quattro grandi polarità: le prime due, cioè mercato e Stato, sono un prodotto della
modernità; le altre due, e cioè associazioni e famiglie, rappresentano invece quelle sfere
sociali autonome che emergono al di là della modernità (per quanto ancora molti le
considerino come realtà e istanze pre-moderne). Insieme, queste quattro polarità, che sono
osservabili anche come sotto-sistemi relazionali ("più che" funzionali), formano quella che
chiamiamo "società complessa", la quale li deve rendere compatibili mediante uno shift
dalla "cittadinanza statuale" alla "cittadinanza societaria" (cfr. P. Donati, La cittadinanza
societaria, Laterza, Roma-Bari, 2000).
b) Ci si chiede poi come mai in Italia, più di quanto non accada in altri Paesi
occidentali, le formazioni associative di società civile siano relativamente deboli (se si
eccettuano forse quelle sindacali) soprattutto rispetto ai compiti che una società complessa
deve necessariamente affidare alle formazioni sociali intermedie. Viene svolta un’analisi al
riguardo.
c) Il problema della debolezza strutturale e culturale delle formazioni sociali
intermedie di natura civile rimanda alla comprensione di che cosa qualifica una
associazione come tale, di che cosa "la fa", di che cosa "la rende" associazione e "la
sostiene" come associazione che opera in un quadro di sussidiarietà. Importanti chiarimenti
possono venirci dall'analisi del ruolo e delle funzioni che le associazioni esplicano a livello
societario.
Se la tesi qui sostenuta ha qualche plausibilità, allora dovremmo essere in grado di
delineare in che cosa consiste quella "cultura associativa" da cui può derivare una "nuova
cittadinanza" non solo per i singoli cittadini, ma anche per le formazioni sociali intermedie
di società civile.
d) In conclusione, questa lezione cerca di svolgere una nuova riflessione sul "perché"
e sul "come" le formazioni sociali intermedie di società civile siano parte di un movimento
storico più generale che, nella società post-moderna, tende a trasformare i cosiddetti
"mondi di vita quotidiana" da sfere sociali colonizzate a nuove soggettività sociali che
hanno un ruolo primario nel nuovo assetto dello Stato italiano in senso sussidiario (nuovi
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articoli 117, 118, 119, 120 della Costituzione italiana, qui riportati nell’Appendice).
(approfondimenti bibliografici:
 Colozzi I., La sussidiarietà come principio regolatore del nuovo stato sociale,
“Sociologia e politiche sociali”, vol. 1, n. 1, 1998, pp. 53-77.
 Donati P., Sociologia delle politiche familiari, Carocci, Roma, 2003, cap. 6 e 7.
 Rossi G., Il principio di sussidiarietà: caratteristiche qualificanti ed implicazioni sulla
politica sociale, in "Politiche sociali e servizi", n. 1, 1997, pp. 29-44.
Appendice
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
TITOLO V - LE REGIONI, LE PROVINCE, I COMUNI
(con le modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001)
Art. 117 (legislazione)
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali.
Lo
Stato
ha
legislazione
esclusiva
nelle
seguenti
materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione
europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti
all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema
valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento
europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici
nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia
amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,
Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
11
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e
con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro;
istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e
della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento
sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di
trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa;
armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di
attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello
Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro
competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi
comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato,
che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva
delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine
alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli
uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di
accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore
esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con
enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.
Art. 118 (amministrazione)
Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne
l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato,
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative
proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui
alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa
e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
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Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Art. 119 (finanziamento)
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia
finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome.
Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo
i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di
compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i
territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai
commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle
Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo
sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri
economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse
aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio
patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E' esclusa
ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
Art. 120 (libertà civili e sociali)
La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le
Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione
delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l'esercizio del diritto al lavoro in
qualunque parte del territorio nazionale.
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle
Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della
normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica,
ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in
particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure
atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di
sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
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