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Dolci Francesco IC
Tema espositivo svolto in classe
LA SUSSIDIARIETA’
La storia insegna che l’uomo, sin dalle sue origini, ha sentito il bisogno di unire le sue forze a quelle
dei suoi simili per sopravvivere. E’ così che è riuscito a migliorare il proprio stile di vita
organizzandosi in civiltà sempre più complesse, la cui evoluzione prevede inevitabilmente una
grande collaborazione dei singoli individui a favore di benefici collettivi.
Nei vari periodi storici che hanno accompagnato l’evoluzione umana si sono alternate fasi nelle
quali il “lasciar fare” ed il “fare direttamente” da parte dello Stato non sono risultati ottimali. Nel
primo caso, tipico del liberalismo estremo, si è giunti ad una eccessiva privatizzazione che ha
concentrato tutti i mezzi nelle mani di una cerchia ristretta di persone. Ciò ha creato un sistema
oligarchico in cui perfino i servizi primari erano a disposizione di pochi. In queste condizioni il
progresso escludeva una gran parte della popolazione che restava ignorante. Questo clima ha
prodotto insoddisfazioni sfociate in rivolte e guerre civili.
Ancora peggiori gli effetti nel secondo caso. Il cittadino non è più costruttore del proprio destino,
diventa assistito dallo Stato al quale deve sottostare per ottenere la soddisfazione di tutte le sue
esigenze. Elargendo diritti dall’alto l’ente pubblico uccide nel cittadino il senso di iniziativa,
provocando un ristagno del progresso.
Constatata l’insufficienza di questi due sistemi viene oggi rivalutato il principio di sussidiarietà che,
secondo Alcide de Gasperi, deve avere come principio ispiratore l’ “aiutare a fare”. Questo significa
che lo stato valorizza le iniziative del cittadino indirizzate ad un’utilità sociale (organizzazioni non
lucrative e non profit), senza prendersene totalmente carico e senza ostacolarle. Così l’onorevole
Nicola Mancino, presidente del Senato, auspica “uno stato che crei condizioni entro le quali i
cittadini, da soli o nelle proprie formazioni sociali, organizzino il proprio presente per il futuro”.
La sussidiarietà richiede però una società matura, ricca di iniziative e partecipazione, essendo
indispensabile un’azione sistematica e coinvolgente da parte dello Stato.
Questo principio aveva già animato uno dei papi più lucidi, più coraggiosi, più concreti della storia,
Pio XI, che nella sua enciclica “Quadragesimo Anno” del 1931 afferma che: “Siccome è illecito
togliere agli individui ciò che essi possono compiere con la forza e l’industria propria,
analogamente è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e
inferiori comunità si può fare”. A questo principio, che è stato negli ultimi tempi riscoperto e
rivalutato, si appellano comuni, province, regioni e i singoli stati della Comunità Europea, al fine di
rivendicare ed allargare le loro rispettive autonomie.
E’ così che il termine “sussidiarietà” compare nella Costituzione Italiana. L’articolo 118 contiene
questo emendamento: “Stato, regioni, Province, Città metropolitane e Comuni favoriscono
l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Il risultato positivo è duplice come sostiene Gianpaolo Terravecchia in “Partecipazione e
sussidiarietà”: da un lato la partecipazione dei cittadini diviene più efficace perché integrando i
limiti del singolo, ciascuno sviluppa le proprie potenzialità realizzando un’azione costruttiva.
Dall’altro l’azione organizzativa dall’alto, se rispettosa e non intrusiva, consente di costituire
“efficaci sinergie”, rendendo più saldo il corpo sociale e più efficace la sua azione. Egli conclude
che: “ Il successo retroagisce positivamente sulla motivazione alla partecipazione, creando un
circolo virtuoso che rinsalda la partecipazione e motiva nuove adesioni”. Quanto affermato da
Terravecchia trova sostegno nelle parole di Danilo Mainardi, etologo docente universitario, che
nell’ articolo apparso sul Corriere della Sera del 20 maggio ammette che non è stato facile spiegare
questo processo, finché non si è capito che prima o poi c’è sempre un ritorno positivo per chi si
sacrifica. Infatti, come spiega ancora Gianpaolo Terravecchia, la gratuità, valorizzata dalla
sussidiarietà, a prima vista potrebbe essere messa in contrasto all’utilitarismo. A ben vedere, però,
essa tende a rafforzare il tessuto sociale che, reso più efficiente, favorisce direttamente l’individuo.
Risulta inoltre che compiere azioni altruistiche appaghi, indipendentemente da motivazioni morali.
Non è quindi fuori luogo parlare di un “gene dell’altruismo”, che tutti hanno, ma che può maturare
o meno, a seconda del clima culturale e degli impulsi che riceve dall’esterno.
Motivazioni biologiche a parte, l’altruismo costituisce un cardine sul quale si fonda la Chiesa, che
per prima ha predicato il concetto di sussidiarietà nella sua concezione moderna di “aiutare a fare”.
Nell’impegno per applicare questo principio sono stati coinvolti tutti gli schieramenti politici, pur se
con diverse sfumature.
Il presidente della Compagnia delle Opere Giorgio Vittadini afferma che: “sostenere la sussidiarietà
non è una battaglia di parte o ideologica. E’ l’affermazione di un diritto naturale dell’uomo: la
libertà di costituire insieme con altri uomini un destino buono per tutti”.
Ad avvantaggiarsene non sarebbero unicamente i cittadini, ma anche lo Stato stesso, che
distribuendo compiti e responsabilità, risparmierebbe sui servizi migliorandoli.
Giorgio Vittadini, in un comunicato a pagamento dal titolo “Libera società in libero Stato”, apparso
sul Corriere della sera il 22 magio 2001, si chiede: “Da sempre in Italia, ospedali, università, scuole,
casse di risparmio, cooperative, opere di assistenza, sono state create dal popolo per rispondere ai
bisogni del popolo e finanziate con donazioni, eredità ed esenzioni fiscali. E’ possibile che oggi in
Italia lo Stato abbia la pretesa di rispondere da solo a questi bisogni?”.
Senza voler sminuire l’importanza dello Stato né il suo ruolo, Monsignor Ennio Antonelli,
segretario della CEI, auspica che: “Lo Stato governi di più e gestisca di meno” sostenendo e
coordinando le diverse competenze.
La sussidiarietà, tuttavia, come emerge da un convegno promosso dalla regione Lombardia
(“Verticale e orizzontale: la sussidiarietà dimezzata”) non può essere considerata solo come una
ripartizione verticale delle competenze degli organi statali, che prevede l’intervento
dell’articolazione statale più vicina al cittadino, quindi il Comune prima della Provincia, della
Regione e dello Stato stesso. La sussidiarietà non è compiuta se non è anche orizzontale. Ciò
significa che lo Stato deve riconoscere l’auto-organizzazione e l’autonomia degli enti intermedi.
Il principio di sussidiarietà è indispensabile per il rinnovamento della pubblica amministrazione. E’
in questa ottica che il Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi invita ad accelerare il
processo delle riforme istituzionali per favorire un nuovo patto trai cittadini e le istituzioni e
rilanciare la modernizzatine dello Stato giungendo ad un federalismo che risponda al principio di
sussidiarietà (dal discorso in occasione di una visita a Milano).
Non manca la voce di Giovanni Paolo II che spesso ha invocato l’applicazione di questo principio.
Anche in occasione delle ultime elezioni egli invita a risolvere i problemi relativi alla parità
scolastica, disoccupazione, povertà ed immigrazione “superando vecchie concezioni statalistiche
per procedere alla luce del principio di sussidiarietà” ( Corriere della Sera, 18 maggio 2001).
E’ noto che un benessere generale porta indubbiamente con sé una diminuzione di conflitti. E’ forse
pensando a questo che già nella lontana epoca romana, Menenio Agrippa, aveva recitato la sua
metafora sulla collaborazione tra le classi sociali.
Inoltre, come non riconoscere la grandiosità di certo volontariato, uno per tutti l’esempio di Madre
Teresa di Calcutta e la sua organizzazione, che rende grande chi lo attua e renderebbe tale anche chi
lo appoggiasse?