A11
651
Alberto Peruzzi
DIALOGHI DELLA
RAGIONE IMPURA
VOLUME III
Copyright © MMXI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–4358–5
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2011
Una filosofia dev’essere portatile.
Paul VALERY, Cahiers
Indice
9
In limine
ATTO III
15
Capitolo XV
L’etica formale
XV.1
XV.2
XV.3
XV.4
XV.5
111
Dalla conoscenza alla prassi
L’imperativo categorico
I tre postulati della ragione pratica
Formalismo etico
Qualche piccola riserva
Capitolo XVI
Oltre il criticismo
XVI.1 Prime polemiche e precisazioni sulla geometria
XVI.2 I ‘principi’ della scienza naturale
XVI.3 Difficoltà nella sistemazione della fisica
XVI.4 Aspetti della Critica del Giudizio
XVI.5 La finalità della natura
XVI.6 La Transizione
XVI.7 Un salto nel buio?
7
8
221
Capitolo XVII
Sviluppi successivi
XVII.1
XVII.2
XVII.3
XVII.4
XVII.5
XVII.6
XVII.7
XVII.8
XVII.9
XVII.10
389
Dopo-Kant
Una conversazione interrotta
Il neocriticismo
Le obiezioni di Husserl e Heidegger
Sviluppi della fisica
Dalle geometrie non-euclidee all’incompletezza logica
Il neocriticismo liberale di Cassirer
Convenzioni e definizioni: da Poincaré agli empiristi logici …
… e oltre
Segnali dalle scienze della mente
Capitolo XVIII
Approfondimenti
XVIII.1 Le forme a priori della sensibilità
Addendum sulle intuizioni pre-geometriche
XVIII.2 Gli opposti incongruenti
XVIII.3 Questioni relative alla geometria
XVIII.4 La geometria direttamente interpretata in rapporto all’aritmetica
Addendum sulla costruttività
XVIII.5 La teoria causale del tempo
XVIII.6 Causalità e uniformità
XVIII.7 Metodo a zig-zag, categorie matematiche e categorie dinamiche
XVIII.8 Idealismo e unicità delle condizioni
XVIII.9 Leggi di natura e unicità delle condizioni
XVIII.10 Il puzzle della cosa in sé
583
Capitolo XIX
Uscendo dal tunnel
XIX.1 Kant scienziato cognitivo?
Addendum sul metodo
XIX.2 Incompletezza, paradossi, principio antropico
XIX.3 Per una critica della ragione impura (I)
Addendum su circoli viziosi e trecce
XIX.4 Per una critica della ragione impura (II)
XIX.5 Piccola conclusione
693
Bibliografia
In limine
Con questo volume si conclude la trilogia dei Dialoghi. Rimandando alla
premessa inserita nel primo volume per avere un’idea delle motivazioni e
degli scopi dell’intera trilogia, mi limito qui a richiamare brevemente il contenuto dei due volumi precedenti e a presentare il contenuto di questo.
Nel primo volume sono stati delineati i presupposti della ricerca filosofica di Kant procedendo su un doppio binario: attraverso un riferimento al dibattito filosofico-scientifico tra Seicento e Settecento e attraverso una ricostruzione del percorso che va dai primi scritti di Kant fino agli “anni del silenzio”, durante i quali lavorò alla stesura della Critica della ragion pura. In
tal modo vengono progressivamente messi a fuoco i temi inerenti a un’analisi sistematica della conoscenza umana, nonché i problemi da affrontare e i
metodi per affrontarli, in un costante confronto tra le soluzioni prospettate
dal giovane Kant e le soluzioni avanzate dalla filosofia precedente.
Dedicato esclusivamente a un’analisi della Critica della ragion pura, il
secondo volume ne esamina il progetto, le finalità, la struttura generale, seguendone passo passo l’articolazione e anche discutendo significative differenze tra la prima edizione (1781) e la seconda (1787). L’attenzione si appunta su una serie di difficoltà che Kant incontra in questioni specifiche, sulle ambiguità residue (che poi influenzeranno il prosieguo della ricerca kantiana e daranno vita a successive controversie) e sui margini entro i quali il
progetto poteva ammettere un effettivo, coerente, sviluppo.
L’orizzonte di questo terzo e ultimo volume presenta alcuni caratteri del
primo e alcuni del secondo: comprende infatti un resoconto dell’evoluzione
della riflessione kantiana dopo la Critica della ragion pura e allo stesso
tempo si prefigge di identificare i nodi centrali, di natura teoretica e metodologica, del criticismo lungo un percorso che porta fino alle soglie del dibattito attuale in filosofia.
Dopo aver passato in rassegna nei capp. XV e XVI gli sviluppi del pensiero di Kant così come si configurano nelle opere composte dal 1786 in poi,
9
10
In limine
nel cap. XVII viene discussa l’eredità del criticismo nell’Ottocento e nel
Novecento. L’esame di specifiche tesi kantiane è ripreso nel cap. XVIII per
considerarne aspetti non considerati o non adeguatamente chiariti nei voll. I
e II dei Dialoghi. Gli “approfondimenti” qui proposti hanno non soltanto lo
scopo di chiarire il senso delle tesi in esame ma anche quello di prospettarne
formulazioni alternative, confrontando le quali il significato della “filosofia
critica” si precisa rispetto a linee di pensiero proprie della filosofia recente,
con riferimento a particolari ambiti di ricerca e, più specificamente, con riguardo alla filosofia della matematica, alla filosofia della fisica e alla filosofia della mente.
Con il cap. XVIII l’impresa poteva dirsi conclusa. Invece, non era così. Il
cap. XIX raccoglie gli appunti preparati per quelli che nei miei auspici avrebbero dovuto essere i seminari conclusivi. Uso il condizionale perché i
seminari previsti non si sono mai tenuti per una tanto banale quanto colpevolmente prevedibile ragione: non c’è stato tempo sufficiente. In quest’ultima parte gli interventi dello Studente sono dunque inventati di sana pianta,
immaginando che cosa avrebbero potuto dire gli studenti che in carne e ossa
avevano frequentato il terzo corso ‘kantologico’ e lo avevano animato con le
loro domande e con la perplessità manifestata di fronte alle risposte che via
via davo (o non riuscivo a dare).
Rimirando il malloppo fornito agli studenti sotto forma di dispense, di
anno in anno mi consolavo con l’idea che, in fondo, il lavoro per uscire dal
tunnel era già stato predisposto, benché distribuito in dosi omeopatiche nelle
lezioni e seminari corrispondenti ai capitoli dal I al XVIII (I-V nel vol. I, VIXV nel vol. II). In sostanza, restava da fare solo un ultimo ‘esercizio’: un
compito non propriamente semplice, ma … bastava mettere insieme quel che
era sparso in tante pagine. Mi è apparsa sempre più come una misera consolazione d’ufficio e così mi sono sentito in obbligo di risistemare quegli appunti inserendo nel volume il testo dei seminari previsti a quello dei seminari
effettivamente tenuti.
Il risultato, dopo tanti anni, fa una strana impressione perché dubito di essere la stessa persona che tenne quel corso su Kant, sul prima e sul dopo. Mi
sono sforzato di risistemare gli appunti in un modo che potesse essere approvato da quella persona e, non essendo riuscito a contattarla, posso soltanto esprimere la speranza di esserci riuscito.
A quanto pare, in quest’ultimo volume dei Dialoghi prende corpo il tentativo di conseguire un duplice fine da parte di quella persona, vale a dire: denunciare i guai cui va incontro la filosofia critica e ricavarne ugualmente una
lezione in positivo, che conserva alcuni caratteri della filosofia critica dando
In limine
11
a essi un senso nuovo. Non presumo che sia l’unico modo di uscire dal tunnel. Presumo, invece, che lo fosse per chi tenne quel corso.
In apertura del primo volume ho ringraziato alcune persone che prima e
durante la stesura mi hanno dato suggerimenti preziosi. In apertura del secondo c’era anche un ringraziamento a Kant e alle altre grandi menti che
hanno accettato di intervenire facendo uno scomodo viaggio dall’Empireo.
In apertura del terzo volume non oso ripetere un simile ringraziamento
per almeno cinque ragioni: la prima è che, visto il finale, suonerebbe ipocrita; la seconda sta in crescenti sospetti circa l’esistenza stessa dell’Empireo;
la terza e la quarta sono, rispettivamente, che non sono sicuro della vera identità dei viaggiatori e del ringraziante; la quinta è che il viaggio veramente
scomodo è stato, è e sarà quello inverso – intendo il vostro. Così dicendo,
non intendo barattare l’ipocrisia con una sfacciata captatio benevolentiae che
semmai potrei rimproverare a me stesso di non aver esercitato verso gli intervenuti, invece di provocarne il dissenso.
Perciò ringrazio esclusivamente Luca Landi per l’aiuto datomi in relazione alla bibliografia e Andrea Sani per la segnalazione di refusi e di espressioni infelici, senza ovviamente supporre che possa essere di altri che me la
responsabilità di aver considerato felici tutte le altre.
ATTO
TERZO
Capitolo XV
L’etica formale
XV.1 Dalla conoscenza alla prassi
Di strada, ne abbiamo fatta un bel po’ e ancora non siamo arrivati in fondo. Anzi, ne siamo lontani. La strada di Kant non si fermò alla Critica della
ragion pura (CRP). Come proseguì? Ora si tratta di capire alcuni aspetti di
quel che venne dopo. Strada, viottolo, sentiero o via maestra che fosse, la
svolta “criticista” non si esauriva in una teoria della conoscenza. Una volta
elencati gli elementi a priori della sensibilità e dell’intelletto e una volta
smascherata una razionalità millantatrice, che pretendeva di conoscere cosa
c’è al di là dei fenomeni e di sapere com’è fatta la realtà-in-sé, cosa restava?
C’era solo da colmare le minime lacune residue per completare il sistema?
Le ricerche, e le opere, successive di Kant non sono la semplice prosecuzione di quanto delineato nell’analisi “critica” della conoscenza – un’analisi
che s’impernia sul metodo trascendentale. L’indagine si allarga: affronta
nuovi argomenti e si sviluppa in nuove direzioni. Dobbiamo davvero occuparcene? Se il nostro tema è la conoscenza (di cui stabilire condizioni, struttura e limiti), lo svolgimento kantiano non trova forse sistemazione nella
CRP?
Il punto è che Kant prosegue il suo percorso in un modo che pone questioni di coerenza con quanto precede e questioni di adeguatezza rispetto al
compito che si era assunto in merito alla stessa conoscenza. Dopo la CRP la
sua ricerca, infatti, prende forme che finiscono per modificare alcuni dei caratteri fondamentali del criticismo.
Ci interessa capire quali siano i caratteri modificati e quanto le modifiche
incidano sull’epistemologia. A questo scopo, non possiamo ignorare gli sviluppi del pensiero di Kant in aree che non riguardano, direttamente o esclusivamente, la conoscenza. Gli stessi temi riguardanti la conoscenza si arricchiscono, si complicano, si trasformano, in conseguenza dello sforzo com-
15
16
Capitolo XV
piuto per giungere a un’architettura in cui tutto trovi il suo posto. Questo significa che, se vogliamo capire l’evoluzione del pensiero di Kant sui temi
che sono al centro della CRP, dovremo interessarci di altri temi, così come
Kant li affronta in opere successive alla CRP.
Stiamo per muoverci su un terreno impervio e a renderlo ancor più impervio contribuisce l’idea che la filosofia “critica” trovi la sua naturale continuazione nel modo pensato da Kant. Dopo la prima Critica (della ragion
pura) Kant scrisse altre due Critiche. Non potremo soffermarci su esse quanto ci siamo soffermati sulla prima e, dovendo fare una ricognizione di temi
che epistemologici non sono, ce ne serviremo per mettere meglio a fuoco le
questioni che fin dall’inizio sono state oggetto della nostra attenzione.
Dunque, delle opere che vertono su altri temi saranno privilegiati gli aspetti che interessano più da vicino la teoria della conoscenza. Lo dico col
capo cosparso di cenere perché, a chi ha passato la vita studiare questi altri
temi, un’analisi che li consideri solo strumentalmente, come appunto quella
che stiamo per fare, può risultare offensiva. Chiedo venia in considerazione
del fatto che le soluzioni date da Kant ai problemi etici nella Critica della
ragion pratica e l’impostazione data ai problemi dell’estetica (come studio
del gusto, del bello, e infine dell’arte) nella Critica del Giudizio hanno effetti
retroattivi sull’epistemologia. È a questi effetti che guarderemo. E, per capire
quali sono, bisogna farsi una qualche idea dell’impianto della seconda e della terza Critica, ma anche di altre opere, realizzate o solo progettate da Kant
nell’ultima parte della sua vita.
Il pistolotto che vi ho appena ammannito è quanto avevo inizialmente
pensato di dirvi per giustificare una rapidissima sintesi di testi che Kant
compose dopo la CRP. Mentre preparavo la sintesi, è successo che le considerazioni al riguardo si sono progressivamente dilatate e la dilatazione ha finito per assumere un significato che non si riduce più alla cernita di materiali
utili all’epistemologia. Così, chiedo nuovamente venia: la scusante appena
addotta non basta più. In compenso, i riferimenti all’etica e all’estetica finiscono per essere molto meno strumentali di quanto volevano essere e, per
certi versi, diventano essenziali, nel senso che acquistano un rilievo epistemologico primario; e di conseguenza il fatto di considerarne alcuni aspetti in
maniera più ampia rispetto ad altri va ben oltre l’idea di documentare lo sviluppo che temi ‘propriamente’ epistemologici trovano in Kant.
Il filo del discorso si annoda. Le tre Critiche finiscono per formare degli
anelli borromei e si generano anche tensioni nel progetto complessivo del
criticismo. Nondimeno, della mia iniziale intenzione è rimasta una traccia
nello stile espositivo: non seguirò passo-passo i testi di volta in volta menzionati, non farò diligenti rimandi testuali come per la CRP e non mi preoc-
L’etica formale
17
cuperò (se non raramente) di segnalarvi le differenze tra un testo e l’altro
circa uno stesso tema – differenze significative specialmente per quanto riguarda l’etica.
Già alcuni accenni presenti nella Dialettica e nella Dottrina del metodo
hanno reso esplicito, dopo le lettere di Kant all’amico Herz, che il progetto
da cui aveva preso corpo la prima Critica andava molto al di là dell’ambito
puramente epistemologico. Evidentemente, fin dagli anni del silenzio, Kant
si rese conto della mole di lavoro che ciascun tema richiedeva e decise di distribuire il lavoro in opere separate.
Non pensiamo e basta, non percepiamo e basta e non integriamo semplicemente sensibilità e intelletto: agiamo. Le nostre conoscenze servono per
intervenire nel mondo e le nostre azioni hanno a che fare con le azioni degli
altri. Dopo la teoresi viene la prassi. Le condizioni, le strutture e i limiti della
conoscenza erano state esaminate nella CRP. Fatto questo, c’erano innanzitutto da affrontare le questioni concernenti l’etica e c’era da impostare una
relativa analisi critica.1 Nasce così la seconda “critica”, la Critica della ragion pratica, nella quale Kant prende in esame, come il titolo stesso preannuncia, l’uso “pratico” della ragione, avendo già esaminato l’uso “teoretico”
nella Critica della ragion pura. La seconda Critica intende fissare i principi
a priori che stanno a fondamento dell’intervento della ragione nel mondo.
Da sempre gli esseri umani si sono preoccupati di fissare criteri per un agire razionale, criteri per dire cosa va fatto e cosa non va fatto, criteri per governare l’intervento della ragione nel mondo, possibilmente tenendo conto
che l’azione di qualcuno interferisce sempre con l’azione di qualcun altro.
Quest’intervento può essere considerato da diversi punti di vista, ma sicuramente è oggetto del giudizio morale: quest’azione è giusta e quella è sbagliata, si deve fare questo e non si deve fare quello, è bene questo mentre è male
quello. La morale si configura come un insieme di norme, anzi, di norme che
spesso, in modo implicito, intendiamo come dotate di valore universale. In
qualunque modo si precisino, queste norme sono incentrate sulla volontà e
sulla libertà di volere e potere far una cosa piuttosto che un’altra, cioè, agire
in un modo piuttosto che in un altro.
La Critica della ragion pratica non fu la prima opera che, a partire
dall’avvio del periodo “critico”, Kant pubblicò su temi concernenti la morale, e non fu neppure l’ultima, come risulta dal seguente elenco:
Fondazione della metafisica dei costumi, 1785
1
Un consistente annuncio di quello che sarà il tema della seconda Critica si trova già in B
575 segg. (“Ora, che la ragione sia in possesso ...”).
18
Capitolo XV
Critica della ragion pratica, 1788
La religione nei limiti della semplice ragione, 1793
La metafisica dei costumi, 1797
Antropologia dal punto di vista pragmatico, 1798.
È nella Fondazione della metafisica dei costumi che si delinea per la prima volta il grande disegno dell’etica kantiana, ma lo sviluppo sistematico del
disegno che si annuncia nella Fondazione richiederà parecchi anni per essere
portato a termine.
La Fondazione è impostata riprendendo una suddivisione risalente allo
stoicismo: la conoscenza (lato sensu) si divide in logica, fisica ed etica. La
logica ha come tema le leggi formali del pensiero, mentre fisica ed etica considerano anche i caratteri materiali, cioè le specifiche determinazioni degli
oggetti che cadono sotto leggi, rispettivamente fisiche e morali, le quali per
Kant sono leggi a priori. Dunque l’etica è una disciplina a priori, come la fisica “pura”, anche se può far riferimento, come la fisica attraverso le sue applicazioni, a specifici contenuti empirici. Quando questa possibilità si realizza, l’etica diventa antropologia.
Tre anni dopo la Fondazione, nel 1788 viene stampata la Critica della
ragion pratica. In quest’opera s’indagano i fondamenti a priori della morale,
mentre nella successiva Metafisica dei costumi saranno sviluppati anche i
principi a priori che rendono possibile il diritto.2 La Metafisica dei costumi
esce solo nel 1797: c’erano voluti dodici anni perché il compimento del disegno annunciato nella Fondazione vedesse la luce, in due volumi, uno appunto dedicato al diritto e uno alla virtù morale. Il diritto è inteso come sistema di regole razionali che garantiscono la convivenza civile e che, integrate con i principi della morale, sono condizione necessaria per poter aspirare alla felicità. Ragion per cui, se c’è qualcosa che manca nella morale, la
lacuna è colmata (dovrebbe essere colmata) nel diritto.
L’anno seguente Kant pubblica l’Antropologia dal punto di vista pragmatico.
Studente — Perché “dal punto di vista pragmatico”?
La specificazione serve a differenziare lo studio di ciò che l’uomo autonomamente può o deve fare dallo studio di ciò che nell’uomo è d’origine “fi2
Come il titolo originale della Fondazione della metafisica dei costumi è in tedesco
Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, così il titolo della Metafisica dei costumi è Metaphysik der Sitten. In inglese, il titolo di quest’opera è stato tradotto, opportunamente, Metaphysics of ethics, cioè, metafisica dell’etica.
L’etica formale
19
siologica”. Accanto all’attitudine “tecnica” e a quella “morale”, c’è anche
quella propriamente “pragmatica”, definita come “disposizione alla civilizzazione mediante la cultura”. Facendo appello a questa disposizione (un appello che ricorda il dantesco Fatti non foste per viver come bruti …), Kant
produce qualche crepa nel muro tra stato di natura (buono) e società (cattiva)
che Rousseau aveva eretto.
Questi superficiali cenni bastano a far immaginare la vastità di temi che
Kant tratta nelle opere relative alla ragione “pratica”, nelle quali, per la verità, sono affrontate anche questioni che con un discorso puramente “teoreticopratico” hanno poco a che fare. L’esame delle singole questioni non è neppure uniforme, perché da un’opera all’altra si notano sottili cambiamenti nella
formulazione delle tesi. Ma così è. Non entrerò nel merito di ciascuna opera
e nel seguito mi limiterò a segnalare soltanto alcuni di questi cambiamenti.
Prima di descrivere per sommi capi le questioni che stanno al centro della
Critica della ragion pratica, vorrei leggervi le parole con cui si conclude. È
un passo giustamente famoso.
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di venerazione sempre nuove
e crescenti, quanto più sovente ed a lungo si riflette sopra di esse: il cielo
stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Non si tratta di due cose
che io debba cercare o semplicemente supporre come se fossero avvolte nelle tenebre o situate nel trascendente, al di là del mio orizzonte; io le vedo dinanzi a me e le congiungo immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto da me occupato nel mondo sensibile esterno e allarga la connessione in cui mi trovo in un’ampiezza sconfinata,
con mondi e mondi, sistemi e sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro
movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità e mi rappresenta in un
mondo che ha la vera infinità, in cui soltanto l’intelletto è in grado di penetrare e col quale (quindi anche con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco
in una connessione non contingente come la prima, ma universale e necessaria. La vista di una molteplicità innumerevole di mondi riduce in certo modo
a nulla la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente
al pianeta (che è un semplice punto nell’universo) la materia di cui è formata, dopo esser stata dotata per breve tempo (e non si sa come) di forza vitale.
L’altra vista innalza invece infinitamente il mio valore, come proprio di
un’intelligenza, attraverso la mia personalità, in cui la legge morale mi rivela
una vita indipendente dalla animalità e anche da tutto il mondo sensibile,
almeno per quanto si può arguire dalla determinazione secondo fini che que-
20
Capitolo XV
sta legge conferisce alla mia esistenza, determinazione che non si restringe
alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.3
Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me: queste sono anche le parole poste come iscrizione sulla tomba di Kant a Königsberg (ora
Kaliningrad).
XV.2 L’imperativo categorico
Tra i vari obiettivi che Kant s’era prefisso scrivendo la CRP c’era quello
di rimediare a un ‘difetto’ fondamentale dell’empirismo: l’impossibilità di
giustificare la conoscenza limitandosi a quanto è ricavabile dall’esperienza.
A quest’obiettivo se ne affiancava un altro, in funzione equilibratrice: mostrare la simmetrica infondatezza della pretesa di ottenere conoscenze valicando i confini dell’esperienza. Da un lato si dovevano riconoscere concetti
e principi a priori, dall’altro si dovevano porre limiti all’uso speculativo della
“pura” ragione.
Nella Critica della ragion pratica Kant si assume un compito analogo:
mostrare come sia infondata la pretesa di giustificare un qualsiasi principio
etico ricavandolo da ciò che è empirico (fatti relativi a sentimenti e comportamenti umani). Però, contrariamente a quanto vorrebbe una perfetta simmetria, Kant non si propone di equilibrare il discorso dicendo che, se la ragione
morale travalica i limiti del sentimento o senso morale “puro”, quale corrispettivo della sensibilità, allora la ragione va incontro a una serie di guai –
guai che sarebbero stati l’analogo di antinomie e paralogismi. Cioè, manca
un analogo della pars destruens che nella CRP va sotto il titolo di “Dialettica”. Al contrario: l’uso PRATICO della ragione, e con esso l’etica, non può
essere compreso e legittimato se non ricorrendo a qualcosa che TRASCENDE
l’esperienza.
Studente — Cosa? Pensavo d’aver imparato la lezione della Dialettica a proposito dell’uso delle idee: l’unico uso legittimo è quello regolativo. Idee che
rimandano a qualcosa di trascendente, come quelle di Anima, Dio e Mondo,
serviranno pure, ma non portano a conoscenze. Ora … non ci sarebbe modo
di fondare la morale senza nozioni di questo tipo. Intendo: senza un loro uso
costitutivo. È come ammettere la conoscibilità di qualcosa di trascendente!
Mi lascia di stucco. Perché quest’asimmetria tra ragione pura e ragione pratica?
3
La citazione è tratta dalla raccolta Scritti morali, curata da Pietro Chiodi (p. 313).