PANORAMA INTERNAZIONALE La Cina nel nuovo quadro strategico internazionale Dr. Gianluca Sardellone Analista strategico N el nuovo contesto internazionale postbipolare, dominato dalla lotta contro il terrorismo globale iniziata l’11 settembre del 2001 e dalla proliferazione di armi di distruzione di massa, c’è un Paese alla ferma ricerca di un maggiore ruolo regionale ed internazionale. È la Repubblica Popolare Cinese (1) (la Cina), il più popoloso stato al mondo con circa 1,3 miliardi di abitanti, oltre un quinto dell’intera popolazione mondiale, il secondo per estensione territoriale (9,4 milioni di kmq, poco più della metà della Federazione Russa) e tra i primi produttori mondiali di importanti materiali strategici (2). Oggi la Cina sta vivendo una complessa evoluzione politica ed economica: si sta, almeno in parte, aprendo al liberismo e tenta di sviluppare, da un lato, i rapporti con l’Occidente (USA, Europa ed Israele) e la Russia e, dall’altro, con i paesi limitrofi dell’Asia Centrale e della Penisola Indiana (le repubbliche dell’ex Unione Sovietica, l’India, il Pakistan e le cosiddette Tigri del Sud Est). Per questo sta stringendo nuove partnership strategiche che le permettano di uscire, dopo mezzo secolo di comunismo integralista, dal sostanziale isolamento internazionale e, inoltre, di dare soluzione alle sfide politiche, al momento più pressanti sul piano interno (l’economia e le riforme istituzionali) e su quello esterno (i rapporti con Taiwan ed Hong Kong). La Cina occupa, infatti, una regione (l’Estremo Oriente) di notevole rilevanza strategica e, al contempo, instabilità che potrebbe, forse rappresentare, nel XXI secolo, il nuovo centro degli equilibri geopolitici mondiali: qui, infatti, insistono potenze nucleari acclarate (Corea del Nord, Russia, India e (1) O Cina comunista, distinta dalla Cina Nazionalista (Taiwan) (2) Tungsteno e manganese, oltre ad ingenti quantità di stagno, rame, piombo ma anche di uranio (anche se è piuttosto difficile fornire dati completi ed aggiornati, poiché numerosi giacimenti risultano esplorati in modo molto approssimativo) 41 La Cina nel nuovo quadro strategico internazionale Pakistan, oltre alla stessa Cina) e vari stati minacciati dall’integralismo islamico e dalla proliferazione di armi non convenzionali. Il nuovo quadro strategico Oggi la Cina vive una fase di boom straordinario (con una crescita del 10% annuo) iniziata sul finire degli anni settanta quando, dopo la morte di Mao, il governo comprese il sostanziale fallimento del dirigismo statalista e quindi, la necessità di avviare la trasformazione del paese, attraverso la “riforma e l’apertura”. Fu sviluppata una politica estera più cauta e realistica: Pechino attenuò la fiera contrapposizione sia agli USA che all’URSS, l’autarchia economica e il relativo disinteresse nei confronti delle organizzazioni internazionali. Ma la modernizzazione, diversamente dalla Russia, venne condotta con cautela evitando quella sovrapposizione di continuità e rinnovamento che aveva accelerato la disgregazione del sistema sovietico. Da “impero di mezzo” chiuso al mondo esterno, geloso della propria specificità e del proprio “splendido” isolamento, la Cina è progressivamente divenuta parte attiva della globalizzazione e sta tentando di conciliare tradizione e modernità. Ha migliorato i rapporti bilaterali con numerosi Paesi vicini, incrementato le missioni all’estero, siglato accordi di sicurezza e commercio, rinsaldata la partecipazione alle principali organizzazioni multilaterali. Il crollo del bipolarismo e dell’Unione Sovietica ha, infatti, spinto Pechino a normalizzare o stabilire ex novo la politica verso i Paesi nati sulle ceneri dell’URSS. La Cina ha avviato la soluzione di numerose questioni di confine rimaste per decenni insolute (con Russia, Tagikistan, Kazakistan, Kirghisia, ma anche Laos e Vietnam); migliorato i rapporti con l’India (rimasti a lungo burrascosi e culminati nel 1962 in una guerra aperta), accettato di affrontare in forum internazionali questioni legate alla difesa ed alla sicurezza e di risolvere le controversie con mezzi pacifici, basati sul diritto internazionale. La fine della guerra fredda ha, parallelamente, prodotto una nuova era nei rapporti con l’Occidente. Dopo un periodo “difficile” (alla fine degli anni novanta), gli USA considerano, ormai, la Cina non un più un nemico ma un partner nella lotta contro il terrorismo islamico e la proliferazione di armi di distruzione di massa. Una minaccia, questa, aggravata dalla crisi nord coreana che rischia di destabilizzare ulteriormente la 42 regione: il regime comunista di Pyongyang, infatti, oltre a ritirarsi nel 2003, dal “Trattato di Non Proliferazione Nucleare” (TNP), ha ammesso la realizzazione di un programma per arricchire l’uranio e realizzare un ordigno atomico. La Cina, insieme con USA, Russia, Giappone e Corea del Sud, dovrebbe, dal canto suo, costituire una sorta di cordone sanitario attorno alla Nord Corea in grado di dissuaderla da una folle politica di riarmo. Pechino, del resto, rappresenta, nella fase attuale, il soggetto che può esercitare le più forti pressioni politiche e diplomatiche su Pyongyang, specie dopo la decisione americana di ridurre la presenza militare nella penisola coreana, a protezione del 38° parallelo (che dal 1953 segna il confine tra le due Coree). Nel 2002, dopo la visita dell’allora vice premier cinese, Hu Jintao, USA e Cina avevano suggellato una ritrovata intesa, favorita dal crollo dell’URSS e dall’ingresso di Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), sostenuto, in modo decisivo, proprio da Washington. Di recente, l’Amministrazione americana ha mostrato prudenza La Grande Muraglia cinese tanto nei rapporti con la Cina comunista che in quelli con la Cina nazionalista (Taiwan), invitando entrambe ad astenersi da escalation belliche e soluzioni manu militari dalle conseguenze fortemente destabilizzanti. L’attuale establishment cinese mostra, del resto, un atteggiamento favorevole non solo agli USA (le cui coste occidentali si trovano di fronte a quelle cinesi) ma anche ad Israele con cui intensi sono i rapporti di cooperazione economico-militare. La Cina ha superato la tradizionale ostilità nei confronti di Gerusalemme e formali rapporti diplomatici sono stati avviati nel 1992: oltre a cooperare nella lotta contro il terrorismo, Israele potrebbe par- La Cina nel nuovo quadro strategico internazionale La nuova dottrina militare L’evoluzione della dottrina militare rappresenta un’ulteriore conferma della maggiore visibilità internazionale e del contrasto alle nuove minacce strategiche transnazionali. A partire dagli anni novanta, la Cina, infatti, ha intensificato la partecipazione ad operazioni di peace-keeping sia in Asia che in Africa e condotto numerose esercitazioni congiunte con altri Paesi (l’ultima, denominata “Pugno di ferro”, tenuta nel mese di settembre 2004, ha visto assistere, per la prima volta, anche militari provenienti da Russia, India e Pakistan). L’anno precedente, la Marina militare cinese partecipò, per la prima volta ad una esercitazione congiunta con una straniera, quella pakistana; esercitazioni navali congiunte si tennero, poi, con l’India, la Francia e la Gran Bretagna. Per decenni, la strategia cinese si è fondata sulla dottrina maoista della “guerra di popolo” e sul sistema rivoluzionario di warfare: la “presunta” supremazia delle risorse umane sui sistemi d’arma prevedeva, infatti, un’ampia mobilitazione dei cittadini e l’uso combinato di tecniche della guerriglia, della guerra di movimento e di quella di posizione. Il mutato quadro strategico, con minore rischio di guerra nucleare globale e maggiore incidenza di conflitti locali, ha prodotto una rivoluzione anche in ambito militare, con la modernizzazione del sistema di difesa, di quello di Comando e Controllo ed un incentivato impiego congiunto e sinergico delle tre forze armate. Si è, così, passati da un approccio human-intensive (incentrato sulla consistenza quantitativa delle forze armate e sul concetto di “nazione in armi”), ad uno techno-intensive, con il potenziamento delle capacità di reazione rapida e delle forze speciali (che possono acquisire informazioni e neutralizzare le installazioni nemiche, anche mediante attacchi preventivi). Oggi le Forze Armate cinesi contano, complessivamente, circa 2.9 milioni di effettivi, la cui nuova organizzazione dovrebbe ricalcare, una volta completata, quella degli USA, con unità snelle (brigate) e maggiore disponibilità di veicoli blindati leggeri e facilmente schierabili on the field. Nonostante i progressi, resta notevole il lavoro ancora da compiere: il Libro Bianco pubblicato nel 2002, pur apprezzando la massiccia riduzione del personale, ha evidenziato il gap tecnologico tuttora forte nei confronti degli USA (si parla di almeno 20 anni), l’insufficiente supporto radar e logistico a favore dei moderni aerei da guerra Su-27 russi e l’eccessiva distanza delle basi dai possibili teatri di impiego. tecipare alla modernizzazione delle forze armate cinesi (i cui approvvigionamenti, in massima parte, provengono, attualmente, dalla Russia). I rapporti con la Russia Sull’evoluzione del Paese inciderà, verosimilmente, l’andamento dei rapporti con la Russia che, dopo la nascita della Repubblica Popolare Cinese, ha conosciuto fasi alterne. Le relazioni tra i due Paesi avevano vissuto, dopo il 1945, una lunga fase positiva: Mosca aveva concesso massicci aiuti economici e militari alla Cina e nel 1949 era nata la cosiddetta Alleanza Rossa con cui il leader dei comunisti cinesi, Mao Tse Tung, aveva potuto sconfiggere i nazionalisti di Chang kai Shek, rifugiatisi a Taiwan. Questa entente cordiale, favorita dalla koinè ideologica e dalla contrapposizione verso gli USA, si attenuò dopo la morte di Stalin (1953) e l’avvio della destalinizzazione voluta dal nuovo Segretario del Partito Comunista sovietico, Krusciov che prevedeva, tra l’altro, l’avvio di un new-deal nei rapporti con l’Occidente. Cina ed Unione Sovietica si trovarono, addirittura, ad un passo da un conflitto armato (nel 1969), non solo per motivazioni ideologiche (il rispetto dell’ortodossia comunista) ma soprattutto strategiche e territoriali (entrambe miravano a controllare politicamente non solo l’Asia ma anche i Paesi del Terzo Mondo): mezzo milione di soldati cinesi e circa seicentomila russi vennero schierati lungo i confini, pronti per l’attacco. Per questo, nel timore di un confronto con Mosca, la Cina rilanciò la politica di riarmo nucleare, realizzando, nel 1964, la prima bomba atomica che, di fatto, poneva termine in Estremo Oriente al duopolio USA-URSS. Il crollo dell’URSS ha completamente ri-disegnato l’assetto geopolitico in Asia: l’enorme frontiera comune (oltre seimila km) condivisa durante la guerra fredda si è decisamente ridotta (anche se quella con la Russia si stende, tuttora, per oltre tremilaseicento km, mentre la restante parte riguarda Kazakistan, Kirghisia e Tagikistan). La Cina ne uscì sensibilmente rafforzata dal punto di vista politico e strategico ed un new-deal sembrò caratterizzare i rapporti bilaterali, ponendo termine ad una lunga fase di conflittualità: Cina e Russia sembravano sul punto di ripristinare un asse strategico interrottosi, fragorosamente, quasi mezzo secolo prima. Negli anni novanta, Pechino e Mosca si mostrarono ostili di fronte al progetto di allargamento ad est della NATO, condannando il recesso americano dal Trattato ABM (definito una pietra miliare per la sicurezza internazionale) ed il rilancio del progetto di Difesa Strategica (il cosiddetto scudo stellare). I due Paesi, potenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, siglarono il primo accordo di Buon Vicinato, Amicizia e Cooperazione: sulla spinosa questione di Taiwan, Mosca supportava le posizioni di Pechino, ottenendone, in cambio, il sostegno verso l’unità e l’integrità territoriale della Federazione Russa, minacciata dall’indipendentismo e dal secessionismo. 43 La Cina nel nuovo quadro strategico internazionale L’attacco alle Torri Gemelle, oltre a mutare radicalmente il contesto strategico mondiale, ha impresso una nuova svolta anche ai rapporti russo-cinesi. L’Operazione Enduring Freedom e la campagna contro i santuari del terrorismo in Asia Centrale (con lo stabilimento di una massiccia presenza militare occidentale) ha modificato il quadro geopolitico in un’area di forte interesse per Russia e Cina. La Cina ha guardato con sospetto alla crescente cooperazione (sancita nel 2002) tra NATO e Russia: Mosca, oltre a voler mantenere una certa influenza sulle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, rappresenta un gigante demografico, territoriale e, soprattutto, militare, capace di alterare l’equilibrio regionale. Ciononostante, Cina e Russia hanno deciso di condurre esercitazioni militari congiunte (nel 2005) dopo la storica visita della flotta militare russa nei porti cinesi, avvenuta nel 1999. Entrambi, del resto, affrontano la minaccia, Veduta panoramica di Shangai destabilizzante sul piano interno, del terrorismo islamico attivo in Cecenia e nello Xinjiang (o Turkestan cinese, a maggioranza musulmana, dove insiste il gruppo etnico separatista Uigur, di stirpe turca e lingua uigura). Ma è nei settori degli armamenti e dell’energia che sembra risiedere il futuro delle relazioni cinorusse. Imprese militari russe sono, inoltre, attive sul mercato cinese e Pechino ha ricevuto ingenti quantità di missili SAM-300, aerei SU-27 e SU-30, elicotteri d’attacco e sottomarini della classe Kilo. Nella sconfinata ma quasi disabitata Siberia, inoltre, sono celate il 20% delle riserve mondiali di gas e petrolio: un oleodotto collegherebbe la Siberia con il più importante snodo petrolifero cinese. 44 La Cina è, per dimensioni demografiche e industriali, il secondo importatore mondiale di greggio (dopo gli Stati Uniti) e sta incrementando anche la domanda di gas naturale; sono, peraltro, allo studio alcuni progetti per la realizzazione di oleodotti e gasdotti tra la Siberia occidentale ed il nord est della Cina, mentre il gigante energetico russo Gazprom preme per la realizzazione di un gasdotto nello Xinjiang. La Russia, grazie agli ingenti giacimenti in Siberia e nel Mar Caspio, si propone quale principale fornitore di energia per il “decollante” sistema industriale ed economico cinese. Per ridurre la dipendenza (e, quindi, la vulnerabilità) da Mosca e dai Paesi produttori del Golfo Persico, Pechino sta, tuttavia, cercando di perseguire una duplice strategia. Da un lato, attraverso la Compagnia Petrolifera Nazionale, intende diversificare le importazioni, rivolgendosi non solo all’Asia centrale (Kazakistan e Turkmenistan in primis) ma anche al Golfo (accordi erano stati siglati con Iran ed Iraq e, di recente, con l’Oman) ed al Corno d’Africa (il Sudan). Dall’altro, incrementando lo sfruttamento dei giacimenti interni che insistono, tuttavia, in luoghi impervi, difficilmente accessibili e, soprattutto, prossimi all’instabile regione del Xinkjiang: la sua rilevanza geopolitica potrebbe, nel medio termine, aumentare non solo per la presenza di risorse petrolifere, ma perché si tratta di una regione relativamente poco popolata, dove riversare le eccedenze demografiche. La Cina è, infatti, un Paese dall’ineguale distribuzione demografica dove coesistono aree pressoché disabitate per la natura inospitale del territorio (quelle settentrionali) o per la presenza dell’Oceano Pacifico (ad est) e, per contro, regioni iper-popolose (quelle meridionali). Gli interessi in Asia Centrale Per Pechino resta di vitale importanza l’evoluzione dei rapporti con i Paesi dell’Asia Centrale, la cosiddetta Grande Scacchiera, coacervo di popoli, religioni e sistemi politici differenti, dove la massiccia presenza di risorse energetiche ha aperto la competizione tra le Grandi Potenze tradizionali (USA, Cina e Russia) e quelle emergenti (Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Turchia). La Cina ha dovuto adottare una strategia ad hoc, la “politica periferica”, fissando in quattro punti la La Cina nel nuovo quadro strategico internazionale propria politica nella regione: • rapporti di buon vicinato; • cooperazione nell’interesse comune; • rispetto dell’indipendenza delle ex repubbliche sovietiche; • non ingerenza nella cosiddetta “domestic jurisdiction”. Oltre a quella con la Mongolia, Pechino condivide un’enorme frontiera con i Paesi succeduti all’URSS (Tagikistan, Repubblica di Kirghisia, Fiume Han Kazakistan ad ovest e Russia a nord-est). Cina, Russia, Kazakistan, Kirghisia, Tagikistan ed Uzbekistan hanno dato vita al “Gruppo di Shangai”, un soggetto strategico dalle competenze piuttosto diversificate, che spaziano dalla sicurezza stricto sensu (lotta contro il radicalismo islamico, il terrorismo ed il traffico di droga), all’economia, fino alla cultura. Seguendo l’esempio uzbeko, anche Tagikistan, Repubblica di Kirghisia e Kazakistan si sono avvicinati all’Occidente, stabilendo con esso forme di partnership politico-militari; restano, tuttavia, forti i legami etnici, linguistici e culturali tra la popolazione dello Xinjiang e quella di alcune repubbliche ex sovietiche. Pechino teme che l’indipendenza da Mosca acquisita da queste repubbliche, possa rappresentare un fattore di destabilizzazione, riaccendendo le pulsioni separatiste nello Xinjiang e riattivando il nazionalismo degli Uighuri. Gli Uighuri (la cui percentuale è scesa dal 78 al 48%), infatti, sono di etnia e fede islamica ma di lingua turca ed ammontano a circa 16 milioni di individui: insieme con Kazaki e Kirghisi, mostrano una palese insofferenza nei confronti di Pechino, accusata di condurre una politica di assimilazione forzata. L’insidiosa guerriglia islamica impegna circa trecentomila uomini delle forze di sicurezza di Pechino che, tuttavia, ha conseguito un risultato di sicura rilevanza nel 2002, dopo che gli USA hanno inserito nella lista dei movimenti terroristici il Movimento Islamico del Turkestan Orientale. Questa decisione è risultata, certamente, gradita al governo cinese che ha potuto, in questo modo, delegittimare il separatismo di quella regione (sospettato di legami con Al Qaeda secondo il Patterns of Global Terrorism). Pechino, inoltre, ha rafforzato la cooperazione economica e nel campo della sicurezza con l’ex repubblica sovietica del Kazakistan, al fine di evitare che i gruppi uiguri (legati alle milizie post talebane) stabiliscano campi di addestramento e basi di supporto nello Xinjiang. Nel 2003 si sono inoltre tenute esercitazioni congiunte per il contrasto al terrorismo cui hanno preso parte anche forze russe, kazake e tagike. Quanto ai rapporti con la Kirghisia, bisogna tenere conto di due fattori: da un lato, l’assenza di significative contese di confine e, dall’altro, gli stretti rapporti stabiliti dall’ex repubblica sovietica con gli USA (compresa la concessione di una base aerea per le operazioni contro Al Qaeda in Afghanistan). La Kirghisia, probabilmente la più debole tra le ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale, si è avvicinata alla Partnership for Peace della NATO, ma resta da valutare l’instabilità politica di cui soffre sul piano interno (culminata, nel 2002, in disordini di piazza nel sud del Paese). Nel medesimo anno, i due Paesi conducevano un’esercitazione congiunta anti-terrorismo nel quadro della Shangai Cooperation Organization (SCO). Valutazioni simili valgono anche per i rapporti con l’Uzbekistan che, dopo l’11 settembre, si è decisamente schierato con l’Occidente, concedendo agli USA non solo la possibilità di utilizzare lo spazio aereo, ma anche di creare proprie facilities militari in loco. Nel 2001, il Segretario di Stato, Powell, ha annunciato al leader uzbeko, Karimov, l’intenzione degli USA di sostenere l’emancipazione internazionale della giovane repubblica post sovietica, sottraendola, di fatto, alle mire dei principali attori locali (Russia e Cina). Prima di Enduring Freedom, Pechino ha tentato una normalizzazione perfino con il regime talebano in Afghanistan: i rapporti tra i due Paesi si erano, di fatto, interrotti dopo l’estromissione del governo filo-comunista di Najibullah ad opera degli studenti coranici. La politica verso l’Afghanistan, del resto, va analizzata tenendo conto, peraltro, di quella verso il Pakistan che ha rappresentato (e tuttora continua a rappresentare) 45 La Cina nel nuovo quadro strategico internazionale La questione di Taiwan Taiwan (o Formosa o Cina Nazionalista) è una piccola isola (circa 36mila kmq) con venti milioni di abitanti; ma è, soprattutto, un problema internazionale di primaria rilevanza per Pechino. Nel 1895, venne ceduta dalla Cina al Giappone con il trattato di Shimonoseki e “nipponizzata”: dopo la Seconda Guerra Mondiale, divenne la roccaforte dei nazionalisti di Chang Kai Shek, convinti che essa costituisse l’unico legittimo governo cinese. La crescente contrapposizione tra Pechino e Taipei costrinse, di fatto, la comunità internazionale a scegliere tra una Cina e l’altra: pur di negare il riconoscimento a quella comunista, l’Occidente (eccezion fatta per Gran Bretagna ed India) riconobbe Taiwan che, nel 1952, ottenne l’impegno americano a neutralizzare lo stretto di Formosa e proteggerne il governo. Durante la guerra fredda (data la conflittualità nelle due Coree), infatti, Taiwan rappresentò un elemento per contenere la Cina comunista di Mao: fino al 1971, lo stesso seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza ONU era occupato dalla piccola isola. La situazione mutò con la elezione, negli USA, di Richard Nixon che, pur di portare il Paese fuori dal Vietnam e di spezzare l’asse Cina-URSS, puntò decisamente sull’apertura di rapporti con Pechino. La visita di Nixon a Pechino (nel febbraio 1972) sancì lo storico avvicinamento ed una netta cesura col passato: gli USA si impegnavano a riconoscere l’indivisibilità della Cina ed a ritirare le proprie forze presenti sull’isola e nello stretto di Formosa; in cambio, la Cina riconosceva gli interessi americani nel Pacifico. Taiwan venne dichiarata provincia separata della Cina ed affermata l’idea di “una sola Cina”: il formale riconoscimento diplomatico avvenne, tuttavia, nel 1979, quando, finita la distensione, riprendeva il riarmo in Europa. Nonostante l’irritazione di Pechino, Taiwan continuò ad avvicinarsi all’Occidente dal punto di vista economico, politico e culturale, ricevendo massicce forniture di armamenti che hanno alterato la balance of power nell’area. L’ascesa, nel 2000, del nuovo presidente taiwanese, Chen ShuiBian (rieletto nel 2004), ha dato nuova linfa al processo di modernizzazione dell’isola, sempre più coinvolta nella globalizzazione. Nonostante la cauta partnership economica con la Cina, Taiwan sta tentando di acquisire sistemi di difesa sempre più moderni ed efficaci per poter resistere ad un ipotetico attacco straniero: l’annuale esercitazione di difesa nazionale (denominata Wan-An 27) con la presenza congiunta di forze militari e civili ha confermato l’esistenza di questi timori. un importante interlocutore per la Cina (specie a fini di contenimento dell’India che condivide con la Cina un confine lungo ben tremilatrecento km). I passati rapporti tra l’intelligence pakistana e le milizie talebane hanno, tuttavia, indotto, il governo cinese a chiudere, tra il 2001 ed il 2002, alcuni valichi di frontiera nel timore di infiltrazioni di terroristi, prima che un accordo bilaterale permettesse alle forze cinesi di stazionare nella parte settentrionale del Pakistan a protezione di alcuni siti nucleari e dell’impervia frontiera con l’Afghanistan. Nell’agosto 2004 forze armate cinesi e pakistane hanno condotto esercitazio- 46 ni militari congiunte (significativamente denominate “Amicizia 2004”) per verificare tecniche e procedure anti-terrorismo; nel 2003, i due Paesi avevano condotto manovre navali congiunte nelle acque antistanti la città di Shanghai. La Cina, inoltre, avrebbe supportato i programmi missilistici di Iran e Pakistan, fornendo loro tecnologia dual-use, e contribuito alla modernizzazione delle forze aeree pakistane. Il rapporto con il Pakistan è, del resto, di primaria rilevanza strategica per Pechino che ha sostenuto le forze pakistane in Kashmir proprio al fine di tenere l’avversario indiano impegnato in una logorante guerra ad intensità variabile. Nella medesima direzione si muovono gli accordi militari con la Birmania/Myanmar. Nella regione compresa tra l’Oceano Indiano e lo Stretto di Malacca è forte la minaccia rappresentata dai trafficanti di droga e dalla pirateria marittima: proprio per contrastarle, la Cina avrebbe consegnato al governo birmano aerei, elicotteri e veicoli armati e negoziato lo stabilimento di basi navali sul Golfo del Bengala. A partire dal 1999, sono migliorati i rapporti con il Vietnam (dopo che, sul finire degli anni settanta, alcuni incidenti militari lungo la frontiera avevano fatto temere un’escalation militare): nel 1995, Pechino aveva “ammonito” Hanoi affinché interrompesse le esplorazioni nel mar della Cina meridionale e Tipico negozio cinese recedesse dal proposito di acquisire dalla Russia aerei da combattimento SU-27 e pattugliatori costieri. Di sicura rilevanza è, infine, il rapporto con l’India, che mantiene, tradizionalmente, rapporti di amicizia con Mosca: New Dehli resta, infatti, con la Cina il solo Paese con una popolazione superiore al miliardo. Nonostante le differenze tuttora forti, i due Paesi hanno avviato un processo di distensione: nel 2003, dopo la composizione di alcune dispute di confine, è stata ridotta la presenza militare cinese lungo i confini e si sono svolte persino esercitazioni navali congiunte.