CENNI STORICI SULLA DETERMINAZIONE DELLE RADICI DI UNA EQUAZIONE La determinazione delle radici di un’equazione polinomiale Pn(x)=0 con n>2 presenta in generale difficoltà e solo in casi particolari è possibile determinarne i valori esatti. Se n=1 o n=2 il problema è stato affrontato e risolto nelle due classi precedenti! Ma quello che abbiamo studiato in due anni ha avuto bisogno di molto più tempo per essere risolto!!!! Diamo allora qualche cenno storico. L'algebra è divisa in "algebra classica" (la teoria delle equazioni) e in "algebra moderna" o "astratta" (lo studio dei gruppi, degli anelli e dei campi). La prima nasce e si sviluppa nel mondo arabo. Erroneamente si sostiene che i babilonesi furono i primi a risolvere equazioni del secondo grado. In realtà, essi disponevano di un metodo per risolvere problemi che, con la nostra terminologia, dava luogo a equazioni quadratiche, ma erano molto lontani dal concetto di "equazione". Colui che si può chiamare "il padre dell'algebra" è al-Khuwarizmi, matematico e astronomo vissuto nella prima metà dell'800. La sua opera più importante, al-kitab al-mukhtasar fi hisab al-jabr wa'lmuqabalah, ha fornito alle lingue moderne un termine d'uso molto popolare: algebra. Al-Khuwarizmi distingue e risolve sei tipi di equazioni algebriche formate da tre specie di quantità: radici, quadrati e numeri. 1. Quadrati uguali a radici x2=x 2. Quadrati uguali a numeri x2=k 3. Radici uguali a numeri x=k 4. Quadrati e radici uguali a x2+ax=k numeri 5. Quadrati e numeri uguali a x2+k=ax radici 6. Radici e numeri uguali a x2=k+ax quadrati I sei casi presentati esauriscono tutte le possibilità di equazioni lineari e del secondo grado aventi una radice positiva (la radice x uguale a 0 o a valori negativi non veniva riconosciuta). Al-Khuwarizmi dava la regola per risolvere ogni tipo di equazione, una sorta di formula simile a quella usata oggi x b b 2 4ac 2a per un esempio numerico per ogni caso, seguita dalla dimostrazione geometrica "di completamento del quadrato". Ecco il metodo risolutivo per un problema del tipo: "un quadrato e dieci radici sono uguali a 39 unità". Il modo di risolvere questo tipo di equazione è di prendere metà delle radici (e cioè 5) e moltiplicarle per sé stesse (si ottiene 25). A questo si aggiunge 39 e si ottiene 64, la cui radice quadrata è 8. A 8 si sottrae 5 e si ottiene 3, che rappresenta una radice del quadrato. In notazione moderna, il problema si presenta così: x 2 10x 39 x 2 10x 25 39 25 x 52 64 x5 8 x3 In un’opera araba del 1100 circa troviamo soluzioni di qualche equazione di terzo grado. L'Algebra di al-Khuwarizmi ebbe una grossa influenza sui matematici europei del Medioevo, grazie alla sua traduzione in latino fatta da Roberto di Chester prima e da Gerardo da Cremona poi. Chi maggiormente sentì questa influenza (forse anche per via dei frequenti viaggi in Egitto, Siria, Algeria) fu Leonardo Pisano (detto Fibonacci). Negli ultimi capitoli della sua opera, Liber abaci (1202), egli espone, non in modo originale, ma presentando delle innovazioni in alcune soluzioni, la solita classificazione araba delle equazioni (quadrati uguali a radici, quadrati uguali a numeri, radici uguali a numeri, quadrati e radici uguali a numeri, quadrati e numeri uguali a radici, radici e numeri uguali a quadrati), seguita da esempi specifici risolti algebricamente e dimostrati geometricamente. Fibonacci, considerando una particolare equazione di terzo grado, dimostrò che non possedeva radici della forma a b e ne ricavò una radice approssimata. Una nuova fase della matematica incomincia in Italia attorno al 1500. Infatti, nel 1494, appare la prima edizione di Summa de arithmetica, geometria, proportioni e proportionalità del frate Luca Pacioli. La Summa fu più influente che originale. E' una grandiosa compilazione, scritta in volgare, di materiali appartenenti a quattro campi diversi della matematica: aritmetica, algebra, geometria euclidea molto elementare e registrazione a partita doppia. La sezione sull'algebra comprende la soluzione canonica delle equazioni di primo e di secondo grado. Pacioli credeva che le equazioni di terzo grado non potessero essere risolte algebricamente, mentre le equazioni di quarto grado del tipo potevano essere risolte attraverso metodi quadratici. Oltre ai cambiamenti che la Summa ha apportato nel campo delle notazioni, questa opera ha anche stimolato, direttamente o indirettamente, la ricerca delle soluzioni delle equazioni cubiche. Nel 1545 la soluzione dell'equazione di terzo e quarto grado diventò di dominio pubblico con l'uscita dell'Ars magna di Girolamo Cardano. Egli, però, non ne fu lo scopritore, come ammette nel suo libro: l'idea della soluzione dell'equazione di terzo grado l'aveva avuta da Nicolò Tartaglia e la soluzione dell'equazione di quarto grado era stata trovata da Ludovico Ferrari. Ciò che Cardano non menzionò era la promessa fatta a Tartaglia di non divulgare il segreto, poiché quest'ultimo intendeva farsi un nome con la pubblicazione della soluzione delle equazioni di terzo grado a coronamento del suo trattato di algebra. Nacque quindi una intricata controversia tra i sostenitori dell'uno e dell'altro. Va comunque detto che neppure Tartaglia fu il primo a fare la scoperta. Infatti, un professore di matematica a Bologna, Scipione del Ferro, prima di morire aveva rivelato ad un suo studente, Antonio Maria Fiore, la soluzione. Sembra che fosse circolata la voce dell'esistenza di una soluzione algebrica dell'equazione di terzo grado, e Tartaglia ci dice che la conoscenza della possibilità di risolvere l'equazione lo stimolò a trovare da sé il metodo per ottenerla e così fece. Quando si diffuse la notizia di tale scoperta, fu organizzata una gara matematica tra Fiore e Tartaglia. Ciascuno dei contendenti proponeva all'altro trenta problemi da risolvere in un tempo stabilito. Tartaglia risolse tutte le questioni proposte da Fiore, mentre quest'ultimo non ne risolse neppure una. Fiore era in grado di risolvere solo equazioni in cui cubi e radici erano uguali a un numero, del tipo x 3 px q . Tartaglia, invece, aveva imparato a risolvere anche equazioni in cui cubi e quadrati sono uguali a un numero. Dopo aver sviluppato il suo metodo, riportando le equazioni scritte nei diversi casi alla forma x 3 px q , Cardano termina con una formulazione verbale della regola che porta alla soluzione: in simboli è espressa : x 3 p 3 q 2 q 3 3 2 2 p 3 q 2 q 3 2 2 Nel trattare equazione del tipo "un cubo uguale a una cosa e a un numero" , Cardano incontrò qualche difficoltà. Se infatti applicava la sua regola all'equazione x 3 15x 4 , il risultato era x3 121 2 3 121 2 . Cardano sapeva che non esisteva nessuna radice quadrata di un numero negativo, ma sapeva anche che x=4 era una radice dell'equazione: non capiva quindi come potesse avere senso la sua formula in questo caso. Non poteva far altro che concludere che il suo risultato era "tanto sottile quanto inutile". Va comunque riconosciuto a Cardano il merito di avere almeno presentato attenzione a questa situazione. Al tempo di Cardano i numeri irrazionali venivano ormai ammessi; i numeri negativi sollevavano maggiori difficoltà. Fin quando si erano studiate solo equazioni di secondo grado, gli algebristi avevano potuto evitare i numeri immaginari ( che noi studieremo l’anno prossimo ) semplicemente dicendo che un'equazione del tipo x2 +1=0 non era risolvibile. Con l'introduzione delle equazioni di terzo grado, però, la situazione cambiò: ogniqualvolta le tre radici dell'equazione erano reali e diverse da zero, la formula di risoluzione portava a radici quadrate di numeri negativi. E' in questo ambito che entra in scena un altro algebrista italiano, Raffaele Bombelli che ipotizzò l’esistenza di un insieme numerico che “andasse oltre “ l’insieme dei numeri razionali ed irrazionali….ma questa è un’altra storia di cui ci occuperemo in quarta! La conseguenza più importante di questo periodo dedicato alla scoperta delle soluzioni delle equazioni di terzo e quarto grado fu il potente stimolo che diede alle ricerche algebriche in diverse direzioni. Naturalmente lo studio delle equazioni venne generalizzato fino ad includere equazioni polinomiali di qualsiasi ordine, e in particolare si tentò di trovare una soluzione per le equazioni di quinto grado. I matematici dei due secoli successivi si trovarono di fronte ad un problema algebrico insolubile: il risultato di tutti questi sforzi fu molta buona matematica, ma negativo per quanto riguarda la possibilità di una soluzione del genere. Nella seconda metà del XVIII secolo lo studio delle equazioni si orienta in una nuova direzione: non più la sfrenata ricerca di una formula di risoluzione, bensì la ricerca dell'esistenza della soluzione. Nella prima metà del XIX secolo viene affrontato e risolto un altro grande problema dell'algebra classica: quello della risolubilità o meno di un'equazione algebrica mediante radicali, cioè di esprimerne le soluzioni operando sui coefficienti dell'equazione con operazioni razionali ed estrazioni di radice di vario indice. L'italiano P. Ruffini e il norvegese N. E. Abel dimostrarono, indipendentemente, che l'equazione generale di quinto grado non è risolubile mediante operazioni del tipo indicato. Ma è al francese E. Galois che si deve il risultato più generale che dice l’impossibilità di ottenere una formula risolvente delle equazioni di grado superiore al quarto. A questo punto o si riesce a scomporre in fattori il polinomio e ottenere le soluzioni utilizzando la legge di annullamento del prodotto, oppure per ottenere la determinazione numerica delle radici, è necessario ricorrere a procedimenti di approssimazione che esulano dal dominio proprio dell'algebra.