PATTO DELLA SCIENZA - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

PATTO DELLA SCIENZA
Cibo e identità
Con l’avvento dell’agroindustria e il cambiamento delle pratiche di produzione, le culture del cibo
hanno subito radicali trasformazioni. Si è assistito ad un processo di crescente disconnessione tra
coloro che producono cibo e coloro che lo consumano, i territori dove è stato prodotto, l’ambiente e le
agri-culture locali.
La cultura del cibo è cambiata radicalmente nel corso dell’ultimo secolo, in quanto nuovi modelli di
produzione hanno contribuito a modificare l’idea di località e di autonomie locali, i concetti di natura e
di ambiente. Si sono verificati ampi “processi di separazione dell’agricoltura dall’ecologia, della
produzione dal consumo e dalla riproduzione e una crescente de-simbolizzazione del terreno agricolo”
(Vasavi, 2015).
L’agricoltura sta attraversando una grande crisi dovuta a modelli di sviluppo insostenibili connessi alle crisi
alimentari, ai processi di manipolazione del cibo e alle malattie, ma anche al crescente rischio di
abbandono dei terreni rurali, soprattutto nelle aree montane e collinari. A questo si aggiunge il fatto che il
consumo di suolo in contesti peri-urbani si sta estendendo, e che allo stesso tempo stanno avvenendo
intense trasformazioni delle zone rurali in relazione alle dinamiche globali dell’industria agroalimentare. La
gestione delle risorse comuni, come la terra o l’acqua, mostra le forti contraddizioni dei paradigmi della
modernizzazione, rivelando la sua importanza politica nonché il suo ruolo centrale nel dibattito pubblico e
all’interno dei movimenti sociali orientati verso un nuovo concetto di cittadinanza agricola.
Riconnettere cibo, territori e agri-culture
Di fronte alla grande attenzione politica e sociale verso modelli di sviluppo sostenibili, le analisi dei contesti
rurali sono spesso confinate in una prospettiva riduzionista, incapace di capire la complessità,
l’eterogeneità e le dinamiche che oggi sono in gioco nelle aree agricole, soprattutto per quanto riguarda i
piccoli produttori. È dunque fondamentale analizzare i modelli di sviluppo che sono in gioco oggi e dare
un’attenzione particolare alle relazioni tra le società e gli ambienti, condensate nelle idee e nelle pratiche
legate alla produzione e al consumo di cibo. Mezzi di sussistenza e comprensione verso agricoltori e
produttori familiari rappresentano il primo passo per poter fare affidamento sull’”intraprendenza
contadina” (Ayeb) e non amplificare le crescenti dipendenze e le politiche che possono diventare ancora
più distanti dalle realtà locali.
Il cibo in molti paesi è anche connesso alla sua scarsità e alle carestie, all’accesso non equo a questa risorsa
in termini di quantità e di qualità e alle crisi alimentari. Si tratta di contesti in cui si interpongono forti
stereotipi tra il “noi” e il “loro”, tra il nord e il sud del mondo, che non consentono di leggere le dinamiche
economiche e sociali nello stesso modo in cui vengono percepite dalle popolazioni locali: le strategie di
coping, le relazioni tra la crisi alimentare e i problemi economico-strutturali, le migrazioni, le forme di
malnutrizione, le dinamiche di povertà e l’incontro con i sistemi di aiuti alimentari, che spesso operano
seguendo forti incomprensioni culturali o introducendo nuove realtà politiche nella distribuzione delle
risorse.
“Connettere il cibo ai contesti in cui è prodotto e consumato significa anche osservare da vicino come
avvengono le disconnessioni” (Rossetti, 2015), come dimostrano i numerosi casi di aiuti cash for food per le
donne in Africa in cui, di fronte a queste politiche finanziarie, le donne sono “troppo povere da salvare” e i
loro modelli di resistenza rivelano una strada verso nuove forme di agency, “proprietà” e controllo sui
processi di esclusione.
I modelli agricoli sono interconnessi alle culture e alle “agri/culture”: sistemi di valori, di identità, sistemi di
esperti locali e modelli di conoscenza legati al “savoir faire” e conoscenza incorporata, sono tutti elementi
alla base della produzione di “diversità” (culturale, economica ed ecologica). La prospettiva etnografica, che
focalizza l’attenzione su modelli sociali e culturali attuali, permette di rivelare le dinamiche sociali, i modelli
di gestione delle risorse locali e le strategie culturali nell’affrontare i grandi cambiamenti e i processi di
esclusione nella produzione di cibo e nelle relazioni ambientali. In questo scenario, i modelli di produzione,
distribuzione e consumo emergenti e innovativi stanno ridefinendo la dimensione simbolica e collettiva del
cibo. Sostenere i network alternativi di produzione, distribuzione e consumo del cibo (come i Gruppi di
Acquisto Solidale e i Distretti di Economia Solidale in Italia, le banche dei semi, i network locali e rurali per la
sicurezza alimentare) e le nuove idee di cibo come critica sociale e politica oggi rappresenta una sfida per
una reale partecipazione ad un cambiamento sostenibile e verso una forma di cittadinanza attiva.
Cibo e corpo
Non meno importante è la centralità del corpo come mezzo attraverso cui si riflette la relazione tra la
produzione e il consumo di cibo. La pervasività del cibo è ben visibile nell’atto nell’incorporazione, che è
fondamentale nella costruzione dell’identità individuale e sociale: c’è un forte legame tra il corpo e il cibo
(Lupton, 1996) ed entrambi i concetti hanno subito negli ultimi anni cambiamenti significativi dal punto di
vista storico, sociale e culturale. La scuola socio-antropologica ha documentato lo slittamento da una
concezione del corpo “aperto”, tipica delle società pre-moderne, in cui il singolo individuo e il corpo erano
assimilati alla società attraverso rituali, a una concezione del corpo come intrinsecamente “chiuso”, tipica
delle società moderne, in cui l’individuo afferma il controllo sui confini del proprio corpo e sceglie cosa
assimilare. L’enfasi sulla responsabilità individuale e la distinzione dicotomica tra alimenti buoni e cattivi,
salutari o non salutari, abitudini alimentari giuste o sbagliate, distingue il consumo di cibo da altre forme di
consumo. Gli individui sono sempre meno consapevoli dell’origine dei loro alimenti; il cibo è diventato un
oggetto opaco, sempre meno investito di connotazioni simboliche e di appartenenza. Questo processo è
simile all’attuale individualizzazione del corpo, che separa l’individuo dalla società nel suo complesso (Le
Breton, 1990). Allo stesso tempo, comunque, si sta manifestando un diffuso sentimento di rimpianto per il
“cibo come simbolo di condivisione e intimità” (Favole, 2015).
Un crescente numero di persone è diventato, nel tempo, consapevole della natura sovradeterminata delle
proprie scelte alimentari, ha espresso in modo critico le proprie preoccupazioni riguardo l’assunzione di
alimenti privi di carattere identitario, e ha ritrovato interesse nell’idea di cibo come mezzo per affermare
l'identità (Manceron, 2014). Il sociologo Guido Nicolosi (2007) ha elaborato il concetto di ortoressia per
definire metaforicamente una caratteristica evidente della società contemporanea, caratterizzata da un
alto grado di riflessività nelle pratiche alimentari. Questa iper-riflessività si presenta con vari significati:
alimentari (fitness), etici (consumo critico), estetici (food design), simbolici (slow food), psico-patologici
(disturbi dell’alimentazione) e si traduce in una moderna gastro-anomia (Fishler, 1992). Scoprire il
significato identitario del cibo significa anche pensare al cibo come prodotto culturale, come veicolo di
identità individuali e collettive. Le pratiche e i modelli di consumo di cibo biologico – una categoria
intrinsecamente eterogenea che include una varietà di alimenti, modalità di produzione, distribuzione,
consumo e vari attori sociali più o meno coinvolti attivamente nella ricerca di alternative valide alla catena
alimentare industriale – rappresentano una strada percorribile per superare i limiti del cibo come
sostentamento. Questo approccio alternativo suggerisce una visione olistica del cibo, non più considerato
come un mero oggetto ma come un costrutto relazionale, da un punto di vista ecologico (la relazione con
l’ambiente, gli animali e le piante) e sociale (le relazioni con i produttori). Secondo questa prospettiva,
mangiare diventa un atto economico e politico e gli attori sociali non sono consumatori passivi: sono coproduttori, co-partecipanti alla catena alimentare, responsabili delle proprie scelte alimentari e delle
conseguenze sociali ed ecologiche che esse comportano. Il cibo riacquista il suo valore simbolico, come
segno di appartenenza a un mondo integrato dove natura, cultura, consumatori e produttori, individui e
società sono riuniti.
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Laboratorio Expo, Patto della Scienza
Riassunto del testo su http://carta.milano.it/wp-content/uploads/2015/04/19.pdf