Razza e differenza di genere. Una rilettura

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Razza e differenza di genere: una rilettura del diritto internazionale
di Celina Romany*
I movimenti delle donne stanno contribuendo concordemente a porre il dibattito sui
diritti umani in sintonia con le realtà della discriminazione di genere. Si sono serviti
delle conferenze internazionali di Rio di Janeiro, Vienna, il Cairo, Copenaghen,
Pechino e Istanbul per tradurre le rivendicazioni delle donne in diritti umani e
piattaforme con un orientamento concreto. I diritti delle donne e i diritti umani sono
riconosciuti con chiarezza nei testi di queste conferenze.
Ma l’emarginazione delle donne si presenta con molti volti e molti colori diversi. Ad
esempio, le donne nere di tutto il mondo sono persone emarginate per il semplice
fatto di appartenere a un gruppo razziale storicamente subordinato. Nonostante la
realtà demografica, continuano ad essere trattate come minoranze nazionali, e non
come donne nere.
La posizione di subordinazione composita vissuta dalle donne nere e indigene e dalle
donne di colore è aumentata enormemente nel continente americano. E discutere
della femminilizzazione della povertà senza comprendere in che modo tale processo
venga accentuato dalla razza di appartenenza distorce l’analisi fondata su un punto di
vista di genere. Le donne nere costituiscono minoranze nazionali in tutto il continente
americano e si trovano costantemente sul gradino più basso della scala economica e
sociale. Le donne nere hanno un’esperienza di povertà maggiore di qualsiasi altro
gruppo di donne. Corrono rischi più gravi sul piano sanitario, beneficiano di minori
interventi sul piano della salute riproduttiva, e sono più isolate a causa della violenza.
Di conseguenza, le loro chances di sottrarsi a una vita di povertà e di discriminazione
sono fortemente ridotte.
Il diritto internazionale dei diritti umani, inteso come strumento di empowerment e
come distinto percorso di riparazione sul piano giuridico, può far luce sulla
emarginazione composita delle donne nere nella società. Integrare le voci delle donne
nere in un contesto di diritti umani internazionali, può contribuire a una più avanzata
tutela in materia di libertà dalla violenza e garanzie dei diritti economici, sociali e
riproduttivi. Le forme multiple di discriminazione pubblica e privata indicano la
necessità di aumentare la partecipazione delle donne nere nel riformulare il diritto
internazionale dei diritti umani. La subordinazione etnica e razziale producono
un’ulteriore svalutazione della loro persona e le rendono invisibili sul piano sociale.
Chiedere alle donne afro-americane o afro-ispane di incasellare e di vivisezionare le
fonti della loro oppressione equivale a negare la loro stessa esperienza di vita.
È necessario prendere atto delle tante riflessioni che riguardano la razza e il genere.
La povertà e il concetto stesso di “minoranza” nel diritto internazionale dei diritti
umani sono punti chiave di questa riflessione. Il diritto internazionale dei diritti
umani è uno strumento per correggere l’emarginazione multipla. In quanto tale, il
crocevia fra razza e genere richiede che la razza venga isolata come categoria
*
Versione riveduta, ristampata da GLOBAL CRITICAL RACE FEMINISM: AN INTERNATIONAL READER (a cura di
A. Wing 2000).
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inferiore e stigmatizzata. Pertanto, la concettualizzazione di “minoranza” richiede una
analisi parallela di tale crocevia inteso come manifestazione composita di
svalutazione della persona.
L’emarginazione delle donne nere si può percepire attraverso due prismi. Il primo
consiste nelle ipotesi fondamentali del femminismo attinenti alla
riconcettualizzazione del diritto internazionale dei diritti umani, il secondo
comprende le strategie di visibilità poste in atto dall’associazionismo delle donne
all’interno del mondo delle ONG, che è dominato dai maschi.
Nel nostro progetto di dialogo devono intervenire le posizioni alternative, quali i
lavori teorici delle femministe nere negli Stati Uniti e in Sudafrica. Dobbiamo anche
sfidare il sistema di tutela internazionale che deriva dalla prospettiva di una
compartimentalizzazione dell’Io. Ad esempio, un sistema che offra modalità
differenti di protezione ai neri e alle donne è necessariamente errato, come risulterà
evidente da un esame comparato della Convenzione sul razzismo (CERD), del Patto
internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) e della Convenzione sulle donne
(CEDAW).
Includere la diversità in una critica sociale della natura androcentrica della società
pone una sfida concettuale di tutto rispetto. Le categorie di tutela giuridica
riproducono i rapporti di forza anche nel diritto internazionale dei diritti umani.
Pertanto, il nostro impegno di far sentire la voce delle persone emarginate deve
mettere a nudo i metodi di inclusione e di esclusione, e portare alla luce sistemi
ancora saldamente radicati di subordinazione e di dominio. Anche se le femministe
nere hanno criticato la spinta essenzialista nel femminismo, hanno dovuto fare
attenzione a non finire anche loro su quello stesso percorso. Ridefinire il diritto
internazionale dei diritti umani dal punto di vista delle femministe nere non comporta
automaticamente il fatto che il punto di vista delle/dei neri sia monolitico. Piuttosto,
apre la porta a una presa di coscienza antagonista nei confronti dei due
establishments, quello femminista e quello fallico. Apre la porta alle contraddizioni,
alla fallibilità e alle diverse sfumature delle voci di colore in corpi di colore.
Analisi della teoria femminista nel diritto internazionale dei diritti umani.
Salvo rare eccezioni, le critiche femministe al carattere androcentrico del diritto
internazionale sono tutte imperniate sul concetto di genere. La critica femminista
molto spesso si configura come una battaglia di generici: il maschio generico contro
la femmina generica. Le donne nere e altre donne di colore fanno subito rilevare
come tale teoria aggrava la loro esclusione, e pesa sui rapporti contesto Nord-Sud
all’interno del movimento globale delle donne. Angela Harris descrive in questi
termini l’effetto del femminismo essenzialista: “L’essenzialismo nella teoria
femminista ha due caratteristiche che assicurano che la voce delle donne nere sarà
ignorata. In primo luogo, nella ricerca della soggetto femminile essenziale, privo di
ogni colore e avulso da tutte le circostanze sociali non rilevanti, i problemi della razza
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vengono messi fra parentesi, come parte di un discorso separato e distinto – un
processo che riduce in frantumi l’Io delle donne nere, fino a renderlo irriconoscibile.
In secondo luogo, le essenzialiste femministe si sono accorte che, eliminando i
problemi della “razza”, in realtà sono riuscite soltanto a eliminare le donne Nere, il
che significa che adesso l’epitome della “Donna” è la donna bianca.
Peraltro, non è sufficiente che le femministe nere contestino le ipotesi androcentriche
che sono alla base dell’ “Io umano”: il dibattito deve anche elaborare una serie di
diritti e di garanzie in grado di spiegare la diversità della condizione umana.
Scuole di pensiero femminista nella critica al diritto internazionale dei diritti
umani.
L’analisi di Hillary Charlesworth sul pensiero giuridico femminista in materia di
diritto internazionale individua una sua mancanza di percezione delle diversità. La
scuola liberal, fautrice di un concetto di eguaglianza che conserva lo status quo,
punta la sua critica sul ricavare alle donne una nicchia uguale per tutte, in base alla
loro comunanza. Le femministe accademiche auspicano diritti basati sul fatto di
essere donna, che tengano conto delle differenze e riconoscano inoltre la possibilità di
una normativa sul piano privato. Le femministe radicali incentrano la discussione
sulla disuglianza fra i sessi, e portano avanti un discorso di principio più vasto per
smantellare le roccaforti del dominio maschile.
In sostanza, queste diverse critiche hanno contribuito tutte a contestare il carattere
androcentrico del diritto internazione dei diritti umani. Ma soltanto quando le donne
nere affrontano tale corpo di diritti da un punto di vista che supera la suddivisione in
compartimenti, è possibile trovare un terreno comune per contestare i il carattere
androcentrico delle norme sui diritti umani. Il femminismo essenzialista raramente
coinvolge le donne di colore su un piano di parità con le altre donne, in teoria o in
pratica. Pertanto, una grande conquista del femminismo nero – la politicizzazione dei
criteri di conoscenza teorica – si perde strada facendo.
Attualmente sono sempre più numerose le donne di colore che narrano, teorizzano e
delineano una piattaforma di trasformazione per sradicare sia il razzismo che il
sessismo. Questo coro di voci sottolinea i legami comuni di oppressione in tanti
scenari diversi: la famiglia, l’alimentazione, il tetto, il lavoro, i diritti civili, la
riproduzione e la sessualità. Un altro legame comune è il ruolo svolto dalle donne
stesse nel mantenere e perpetuare la condizione di inferiorità delle donne di colore. A
prescindere dal fatto che il patriarcato sia in ultima analisi responsabile di tutte queste
forme di oppressione, le donne bianche sono comunque privilegiate grazie al colore
della loro pelle. Perciò, una critica femminista del diritto internazionale dei diritti
umani deve affrontare l’aspetto razziale del pregiudizio di genere che costituisce
l’esperienza di vita delle donne nere. Tale critica non dovrà concentrare l’attenzione
esclusivamente sulla differenza di genere, ma andare oltre.
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Il crocevia delle discriminazioni di razza e di genere nella critica dei fondamenti
liberal della società internazionale.
Scavando in profondità nella storia originaria del patriarcato moderno, si trova un
contratto sociale costruito su base sessista e razzista, che aggrava l’oppressione
multipla delle donne nere. Il paradosso è dato da un contratto sociale che, da una
parte, costruisce diritti politici in base alla dimensione sociale, e dall’altra, crea una
separazione fra i suoi diversi ambiti; tale paradosso costringe le donne nere ad
approfondire la interazione di razza e di genere nel plasmare l'identità sociale.
Nonostante lo sviluppo di diritti civili e politici molto estesi, l’esperienza delle donne
è ancora considerata priva di importanza.
Sia l’ICCPR che il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
(ICESCR) auspicano un concetto di eguaglianza di stampo maschile, e così pure la
CEDAW, nonostante le sue disposizioni sull’eguaglianza formale e di fatto. La
discriminazione è ancora affrontata a partire dai diritti e dalle libertà riconosciute, e
riguarda essenzialmente la sfera pubblica – trascurando quindi le tutele economiche,
sociali e culturali fondamentali di cui hanno bisogno le donne nella loro vita privata.
Un forte movimento globale delle donne ha già messo sotto accusa l’invisibilità delle
donne nei dibattiti sulla pace, lo sviluppo e l’ambiente.
L’esperienza costituzionale del Sudafrica rappresenta una piattaforma ideale per
costruire un approccio trasversale a questi temi. Le donne pagavano lo scotto
dell’apartheid, occupando i lavori più umili e meno retribuiti. Vittime della violenza e
di gravi problemi medici durante il terrore istituzionale, le donne sudafricane hanno
chiesto un riconoscimento nella nuova Costituzione. Il dibattito costituzionale che è
seguito ha affrontato l’esistenza delle loro forme multiple di oppressione e ha preso
atto degli inconvenienti di una critica essenzialista di genere, per formulare invece
diritti e tutele meglio rispondenti alla realtà delle donne.
A prescindere dalle differenze sociali e politiche, le donne di colore negli Stati Uniti
hanno mosso una critica analoga ai fondamenti liberal dei concetti di eguaglianza e
non discriminazione. L’approccio trasversale, infatti, evidenzia l’arbitrarietà di una
separazione fra sfere sociali diverse. In altri termini, le barriere psicologiche e
politiche imposte alle donne nere dalla divisione sociale del lavoro pesano su di loro
sia perché sono donne, sia perché sono nere. L’esperienza delle donne nere e le loro
realtà storiche e sociali sono di cruciale importanza nel formulare una critica della
subordinazione multipla. Un terreno comune di esperienze comparate potrà dare
maggior vigore alla critica femminista del diritto internazionale dei diritti umani, e
potenziare l’impatto del diritto internazionale sulle politiche e sui diritti nazionali.
Il crocevia delle discriminazioni di razza e di genere: democrazia, cittadinanza e
diritti umani (alcune osservazioni interpretative).
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Una riflessione che miri a rendere il diritto internazionale sui diritti umani più
confacente alla realtà delle donne nere ci richiede di incorporare il modello
trasversale nella nostra metodologia interpretativa. Per contestare la struttura del
discorso internazionale sui diritti umani con tutti i suoi corollari – razionalità,
scientificità, obiettività e ideali culturali ed estetici – si dovranno elaborare modelli di
interpretazione critica. I bersagli di questa nostra contestazione comprendono le
metafore e le categorie dominanti che limitano la verità e la conoscenza all’interno
del discorso. Una critica decostruttiva e ricostruttiva deve anche far propria una
metodologia che destabilizzi le versioni statiche della vita sociale che escludono le
donne nere. È necessario anche valutare la storia dei diritti umani e il peso che ha
avuto nel determinare le scelte politiche e morali. Le metodologie critiche utilizzate
in una impostazione trasversale ci consentono di identificare quelli che sono i principi
e le norme chiave delle convenzioni internazionali che, rivisti e re-interpretati,
possono garantire meglio i diritti delle donne nere.
Assicurare i diritti delle donne nere è un duplice viaggio, su binari radicali e su binari
riformisti. Il binario riformista richiede una interpretazione in senso lato delle
convenzioni applicabili per prendere atto delle esperienze delle donne nere e
affrontarle in maniera adeguata. La Convenzione sul razzismo è un contesto cui è
possibile applicare un’analisi della discriminazione incrociata. Il fatto che la
discriminazione razziale sia considerata una norma di diritto cogente può costituire la
premessa per interpretazioni più ampie, che riflettano meglio le realtà storiche delle
donne nere. Una convenzione internazionale sui diritti umani che proibisce la
discriminazione razziale è un documento vivo, animato dalla “grande forza morale
della universalità virtuale radicata nel principio supremo (jus cogens) che la
discriminazione razziale debba essere eliminata ovunque esista”.1
E allora, quale giustificazione legittima si può addurre per escludere le donne nere da
questa condanna universale della discriminazione razziale? Pensateci, leggendo la
Convenzione sul razzismo o altre Convenzioni internazionali. Sollevate il problema
donna-razza per incoraggiare un uso integrato e più coerente degli strumenti
internazionali. Il patrimonio maschilista della Convenzione sul razzismo e la
prospettiva essenzialista di genere della Convenzione delle donne non devono più
chiudere la porta di fronte alla subordinazione multipla subita da una “persona
umana”. È un dialogo a cui potranno e dovranno partecipare altre reti di esperte, che
operano sui temi del Patto sui diritti civili e politici. Comunque, soltanto dopo aver
riconosciuto e affrontato l’esistenza della nostra discriminazione multipla potremo
avviare questa riflessione più approfondita...
1
Natan Lerner, citando il Segretario generale dell’Onu in un rapporto sull’attuazione del Programma di Azione per il
secondo decennio per combattere il razzismo e la discriminazione razziale, p. 70.
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