L'OSSERVAZIONE NELLA EDUCAZIONE DEL CIECO* [abstract] L’osservazione mediante il tatto quale fondamentale criterio pedagogico per affinare la discriminazione e la rappresentazione immaginativa degli oggetti [fine abstract] Elena Romagnoli Coletta Si dice: abbracciare con lo sguardo, afferrare l'immagine, cogliere l'insieme. Abbracciare, afferrare, cogliere, sono voci prese dal senso muscolare e tattile, e rimangono a testimoniare che da questi umili sensi l'occhio fu educato. Ma educato da essi, l'occhio li supera ben presto immensamente d'acume, prontezza e di sintesi. Cinquecentomila bastoncini della retina entrano in funzione contemporaneamente, eccitati dall'etere vibrante, e in ciascuno di essi si riannodano chissà quante ancora sensazioni più semplici, con un complesso incalcolabile. In tanta molteplicità, si aggruppano naturalmente nel processo percettivo le linee più salienti, i tratti essenziali, i contorni che caratterizzano le rappresentazioni schematiche, quelle appunto che si fissano nel disegno1. Si delinea qui un'analisi della differenza dell'apprendimento, della conoscenza del mondo esterno tra i vedenti e i minorati della vista. A un osservatore superficiale può sembrare facile l'educare il cieco all'osservazione del mondo esterno: basta circondarlo di cose, basta fargliele toccare e descrivergliele per fargliele conoscere; ma una faticosa esperienza magistrale ci aiuta a comprendere quali difficoltà incontra il fanciullo cieco nell'appropriarsi delle conoscenze, nel farle sue con il mezzo autentico, unico che è una ordinata e feconda osservazione. Mi piace riportare quanto dice Dewey nella sua logica dell'indagine sperimentale. Gli organi sensoriali non sono per natura canali aperti e disponibili, né la natura è così compiacente da inviare gratuitamente i suoi messaggi. Si richiede un a priori vitale, una situazione di attività, perché il soggetto si realizzi propriamente come tale e si eriga un oggetto di fronte, come ostacolo da superare e come opportunità da sfruttare. Inoltre, noi siamo soliti limitare l'esperienza ai sensi nobili della vista e dell'udito, laddove la natura, per sé muta e reticente, vuol essere torturata e stimolata soprattutto con l'azione e con il tatto, prima di decidersi a parlare e a strapparsi il velo2. I due tratti citati, messi a confronto, ci fanno intendere quanto sia importante nella educazione dei ciechi l'abitudine all'osservazione mediante il senso, che per i Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell’Istituto Statale “A .Romagnoli” di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 8(1964), n. 4, pp. 3-10. * 1 ) A. ROMAGNOLI, Ragazzi ciechi. Zanichelli, pag. 78 2 R. NERI in Scuola di base, n. 5, 1960. vedenti è sussidiario, del tatto, e a che cosa tenda il metodo Romagnoli con la gradualità dei numerosi esercizi per la percezione, la discriminazione (riconoscimento o scelta degli elementi) e la rappresentazione immaginativa, che si risolve nella espressione: plastica, disegno, attività motoria, gesto e parola armonizzati. Per essere indotti all'osservazione, anche a una prima osservazione direi embrionale, si richiede dunque un a priori vitale, una situazione di attività. II fanciullo vedente apre gli occhi sul mondo che lo sollecita con una molteplicità, sia pure confusa, indistinta, sincretica, di oggetti vari; si vede circondato di una varietà infinita di cose alle quali vuol dare un nome, che vuoi far sue; il tendere le mani ad ogni oggetto, il voler toccare le cose irragiungibili sono prova di una vitalità sollecitata dal mondo esterno. Così in lui nasce la curiosità, il desiderio di passare da un'adesione confusa agli oggetti, che possono talvolta essere causa di timore, e porseli come elementi di analisi oggettiva al di fuori di sé, per conoscerli nella loro essenza prima, e poi elaborarli interiormente, facendoli propri nella immaginazione e nella espressione. Nel fanciullo non vedente è quasi sempre attutita l'estrinsecazione dell'a priori vitale di cui parla il Dewey, sebbene nei primi anni di vita, quando ancora gli organi dei sensi non hanno funzioni ben diversificate, egli sia come tutti i bambini nei movimenti non coordinati, ma attivi, nell'abitudine ad afferrare e portare alla bocca tutto ciò che è a portata di mano ecc. Ma anche allora non è in grado di vedere la mamma, le espressioni del volto dei famigliari; e le paure, i timori indistinti che avvolgono i bambini sono più numerosi e invincibili per lui. Ricordo che quando ero bambina di fronte alle cose che mi incutevano timore sentivo il bisogno di fermarmi a guardarle, a studiarle quasi, e in quell'osservazione spesso il timore si dissolveva. L'esperienza sensoriale del fanciullo cieco è invece piena di timori. Il suo sincretismo non è attivo, perché più confuso che nei vedenti, egli non può trasferire le mani da un oggetto all'altro, come noi facciamo con gli occhi; l'esplorazione, che dev'essere affidata a movimenti delle mani e del corpo, verrà più tardi e sarà nella maggior parte dei casi frutto della educazione. Pertanto un primo punto importante da tenere presente nella educazione del cieco è questo: essendo attenuata in esso una sincresi attiva, ossia una spinta vitale a una chiarificazione delle confuse sensazioni e percezioni del mondo, egli non è sollecitato, non ha richiami spontanei alla curiosità. L'educatore deve perciò vincere l'inerzia che deriva da questo stato di cose con il sollecitare il fanciullo all'interesse, vincendo per prima cosa il timore, la ripugnanza del contatto col mondo esterno, con l'ignoto; suscitando in lui il bisogno di incontro — e, direi possesso — di ciò che si oppone quasi nemico alla sua persona; per risolvere il problema del confuso, dell'ignoto in una prima sincretica sistemazione del suo mondo. È il primo e più faticoso stadio dell'educazione del fanciullo non vedente. Augusto Romagnoli fa nel suo lavoro Ragazzi ciechi, nei capitoli centrali 3 un minuzioso esame di tutta l'educazione che va dalla osservazione alla espressione, passando attraverso la discriminazione e la riflessione. Esperienza propria e riflessione sulla vita psichica dei suoi compagni, lo avevano indotto a centrare il problema dell'educazione dei ciechi sulla educazione dell'immaginazione, di cui la capacità di interessarsi, riconoscere, osservare ed esprimere è base fissa e solida. L'immaginazione integratrice ha tale importanza per il non vedente da essere indispensabile alla comprensione stessa della vita e del pensiero degli altri. Ma non si può avere immaginazione integratrice senza partire da una conoscenza esatta, da una interpretazione essenziale delle percezioni dei sensi. Si può essere indotti, ove non si rifletta sulla difficoltà di suscitare l'interesse dell'educando cieco, a porsi il problema sulla base di quanto avviene per i vedenti: circondarlo di cose; ma le cose gli sono estranee, finché, come lo Chateu ravvisa per il bambino normale dai 3 ai 7 anni, non si trovi una sorta di pensiero concreto calato nelle mani e nei piedi, che individualizza e disegna le cose in rapporto al gesto che esse valgono a provocare e a liberare, nel tutto una sintesi a priori di ordine vitale 4. È quello che Augusto Romagnoli chiama la memoria muscolare, che si affida ai movimenti del corpo, all'apertura delle braccia, all'esplorazione nelle mani. «Per quanto troglotidiche fossero queste rappresentazioni, quello che importava era d'aver raggiunta la certezza che le educande avevano ormai un concetto, fosse pure embroniale, dell'insieme di parti anche assai più ampie dell'apertura delle loro braccia; parti composte ormai in sintesi abituali e spontanee mediante la memoria muscolare e uditiva, cosi da sentire il desiderio di rappresentarle comunque»5. Con questo tratto A. Romagnoli sintetizza l'educazione all'osservazione, conducendoci al fine dell'espressione. 3 4 5 Specialmente da pag. 62 a pag. 116. Zanichelli, 1924. Scuola di base, 1960, n. 5, pag. 13. Ragazzi ciechi, pag. 72. Ma io ritorno al sorgere dell'interesse per indicare il processo educativo che va seguito nell'osservazione. Un primo richiamo, un primo contatto con le cose deriva da stimoli che vincano i timori e la pigrizia. L'educatore deve inserirsi discretamente nella vita del bambino per comprendere quali sono gli stimoli più adatti a muoverlo; gli stimoli sono molto vari di natura e di intensità a seconda dell'ambiente e dello sviluppo mentale dell'educando; quindi la prima educazione in questo senso è quasi individuale. Vinta la pigrizia, vinto il timore, creato l'interesse, si può passare all'osservazione vera e propria. La percezione del cieco è naturalmente analitica, affidata com'è dapprima al tatto; si può più tardi passare alla sintesi. Ma non si pensi che l'analitico del non vedente corrisponda a un'osservazione dell'essenziale; è solo una distinzione di una parte dell'oggetto; la vera e propria analisi, ossia la conoscenza dei vari elementi che caratterizzano l'oggetto, è frutto appunto di una osservazione guidata a coordinare in uno schema esatto le sensazioni tattili e muscolari. Il fanciullo cieco è portato a toccare solo con un dito gli oggetti; bisogna invece dargliene l'idea complessiva mettendoglielo in mano e poi fargli elencare le varie caratteristiche che si offrono alle sue percezioni; entra in attività il senso olfattivo, la valutazione barica, il tatto vero e proprio della diversa scabrosità o morbidezza, il rapporto geometrico degli spigoli e dei piani e infine la discriminazione dell'essenziale dall'accessorio. Facile a dirsi; ma solo un paziente lavoro di corso e ricorso dalla sensazione alla percezione e alla immaginazione può dare al non vedente una sintetica conoscenza delle cose, tale da condurlo a una espressione corrispondente a una sua realtà posseduta ed elaborata interiormente; altrimenti si rischia di scambiare l'imparaticcio, l'imitazione con la vera esperienza personale. Tra la sincresi e l'analisi, accolti come momenti di una successione logica dell'atto conoscitivo, Augusto Romagnoli introduce un momento di passaggio che chiama discriminazione, ossia quell'elemento che vale a determinare i contenuti della sincresi stessa, aiutando l'analisi a porre in evidenza gli elementi essenziali per la costruzione dell'immagine spaziale e della rappresentazione oggettiva. «Le immagini ottiche sono come fotografie belle e fatte; le tattili sono come pietruzze di mosaico, che l'immaginazione attenta deve comporsi da sé. Quel procedimento ingegnosissimo, ma purtroppo ancora così lento e difficile, col quale si è riusciti a trasmettere la fotografia a distanza, può dare un'idea del nostro faticoso lavoro di costruzione mentale dei dati che desumiamo dall'afferrare e dall'abbracciare, letteralmente, con le nostre mani e col tenere a memoria movimenti successivi delle nostre braccia e della nostra persona. Guai se una vivace intuizione e quelle forme d'immaginazione che i psicologi chiamano integratrice e stereognostica, non ci sovvengano»6. Il momento della discriminazione costituisce dunque per il non vedente la caratteristica fondamentale del processo conoscitivo fondato prevalentemente sulla percezione tattile e acustica del mondo circostante; e costituisce inoltre il punto di partenza del metodo di educazione dei privi della vista. Una realtà conoscitiva quindi esiste e va identificata nei suoi valori effettivi; ciò che manca a tale realtà conoscitiva, è lo slancio primordiale che consenta lo spontaneo trasformarsi delle percezioni confuse in stati di coscienza dinamici e attivi. In questo primo stadio dell'educazione all'osservazione del fanciullo cieco l'intervento dell'educatore è predominante; per mezzo del tatto, dell'udito e degli altri sensi vicarianti devono scaturire dalla confusa sincresi gli elementi dell'osservazione analitica, così da renderne attivi e personali gli slanci vitali al fine di un completo processo conoscitivo. Una percezione confusa, sincretica dell'oggetto, del mondo che lo circonda non può essere negato al bambino cieco; ma appunto dalla eccessiva indistinzione nascono in lui le ripugnanze all'osservazione; non è facile per lui giungere al riconoscimento, nemmeno sommario, delle prime forme attraverso l'udito, il tatto, l'olfatto: l'attività dell'osservazione deve essere indotta dall'educatore che, se avrà saputo superare questo primo ostacolo, avrà fatto molto cammino nell'educazione all'osservazione e all'immaginazione del cieco. Ho indicato come primo il senso dell'udito perché è questo senso che con le sue indistinte risonanze da la prima percezione confusa dell'ambiente e delle cose, ma come il tatto è l'educatore della vista, così lo è dell'udito, fino a condurlo a quello che il Romagnoli chiama audizione degli ostacoli e poi audizione delle forme: ossia la spazialità e la forma del mondo circostante. A una così raffinata educazione si giunge però molto tardi. Il primo moto spontaneo, il primo incentivo alla curiosità che indica uno slancio vitale si ha con l'uso del tatto e delle sensazioni muscolari date dai movimenti delle braccia e di tutto il corpo; ma le forme tattili, come le immagini acustiche, le stimolazioni olfattive e quelle termiche non possono di per sé produrre l'auto-discriminazione; il fanciullo cieco dev'essere indotto a una prima ginnastica intellettuale, oltre che fisica poiché la memoria deve ritenere le sensazioni successive (analitiche), per ricomporle in una semplice sintesi che caratterizza l'oggetto. Da una caratterizzazione sommaria dell'oggetto passerà, mediante l'analisi, a una nuova discriminazione delle qualità essenziali, così da riconoscerlo per mezzo di queste e poterlo descrivere con parole proprie ed esprimerlo graficamente. In questo processo che è piuttosto 6 A. ROMAGNOLI, Ragazzi ciechi. Zanichelli, pag. 80. lento, avendo il non vedente bisogno di osservazioni successive e numerose anche per qualità, l'educatore deve non solo guidare, ma in certo senso completare con la propria esperienza quella dell'educando; debbono osservare insieme, servirsi insieme delle stesse percezioni sensoriali, perché il fanciullo acquisti fiducia in chi lo guida, e anche per non lasciarsi ingannare da discriminazioni che derivano talvolta da particolari non essenziali dell'oggetto. In guardia dunque, maestri dei ciechi, dall'accessorio nei modelli che presentate; e anche negli originali; poiché anche il gattino o il canino vivo si differenziano così bene con il tatto dal pelo che, senza qualche ragione sufficiente, ci si dispensa dal fare attenzione al resto. Ecco un'altra ragione del modellare; allora si sente il bisogno di saperne di più, e se non si è fatto attenzione al vivo, si cerca subito l'esemplare e dopo questo il vivo diviene esso medesimo causa di maggiore curiosità e di più minuta analisi; come l'idea cerca la parola per manifestarsi, poi è da questa più chiarita e più approfondita7. Quando si tratti di oggetti di piccola mole l'osservazione è facile mediante il tatto, ma quando si tratti di cose vive e di mole che supera l'ampiezza delle braccia, l'osservazione va affidata all'immaginazione integratrice che, dalla parte, dal particolare ricostruisca immaginativamente il tutto. Dall'osservazione della piccola forma, dei modelli, di tutto ciò che può essere esplorato con le mani, l'educando trae soddisfazione e una certa sicurezza; nasce pertanto un interesse, uno slancio vitale non più indotto, ma spontaneo che lo spinge alla ricerca, all'osservazione per un bisogno intimo, per una intelligente curiosità. Solo ora l'osservazione diviene pedagogicamente utile, in quanto soddisfa una domanda interiore di conoscenza del mondo esterno. Non solo si pone l'oggetto in termini di spazio e di forma, ma viene coscientemente assunto in relazione alla propria individualità e tale conoscenza orienta il cieco fisicamente e psicologicamente. Riassumendo: nei ciechi il processo di osservazione si diversifica dai vedenti 1) per un attenuato slancio vitale che rende necessario l'intervento dell'educatore a suscitare l'interesse e la curiosità 2) per il prolungarsi e il necessario ripetersi del momento del riconoscimento e della scelta (discriminazione) 7 Ragazzi ciechi, pag. 78. 3) per la maggiore difficoltà di sintesi e di integrazione immaginativa. E infine per un dato positivo che è la durata maggiore del ricordo delle cose osservate e il cui apprendimento ha richiesto un maggiore sforzo. Infatti, essendo il processo dell'osservazione più lungo, le operazioni mentali di sintesi e di astrazione più faticose, le immagini si vestono di una maggiore concretezza e una volta acquisiti i dati della percezione e dell'osservazione si imprimono con maggiore forza. Se considerando l'inizio dell'educazione del cieco e la lentezza delle sue percezioni, si può essere incerti sulla sua capacità di apprendimento per mezzo dell'osservazione, considerando invece quanto esposto si dovrà superare ogni scetticismo e credere che lo spirito umano trova risorse insospettate per vincere quanto si oppone al possesso della terra. Il cieco come tutti gli altri dotati di sano intelletto può apprendere, far sue le cose, possederle interiormente con immaginazione integratrice e creatrice; mi piace citare una frase di Leonardo Bistolfi a proposito di una visita di Augusto Romagnoli al suo studio: Questo modo di percezione a parte a parte, sotto la pressione della mano, deve fargli provare un piacere più vicino a quello del concepimento diretto dell'artista, poi che disegna e determina quasi la figura e la tornisce con la carezza viva delle sue mani, e il Romagnoli aggiunge: Infatti ho ancora presente e rievocabile l'impressione dettagliata di quella statua della Bellezza per il monumento al Segantini e di molte altre, quelle che più mi sono piaciute. Elena Romagnoli Coletta