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confilosofia
filosofia
Il problema
di Molyneux
N
el 1728 un famoso chirurgo di Londra, William
Cheselden, opera di cataratta un ragazzo di 14 anni,
cieco dalla nascita, ridandogli la vista. Il resoconto
dell’intervento, apparso sulla rivista della Royal Society, suscita
un enorme interesse e riaccende la discussione su un problema
nato nel 1688, quando lo studioso irlandese di ottica William
Molyneux aveva posto all’amico filosofo John Locke il seguente
interrogativo: un cieco dalla nascita, al quale si sia insegnato a
distinguere mediante il tatto un cubo da una sfera, ove recuperi
improvvisamente la vista, sarà in grado di distinguere il cubo
dalla sfera senza far ricorso al tatto?
Esperienza o ragione?
Per Molyneux il cieco non sarebbe in grado di distinguere i due
corpi perché, pur avendo appreso per esperienza i due modi
diversi con i quali il cubo e la sfera colpiscono il suo senso del
tatto, egli però non saprebbe ancora far corrispondere
all’esperienza tattile precedente la nuova esperienza visiva.
Locke, in coerenza con la propria concezione empiristica
secondo cui l’origine della conoscenza sta nell’esperienza,
accetta la soluzione dell’amico: «Credo che questo cieco, alla
prima occhiata, non sarebbe in grado di dire con certezza quale
sia la sfera e quale il cubo, ove si limitasse a guardarli».
Nel 1709 George Berkeley, d’accordo con Locke, afferma che la
vista e il tatto sono tra loro del tutto distinti: le percezioni
ottenute tramite i due sensi non hanno alcuna comunanza
oggettiva. Per questo, al neovedente non è possibile collegare i
due corpi che ora vede con quelli toccati in precedenza. Nel
1728, l’esperimento di Cheselden verrà inteso come una
conferma della tesi Locke-Berkeley: il ragazzo operato, all’inizio,
non percepisce gli oggetti esterni distanti.
Nel frattempo, anche il tedesco Leibniz interviene sulla
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questione. La sua posizione, però, è differente e difende
l’innatismo, ossia la concezione secondo cui la realtà è
conoscibile in primo luogo con il pensiero, attraverso nozioni
intellettuali innate come quelle matematiche. «Grazie ai principi
della ragione congiunti a ciò che il primo tatto gli aveva fornito»,
il neovedente sarà in grado, senza toccarli, di distinguere i due
corpi. Secondo questa posizione, il fatto che i non vedenti e i
«paralitici» possano giungere alle stesse idee geometriche, pur
non avendo in comune le stesse sensazioni, dimostra che le idee
esatte non provengono dall’esperienza, ma dalla pura ragione.
Un dibattito eccitante
Nel Settecento poche polemiche eccitano l’ingegno degli
illuministi come il problema di Molyneux. Voltaire dà ragione a
Locke. Il medico e filosofo La Mettrie, invece, gli dà contro e
obietta: «Un globo esaminato dal tatto e chiaramente concepito,
basta che venga mostrato agli occhi aperti: esso sarà conforme
all’idea già impressa nel cervello; e quindi sarà impossibile
all’anima di non distinguere questa figura da qualsiasi altra».
Con La Mettrie si schiera Condillac, scrivendo nel 1746 che la
vista ha in sé la capacità di cogliere le forme geometriche non
appena l’essere umano sia in grado di “riflettere” sulle sensazioni
che gli provengono dagli occhi. Per La Mettrie e Condillac,
dunque, il non vedente che riacquisti la vista distinguerà il cubo
dalla sfera, “sentendoli” con la vista e poi giudicando in base alle
proprie facoltà razionali.
Nella Lettera sui ciechi, del 1749, Diderot si allinea alla soluzione
La Mettrie-Condillac: è la ragione che indirizza le esperienze dei
sensi, funzionando come un “sensorio comune” che governa
l’intero nostro organismo. Intanto, però Condillac, cambia parere
e nel 1754 si avvicina alla tesi Locke-Berkeley: è errato
presupporre che l’essere umano sia in grado di usare i sensi fin
dall’inizio della vita. Al contrario, deve imparare a esercitare la
sensibilità. Questo significa che, all’inizio dell’esistenza, privi di
idee innate, gli esseri umani vivono come in uno stadio “zero”
della conoscenza.
Sensi e conoscenza
Il problema di Molyneux è un banco di prova della disputa tra
empiristi e innatisti. Per i primi, il caso del non vedente dimostra
come la conoscenza non si fondi su principi innati, ma
sull’esperienza. Per i secondi, l’esperienza non può che fondarsi
su principi a priori. Il confronto tra innatismo ed empirismo è vivo
ancora oggi. Come interagiscono i sensi nella conoscenza?
Esistono idee innate o le conoscenze derivano dall’esperienza?
Queste domande orientano oggi le neuroscienze e la philosophy
of mind diffusa nella cultura anglosassone. -
Per approfondire
Fabio Cioffi
è insegnante di filosofia nei licei e
lavora come consulente editoriale
e come formatore. È autore di
numerosi manuali scolastici.
— S. Parigi, Teoria e storia del
problema di Molyneux, in
“Laboratorio dell’ISPF”, 2004,
I. Scaricabile dal sito
www.ispf.cnr.it/ispf-lab