La Chiesa dev`essere ed apparire povera

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“LA CHIESA DEVE ESSERE ED APPARIRE POVERA”
(Paolo VI)
“Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più
insidioso, un nemico che lusinga...
Non ci flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la
morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci
colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il denaro” (Ilario
di Poitiers, vescovo, V sec.)
1. PAOLO VI
Il Concilio e la virtù della povertà personale ed ecclesiale
Il nostro studio su lo spirito del Concilio, quello spirito che deve formare in noi una nuova ed autentica mentalità
cristiana e deve esprimersi in un nuovo stile di vita ecclesiale, ci porta facilmente al tema della povertà.
Se ne è parlato molto. Aprì il discorso il Nostro venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII con il
radiomessaggio ai cattolici di tutto il mondo, un mese prima del Concilio, accennando, fino d'allora, ai problemi
che la Chiesa trova davanti a sé, dentro e fuori dell'ambito suo, e affermando che «la Chiesa si presenta qual è,
e vuole essere, come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei Poveri» (A.A.S. 54 (1962), p. 682).
Questa parola ebbe un'eco immensa. Era essa stessa eco d'una parola biblica, venuta da lontano, dal Profeta
Isaia (cfr. Is 58,6; 61,1 ss.) e fatta propria da Gesù, nella sinagoga di Nazareth: “Io sono mandato per
annunciare ai Poveri la buona novella” (cfr. Lc 4, 18). Tutti sappiamo quale importanza abbia in tutto il Vangelo il
tema della povertà: a cominciare dal sermone delle beatitudini, nel quale i «Poveri di spirito» hanno il primo
posto, non solo nel sermone, ma nel Regno dei cieli, per continuare nelle pagine dove gli umili, i piccoli, i
sofferenti, i bisognosi sono magnificati come i cittadini preferiti del medesimo regno dei cieli (Mt 18, 3) e come i
rappresentanti viventi di Cristo stesso (Mt 25, 40). L’esempio poi, e soprattutto, di Cristo è la grande apologia
della povertà evangelica (cfr. 2Cor 8,9; S. AUG., Sermo 14; PL 38,115). Sappiamo, e faremo bene a ricordarlo,
proprio in omaggio a quella autenticità cristiana, che, auspice il Concilio, conforme al genio spirituale del nostro
tempo, noi tutti andiamo cercando.
Povertà: scelta per Cristo e per il suo regno
Il tema è molto vasto; e Noi non pretendiamo affatto darvi qui svolgimento; solo lo ricordiamo, per la sua
importanza teologica: la povertà evangelica comporta infatti una rettifica del nostro rapporto religioso, con Dio e
con Cristo, a causa dell'esigenza primaria che questo rapporto afferma dei beni dello spirito nella classifica dei
valori degni d'essere prefissi alla nostra esistenza, alla nostra ricerca e al nostro amore: «Cercate come prima
cosa il regno di Dio» (Mt 6,33); e che svaluta - ecco la povertà! - nella graduatoria di stima verso i beni temporali,
la ricchezza, la felicità presente, al confronto con il sommo Bene, che è Dio, e con il suo possesso, che è la
nostra eterna felicità.
L’umiltà dello spirito (S. AUG., Enarr. in Ps. 73; PL 36,943) e la temperanza, e sovente il distacco, sia nel
possesso, che nell'uso dei beni economici, costituiscono i due caratteri della povertà, che il Maestro divino ci ha
insegnata con la sua dottrina e ancor più, come dicevamo, col suo esempio: Egli si è rivelato, socialmente, nella
povertà.
Come subito si vede, questo principio teologico, su cui si fonda la povertà cristiana, diventa un principio morale,
informatore del, l'ascetica cristiana: la povertà, vista nell'uomo, è, più che un dato di fatto, il risultato volontario
d'una preferenza d'amore, scelta per Cristo e per il suo regno, con rinuncia, ch'è una liberazione, alla cupidigia
della ricchezza, la quale comporta una serie di cure tempor ali e di vincoli terreni, occupando con prepotenza
grande spazio nel cuore.
Ricordiamo l'episodio evangelico del giovane ricco, il quale, posto nell'alternativa della sequela di Cristo, e
dell'abbandono delle proprie ricchezze, preferisce queste a quella, mentre il Signore «lo guarda e lo ama» (Mc
10,21), e lo vede andarsene tristemente.
Povertà ecclesiale: si impone un esame critico
Ma il Concilio ci ha richiamato, ancor più che alla virtù personale della povertà, alla ricerca e alla pratica
d'un'altra povertà, quella ecclesiale, quella che dev'essere praticata dalla Chiesa in quanto tale, come collettività
riunita nel nome di Cristo.
Vi è in una pagina del Concilio una parola grande a questo proposito; la citiamo anche tra le molte altre, che
incontriamo su questo tema nei documenti conciliari; essa dice: «Lo spirito di povertà e di amore è infatti la gloria
e la testimonianza della Chiesa di Cristo» (Gaudium et spes, 88). Essa è una parola luminosa e vigorosa, che
esce da una coscienza ecclesiale in pieno risveglio, avida di verità e di autenticità, e desiderosa di affrancarsi da
costumanze storiche, che ora si dimostrassero difformi dal suo genio evangelico e dalla sua missione apostolica.
Un esame critico, storico e morale, s'impone per dare alla Chiesa il suo volto genuino e moderno, in cui la
presente generazione desidera riconoscere quello di Cristo.
Chi ha parlato a questo proposito si è particolarmente soffermato sopra questa funzione della povertà ecclesiale,
quella cioè di documentare la giusta visibilità della Chiesa (cfr. Congar, Pour une Eglise servante et pauvre, p.
107).
Così parlò specialmente il Cardo Lercaro, alla fine della prima sessione del Concilio (6 dicembre 1962),
insistendo su l'«aspetto», che la Chiesa oggi deve mostrare, agli uomini del nostro tempo in modo particolare,
l'aspetto col quale si è rivelato il mistero di Cristo: l'aspetto morale della povertà, e l'aspetto sociologico della sua
estrazione preferenziale fra i Poveri.
La chiesa deve essere ed apparire povera
Tutti vediamo quale forza riformatrice abbia l'esaltazione di questo principio: la Chiesa dev'essere povera; non
solo; la Chiesa deve apparire povera.
Forse non tutti vedono quali giustificazioni possono darsi di aspetti diversi assunti storicamente dalla Chiesa nel
corso della sua vita secolare e al contatto con particolari condizioni della civiltà; quando, ad esempio, l'aspetto
della Chiesa apparve come quello d'una grande proprietaria terriera, essendo lei impegnata a rieducare le
popolazioni al lavoro dei campi; ovvero come quello d'un potere civile, quando sfasciatosi questo, occorreva chi
lo esercitasse con umana autorità; ovvero quando per esprimere il suo carattere sacro e il suo genio spirituale
ornò di magnifici templi e di ricche vesti il suo culto; o per esercitare il suo ministero assicurò pane e decoro ai
suoi ministri; o per dare impulso all'istruzione o all'assistenza del popolo fondò scuole e aperse ospedali; o
ancora per immedesimarsi nella cultura di dati momenti storici parlò sovranamente il linguaggio dell'arte (cfr. ad
es. G. Kurth, Les origines de la civilisation moderne).
Il bisogno di 'vedere' la povertà del Vangelo nella chiesa
Come si potrebbe, proprio ad onore dell'economia di povertà della Chiesa, facilmente dimostrare che le favolose
ricchezze, che di tanto in tanto certa pubblica opinione le attribuisce, siano di ben di versa misura, spesso
insufficienti ai bisogni modesti e legittimi della vita ordinaria, sia di tanti ecclesiastici e religiosi, sia di istituzioni
benefiche e pastorali. Ma non vogliamo ora fare questa apologia.
Accettiamo piuttosto l'istanza che gli uomini d'oggi, specialmente quelli che guardano la Chiesa dal di fuori,
fanno affinché la Chiesa si manifesti quale dev'essere, non certo una potenza economica, non rivestita di
apparenze agiate, non dedita a speculazioni finanziarie, non insensibile ai bisogni delle persone, delle categorie,
delle nazioni nell'indigenza. Né vogliamo ora esplorare questo campo immenso del costume ecclesiale. Vi
accenniamo appena, affinché sappiate che noi lo abbiamo presente e che già vi stiamo lavorando con graduali,
ma non timide riforme. Noi notiamo con vigile attenzione come in un periodo come il nostro, tutto assorbito nella
conquista, nel possesso, nel godimento dei beni economici, si avverta nella opinione pubblica, dentro e fuori
della Chiesa, il desiderio, quasi il bisogno, di vedere la povertà del Vangelo e la si voglia ravvisare
maggiormente là dove il Vangelo è predicato, è rappresentato; diciamo pure: nella Chiesa ufficiale, nella nostra
stessa Sede Apostolica.
I 'mezzi' economici e i 'fini' evangelici
Siamo consapevoli di questa esigenza, interna ed esterna, del nostro ministero; e, con la grazia del Signore,
come già molte cose sono state compiute in ordine alle rinunce temporali e alle riforme dello stile ecclesiale, così
proseguiremo, col rispetto dovuto a legittime situazioni di fatto, ma con la fiducia d'essere compresi e aiutati dal
popolo fedele, nel nostro sforzo di superare situazioni non conformi allo spirito e al bene della Chiesa autentica.
La necessità dei «mezzi» economici e materiali, con le conseguenze ch'essa comporta: di cercarli, di richiederli,
di amministrarli, non soverchi mai il concetto dei «fini», a cui essi devono servire e di cui deve sentire il freno del
limite, la generosità dell'impiego, la spiritualità del significato.
E alla scuola del divino Maestro ricorderemo tutti di amare simultaneamente la povertà ed i Poveri; la prima per
fame austera norma di vita cristiana, i secondi per fame oggetto di particolare interesse, siano essi persone,
classi, nazioni bisognose di amore e di aiuto. Anche di questo ci ha parlato il Concilio. Abbiamo cercato e
cercheremo di ascoltarne la voce.
Ma il discorso su la Chiesa dei Poveri dovrà continuare; per noi e per voi tutti, con la grazia del Signore. E con la
Nostra Apostolica Benedizione.
PAOLO VI, "Il richiamo del Concilio alla virtù personale ed ecclesiale della povertà", udienza di mercoledì 24 giugno 1970
2. CONCILIO: POVERTÀ E POVERI
Alla chiesa intera
Come Cristo ha compiuto l'opera della redenzione nella povertà e nella persecuzione, così la chiesa è chiamata
a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo "essendo in forma di
Dio... svuotò se stesso assumendo la forma dello schiavo" (Fil 2,6-7) ed "essendo ricco, divenne povero per noi"
(2Cor 8,9): così anche la chiesa, sebbene per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è
costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione.
Cristo è stato inviato dal Padre ad "annunciare la notizia buona ai poveri...a guarire quanti hanno il cuore
contrito" (Lc 4,18), "a cer, care e salvare ciò che era perduto (Lc 19,10): similmente la chiesa abbraccia nel suo
amore quanti sono afflitti dalla debolezza umana, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo
Fondatore povero e sofferente, si adopera per sollevare la loro indigenza e, in essi, si volge a servire il Cristo.
Ma mentre Cristo, "santo, innocente, immacolato" (Eb 7,26), non conobbe peccato (cf 2Cor 5,21), ma venne allo
scopo di espiare i soli peccati del popolo (cf Eb 2,17), la chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, è al
tempo stesso santa e sempre bisognosa di purificazione e ricerca senza sosta la penitenza e il rinnovamento.
(Lumen Gentium, 8)
Poiché questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a
portare la buona novella ai poveri, è necessario che la chiesa, sempre sotto l'influsso dello Spirito di Cristo,
segua la stessa strada seguita da Cristo, la strada cioè della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del
sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, uscì vincitore. (Ad Gentes, 5)
...la potenza di Dio molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni. Tutti quelli che si
dedicano al ministero della parola di Dio, bisogna che utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, che, in
molti punti, differiscono dai mezzi propri della città terrestre.
... la chiesa stessa si serve delle cose temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa
non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall'autorità civile.
Anzi essa rinunzierà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso
potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.
(Gaudium et spes, 76)
... sembra quasi di sentire nei poveri lo stesso Cristo che ad alta voce reclama la carità dei suoi discepoli. Si eviti
questo scandalo: mentre alcune nazioni i cui abitanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono di una
grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario per vivere e sono afflitte dalla fame, dalla
malattia e da ogni sorta di miserie.
Lo spirito di povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno della chiesa di Cristo.
Spetta a tutto il popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi Vescovi, di sollevare, nella misura delle
proprie forze, la miseria di questo tempo, dando, secondo l'uso antico della chiesa, non solo del superfluo,
ma anche del necessario. (Gaudium et Spes, 88)
Ai sacerdoti
Sono invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possono conformarsi a Cristo in un modo più
evidente ed essere in grado di svolgere con maggior prontezza il sacro ministero. Cristo infatti da ricco è
diventato per noi povero, affinché la sua povertà ci facesse ricchi. Gli Apostoli, dal canto loro, hanno
testimoniato con l'esempio personale che il dono di Dio, che è gratuito, va trasmesso gratuitamente, sapendo
ugualmente essere nell'abbondanza come nell' indigenza.
Ma anche un certo uso comune delle cose - sul modello di quella comunione dei beni che viene esaltata nella
storia della chiesa primitiva - contribuisce in misura notevolissima a spianare la via alla carità pastorale: inoltre,
con questa forma di vita i presbiteri possono mettere lodevolmente in pratica lo spirito di povertà raccomandato
da Cristo.
Mossi perciò dallo Spirito del Signore che unse il Salvatore e lo mandò ad evangelizzare i poveri, i presbiteri come pure i vescovi - cerchino di evitare tutto ciò che possa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e
più ancora degli altri discepoli del Signore vedano di eliminare nelle proprie cose ogni ombra di vanità.
Sistemino la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile, né debba, anche se di
condizione molto umile, trovarsi a disagio in essa. (Presbyterorum ordinis, 17)
Ai laici
Ovunque vi è chi manca di cibo, bevanda, vestito, casa, medicine, lavoro, istruzione, dei mezzi necessari per
condurre una vita veramente umana, chi è afflitto da tribolazioni e da malferma salute, chi soffre l'esilio o il
carcere, qui la carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo loro
aiuto. Quest'obbligo si impone prima di tutti ai singoli uomini e popoli che vivono nella prosperità.
... si abbia riguardo, con estrema delicatezza, alla libertà e alla dignità della persona che riceve l'aiuto ... siano
anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che si offra come do no di carità ciò che è
già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non soltanto gli effetti, ma anche le cause dei mali; l'aiuto sia
regolato in tal modo che coloro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e
diventino sufficienti a se stessi. (Apostolicam actuositatem, 8)
3. LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANI
I mezzi economici, la povertà e l'evangelizzazione
Il discorso delle risorse economiche di cui la chiesa abbisogna, pur necessario, non può contraddire, anzi deve
profondamente intrecciarsi con l'imperativo evangelico e con la virtù cristiana della povertà, che valgono non
soltanto per i singoli fedeli, ma anche per la realtà istituzionale e per le modalità d'azione della chiesa medesima.
La rinuncia all'imponenza umana dei mezzi e delle risorse è infatti manifestazione e garanzia di totale fiducia
nella forza dello Spirito del Risorto, da cui origina la missione.
Questa rinuncia custodisce nella chiesa la coscienza del proprio essere strumento dell'azione di Dio ed è segno
e condizione di credibilità della sua opera evangelizzatrice. (Sovvenire alle necessità della chiesa, 2)
(Riflessioni raccolte da don Franco Marton, CMD Treviso)
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