Kierkegaard

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3 - KIERKEGAARD
La riscoperta di Kierkegaard
Esistenza e sistemi filosofici
Le categorie dell’esistenza
La scelta
Scelte di vita e cristianesimo
Progetti di vita, modelli di personalità
1 - Kierkegaard “ La scelta”
Aut – Aut: scelta e personalità
2 - AA:VV. - Lettori di Kierkegaard nel Novecento
Ignorata o misconosciuta dal pensiero del suo tempo, duramente avversata negli
ambienti culturali ed ecclesiastici conservatori, l'opera di Soren Kierkegaard
(1813-1855) è stata riscoperta solo nei primi decenni del secolo scorso. Dapprima
Karl Barth e altri teologi protestanti hanno colto nei testi del pensatore danese
un'originale e potente ripresa dei contenuti più inquietanti del messaggio cristiano
- dal principio dell'inattingibile trascendenza del divino a quello della
costitutiva
finitudine
e
peccaminosità
dell'umano.
Successivamente
l'esistenzialismo europeo, da Heidegger a Sartre, ha riconosciuto in Kierkegaard
uno dei propri padri ideali: per l'innovatrice riabilitazione della categoria della
singolarità e (appunto) dell'esistenza, per la vigorosa analisi dell'uomo come
soggetto irriducibile e concreto, per la riconduzione della riflessione filosofica a
meditazione sull'essere umano, colto nel suo conflitto tra la dolorosa coscienza dei
propri limiti e l'inesauribile tensione verso il trascendimento di sé. Se fin
dagli anni '30 la storiografia filosofica individuava in Kierkegaard uno dei più
significativi avversari del razionalismo hegeliano e una delle sorgenti primarie di
una filosofia radicalmente anti-idealistica, una parte cospicua del pensiero
contemporaneo ha scorto nei testi kierkegaardiani la testimonianza di un
travaglio esistenziale e morale che ha pochi uguali nella storia della modernità.
Non è un caso che opere come Aut-Aut e il Diario di un seduttore, il Concetto
dell'angoscia e la Malattia mortale abbiano avuto una risonanza assolutamente
eccezionale non solo all'interno del dibattito filosofico e teologico novecentesco,
ma anche entro il più vasto orizzonte letterario, scientifico e artistico. Scrittori come
Kafka e Gide, psichiatri come Binswanger e Laing, registi cinematografici come
Dreyer e Bergman hanno variamente riconosciuto i loro debiti nei confronti di un
pensatore di cui Thomas Mann ebbe a sottolineare un giorno la grande audacia
intellettuale «nello spingersi fino agli estremi della psicologia».
LA RISCOPERTA DI KIERKEGAARD
a - ____________________________
per:______________________________
b - _______________________________
per: ______________________________
__________________________________
c - _______________________________
__________________________________
ESISTENZA E SISTEMI FILOSOFICI
Soren A. Kierkegaard è, insieme con Schopenhauer, il grande avversario della filosofia idealistica. Egli nacque nel 1813 a Copenhagen in Danimarca, ove si formò nel
clima di una rigida religiosità in cui era forte il senso del peccato. Da suo padre, che
era già anziano quando egli venne al mondo, ereditò una profonda malinconia
religiosa. Si laureò all'età di ventotto anni, con una tesi intitolata “Sul concetto di
ironia con particolare riguardo a Socrate”, in cui criticava l'ironia dei romantici
intesa come gioco e illusione. A questa forma di ironia, egli contrapponeva quella di
Socrate, il quale la considerava un mezzo per condurre i suoi interlocutori a scoprire la
drammatica serietà della vita.
L’INTERESSE GIOVANILE PER ____________
____________ socratica = stimolo _______
___________________________________
contro
_____________romantica = ____________
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Sin da questa prima opera, Kierkegaard, contrapponendo la futile illusione dei romantici
al severo richiamo morale di Socrate a vivere onestamente, si rivela un
pensatore esistenziale, interessato cioè a concentrare la riflessione filosofica
sull'esistenza. In questo contesto, si capisce l’interresse giovanile per Socrate,
l'uomo che, condannato ingiustamente a morte dal tribunale ateniese, rifiutò la
fuga (che, invece, gli era stata suggerita dagli amici, e forse anche dalle stesse
autorità) e accettò con coraggio la morte. Nella figura di Socrate possiamo già
scorgere alcuni dei temi centrali della riflessione kierkegaardiana, quali la
necessità della scelta, la filosofia intesa non come costruzione concettuale
astratta, ma come riflessione sulle condizioni e sul significato della propria
esistenza e come impegno personale in base al significato che ad essa si
attribuisce.
In una confessione giovanile del suo Diario, Kierkegaard scrive: “Ciò che in fondo
mi manca è di veder chiaro in me stesso, di sapere ciò che io devo fare e non ciò che devo
conoscere, se non nella misura in cui la conoscenza ha da precedere sempre l’azione. Si tratta di
comprendere il mio destino, di vedere ciò che in fondo Dio vuole che io faccia, di trovare una
verità che sia una verità per me, di trovare l'idea per la quale io voglio vivere e morire.”
(Diario 1835)
Ecco, dunque, il concetto chiave della riflessione di Kierkegaard che aborriva
l'idea che un giorno il suo pensiero potesse diventare un capitolo di un manuale di
storia della filosofia, spiegato noiosamente a recalcitranti allievi. Che senso
avrebbe, si chiede il giovane Kierkegaard, ingolfarmi nei sistemi dei filosofi?
Scoprire qualcuna di quelle cosiddette verità oggettive? Sviluppare, ad esempio,
una dottrina della conoscenza o una teoria dello Stato? Quale vantaggio avrei io egli aggiunge - da una verità che si imponesse nuda e fredda davanti a me,
indifferente alle esigenze più intime della mia anima? No. Quello che interessa il
giovane filosofo è riflettere sulla propria condizione esistenziale, metterne in luce tutta
la problematicità, accettarne l'irrazionalità e le contraddizioni: «di ciò ha sete ora egli scrive - l'anima mia, come i deserti africani sospirano l'acqua» (ivi).
Nel 1841 ascoltò le lezioni di Schelling a Berlino, ove era dominante il clima idealistico
ed hegeliano (anche se Hegel era morto da dieci anni). Quello che sconcertò il giovane
Kierkegaard fu la considerazione che il sistema idealistico si sforzasse di dare una
risposta totale e definitiva a ogni possibile questione. Ma in realtà, osserva Kierkegaard,
l'idealismo era interessato solo alla verità oggettiva, non alle verità importanti per il
singolo individuo. In breve, Hegel aveva dimenticato di essere un uomo concreto,
mentre si affannava a elaborare concetti astratti e lontani dalla vita. Hegel
prendeva in considerazione solo l'idea di umanità; al contrario, sostiene
Kierkegaard, quello che conta è la persona nella sua singolarità, unicità e
irripetibilità.
In effetti, la polemica anti-hegeliana costituisce il leit-motiv della filosofia di
Kierkegaard, secondo il quale i sistemi idealistici non sono interessati a
descrivere l'esistenza reale, ma solo quella concettuale. Si legga il seguente
epigramma di Aut-Aut, particolarmente incisivo: «Quando si sentono i filosofi
parlare di realtà, si è tratti in inganno come dal leggere su un cartello nella vetrina
di un rigattiere: "Si stira la biancheria". Ma sbagliereste a portare qui per questo i
vostri panni. Si vende solo il cartello». Per Kierkegaard, cioè, l'idealismo non
parla della realtà concreta, ma di una dimensione astratta che lascia fuori il
soggetto stesso che l'ha pensata e costruita. Esso dimentica che ogni atto di
pensiero, e di astrazione, presuppone un soggetto pensante concreto che lo pensa
e che ne rappresenta il vero "cominciamento". Il pensiero non può prescindere da
questo essere umano reale ed esistente, coinvolto dalle domande che si pone.
Inoltre Hegel concepisce la dialettica come conciliazione e sintesi: in essa, infatti,
i termini opposti raggiungono sempre una conciliazione, la tesi e l'antitesi
trovano una mediazione. Ma questo è possibile solo nel pensiero astratto: nella
realtà concreta i distinti e gli opposti non si lasciano sintetizzare o superare. Per
Kierkegaard tentare di eliminare dall'esistenza la contraddizione significa
Temi socratici:
a - ______________________________
b - _______________________________
__________________________________
c - _______________________________
______________________
CONTRO
_________________________________
LE CRITICHE ALL’IDEALISMO
a - _________________________ contro
__________________________________
soggetto che ____________________
contro ____________________________
dei concetti
b – Esistenza = _____________________
__________________________________
contro
dialettica di Hegel = ______________
_________________________________
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eliminare l'esistenza stessa. Dio e il mondo, ad esempio, non si conciliano mai
definitivamente; il peccato non è mai del tutto estirpabile dalla condizione
umana, perché l'uomo (anche colui che vive moralmente o religiosamente) è sempre un peccatore di fronte a Dio. A differenza della filosofia del sistema
idealistico, il cristianesimo è lotta senza fine e paradosso, di fronte al quale
l'uomo non può trovare pace ma effettuare una scelta drammatica e radicale. Il
cristiano non è l'uomo della conciliazione, ma colui che sa lottare giorno dopo
giorno.
LE CATEGORIE DELL’ESISTENZA
Kierkegaard, proprio perchè la sua filosofia vuole essere una riflessione 1 – IL _____________________________
sull’esistenza pone alla base del suo pensiero la categoria del singolo, una
nozione essenzialmente cristiana, che deve mettere in scacco ogni forma di
filosofia astratta, universale e sistematica. Nello scegliere la prospettiva del
singolo, Kierkegaard prende le distanze oltre che da Hegel, che costituisce Hegel e Marx dimensione __________
l’oggetto della sua polemica, anche da Marx che condivide con Hegel il fatto di
privilegiare la dimensione collettiva (vedi “Introduzione alla filosofia
contemporanea”, pag. 4 ). Secondo Marx, poiché l’individuo è caratterizzato
dall’essere il prodotto delle condizione storico-sociali in cui vive, per
comprenderlo occorre innanzitutto comprendere quest’ultime, per cui la filosofia
è essenzialmente un’analisi critica della storia. Per Hegel invece l’individuo è il
frutto dello “spirito del popolo”, ovvero delle istituzioni e della cultura che esso
esprime, per cui la filosofia è principalmente una riflessione su di esse.
KIERKEGAARD, HEGEL, MARX
Kierkegaard
dimensione __________________________
singolo determinato dalle condizioni ______________________________ es. _____________,______________________
comprensione dell’individuo = ______________________________________
Hegel e Marx
Hegel
dimensione ___________________________
singolo determinato dalle condizioni _____________________________________________
comprensione dell’individuo = ______________________________________
Marx
compito della __________________
compito della __________________
singolo determinato dalle condizioni _____________________________________________
comprensione dell’individuo = ______________________________________
Diversamente da quanto accade nel regno animale, dove domina la necessità e il
singolo è inferiore alla specie, ciò che caratterizza l'uomo è proprio la sua
singolarità. Mentre del mondo animale, infatti, prendiamo in considerazione il
cane, il gatto, il cavallo..., nel mondo degli uomini conta soltanto l'individuo
particolare: Giovanni, Marco, Anna, Giulia... Di fronte a ciascuno di noi,
chiamato per nome e preso individualmente, il concetto di specie (l'umanità)
diventa qualcosa di secondario e inutile. Il motivo per cui la categoria del singolo
è della massima importanza per Kierkegaard, un pensatore essenzialmente
religioso, risiede nel fatto che ogni uomo è considerato come una creatura
forgiata a immagine e somiglianza di Dio e mantiene un rapporto individuale e
intimo con il suo creatore.
Insieme alla singolarità, la possibilità è l'altra categoria essenziale di
Kierkegaard: un vero e proprio pilastro su cui il filosofo edifica la sua concezione
dell'esistenza. Infatti alla possibilità si ricollegano gli altri due aspetti che
compito della __________________
________________________________
negli animali e nell’uomo
Il singolo come ______________________
__________________________________
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caratterizzano l’esistenza umana: libertà di decidere e ciò che la concretizza, la
possibilità di scegliere.
La libertà non è soltanto qualcosa di positivo, non è solo un ampliamento e un
arricchimento. La libertà ha anche un volto terribile, in quanto essere liberi
significa scegliere tra termini opposti e contradditori. La libertà è responsabilità
di fronte al bene e al male.
Infatti, nella prospettiva dì Kierkegaard, la libertà non è affatto il campo
dell'apertura al futuro, quanto piuttosto quello della minaccia che grava
continuamente sulla vita di ogni individuo. Chi infatti abbia compreso l'esistenza
umana sa che nella possibilità tutto è ugualmente possibile, tanto ciò che è
piacevole quanto ciò che è terribile e devastante. Tale angoscioso sentimento della
possibilità come oscura minaccia non si limita a essere una consapevolezza
teorica ma viene "sentita" e può avere un effetto paralizzante sulle stesse capacità
decisionali di un singolo individuo. Ne ebbe, infatti, sulla vita di Kierkegaard
stesso che volle mantenere la propria esistenza in quello che definì “il punto zero”
tra qualcosa e il nulla, nella assoluta impossibilità di scegliere. Gli stessi pseudonimi sotto i quali vennero pubblicate le sue opere, indicano l'incapacità di farsi
carico di quella sola identità e di quella sola scelta che ogni uomo è costretto a fare.
Pur non potendo egli stesso scegliere (e anzi proprio per questo), Kierkegaard
sentì fortemente la pressione delle possibilità di vita umane come alternative che
non possono essere conciliate e di fronte alle quali ogni uomo decide di sé.
Questa condizione di fondo viene chiarita da Kierkegaard in due opere
fondamentali: Il Concetto dell'angoscia (1844) e La Malattia mortale 1849 . In
queste opere egli analizza i sentimenti che accompagnano l'esistenza umana aperta
alla possibilità, alla libertà: l'angoscia e la disperazione.
L'angoscia è il sentimento che caratterizza il rapporto dell'uomo col mondo e
dipende dal possibile che lo costituisce; è la possibilità della libertà. L'uomo infatti sa
di poter scegliere, sa di avere di fronte a sé ogni possibilità; ma è proprio l'indeterminatezza di questa situazione che lo angoscia. Egli acquista la coscienza che tutto
è possibile ma, di fronte alle infinite possibilità di decisione lo spirito è colto da
una vertigine paralizzante ed è come se nulla fosse possibile. Questo è il sentimento
che precede il peccato, l'angosciante possibilità di potere il bene come di potere il
male. È l'angoscia provata da Adamo di fronte al divieto di gustare i frutti dell'albero
della conoscenza: egli non sa ancora in che cosa consista la conoscenza, non conosce
la differenza tra il bene e il male, eppure è chiamato a scegliere tra l'obbedienza e la
disobbedienza.
L'angoscia scaturisce dunque dall'esperire quella vertiginosa libertà di scelta fra
infinite possibilità che, ignota alle bestie e ai puri spiriti, è data invece agli
umani: è «l'apparire della libertà davanti a se stessa nella possibilità». Per l'individuo l'esercizio della libertà è rischioso; implica infatti la consapevolezza che tutte le
cose del mondo sono misere, illusorie, finite, portando a volgere lo sguardo verso
l'infinito il quale, a sua volta, si presenta carico di terrore: è Dio, alterità assoluta,
davanti a cui ci si scopre sempre peccatori. L'angoscia, dunque, è il ponte fra finito
e infinito, creatura umana e Dio, poiché fa sorgere l'intuizione della nostra costitutiva peccaminosità. Da qui, solo da qui, si può dare il salto verso la fede,
abbandonando tutto - la vita mondana, la società, le preoccupazioni esteriori - : «chi
perde tutto vince tutto».
Connesso alla categoria della possibilità è anche il sentimento della disperazione
(la "malattia mortale"). Mentre l'angoscia riguarda la condizione umana nel suo
rapporto con il mondo e le sue possibilità, la disperazione si riferisce all'uomo,
riguarda cioè ognuno di noi nel nostro rapportarci a noi stessi; la disperazione,
infatti, nasce dall’impossibilità per l’individuo di convivere in modo sereno con se
stesso. Essa nasce dall'incapacità di accettare la nostra più profonda realtà
interiore. Kierkegaard spiega che si è disperati in un duplice senso.
Innanzitutto, quando non riusciamo ad accettarci per quello che siamo e
rifiutiamo il nostro stesso essere, andando però incontro all'impossibilità di
__________________________________
= _________________________________
a - la ______________________________:
paura di _________________________
b - la scelta tra _______________________
che sono _________________________
a+b+c
________________________________
= _______________________________
_________________________________
c - ________________________________
avvicina a _________________
___________________________________
angoscia = _________________________
disperazione = ______________________
__________________________________
duplice modalità:
a _________________________________
b _________________________________
___________________________________
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abbandonare il nostro io; in secondo luogo, quando ci riteniamo autosufficienti e
completi e ci imbattiamo, inevitabilmente, nei nostri limiti. In entrambi i casi è impossibile giungere “all'equilibrio e alla quiete”.
Nel 1843 uscivano anche i due volumi di Aut Aut, un'opera importante
nell'itinerario intellettuale di Kierkegaard. Già dal titolo - aut... aut, "o... o" - si
capisce che il tema è rappresentato dalla scelta tra due alternative contrapposte:
si tratta di due diverse forme di vita, quella estetica e quella etica.
A differenza del sistema hegeliano, che concepiva la dialettica come
conciliazione dei termini opposti, l'aut... aut di Kierkegaard pone l'uomo di
fronte a una scelta radicale: la vita estetica o quella etica. Più avanti vedremo
come le alternative siano ancora più ampie e articolate, in quanto si aggiungerà
la vita religiosa. Quello che ora mette conto sottolineare è l'interpretazione
dell'esistenza come scelta.
Esistere significa scegliere. E la scelta si compie tra termini assolutamente
contraddittori e inconciliabili. Beninteso, non si tratta di una scelta da compiere a
livello teorico, ma esistenziale: una scelta che impegna il singolo fin nelle fibre
più profonde del suo essere. Infatti, ciò che dà valore all'uomo non è la
profondità della sua cultura o l'ampiezza delle sue conoscenze, ma la capacità di
assumersi la responsabilità delle proprie decisioni.
Scrive Kierkegaard:”… La scelta è decisiva per il contenuto della personalità;
colla scelta essa sprofonda nella cosa scelta, e quando non sceglie, appassisce in
consunzione... Il momento della scelta per me è assai serio, non tanto a causa
della severa riflessione sulle varie e distinte possibilità, e neppure a causa della
molteplicità di pensieri che sono inerenti ad ogni valutazione, ma perché vi è
pericolo che nel momento seguente io non sia più così libero di scegliere. Poiché
quando si crede che per qualche istante si possa mantenere la propria personalità
tersa e nuda, o che, nel senso più stretto, si possa fermare o interrompere la vita
personale, si è in errore. La personalità, già prima di scegliere è interessata alla
scelta, e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente, e
decidono in essa le oscure potenze. ...
... Nella lettera precedente ho osservato che l'aver amato dà all'essere di una
persona un'armonia che non vien mai persa del tutto; ora dirò che lo scegliere dà
all'essere di una persona una solennità, una calma dignità che non vien mai persa
del tutto. [...] L'uomo non diventa diverso da quello che era prima, diventa solo
se stesso; la coscienza si raccoglie ed egli è se stesso. Come un erede, anche se
opposta alla ____________________ di
______________________
_________________________________
___________________________________
determina ________________________
LE CATEGORIE DI KIEKEGAARD
1 - ________________________
6 - ___________________
3 - ________________
2 - ________________________
_______________________________
__________________
_______________________________
___________________
4 - _________________
_______________________________
+
5 - ___________________________
7 - ___________________
a - __________________ b - ____________________
c - ______________________________
fosse erede di tutte le ricchezze di questo mondo, non le possiede prima di
diventar maggiorenne, così la più ricca personalità non è nulla prima di aver
scelto se stessa, e d'altra parte, anche quella che potremmo chiamare la più
misera personalità, è tutto quando ha scelto se stessa. La grandezza, infatti, non
consiste nell'essere questo o quello, ma nell'essere se stesso, e questo ciascuno lo
può se lo vuole. Che, in un certo senso, non si tratti di una scelta di qualche cosa,
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lo vedrai dal fatto che quello che appare dall'altra parte, ciò che nella scelta non è
stato scelto, è l'estetica, che è l'indifferenza.” (“Aut-aut”).
La scelta (vedi lettura “Aut-Aut: scelta e personalità”)
Vedi letture
SCELTE DI VITA E CRISTIANESIMO
La centralità e la problematicità della scelta è riscontrabile anche nelle vicende
biografiche dello stesso Kierkegaard. Tra gli avvenimenti che meritano di essere
ricordati della vita di Kierkegaard, una vita peraltro priva di fatti esteriori
importanti, vi è la vicenda della rottura del fidanzamento con la diciottenne
Regina Olsen, figlia di un alto funzionario, che egli amava e aveva chiesto in
sposa. Nel suo Diario Kierkegaard registra che il giorno seguente questa decisione si rese conto dell'errore e, dopo un paio di mesi di indescrivibili sofferenze,
pervenne alla rottura definitiva. Regina rimase malissimo di fronte a queste decisioni,
apparentemente immotivate, arrivando alla disperazione e alla minaccia del
suicidio; emozioni che ricorderà con animo turbato per tutta la vita.
Per noi assume grande significato la motivazione che Kierkegaard riporta di questo
gesto: avendo abbracciato il cristianesimo, con tutta la «tremenda serietà» che quella
scelta comportava, egli non poteva condividere il suo amore per Cristo con un'altra
persona né poteva continuare a vivere un'esistenza tranquilla e borghese come
quella dell'uomo sposato. Ma anche per lui una simile decisione fu causa di
insicurezza e angoscia, come dimostrano le parole scritte nel Diario: Kiekegaard
confessa che, nonostante la necessità di lasciare Regina, rimarrà per sempre suo e
afferma di aver imparato, attraverso questo difficile passaggio della sua esistenza,
qualcosa di fondamentale: «Dio ha la precedenza su tutto».
Nella rottura del fidanzamento ciò che emerge come particolarmente
significativo è la decisione di scegliere Dio al di sopra di ogni altra cosa: una
scelta esclusiva e senza compromessi. Kierkegaard è infatti, principalmente, un
pensatore cristiano: «il divenir cristiano - egli affermava - è stato il compito della
mia vita».
Il suo cristianesimo, però, non deve essere confuso con quello della Chiesa ufficiale.
Significativa a tal proposito è la dura polemica che egli ebbe con il vescovo
protestante danese Mynster. La Chiesa è da lui accusata di essersi ribellata a Dio
e di avere una visione puramente terrena e mondana dell'Assoluto. Gli uomini di
Chiesa hanno ridotto il messaggio di Cristo a mera dottrina, cioè ne hanno fatto
una speculazione teologica. Del cristianesimo essi hanno tralasciato proprio la
parte più importante: l'imitazione di Cristo, una vita vissuta all'insegna
dell'abnegazione, dell'ascesi e del sacrificio. Cristo aveva tes t i mo niato la sua verità
con la messa in gioco della propria vita. I cristiani, al contrario, hanno tradito Cristo,
considerando il cristianesimo come un gioco. C'è dunque un ateismo cristiano,
consistente nel fare a meno di Dio, del suo volto più severo e inquietante, per
sostituirlo con una versione più addolcita, con l'obiettivo di «vivere tranquilli e
attraversare felicemente il mondo».
A Kierkegaard va sicuramente attribuito il merito di aver elaborato in termini a noi
contemporanei il cristianesimo operando il passaggio dalla spettacolarizzazione
della religione all’interiorizzazione della religione, ovvero il passaggio dalla
religione come obbligo sociale e sistema di verità assoluta alla religione come
scelta di vita, su cui centrare la propria esistenza.
La rottura del ________________________
La scelta del cristiano: ________________
__________________________________
La critica alla _______________________
imitazione di ______________________
contro
speculazione _______________________
Dalla religione come __________________
_______________ alla religione come ____
___________________________________
48
Vediamo ora quali sono le alternative fondamentali che, secondo Kierkegaard, si PROGETTI DI VITA,MODELLI DI PERSONALITÀ
presentano all’uomo e di fronte alle quali egli si trova a dover scegliere.
Di fronte alla vita ci si può comportare come don Giovanni (il personaggio
dell’omonima opera di Mozart), per il quale la vita è seduzione. Ci si muove nel mondo 1 - ________________________________
senza mettere mai radici, ponendo tra sé e gli altri un sottile velo di immagini seducenti.
Il seduttore non mostra mai se stesso: mostra sempre una immagine, una cangiante
immagine, in modo da potersi nascondere dietro di essa e apparire come la
donna che corteggia vuole che egli sia, senza in realtà essere mai nessuna
delle maschere di cui si riveste. Il suo è il mondo della pura esteriorità, mondo dal
quale è stata eliminata ogni dimensione di profondità, di certezza e di stabilità.
Come in un, gioco di superfici, tutto nella sua seduzione attrae, ma la vita di don
Giovanni è senza spessore. Egli vive della sua seduzione; essa gli permette di
non radicarsi mai in un rapporto durevole, di non costruire mai nel mondo dei punti
di riferimento stabili. Tutto ciò che tende a cristallizzare i sentimenti e le
abitudini, a costruire una quotidianità ordinata fatta di impegni e di doveri,
tutto questo viene rigettato. Don Giovanni non ha una moglie: vuole tutte le
donne, vuole sedurle ma non legarsi ad alcuna per poter non scegliere. Egli paga
questa non-scelta che si rivelerà apparente, perché egli sceglie in realtà di fuggire
da ogni scelta, con la impossibilità di costruire legami e affetti costanti, col vivere
del bisogno continuo del nuovo. E se si ferma è perduto. Se si ferma, infatti,
è assalito dalla disperazione. Don Giovanni è un esteta, vuole il godimento
immediato; ma la vita estetica è una vita letteraria, buona per il teatro in cui
tutto è gioco di immagini e i sentimenti sono di cartapesta come le scene sullo
sfondo. Se don Giovanni smette di recitare e guarda lucidamente a se stesso,
scopre soltanto il vuoto: non ha accettato di fare delle scelte (ha creduto di poter
sfuggire alla necessità di scegliere), non è dunque altri che nessuno. È nulla. Questo
nulla è disperazione, terrore del vuoto, del non essere altro che niente. La sua
disperazione nasce dalla coscienza che ogni attimo della vita è eguale all'altro,
che il sempre nuovo che egli cerca nella superficialità dell'istante è lo stesso
istante che ritorna identico, che si ripete eguale perché la ripetizione non ha
caratteristiche. Ogni donna per don Giovanni è uguale alle altre, perché
nessuna per lui è oggetto di amore e di scelta. L'importante è ripetere, non
fermarsi; importante non è mai ciò che si ripete, ma che il gioco si ripeta. Altrimenti
don Giovanni cade nella disperazione.
Don Giovanni compie quindi una scelta estetica. L’esteta manca di qualsiasi punto
di riferimento, di un “centro” interiore suo proprio, per cui scrive Kierkegaard “non
può dare della sua vita nessuna spiegazione soddisfacente, perché egli vive
sempre solo nel momento, e ha una coscienza soltanto relativa e limitata di
se stesso”; mancando di un punto di riferimento l’esteta non è in grado di
costruirsi un proprio progetto di vita “per cui egli spontaneamente è quello
che è ... per cui diventa quello che diventa”. Questa mancanza di un
progetto si traduce a sua volta nell’incapacità di scegliere, infatti “la scelta
estetica o è completamente spontanea, e perciò non è una scelta o si perde nella
molteplicità ... si sceglie solo per il momento, e perciò nel momento seguente si
può scegliere qualche cosa d'altro”. All’esteta Kierkegaard dice:”Sei spiritoso,
ironico, buon osservatore, dialettico, esperto nei piaceri, sai calcolare il
momento, sei, secondo le circostanze, sentimentale o senza cuore, ma con
tutto questo vivi sempre solo nel momento, la tua vita si disfa in una serie
incoerente di episodi senza che tu possa spiegarla” (“Aut-aut”).
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L’ESTETA – DON GIOVANNI
1 - _______________________________
__________________________________
____________
2 - _______________________________
__________________________________
________________
non scegliere = __________________
Crede di ________________________________ ma _____________________________________________________________________
È così che la scelta di don Giovanni ha come propria antitesi l'atto con cui 2 _______________________________
l'uomo accetta di scegliere, aderendo così a un mondo etico. L'uomo che accetta
il matrimonio permette alle profondità dell'amore di penetrare in lui,
rifiutando la superficialità della seduzione. E un salto radicale, è la scelta di
una possibilità totalmente diversa. Con la profondità dei suoi sentimenti stabili,
con la moglie, con i figli - persone di cui accetta la responsabilità nell'ordine borghese della società moderna - l'uomo sposato trova una propria identità. A
partire dai punti fermi del suo mondo (la famiglia, il lavoro, la responsabilità
che ne deriva, l'adesione a un ordine di regole sociali che gli garantiscono
il rispetto degli altri, e così via), l'uomo sposato costruisce un'esistenza regolare,
fatta di diritti e di doveri accettati; ne è contento, acquisisce abitudini, aderisce a un
sistema collettivo di valori, costruito dalla generalità dei suoi simili nella società
in cui vive. Tuttavia questa generalità è anonima: nessun in particolare
stabilisce le regole del vivere sociale, definisce positivamente che cosa è bene e
che cosa è male. È la società nel suo complesso a farlo. L'uomo etico
aderisce ai valori impersonali di una collettività.
Mentre il seduttore vive sempre nell'istante e non si fa mai carico del proprio
passato e delle responsabilità che ne derivano, l'uomo sposato ha un rapporto del
tutto opposto con il presente. Tutto ciò che egli fa non è limitato
all'istante, ma deriva dall'assunzione delle responsabilità che egli si è
assunto nelle scelte passate (dall'aver sposato quella donna, avere messo
al mondo quei figli), in vista di progetti futuri ben chiari e predeterminati. Tutto
questo però copre soltanto il vuoto dell'esistenza. L' identità dell'uomo sposato è
protetta: in un'esistenza regolare il nuovo è inquadrato, incasellato nell'ordine
esistente; il sistema di valori accettato dalla generalità degli uomini ha una
risposta per ogni problema.
Tuttavia anche l'uomo sposato non è al riparo dal vuoto dell'esistenza, anch'egli ha
una libertà che si rivela vuota. Questo non accade tanto perché le responsabilità
assunte lo limitano nelle sue scelte, infatti ciò che l'uomo sposato chiede è
proprio di essere liberato dall’angoscia della scelta e di potersi affidare a un
sistema oggettivo di valori da tutti accettato. Il punto è che l'uomo sposato si
accorge di essersi liberato dalla responsabilità soggettiva della scelta accettando
la responsabilità etica della famiglia e un ordine generale di valori , ma di
avere così solo coperto la sua più profonda libertà, basata sulla radicale soggettività
di ogni decisione. Rifugiarsi dietro le scelte dell'anonimo prossimo, aderire
a valori superiori è solo un nascondersi dietro di essi. L’individuo rimane
egualmente il soggetto responsabile di ciò che fa anche se si trincera dietro la sua
rispettabilità borghese. Quando si accorge di questo l'uomo sposato entra nella
dimensione dell'angoscia, vive, cioè il terribile vuoto della sua esistenza.
Questa crisi non è transitoria perché affonda le sue radici nell'essere dell'uomo.
Tuttavia, se la superficialità del seduttore genera disperazione e la profondità
dell'uomo etico genera angoscia, c'è alternativa per l'uomo singolo al
sopravvivere come meglio può nello spazio tra queste due possibilità?
50
L’UOMO SPOSATO
_________________________: _____________________________
_______________________________
____________________________________________
ma __________________________________________
_______________________________________________________
________________________________________________________
Né certe appassionate analisi etiche, né certe suggestive anatomie psicoesistenziali devono però far dimenticare la natura essenzialmente religiosa del
pensiero kierkegaardiano. Già Aut-Aut si concludeva con un'apertura verso la
dimensione del divino. Ribadita la validità e la dignità della scelta etica,
Kierkegaard suggeriva l'esistenza di un'altra prospettiva aperta dinanzi alla
coscienza umana: la prospettiva religiosa.
In effetti, per Kierkegaard, l’unico antidoto all’angoscia e alla disperazione è la
fede; infatti la disperazione nasce perché non vogliamo riconoscere che quello
che siamo lo siamo per Dio; vale a dire, che il nostro essere si giustifica solo
in Lui. Da che cosa deriva, dunque, la disperazione? Dal voler trovare un senso
indipendente e autonomo al proprio essere negando di appartenere a Dio.
I cardini teorici essenziali della concezione kierkegaardiana della religione
sono l'assoluta trascendenza del divino e la soggettività dell'esperienza religiosa.
Soggettività non significa arbitrarietà o relatività della fede: significa, invece,
che la religione è un fatto eminentemente personale. Nessuna mediazione
estrinseca può e deve turbare l'immediatezza del colloquio dell'uomo con Dio. La
fede, dice Kierkegaard, è un'esperienza solitaria: non si entra in essa «in
compagnia». Il suo luogo specifico non è tanto la chiesa quanto la coscienza. La
sua testimonianza non è tanto un rituale pubblico, visibile, quanto un atto
interiore. Il credente conquista Dio solo attraverso «la passione infinita
dell'interiorità».
Questo forte privilegiamento della coscienza e dell'interiorità non implica però
la riduzione dell'esperienza religiosa a un fatto tutto interno e immanente all'io.
La fede è anzi proprio l'esperienza di una realtà che sta oltre l'orizzonte della
coscienza e dell'umano. Sulla trascendenza del divino e sulla sua
incommensurabilità Kierkegaard ha scritto (su tracce antico-testamentarie e
protestanti classiche: Lutero, Calvino) pagine di grande potenza. Dio
viene prima di ogni argomentazione, ed è al di là di ogni ipotesi. Non può essere
«raggiunto» per via «naturale», né tanto meno può essere «dimostrato». Dio è
oltre il «limite» al quale è dato di arrivare. Esso è «l'ignoto», irriducibile a
«qualsiasi altra cosa che noi conosciamo». È «il diverso»: l'«assolutamente
diverso», la «differenza assoluta».
A questa inquietante definizione del divino si collega quello ch'è uno dei temi
storicamente più significativi della riflessione kierkegaardiana: il rapporto tra
fede e ragione, tra fede e filosofia. A questo proposito il pensatore danese
assume, infatti, una posizione radicale ed estremamente polemica. Il bersaglio
della sua critica sono tutte quelle concezioni (a cominciare dalla filosofia hegeliana)
che in un modo o nell'altro cercavano di «conciliare» umano e divino, religione e
speculazione - o che cercavano, ancor peggio, di includere la fede nel superiore
orizzonte del pensiero filosofico. Tale «conciliazione» non ha per Kierkegaard
alcun fondamento. L'esperienza religiosa è per lui un «assoluto». Chi si mette
per la strada della filosofia della religione non giungerà mai al traguardo
3 _________________________________
La fede come _______________________
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Caratteristiche dell’esperienza
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1- ______________________________
2 - _______________________________
3 - _______________________________
51
desiderato. La verità filosofica è una cosa, la verità religiosa è un'altra. Credere
con la ragione «è una cosa impossibile». L'esistenza di Dio è - e deve restare uno «scandalo» logico: lo scandalo dell'infinito che si incarna nel finito, dell'eterno
che entra nel tempo. La fede deve credere «ciò che non vede». Deve scoprire - e
accettare - «l'inverosimiglianza e il paradosso». E per far questo occorre un
impegno spirituale che va molto al di là degli argomenti razionali. Lo
«scandalo», l'«inverosimile», il «paradosso» sono essenziali per la maturazione
dell'uomo: gli fanno cogliere i limiti delle sue certezze e del suo buon senso,
l'esistenza di verità in-dicibili e in-dimostrabili. È anche per questo che
Kierkegaard dà tanta importanza all'angoscia e alla disperazione. Esse sono
in qualche modo esperienze-limite che consentono all'essere umano di scoprire la
propria insufficienza e di prepararsi alla fede: l'angoscia «forma alla fede»; la
disperazione è «il primo grado della fede» che produce «una bruciante nostalgia
della religione».
Soddisfare tale nostalgia in modo graduale e indolore non è peraltro possibile. La
fede, sottolinea Kierkegaard (e questo è un altro dei temi che hanno
maggiormente colpito la spiritualità contemporanea) è un «salto» e un «rischio»: è
un rischio nel senso ch'essa dev’essere assunta in modo assoluto, senza alcuna
prova o garanzia, anzi contro tutte le apparenze e le ipotesi. Perché tutto questo?
Perché per Kierkegaard l'oggetto essenziale della religione non è la verità/validità
di ciò che si crede, ma come si crede e il modo d'essere del credente: il suo
coraggio, il suo impegno, la sua disponibilità assoluta.
Il simbolo della vita religiosa è Abramo che, vissuto fino all'età di settant'anni nel
rispetto dei doveri morali e familiari, all'improvviso un giorno riceve da Dio
l'ordine di uccidere suo figlio Isacco, in netto contrasto con ogni legge morale e
sociale. Abramo è posto di fronte a una alternativa radicale: obbedire o non
obbedire al comando di Dio, un comando incomprensibile per la ragione umana.
Abramo non ha via di scampo, deve scegliere: o Dio o la morale degli uomini. Non c'è
la possibilità di una terza via, di una conciliazione o di un'indecisione. Deve scegliere tra
due opposti inconciliabili. Egli fa il salto della fede, sceglie Dio. Ma che significato ha
tale scelta? Si tratta di una scelta irrazionale e assurda che va al di là di ogni buon
senso e di ogni regola umana.
Proprio perchè contraria alla morale e all’opinione degli uomini , per cui richiede sempre
una scelta individuale, la fede è scandalo: l’ordine di Dio ad Abramo testimonia
drammaticamente l'irriducibile differenza tra la ragionevolezza della morale e
l'imperscrutabile scandalo della fede.
Vita e opere
La fede come _______________________
________ = limite delle ______________
__________________________________
4 - _______________________________
___________________________ simbolo
dell’______________________________
.
Nato a Copenhagen nel 1813, nel 1830 Kierkegaard si iscrive alla facoltà di teologia dell'Università locale. Nel
frattempo comincia a scrivere annotazioni in un diario, mantenendo questa abitudine per tutto il corso della sua vita
(le sue Carte saranno pubblicate postume). Nel 1837 conosce Regine Olsen, con la quale in seguito si fidanza; nello
stesso anno va a vivere da solo con una rendita passatagli dal padre, ricco commerciante, alla morte del quale erediterà un
grosso patrimonio. Il rapporto con i genitori, e in particolare con il padre, permane come un'ombra alquanto oppressiva
su tutta la sua esistenza. Circostanze rimaste ignote provocano quindi in lui un profondo rivolgimento interiore
che si manifesta in un senso di angoscia e disperazione: una «scheggia nelle carni», secondo le sue stesse parole.
Nel 1841 rompe il fidanzamento, si laurea in filosofia con la tesi Sul concetto di ironia con costante riferimento
a Socrate, va per la prima volta a Berlino per ascoltare Schelling, ma ne rimane deluso. Tornato a Copenhagen, si
concentra nella composizione delle sue opere: nel 1843 scrive Aut-Aut, Timore e tremore, La ripresa e alcuni
Discorsi edificanti; l'anno successivo, Briciole di Filosofia (o Una filosofia in briciole) e Il concetto dell'angoscia.
Seguono, fra gli altri, Postilla conclusiva non scientifica (1846), La malattia mortale (1849), Esercizio di
cristianesimo (1850). L'elaborazione di questi testi, pubblicati poi sotto vari pseudonimi, è accompagnata da
esperienze interiori di profonda sofferenza, acuita dalle difficoltà finanziarie e, soprattutto, dagli attacchi che
muove contro di lui, a partire dal 1846, il periodico satirico «Il corsaro». Negli ultimi anni Kierkegaard
accentua la sua polemica contro la chiesa ufficiale danese che culmina negli articoli stampati nella rivista
«L'ora», da lui stesso pubblicata da maggio a settembre del 1855. Muore nel novembre del medesimo anno.
52
1 - KIERKEGAARD “AUT – AUT: SCELTA E PERSONALITÀ”
Amico mio! Quello che ti ho già detto tante volte, te lo ripeto, anzi te lo grido: o
questo o quello, aut-aut! L’importanza dell'argomento giustifica l'uso delle
parole. Vi sono circostanze in cui sarebbe ridicolo e quasi pazzesco voler porre
un aut-aut; ma vi sono anche persone la cui anima è troppo dissoluta per cogliere
il significato di questo dilemma, alla cui personalità manca l'energia per poter
dire con pathos: o questo, o quello. Queste parole hanno sempre fatto su me una
profonda impressione, e ancora la fanno, specialmente quando le pronuncio così,
semplici e nude; in esse esiste una possibilità di mettere in moto i contrasti più
tremendi. Su di me han l'effetto di una formula di scongiuro, e l'animo mio
sprofonda nella serietà, restandone quasi sconvolto. Penso alla mia prima
gioventù, quando, senza ben afferrare il significato della scelta nella vita, con
infantile confidenza ascoltavo i discorsi dei più anziani; e l'istante della scelta era
per me solenne e venerabile, benché nella scelta seguissi allora solo le istruzioni
degli altri. Penso a quegli istanti nella mia vita futura, in cui mi trovai al bivio, in
cui l'animo mio si maturò nell'ora della decisione.
Penso a tutti gli altri casi della vita, meno importanti, ma per me non indifferenti,
in cui dovevo scegliere; poiché anche se è vero che queste parole hanno una
importanza assoluta solo nel caso in cui, da una parte, appare la verità, la
giustizia, la sanità, e dall'altra, il piacere, le inclinazioni, le oscure passioni e la
perdizione; anche in casi in cui l'oggetto della scelta è per sé indifferente è
sempre importante scegliere giusto, provare se stessi, perché un giorno, con
dolore, non si debba ricominciare dal punto di partenza, ringraziando Dio se non
ci si fa altro rimprovero che di aver perso del tempo.
… La scelta è decisiva per il contenuto della personalità; colla scelta essa
sprofonda nella cosa scelta, e quando non sceglie, appassisce in consunzione. Per
un attimo è o può parere, che si scelga tra possibilità estranee a chi sceglie, colle
quali egli non sta in nessun rapporto e verso le quali si può mantenere
indifferente. Questo è il momento della riflessione. … Ciò che deve essere
scelto sta nel più profondo rapporto con chi sceglie, e quando si parla di scelta
che riguardi una questione di vita, l'individuo in quel medesimo tempo deve
vivere, e ne segue che è facile, quanto più rimandi la scelta, di alterarla,
nonostante che continui a riflettere e riflettere, e con ciò creda di tenere i
contrasti della scelta ben distinti gli uni dagli altri. Quando si considera l'aut-aut
della vita in questo modo non è facile che si sia indotti a scherzare con esso. Si
vede allora che l'impulso interiore della personalità non ha tempo per gli
esperimenti spirituali. Esso corre costantemente in avanti e pone ora in un modo
ora nell'altro i termini della scelta, sì che la scelta nell’attimo seguente diventa
più difficile. Immagina un capitano sulla sua nave nel momento in cui deve dar
battaglia; forse egli potrà dire bisogna fare questo o quello; ma se non è un
capitano mediocre, nello stesso tempo si renderà conto che la nave, mentre egli
non ha ancora deciso, avanza colla solita velocità; e che così è solo un istante
quello in cui sia indifferente se egli faccia questo o quello. Così anche l'uomo, se
dimentica di calcolare questa velocità, alla fine giunge un momento in cui non ha
più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma perché non l'ha fatto, il che si
può anche esprimere così: perché gli altri hanno scelto per lui, perché ha perso se
stesso.
Da quanto ho detto fin qui vedrai anche come il mio modo di considerare la
scelta sia profondamente diverso dal tuo, se nel tuo caso ancora si può parlare di
scelta; perché la tua concezione è diversa proprio per il fatto che impedisce una
scelta. Il momento della scelta per me è assai serio, non tanto a causa della
severa riflessione sulle varie e distinte possibilità, e neppure a causa della
molteplicità di pensieri che sono inerenti ad ogni valutazione, ma perché vi è
pericolo che nel momento seguente io non sia più così libero di scegliere. Poiché
53
quando si crede che per qualche istante si possa mantenere la propria personalità
tersa e nuda, o che, nel senso più stretto, si possa fermare o interrompere la vita
personale, si è in errore. La personalità, già prima di scegliere è interessata alla
scelta, e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente, e
decidono in essa le oscure potenze. Quando finalmente si ha scelto, se la
personalità non si è, come notai prima, completamente volatilizzata, ci si accorge
che vi è qualche cosa che deve esser rifatto, che deve esser fatto ritornare, questo
spesso è assai difficile. Nelle favole si parla di persone che le sirene e i tritoni
attiravano in loro potere colla loro musica demoniaca. Le favole spiegano che,
per sciogliere l'incanto, era necessario che la persona incantata suonasse la stessa
musica cominciando dalla fine, senza sbagliare nemmeno una volta. Questo è un
pensiero molto profondo, ma è cosa difficilissima da eseguire, eppure è così. Ciò
che di falso abbiamo in noi lo dobbiamo estirpare in questo modo, ed ogni volta
che sbagliamo dobbiamo ricominciare da capo. Vedi dunque che è importante
scegliere e scegliere in tempo.
.. Ciò che appare col mio aut-aut è l'etica. Perciò non si può ancora parlare della
scelta di qualche cosa, non si può ancora parlare della realtà di ciò che è stato
scelto, ma della realtà dello scegliere. Questo pertanto è il fatto decisivo, ed è di
questo che voglio renderti cosciente. Fino a questo punto una persona può
aiutare l'altra, quando poi si è raggiunto tale risultato l'importanza che una
persona può avere per l'altra diminuisce. Nella lettera precedente ho osservato
che l'aver amato dà all'essere di una persona un'armonia che non vien mai persa
del tutto; ora dirò che lo scegliere dà all'essere di una persona una solennità, una
calma dignità che non vien mai persa del tutto. [...] L'uomo non diventa diverso
da quello che era prima, diventa solo se stesso; la coscienza si raccoglie ed egli è
se stesso. Come un erede, anche se fosse erede di tutte le ricchezze di questo
mondo, non le possiede prima di diventar maggiorenne, così la più ricca
personalità non è nulla prima di aver scelto se stessa e, d'altra parte, anche quella
che potremmo chiamare la più misera personalità è tutto quando ha scelto se
stessa. La grandezza, infatti, non consiste nell'essere questo o quello, ma
nell'essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole. Che, in un certo senso,
non si tratti di una scelta di qualche cosa, lo vedrai dal fatto che quello che
appare dall'altra parte, ciò che nella scelta non è stato scelto, è l'estetica, che è
l'indifferenza.
L'aut-aut che ho presentato è dunque, in un certo senso, assoluto, poiché si tratta
di scegliere o di non scegliere.
… Ma cosa vuol dire vivere esteticamente e cosa vuol dire vivere eticamente?
Cosa è l'estetica nell'uomo, e cosa è l'etica? A ciò risponderò: l'estetica nell'uomo
è quello per cui egli spontaneamente è quello che è; l'etica è quello per cui diventa quello che diventa. Chi vive tutto immerso, penetrato nell'estetica, vive
esteticamente.
Chi vive esteticamente non può dare della sua vita nessuna spiegazione soddisfacente, perché egli vive sempre solo nel momento, e ha una coscienza soltanto
relativa e limitata di se stesso. Non è affatto mia intenzione negare che chi vive
esteticamente, quando questa vita è al suo massimo, può esibire una quantità di
doti spirituali, anzi, che queste devono perfino essere sviluppate in grado insolitamente intenso. Eppure l'esteta non possiede liberamente il suo spirito, manca di
limpidezza. Così spesso si trovano degli animali in possesso di sensi molto più
acuti, molto più intensi dell'uomo, ma sono legati all'istinto animalesco. Vorrei
prender te come esempio. Non ho mai negato le tue ottime doti spirituali, come
potrai vedere dal fatto che molto spesso ti ho biasimato perché le hai usate male.
Sei spiritoso, ironico, buon osservatore, dialettico, esperto nei piaceri, sai
calcolare il momento, sei, secondo le circostanze, sentimentale o senza cuore, ma
con tutto questo vivi sempre solo nel momento, la tua vita si disfa in una serie
incoerente di episodi senza che tu possa spiegarla. Se uno vuole imparare l'arte
di godere è giustissimo che vada da te, ma se desidera comprendere la tua vita
54
non si rivolge alla persona adatta. Forse troverà piuttosto da me quello che cerca,
nonostante che io non sia affatto in possesso delle tue doti spirituali. Tu sei
imprigionato, ed è quasi come se tu non avessi tempo di staccarti, io non sono
imprigionato nel mio giudizio né intorno all'estetica né intorno all'etica.
Nell'etica, infatti, io mi sollevo sopra il momento e giungo alla libertà; ma è una
contraddizione che si possa essere imprigionati nella libertà.
Ogni uomo, per quanto poco intelligente sia, per quanto bassa sia la sua posizione nella vita, ha un bisogno naturale di formarsi una concezione di vita, una
rappresentazione del significato della vita e del suo scopo. Anche chi vive esteticamente fa questo, e l'espressione comune che, in ogni tempo ed in ogni diverso
stadio, si è sempre sentita è questa: bisogna godere la vita. Questa espressione
naturalmente varia molto, poiché le idee intorno al godimento sono varie, ma
sull'espressione che si deve godere la vita tutti sono d'accordo. Chi scorge nel
godimento il senso e lo scopo della vita sottopone sempre la sua vita a una
condizione che o è al di fuori dell'individuo o è nell'individuo, ma in modo da
non essere posta per opera dell'individuo stesso.
… Scegliere è soprattutto una espressione rigorosa ed effettiva dell'etica.
Sempre, quando nel senso più rigido si parla di un aut-aut, si può esser certi che
è in gioco anche l'etica. L’unico aut-aut assoluto che esista è la scelta tra il bene
e il male, ma anche questo è assolutamente etico. La scelta estetica o è
completamente spontanea, e perciò non è una scelta, o si perde nella
molteplicità. Così quando una giovanetta segue la scelta del suo cuore, questa
scelta, per quanto bella possa essere, in senso rigoroso non è una scelta, perché è
completamente spontanea. Quando un uomo soppesa esteticamente una quantità
di problemi vitali, come io ho supposto che tu facessi, non è facile che si giunga
a un aut-aut, perchè quando non si sceglie in modo assoluto, e cioè eticamente, si
sceglie solo per il momento, e perciò nel momento seguente si può scegliere
qualche cosa d'altro. La scelta etica perciò, in un certo senso, è molto più facile,
molto più semplice, ma in un altro senso è infinitamente più difficile. Chi vuol
determinare eticamente il compito della propria vita, in generale non ha una
scelta molto vasta; invece per lui l'atto della scelta acquista una sempre maggiore
importanza. Se mi vuoi comprendere bene, posso dire che nello scegliere non
importa tanto lo scegliere giusto quanto l'energia, la serietà ed il pathos col quale
si sceglie.
S. Kierkegaard, Aut-Aut, Milano 1975
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GLI EFFETTI DELLA NON SCELTA
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A - ___________________________________________: __________________
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B - ___________________________________________: ___________________
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LA SCELTA ESTETICA
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2 – _________________________________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________________________________
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GLI EFFETTI DELLA SCELTA ESTETICA
1 - ___________________________________________________________________________________________________________
2 - ___________________________________________________________________________________________________________
3 - ___________________________________________________________________________________________________________
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8 - ___________________________________________________________________________________________________________
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A - ______________________________________________________________________: __________________________________
B - ______________________________________________________________________: __________________________________
C - ______________________________________________________________________: __________________________________
COSA SCEGLIERE
1 - ___________________________________________________________________________________________________________
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2 - ___________________________________________________________________________________________________________
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4 - ___________________________________________________________________________________________________________
5 -____________________________________________________________________________________________________________
6 - ___________________________________________________________________________________________________________
A - ________________________________________: __________________________
B - ________________________________________: __________________________
_____________________________________________________: ______
_____________________________________________________: ______
_____________________________________________________: ______
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LO STILE
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I PERSONAGGI
1 – ___________________________________________________________________________________________________________
2 – ___________________________________________________________________________________________________________
2 – AA.VV. - LETTORI DI KIERKEGAARD NEL NOVECENTO
"Il tempo come struttura della possibilità è appunto il problema del nostro muoverci
verso un futuro, avendo alle spalle un passato; e sia che questo passato venga visto
come blocco rispetto alla nostra libertà di progettare (progetto che ci impone in
definitiva di scegliere ciò che siamo già stati), sia che sia inteso come fondamento
delle possibilità a venire, e quindi possibilità di conservazione o mutamento di ciò che
si è stati, entro limiti determinati di libertà, ma pure sempre in termini di processo e di
operatività progrediente e positiva … in tutti questi e in altri casi la condizione e le
coordinate delle nostre decisioni sono state identificate nelle tre estasi della
temporalità (passato, presente e futuro)e in un articolato rapporto tra di esse.
… le mie possibilità di scegliere o di non scegliere un futuro dipendono comunque dai
gesti che ho fatto e che mi hanno costituito come punto di partenza delle mie decisioni
possibili. E subito, appena decisa, la mia decisione, costituendosi in passato, modifica
ciò che io sono e offre un'altra piattaforma ai progetti successivi. .... In effetti il
passato mi determina e perciò determina anche il mio futuro, ma il futuro, a sua volta,
libera il passato...
Dunque ogni volta che progetto avverto la tragicità della condizione in cui sono, senza
poterne uscire; ma tuttavia progetto proprio perché a questa tragicità oppongo la
possibilità di una positività, che è il mutamento di ciò che è, che io attuo nel
protendermi verso il futuro. Progetto, libertà e condizione si articolano dunque mentre
io avverto questa connessione di strutture del mio agire secondo una dimensione di
responsabilità.
In altri termini dunque l'essere io situato in una dimensione temporale fa si che avverta
la gravita e la difficoltà delle mie decisioni, ma che avverta in pari tempo il fatto che
devo decidere, che sono io a dover decidere e che questo mio decidere si collega a una
serie indefinita di dover-decidere che coinvolge tutti gli altri uomini."
"Un uomo eterodiretto è un uomo che vive in una comunità ad alto livello tecnologico
e a particolare struttura sociale ed economica (in questo caso basata su una economia
di consumo), al quale viene costantemente suggerito (attraverso la pubblicità, le
trasmissioni televisive le campagne di persuasione che si attuano in ogni aspetto della
vita quotidiana) ciò, che deve desiderare e come ottenerlo secondo certi canali
prefabbricati che lo esentano dal progettare rischiosamente e responsabilmente. In una
58
società di questo tipo la stessa scelta ideologica viene imposta attraverso una oculata
amministrazione delle possibilità emotive dell'elettore, non promossa attraverso uno
stimolo alla riflessione e alla valutazione razionale.
....Nella pubblicità come nella propaganda e nei rapporti di human relations l'assenza
della dimensione progetto è in fondo essenziale allo stabilirsi di una pedagogia
paternalistica, la quale richiede appunto la persuasione segreta che il soggetto non sia
responsabile del proprio passato né padrone del proprio futuro, né infine sottomesso
alle leggi della progettazione secondo le tre estasi della temporalità (presente, passato,
futuro) perché tutto questo implicherebbe fatica e dolore, mentre la società è in grado
di offrire all'uomo eterodiretto i risultati di progetti già fatti, tali da rispondere ai suoi
desideri, i quali desideri, poi, gli sono stati indotti in modo da fargli riconoscere, in ciò
che gli viene offerto, ciò che egli avrebbe progettato."
"... non diversamente accade oggi quando la nuova automobile, quanto più possibile
costruita secondo modelli formali che fanno leva su una sensibilità archetipica diventa
a tal punto un segno di uno status economico da identificarsi con esso. La moderna
sociologia ci ha convinto del fatto che in una società industriale i cosiddetti "simboli di
status" pervengono in definitiva a identificarsi con lo status stesso: raggiungere uno
status vuol dire possedere un certo tipo di macchina, un certo tipo di televisore, un
certo tipo di casa con un certo tipo di piscina; ma al tempo stesso ciascuno degli
elementi posseduti, macchina, frigorifero, casa, televisore, diventa simbolo tangibile
della situazione complessiva. L'oggetto è la situazione sociale e nel contempo ne è il
segno: di conseguenza non ne costituisce solo il fine concreto perseguibile, ma il
simbolo rituale, l'immagine mitica in cui si condensano aspirazioni e desideri. È la
proiezione di ciò che vorremmo essere. In altri termini, nell'oggetto, inizialmente visto
come manifestazione della propria personalità, si annulla la personalità."
Tratto da U. Eco1, "Apocalittici e integrati", 1964.
"Non chiedere a nessuno come devi gestire la tua vita: chiedilo a te stesso. Se desideri
sapere come impiegare al meglio la tua libertà, non perderla mettendoti al servizio di
un altro o di altri, per buoni, saggi e rispettabili che siano: sul modo di usare la tua
libertà interroga la libertà stessa. [...] E se, mi dici che basta così, che sei stufo e non
vuoi continuare a essere libero? Se decidi di venderti come schiavo al miglior
offerente o di giurare obbedienza eterna e assoluta a un tiranno qualsiasi? Beh, lo farai
perché lo vuoi, usando la tua libertà e anche se ubbidisci ad altri o ti lasci trascinare
dalla massa comunque continuerai ad agire come preferisci: non rinuncerai a scegliere,
ma avrai scelto di non scegliere da solo. [...] Devi prendere sul serio il problema della
tua libertà, e nessuno può esonerarti dalla responsabilità creativa di scegliere la tua
strada.
... Responsabilità significa sapere che ciascuno dei miei atti mi costruisce, mi
definisce, mi inventa. Scegliendo quello che voglio fare mi trasformo a poco a poco.
Tutte le mie decisioni lasciano impronte in me stesso prima ancora di lasciarle nel
mondo che mi circonda. Ovvio che una volta che ho impiegato la mia libertà per darmi
un volto non posso lamentarmi o spaventarmi per quello che vedo nello specchio
quando mi guardo."
Tratto da E. Savater2, Etica per un figlio (1991)
1
U. Eco (1932 – 2016) I suoi studi sono stati caratterizzati dall’attenzione per i meccanismi di costruzione dei
significati, nella letteratura e nel mondo della comunicazione di massa. Il suo saggio del 1964, Apocalittici e integrati,
costituisce la prima analisi, in Italia, della nascente cultura di massa. La carriera di narratore - che ha assicurato ad Eco
la fama presso il pubblico più largo - inizia nel 1980, quando esordisce con Il nome della rosa.
2
F. Savater (1947), Filosofo e scrittore spagnolo . La sua riflessione filosofica è stata sempre accompagnata da una
particolare attenzione alle questioni politiche e sociali. S. si è fatto portavoce di una nuova idea di etica, più vicina alla
volontà e ai desideri dell’uomo, che si contrappone violentemente all’etica del fare, considerata imperante nella società
contemporanea.
59
Don Giovanni (così come viene raffigurato da Molière, Mozart o Kierkegaard) può
essere definito un inventore e un pioniere di questa strategia. Per stessa ammissione
del Don Giovanni di Molière, il piacere dell'amore consiste nel cambiamento
incessante. Il segreto delle conquiste del Don Giovanni di Mozart, secondo
Kierkegaard, era il suo dono di finire rapidamente e ripartire da un (altro) inizio: Don
Giovanni era in uno stato di perpetua autocreazione...
... Incastrare insieme pezzi e frammenti fino a ottenere una totalità coerente e coesiva
chiamata identità non sembra essere la principale preoccupazione dei nostri
contemporanei, assegnati forzatamente e irrevocabilmente a una condi-zione alla Don
Giovanni, e pertanto costretti ad adottare la sua strategia. Forse non se ne preoccupano
proprio. Un'identità coesiva, saldamente inchiodata e solidamente costruita, sarebbe un
fardello, un vincolo, una limitazione alla libertà di scegliere. Presagirebbe
l'impossibilità di aprire la porta quando un'al-tra opportunità busserà. Per farla breve,
sarebbe una ricetta per l'inflessibilità, per una condizione, cioè, che è continuamente
biasimata, ridicolizzata o con-dannata da quasi tutte le vere o presunte autorità dei
nostri giorni (mezzi di comunicazione, esperti di problemi umani e leader politici),
perché all'opposto di un atteggiamento corretto e prudente, foriero di successo, nei
confronti della vita; una condizione di cui si deve diffidare e che quasi tutti
all'unanimità raccomandano di evitare con cura.
Per la grande maggioranza degli abitanti di un mondo di modernità liquida,
atteggiamenti come la preoccupazione per la coesione, l'adesione alle regole, il
giudicare sulla base dei precedenti e il restare fedeli a una logica di continuità invece
di fluttuare sull'onda di opportunità mutevoli e di breve durata, non sono opzioni
promettenti. Se vengono adottati da qualcun altro (di rado volontariamente, se ne può
star certi!), vengono prontamente bollati come sintomi di deprivazione sociale e
stimmate di insuccesso nella vita, di sconfitta, di scarso valore, di inferiorità sociale.
Nella coscienza pubblica, si tende ad associarli a una vita passata in prigione o in un
ghetto urbano, relegati nella detestata e aborrita «sottoclasse» o confinati nei campi di
profughi senza Stato... I progetti a cui giurare fedeltà per tutta la vita una volta scelti e
sposati (Jean-Paul Sartre, ancora mezzo secolo fa, raccomandava di adottare projets de
vie) godono di cattiva stampa e hanno perso la loro capacità di attrattiva. La maggior
parte della gente, messa alle strette, li definirebbe controproducenti e sicuramente un
genere di scelta che non farebbe di buon grado. Continuare ad incastrare insieme i
pezzi, sì, non si può far altro. Ma incastrarli insieme una volta per tutte, trovare il
miglior incastro possibile, quello che mette fine al gioco di incastro? No, grazie,
questo è qualcosa di cui si fa volentieri a meno.
Tratto da Z. Bauman3 "Intervista sull'identità" a cura di B. Vecchi, Laterza, 2003
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Z. Bauman (1925), sociologo polacco. Le sue più recenti pubblicazioni si sono concentrate sul passaggio dalla
modernità alla post-modernità e le questioni etiche relative. Con una espressione divenuta proverbiale Bauman ha
paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Intendendo
con questi termini sottolineare il fatto che mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri
giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente. Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e
fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si
vuole sentire ingabbiati; le influenze non mancano anche nel mondo politico:difatti ora non si cerca più di costruire il
“mondo perfetto”, seguendo un rigido e predeterminato sistema politico, forte di una consolidata ideologia, come era
nel passato.
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