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Sommario
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Ambito applicativo
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2.1 Limiti contenuti nell’art. 700 c.p.c. - 2.2 La clausola di riserva. - 2.3 I diritti suscettibili di essere fatti valere in
via ordinaria.
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2.1Limiti contenuti nell’art. 700 c.p.c.
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Il ricorso d’urgenza può essere proposto da «chi ha fondato motivo di temere che
durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria», ossia in
un ordinario giudizio di cognizione secondo le forme previste nei primi tre titoli del
Libro II del c.p.c. o nelle forme del processo del lavoro, anche se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o di un giudice penale o
alla cognizione arbitrale (anche irrituale) tenuto conto del correttivo introdotto alla
disciplina dalla L. 80/2005 con il nuovo art. 669quinquies, c.p.c. nonché del
nuovo art. 808ter c.p.c. introdotto dal D.Lgs. 40/2006.
Invece, il provvedimento d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. non può essere pronunciato qualora il diritto di cui si teme il pregiudizio sia tutelabile in via
ordinaria attraverso un processo la cui rapidità di svolgimento sia affine a quella del procedimento cautelare (1) , nonché quando il creditore
possa soddisfare il suo credito avvalendosi del procedimento per decreto ingiuntivo (2) o del processo di esecuzione, nel corso di un giudizio di separazione personale dei coniugi o di divorzio, per far dichiarare l’interdizione
o l’inabilitazione o per ottenere la sospensione dell’ordinanza di convalida
di sfratto non opposta ai sensi dell’art. 668 c.p.c. (3).
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(1) Trib. Trani 14-8-2002, in Giur. It., 2003, 1837.
(2) Pret. Roma 14-12-1989, in Giur. merito, 1991, 261.
(3) Cass. 11-6-90, n. 5670.
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Parte I: Disciplina sostanziale
2.2La clausola di riserva
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La tutela d’urgenza è ammissibile solo in presenza di diritti perfetti preesistenti alla pronuncia richiesta al giudice, altrimenti si produrrebbe un anomalo effetto
costitutivo anticipato del rapporto giuridico. Pertanto, non sono tutelabili ex art.
700 c.p.c. diritti non ancora esistenti o non ancora acquisiti, poiché l’art. 700
c.p.c. non ha il fine di consentire un’acquisizione anticipata.
Gli interessi semplici (o di fatto) e le obbligazioni naturali non sono tutelabili in via d’urgenza poiché non sono suscettibili di tutela giurisdizionale.
Invece, per i diritti soggettivi e gli interessi legittimi devoluti alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo è esclusa la possibilità di ricorrere all’art.
700 c.p.c. poiché, a seguito della L. 205/2000, anche il giudice amministrativo,
al pari di quello ordinario, esercita un potere cautelare generale, non più limitato
alla mera sospensiva dell’atto amministrativo impugnato.
L’art. 700 c.p.c. potrà applicarsi soltanto se le misure cautelari tipiche previste per
il processo amministrativo sono inidonee a eliminare il periculum in mora, ovvero se si tratta di tutelare diritti soggettivi pieni, opponibili alla P.A. che abbia agito
iure privatorum o in situazioni di carenza del pubblico potere, fermo restando il
divieto di condanna della P.A. a un facere (art. 4 L. 2248/1865, all. E) (4).
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L’art. 700 c.p.c. contiene, all’inizio, la clausola di riserva «Fuori dei casi regolati
nelle precedenti sezioni di questo capo».
Il capo nel quale sono disciplinati i provvedimenti d’urgenza è intitolato ai procedimenti cautelari e le sezioni precedenti contengono, oltre alla disciplina del procedimento cautelare in generale, la previsione del sequestro giudiziario e conservativo, dei procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto e dei
procedimenti di istruzione preventiva (assunzione dei testimoni, accertamento
tecnico e ispezione giudiziale).
La riserva contenuta nell’art. 700 c.p.c. riguarda anche le misure cautelari disciplinate da leggi speciali, contenute cioè in disposizioni esterne al codice di
procedura civile. Si pensi, ad esempio, ai sequestri giudiziari o conservativi previsti
dal codice della navigazione, al sequestro in materia di brevetti o di marchi, all’assegno provvisorio di alimenti ex art. 446 c.c. riconosciuto durante la causa di
merito (prima dell’inizio del merito, invece, si ritiene ammissibile il ricorso all’art.
700) o all’ordinanza di reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall’art. 18, l.
300/1970.
Inoltre, deve escludersi il ricorso all’art. 700 per sospendere l’efficacia esecutiva di un provvedimento giurisdizionale (5), sia perché le disposizioni del
codice di procedura civile prevedono un sistema completo di tutela cautelare diret-
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(4) Comoglio-Ferri-Taruffo (a cura di), Lezioni sul processo civile, II. Procedimenti speciali, cautelari ed esecutivi,
Bologna, 2005, 86 s.
(5) Trib. Foggia 14-10-1985, in Foro it., 1986, I, 299.
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ta a neutralizzare il periculum in mora derivante dalla provvisoria esecutorietà del
provvedimento giudiziale in pendenza del giudizio di impugnazione, sia perché
l’art. 632 c.p.c., sancendo la tassatività dei provvedimenti di sospensione dell’efficacia esecutiva dei provvedimenti giurisdizionali e dell’esecuzione forzata, esclude
il ricorso alla cautela atipica prevista dall’art. 700 c.p.c., sia, infine, perché l’art.
700 presuppone, per la sua applicazione, che il conflitto non sia stato ancora
composto in alcun modo, in via di cognizione piena o sommaria, da un provvedimento giurisdizionale.
Stante la funzione cautelare assolta dalla trascrizione delle domande giudiziali e
dall’ipoteca giudiziale, deve escludersi il ricorso ai provvedimenti d’urgenza per
ottenere la cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale o
dell’iscrizione dell’ipoteca prima del passaggio in giudicato della sentenza di
rigetto ex art. 2668 c.c. o dei provvedimenti previsti dall’art. 2884 c.c. (6).
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Tuttavia, il limite posto dall’art. 2668 c.c., che richiede, per la Trascrizione e iscrizione
cancellazione della trascrizione, il consenso delle parti interes- abusive
sate o una sentenza passata in giudicato, non opera quando si
contesta la trascrizione abusiva, in quanto avvenuta al di fuori delle ipotesi di cui
agli artt. 2652 e 2653 c.c. (7).
Analogamente, è ammissibile la richiesta di cancellazione o riduzione dell’ipoteca
in via d’urgenza in caso di iscrizione effettuata al di fuori dei casi consentiti dalla
legge, ovvero in difetto formale di titolo abilitante all’iscrizione, poiché il presupposto alternativo del consenso delle parti e della pronuncia irrevocabile è richiesto
per le sole iscrizioni validamente eseguite (8).
Inoltre, in ordine al significato della riserva «fuori dei casi regolati nelle precedenti
sezioni», si è affermato che la riserva escluderebbe l’applicabilità dei provvedimenti d’urgenza soltanto in presenza di un diritto a tutela del quale il legislatore
abbia predisposto misure cautelari tipiche, mentre non avrebbe alcuna rilevanza il fatto che la singola misura cautelare tipica risulti predisposta per tutelare
da un pericolo diverso da quello che si neutralizzerebbe con l’art. 700. Pertanto,
si è affermato che il creditore di una somma di denaro, in quanto già tutelato in
via tipica dal sequestro conservativo contro il pericolo che il debitore disperda il
suo patrimonio durante il tempo necessario per lo svolgimento del processo ordinario, non potrebbe neutralizzare, tramite l’art. 700, il diverso pericolo consistente nel danno che gli deriverebbe dal ritardo nella soddisfazione del diritto.
Un’altra tesi, invece, afferma che l’art. 700 resta fuori gioco soltanto se
attraverso tale disposizione si intende tutelare un diritto contro un pericolo per neutralizzare il quale è già predisposta una misura cautelare
tipica, per cui nessun ostacolo incontrerebbe il creditore di una somma di denaro
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(6) Trib. Torino 1-3-2007, in Il Merito, 2007, fasc. 9, 15.
(7) Trib. Albenga 26-4-2008, in Immobili & dir., 2008, 8, 73.
(8) Trib. Bari 22-4-2008, in Giur. it., 2008, 1735.
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che intenda neutralizzare, con il ricorso d’urgenza, un pericolo diverso da quello
tutelato dal sequestro conservativo, o il proprietario che intenda neutralizzare un
pericolo diverso da quello scongiurato dal sequestro giudiziario o dalle denunce di
nuova opera o danno temuto.
Infine, con l’art. 700 c.p.c. non si possono assicurare gli effetti di un altro
provvedimento cautelare tipico, anche se talvolta la giurisprudenza consente
tale uso dilatato dell’art. 700 (9).
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2.3I diritti suscettibili di essere fatti valere in via ordinaria
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Dall’art. 700 c.p.c. si ricava, quale ulteriore limitazione, che il ricorso d’urgenza
può essere utilizzato soltanto per i diritti suscettibili di essere tutelati in via
ordinaria.
Sono, pertanto, esclusi dalla tutela ex art. 700 c.p.c. gli interessi di fatto.
Invece, la natura di norma di chiusura dell’art. 700 c.p.c. e la
sua peculiare finalità ne autorizzano l’applicabilità anche all’area
degli interessi legittimi, poiché l’art. 24 Cost. non prefigura
la tutela giurisdizionale con connotazioni diverse a seconda della posizione soggettiva coinvolta, operando il principio di effettività, quale essenziale predicato della
tutela medesima, con uguale intensità a favore dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Pertanto, l’art. 700 c.p.c. non può essere circoscritto alla sola area dei
diritti soggettivi, ma si estende all’area degli interessi legittimi.
Occorre precisare, però, che si tratta soltanto degli interessi legittimi di diritto
privato, configurabili cioè nei rapporti tra soggetti privati (ad es., tra lavoratore e
datore di lavoro), poiché gli interessi legittimi di diritto pubblico, che il privato
vanta nei confronti della P.A., sono tutelati, anche in via cautelare, dal giudice
amministrativo nelle forme tendenzialmente onnicomprensive previste dagli artt.
55 ss. d.lgs. 104/2010 (Codice del processo amministrativo), senza che vi sia
spazio alcuno per l’applicabilità, da parte del giudice amministrativo, dell’art. 700
c.p.c.
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Gli interessi legittimi
di diritti privato
Per ragioni di completezza occorre soffermarsi brevemente
sulla tutela cautelare prevista dal Codice del processo
amministrativo (d.lgs. 104/2010), che ricalca, sostanzialmente, quella già prevista dall’art. 21, l. 1034/1971 (ora abrogata),
come modificato dalla l. 205/2000, che attribuiva al giudice amministrativo,
nell’ambito della giurisdizione di legittimità e della giurisdizione esclusiva, un potere cautelare atipico analogo a quello previsto dall’art. 700 c.p.c.
In particolare, l’art. 21 cit. stabiliva che «se il ricorrente, allegando un pregiudizio
grave e irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal com-
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La tutela cautelare prevista
dal d.lgs. 104/2010 (Codice
del processo amministrativo)
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(9) PROTO PISANI, Provvedimenti d’urgenza, in Enc. Giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, 4 s.
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portamento inerte dell’amministrazione, durante il tempo necessario a giungere
ad una decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa
l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più
idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il tribunale amministrativo regionale si pronuncia sull’istanza con ordinanza emessa in camera di consiglio».
Anche per la tutela cautelare amministrativa l’art. 55 d.lgs. 104/2010 richiede
la sussistenza dei presupposti del fumus boni iuris («l’ordinanza cautelare motiva
in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e indica i profili che, a un sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull’esito del ricorso»: art.
55, co. 9) e del periculum in mora («pregiudizio grave e irreparabile durante il
tempo necessario a giungere alla decisione di merito»: art. 55, co. 1).
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Tuttavia, tra la tutela cautelare prevista dal codice di procedura civile e quella erogabile nel processo amministrativo sussistono alcune differenze:
—gli strumenti cautelari di cui dispone il giudice amministrativo sono finalizzati
esclusivamente ad assicurare gli effetti della decisione sul ricorso, per cui non
sono ipotizzabili provvedimenti volti ad assicurare la completezza dell’istruttoria,
previsti invece dal codice di procedura civile (procedimenti di istruzione preventiva, ex artt. 692 ss. c.p.c.) (10);
—mentre nel nuovo Codice di giustizia amministrativa il nesso di strumentalità
dell’azione cautelare rispetto a quella principale risulta particolarmente forte,
nel processo civile la funzione strumentale della tutela cautelare perde efficacia
a vantaggio della funzione anticipatoria. Infatti, nel rito ordinario civile, il nesso
di strumentalità delle misure cautelari con la sentenza di merito è stabilito in via
generale dall’art. 669novies, co. 1, secondo cui «se il procedimento di merito
non è iniziato nel termine perentorio di cui all’art. 669octies (60 gg.) ovvero se
successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde la
sua efficacia». Nel processo civile, quindi, la proposizione dell’istanza è condizione della permanenza dell’efficacia della misura cautelare, mentre nel processo amministrativo è condizione di procedibilità dell’istanza cautelare.
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Prima della l. 205/2000, il giudice amministrativo conosceva esclusivamente la
misura cautelare volta a sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato; in seguito alla riforma, il giudice amministrativo può adottare tutte «le misure
cautelari, che, secondo le circostanze, appaiono più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso». Si è passati, in sostanza, dalla tipicità
della misura cautelare della sospensione alla atipicità delle misure cautelari adottabili nel processo amministrativo.
Inoltre, in relazione al diverso grado di urgenza («pregiudizio grave e irreparabile»,
«estrema gravità e urgenza» ed «eccezionale gravità ed urgenza»), sono previsti vari
tipi di tutela in sede cautelare, ossia, rispettivamente, le misure cautelari colle-
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(10) BOVE, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in Judicium – www.judicium.it (1-11-2010).
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giali (art. 55), monocratiche (art. 56) e ante causam (art. 61). La nuova
forma di tutela ante causam, attivabile già prima della proposizione del ricorso
principale, è prevista nei casi di eccezionale gravità e urgenza, tali da non consentire nemmeno la dilazione fino alla data della camera di consiglio. La l. 1034/1971,
novellata dalla l. 205/2000, prevedeva soltanto le prime due tipologie di tutela
cautelare (anche se, nel linguaggio corrente, si parla della tutela cautelare monocratica come tutela ante causam). Prima del varo del Codice del processo amministrativo, la tutela cautelare precedente alla proposizione del ricorso era prevista
esclusivamente per le controversie relative ad appalti pubblici (art. 245, d.lgs.
163/2006, ora modificato dal d.lgs. 104/2010).
2.3.1 I diritti tutelabili «in via ordinaria»: l’art. 700 in rapporto
ad alcuni procedimenti sommari tipici
Particolarmente complessa risulta l’individuazione del significato da attribuire all’espressione «via ordinaria» contenuta nell’art.
700 c.p.c.
La funzione dei provvedimenti d’urgenza, quale misura cautelare atipica diretta
a neutralizzare il periculum in mora imminente e irreparabile causato dalla durata del processo a cognizione piena, induce a interpretare l’espressione «via
ordinaria» come equivalente di «processo a cognizione piena». Pertanto, il
ricorso ex art. 700 c.p.c. è proponibile soltanto a tutela di diritti rispetto ai quali la causa di merito possa svolgersi davanti al giudice ordinario nelle forme del
processo a cognizione piena, secondo le regole del rito ordinario (artt. 163
ss. c.p.c.) o del rito speciale del lavoro (artt. 409 ss. c.p.c.), mentre deve
escludersi con riferimento a tutti quei diritti per i quali il legislatore prevede procedimenti sommari tipici destinati a concludersi con un provvedimento sommario esecutivo.
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Qual è la «via ordinaria» di
cui parla l’art. 700 c.p.c.?
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Per quanto riguarda, invece, i diritti del locatore suscettibili di essere fatti valere con il procedimento per convalida di sfratto ex artt. 657 ss. c.p.c., l’azione cautelare
ex art. 700 c.p.c. è inammissibile, sussistendo, appunto, lo strumento tipico del
procedimento speciale di sfratto (11). Mancherebbe, quindi, il profilo della residualità del rimedio cautelare.
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Sfratto
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Con riferimento ai diritti tutelabili con il procedimento per
ingiunzione ex att. 633 ss. c.p.c., l’applicabilità dell’art. 700
c.p.c. è esclusa in quanto l’art. 642, co. 2, c.p.c. consente
espressamente al giudice di concederla provvisoria esecuzione del decreto «se vi è
pericolo di grave pregiudizio nel ritardo».
Procedimento ingiuntivo
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(11) Trib. Lecce 31-7-2003, in Dir. fallim., 2003, II, 845.
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Tuttavia, il procedimento per convalida di sfratto è un procedimento speciale
sommario rispetto al quale il provvedimento di urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.
non si pone in posizione di alternatività e, quindi, rispetto al quale non può allegarsi la natura residuale del provvedimento di urgenza, almeno in tutti quei casi in
cui il procedimento per convalida di sfratto non sia idoneo a rimuovere
in tempo utile le cause del periculum (12). Ad esempio, qualora il cattivo
stato di conservazione dell’immobile locato, pericoloso per l’incolumità degli stessi occupanti, richieda opere di ripristino indifferibili, per la cui esecuzione è necessario l’allontanamento del conduttore, può essere proposto un ricorso ex art. 700
c.p.c. da parte del locatore diretto a ottenere il rilascio dell’immobile; peraltro,
l’allontanamento del conduttore in via cautelare e urgente va disposto solo per il
tempo necessario all’esecuzione dei lavori e, contemporaneamente, va ordinato
che al termine di questi il locatore riammetta il conduttore nel pieno ed esclusivo
godimento dell’immobile, in attesa che il procedimento esecutivo di sfratto eventualmente iniziato faccia il suo corso (13).
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L’art. 700 c.p.c. è inapplicabile anche ai procedimenti pos- Procedimenti possessori
sessori, poiché gli artt. 703 ss. c.p.c. disciplinano un procedimento che si articola in due fasi, la prima delle quali a cognizione sommaria, destinata a concludersi con un provvedimento immediatamente
efficace. Pertanto, la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c. non è ammissibile in funzione sostitutiva della fase sommaria possessoria.
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Il ricorso d’urgenza non è utilizzabile neanche per i diritti tute- Condotta antisindacale
labili con il procedimento di repressione della condotta
antisindacale (art. 28, l. 300/1970).
Secondo una tesi, nel procedimento per la repressione della condotta antisindacale previsto dall’art. 28, l. 300/1970 sono individuabili due fasi autonome, una
«fase sommaria» e una fase ulteriore «ordinaria», con la conseguenza che il ricorso
alla tutela ex art. 700 c.p.c. dovrebbe escludersi solo relativamente alla prima fase
e non anche relativamente alla seconda.
La seconda fase viene individuata, in particolare, nel giudizio di opposizione al
decreto che conclude il procedimento ex art. 28, ma tale giudizio — che è meramente eventuale (conseguendo solo all’opposizione ex art. 28, co. 7, l. 300/1970)
— non è una fase del procedimento ex art. 28, ma solo il normale svolgimento
del processo, instaurato e già definito dal decreto, in un ulteriore grado.
Ciò è tanto vero che l’art. 28 non regola affatto questo ulteriore grado, per il quale vigono le ordinarie regole del processo ordinario (ancorché speciale) del lavoro.
Se si legge l’art. 28, si coglie con assoluta evidenza la struttura unitaria dell’istituto,
che conduce, attraverso la concatenazione di attività giuridiche e materiali che sono
le fasi interne del procedimento unitariamente inteso, all’emanazione di un unico
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(12) Trib. Milano 12-1-1995, in Arch. locaz., 1995, 650.
(13) Pret. Milano 6-3-1991, in Arch. locaz., 1991, 818.
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atto (decreto) rispetto al quale la situazione giuridica è esattamente l’opposto di
quella che caratterizza i provvedimenti cautelari e non decisori: esso, cioè, è potenzialmente definitivo, salva l’impugnazione-opposizione.
Tale decreto si fonda sull’accertamento dell’esistenza della violazione (comportamento antisindacale), e non è possibile mettere in dubbio che il decreto costituisca
un provvedimento decisorio, potenzialmente idoneo a concludere definitivamente
il procedimento in caso di mancata opposizione o di successiva estinzione del
giudizio (14).
La l. 80/2005, che ha modificato anche il procedimento cautelare uniforme, ha espressamente fissato la regola dell’utilizzabilità della tutela cautelare anche in caso di deferimento della
controversia ad arbitri irrituali (art. 669quinquies, co. 1, c.p.c.).
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Arbitrato
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2.3.2 Il giudizio di separazione personale dei coniugi è compatibile con la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
Secondo la giurisprudenza più recente, deve ritenersi ammissibile la richiesta di un provvedimento cautelare d’urgenza ex art.
700 c.p.c. (avente ad oggetto, ad es., l’assegnazione della casa
coniugale) dopo il deposito del ricorso per separazione personale tra
coniugi e prima della pronuncia dell’ordinanza presidenziale ai sensi
dell’art. 708 c.p.c., in virtù del principio della sussidiarietà in concreto cui si ispira
la cautela atipica d’urgenza (15).
Un diverso orientamento, invece, afferma che è inammissibile il ricorso
d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in pendenza della fase presidenziale del
giudizio di separazione per difetto di residualità (anche i provvedimenti presidenziali sono a loro volta urgenti e cautelari in senso lato), per incompatibilità
logica (trattandosi di un’inconcepibile cautela sulla cautela) e per la diversità del
rito (16).
Secondo questa tesi, nel processo di separazione giudiziale ogni esigenza cautelare è soddisfatta dai provvedimenti presidenziali nonché, prima dell’instaurazione
del giudizio, da altre misure cautelari tipiche (17). È stato osservato, in particolare,
che in materia di separazione il legislatore ha dettato una disciplina completa,
compresa quella di una fase preliminare a cognizione sommaria, in cui sono emessi provvedimenti provvisori immediatamente efficaci che assolvono le stesse esigenze tutelate dall’art. 700: tale preclusione varrebbe anche nella fase intercorrente tra il deposito del giudizio di separazione e l’udienza presidenziale, dove le ragioni d’urgenza possono giustificare al più un’istanza di anticipazione dell’udienza.
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Tesi a confronto
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(14) Cass. 23-11-1989, n. 5039.
(15) Trib. Padova 20-7-2009, in Nuova giur. civ., 2001, 169.
(16) Trib. Alessandria 16-8-2007, in Nuova giur. ligure, 2008, 2, 24.
(17) Trib. Trani-Andria 7-11-2008, in Fam. e dir., 2009, 267.
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Seguendo tale impostazione, non rileva neppure la controversa natura di detti
provvedimenti, in quanto è opinione consolidata che la residualità non va posta
esclusivamente in relazione ai provvedimenti cautelari disciplinati dalle precedenti
sezioni dello stesso capo in cui è contenuto l’art. 700, bensì rispetto a tutti quelli
previsti dal codice di rito e da altre leggi, e rispetto anche ai provvedimenti sommari non cautelari c.d. extravaganti.
Tale conclusione, però, non è condivisibile, e soprattutto non appare in linea con
quella nozione di tutela cautelare, da intendersi nella sua massima espansione, che
è stata elaborata in sintonia con i valori costituzionali e, oggi, anche con l’ordinamento comunitario.
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Come chiarito da autorevole dottrina, la tutela cautelare Sussidiarietà in concreto
d’urgenza svolge una funzione integratrice, volta a consentire il soddisfacimento del bisogno di protezione cautelare
quando la disciplina delle misure nominate presenti lacune tali da lasciare insoddisfatto il bisogno di tutela cautelare, ovvero risulti di scarsa efficacia. In tale
prospettiva, per escludere l’applicabilità dell’art. 700 c.p.c. non basta affermare che esiste un rimedio tipico che consenta di ottenere gli stessi
provvedimenti richiesti da detta norma, perché occorre anche verificare
che tale equivalenza sussista pure in concreto, in relazione ai tempi e ai mezzi attraverso i quali è possibile ottenere questi provvedimenti alternativi, in
quanto non può negarsi che dette modalità condizionino significativamente
l’idoneità della misura ad assicurare l’effettività della pretesa: non conta, in
sostanza, la possibilità teorica di un altro rimedio, ma il suo risultato utile rispetto al caso concreto.
La stessa formulazione letterale dell’art. 700 evidenzia lo stretto rapporto tra l’elemento temporale del giudizio ordinario e il pregiudizio che il diritto subirebbe da
esso, per cui è stato anche affermato che l’elemento temporale funge da criterio di
ammissibilità del provvedimento urgente rispetto ad altre misure cautelari speciali.
In particolare, quanto ai rapporti tra il provvedimento d’urgenza e i provvedimenti sommari non cautelari, è stata esclusa la possibilità di rifarsi al
principio di sussidiarietà e si è affermata l’inammissibilità del provvedimento ex
art. 700, non in via aprioristica ma secondo un’analisi da effettuare caso per caso,
tutte le volte in cui un provvedimento sommario non cautelare è idoneo a rimuovere in tempo utile le cause del denunciato pericolo, avuto riguardo anche al tipo
di pregiudizio che l’altro provvedimento mira a prevenire.
Se, in altri termini, lo svolgimento della procedura necessariamente imposta dalla
misura tipica può garantire lo stesso risultato finale solo astrattamente ma non in
concreto, si è in presenza di un deficit di tutela cautelare che non consente di
mettere fuori gioco la misura prevista dall’art. 700 c.p.c.: è appunto ciò che si
verifica in relazione alle misure previste dall’art. 708 c.p.c. (18).
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(18) Pret. Cosenza 11-12-1991, in Foro it., Rep., 1992, Provvedimenti di urgenza, n. 114; Trib. Ferrara 14-2-1987,
in Foro it., Rep., 1989, Provvedimenti di urgenza, n. 112.
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Parte I: Disciplina sostanziale
Quanto ai tempi dei provvedimenti presidenziali, secondo
la formulazione originaria dell’art. 707 c.p.c. non era previsto
un termine minimo per la fissazione dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti al presidente; a seguito della l. 74/1987, si ritiene pacificamente che detta norma sia stata implicitamente abrogata dall’art. 8, l. cit., applicabile ai giudizi di separazione in virtù del richiamo contenuto nell’art. 23, con la
conseguenza che la disciplina della comparizione delle parti nei procedimenti di
separazione è oggi interamente regolata dall’art. 4, l. 898/1970, secondo cui tra
la data di notificazione del ricorso e del decreto e quella dell’udienza di comparizione devono intercorrere i termini di cui all’art. 163bis c.p.c. ridotti alla metà.
Ciò significa che l’emissione dei provvedimenti presidenziali, anche concedendo l’anticipazione dell’udienza eventualmente fissata più a lungo, è subordinata al decorso del termine minimo di trenta o sessanta giorni, a seconda che il resistente si trovi o meno in Italia, termine che non è invece imposto
dalla disciplina dei procedimenti cautelari, caratterizzata dal principio di libertà
delle forme pur nel rispetto delle garanzie del contraddittorio.
La prima conseguenza di ciò è che la tesi tradizionale, nell’ancorare il dies a quo
dell’intervento del giudice alla celebrazione dell’udienza presidenziale, impedisce,
senza alcun motivo, la possibilità di emettere una misura cautelare immediata: si
afferma, cioè, in maniera del tutto ingiustificata e in mancanza di una previsione
espressa, che un provvedimento da emettere necessariamente non solo dopo la
pendenza del giudizio ma dopo la prima udienza di comparizione (comunque si
voglia qualificare la fase presidenziale) è idoneo a escludere la possibilità di una
misura cautelare inaudita altera parte, introducendo in tal modo un’ingiustificata
disparità di trattamento rispetto ai giudizi ordinari.
La seconda conseguenza è che si impedisce qualsiasi intervento giudiziale durante
tutto il periodo di tempo — che può essere anche di sessanta giorni — necessario
per la fissazione dell’udienza, anche quando sussistano ragioni d’urgenza che impongono una tutela immediata.
Sembra evidente, ad esempio, che essere costretti, all’improvviso e violentemente,
a non tornare nella propria casa, peraltro senza alcuna assistenza economica, può
provocare un trauma fortissimo soprattutto in bambini in tenera età, incidendo
pericolosamente sulla loro salute: differire la protezione di simili diritti, anche di
pochi giorni, può provocare pregiudizi gravissimi e irrimediabili, e porterebbe alla
negazione di quei valori di civiltà e di rispetto della dignità della persona cui il nostro
ordinamento è ispirato.
D’altra parte, in relazione ai poteri attribuiti al presidente all’udienza di comparizione dei coniugi, pur mancando qualsiasi riferimento normativo sul punto, deve
ragionevolmente escludersi che sia possibile compiere, in questa sede, un’attività
istruttoria più elaborata, come l’audizione di informatori, di cui quindi le parti sarebbero sempre private; ciò potrebbe comportare, in taluni casi, l’impossibilità,
per il presidente, di orientarsi tra le opposte prospettazioni dei coniugi, con l’emissione di delicatissime decisioni prive di adeguato supporto probatorio, oppure,
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Lo slittamento temporale
dell’adozione dei provvedimenti presidenziali
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come talvolta accade, con la riserva al giudice istruttore dell’adozione di più complessi provvedimenti.
Neppure risulta ostativa la previsione di un preliminare tentativo di conciliazione
attribuito al presidente, essendo oramai opinione diffusa che tale condizione di
procedibilità non può precludere il riconoscimento della tutela cautelare.
Sotto un ulteriore profilo, va evidenziato che l’esclusione del rimedio ex art. 700
c.p.c. prima dei provvedimenti presidenziali determina palesi incongruenze sul
piano sistematico.
La riduzione alla metà del termine di comparizione dei coniugi all’udienza presidenziale risponde alla finalità di rendere il procedimento in questione più celere di
quello ordinario, come è evidente che la previsione di provvedimenti temporanei
ed urgenti, anche ex officio, da parte del presidente, è ispirata dalla necessità di
un’immediata regolamentazione dei rapporti familiari; inoltre, numerose e ben più
ampie di quelle ordinarie sono le misure con funzione cautelare riconosciute nel
giudizio di separazione, come quelle del sequestro e dell’ordine di pagamento diretto previste dall’art. 156 c.c., dove si prescinde anche dall’accertamento di un
periculum in mora.
Pertanto, il legislatore ha inteso garantire un intervento estremamente rapido e
sollecito del giudice nella materia de qua durante tutto il corso del procedimento,
per cui sarebbe contrario a tale logica restringere, nella stessa materia, gli spazi di
tutela cautelare concessi nella fase iniziale, ribaltando quanto avviene invece nei
giudizi ordinari (e ciò tanto più se si considera che nei procedimenti di determinazione dell’assegno di mantenimento per i figli naturali, è pacificamente ammesso
il ricorso alla procedura ex art. 700 anche ante causam).
In definitiva, negare tout court la possibilità del rimedio cautelare ex art. 700 c.p.c.
prima dei provvedimenti presidenziali — non sempre idonei, per le ragioni sopra
esposte, a ottenere misure assicurative analoghe — significa legittimare l’esistenza
di un deficit di tutela che contrasta con l’esigenza di garantire l’effettività della
pretesa e, quindi, con un’interpretazione del sistema maggiormente conforme ai
principî costituzionali e di diritto comunitario.
Non può nascondersi che una simile soluzione potrebbe dar luogo a facili abusi,
poiché, facendo leva sugli interessi normalmente coinvolti nelle cause di separazione, potrebbe legittimare una costante anticipazione in via cautelare dei provvedimenti presidenziali; tale rischio, di natura meramente fattuale, non può però
giustificare il sacrificio di quei valori irrinunciabili sopra evidenziati e può, comunque,
essere adeguatamente contenuto accedendo a un accertamento del periculum in
mora particolarmente rigoroso, ossia richiedendo l’esistenza di un pregiudizio di
eccezionale gravità, tale da non poter essere evitato, in termini di assoluto pericolo per la persona, dall’attesa dei tempi dell’udienza di comparizione davanti al
presidente (per cui deve escludersi che sia sufficiente a tal fine l’«ordinaria» violazione degli obblighi di assistenza familiare).
Si è escluso, per altro verso, che prima dell’instaurazione del processo di separazione sia ammissibile la tutela cautelare atipica in quanto si è in presenza di una
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situazione di convivenza matrimoniale e i problemi di tutela vanno rapportati non
agli obblighi derivanti dalla separazione, bensì ai doveri matrimoniali disciplinati
dagli artt. 143 ss. c.c.: non vi sarebbero, quindi, vuoti di tutela perché, per gli
obblighi di mantenimento dei figli e per la regolamentazione dei rapporti tra questi ultimi ed i genitori, vi è il procedimento sommario dell’art. 148 c.c. e il sequestro dei beni ex art. 146 c.c., oltre alle possibilità di intervento del giudice previste
dagli artt. 316 e 333 c.c.
Anche tali obiezioni non appaiono decisive.
Al riguardo, va rilevato che l’eventuale reintegra nel possesso costituisce una risposta parziale che non soddisfa tutte le esigenze poste a base degli altri interventi giudiziali richiesti, come quelle relative alla disciplina dei rapporti con i figli minori e alle pretese di natura economica che sono abitualmente connesse a situazioni di rottura della convivenza familiare.
Altrettanto può dirsi per le misure tipiche previste per la violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, meno incisive e penetranti di quelle previste nel
caso di crisi matrimoniale: l’art. 148 c.c. riguarda il solo inadempimento degli
obblighi di contribuzione nei confronti della prole e non anche quello verso il
coniuge bisognoso, e nulla di preciso è previsto per la violazione dell’obbligo di
coabitazione che sussiste sino al momento della proposizione del ricorso per
separazione.
In altre parole, nell’ipotesi in cui un coniuge sia stato allontanato violentemente
dalla propria casa, tutti i provvedimenti tipici previsti dagli artt. 143 ss. c.c., oltre
a presupporre un diverso e fisiologico contrasto nell’ambito della coppia e dell’esercizio della potestà genitoriale, non prevedono la possibilità di ottenere coercitivamente l’attuazione del diritto a ritornare nella propria abitazione.
Come pure la possibilità di ottenere tale risultato attraverso la legge sugli abusi
familiari appare sicuramente una forzatura interpretativa, stante la natura eccezionale di tale normativa, la quale, nel reprimere la condotta violenta posta in
essere dal coniuge, dal convivente di fatto o da un altro componente familiare,
non si attaglia esattamente alla fattispecie perché si riferisce, in ogni caso, a una
persona che sia comunque convivente, che abbia cioè con la vittima della violenza
una comunanza di vita quotidiana o che abbia, al più, solo temporaneamente
cessato tale coabitazione.
Del resto, la misura che il giudice deve adottare in questi casi è necessariamente
l’ordine di allontanamento dalla casa familiare dell’autore della violenza, che rappresenta il prius di tutte le altre misure consequenziali, meramente eventuali (prescrizione aggiuntiva di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dall’istante, ordine di
pagamento di un assegno, ecc.).
In altri termini, tra i presupposti legittimanti dell’ordine di protezione contro gli
abusi familiari vi è sicuramente la convivenza tra il soggetto attivo e quello passivo
della violenza, o semmai il rischio di un ripristino di tale convivenza, non giustificandosi altrimenti l’ambito applicativo della norma e il contenuto tipico dell’ordine
di protezione, rappresentato appunto dall’allontanamento dall’abitazione familiare
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2.3.3 Protesto cambiario errato o illegittimo
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e dalla finalità di evitare l’esecuzione di altri comportamenti violenti che, nel caso
in esame, si sono sostanzialmente esauriti con lo spossessamento della casa coniugale (19).
In ogni caso, deve evidenziarsi, rispetto a tutti i procedimenti fin qui esaminati, che
l’applicabilità del provvedimento cautelare atipico, caratterizzato strutturalmente
dalla strumentalità con la causa di merito, deve essere esclusa solo laddove ricorrano altre misure di tutela riferibili allo stesso diritto dedotto o allo specifico periculum che si vuole evitare.
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L’art. 4, co. 1, l. 77/1995, regolando la cancellazione del protesto a seguito di
pagamento tardivo di capitale e accessori, menziona esclusivamente la cambiale e
il vaglia cambiario e non l’assegno bancario.
Non vi è dubbio che tale norma non trovi applicazione anche per l’assegno bancario, così come chiarito anche dalla Corte costituzionale la quale, con la sentenza
di rigetto n. 70/2003 (poi ribadita dall’ordinanza di inammissibilità n. 84/2004),
ha rimarcato la non irragionevolezza dell’esclusione degli assegni bancari da tale
previsione.
Richiamando tali pronunce, una parte della giurisprudenza esclude l’applicabilità
della procedura di cui all’art. 4 alla cancellazione dell’assegno illegittimamente
protestato (20).
Tuttavia, tale conclusione non può essere accolta. È sbagliato, infatti, estendere le
conclusioni a cui si deve giungere in relazione alla fattispecie di cui all’art. 4, co. 1
alla diversa ipotesi prevista dall’art. 4, co. 2: nel primo caso viene regolata la cancellazione del protesto a seguito di ravvedimento operoso, ovvero del pagamento
tardivo del capitale e degli accessori; nel secondo caso, invece, si chiede la cancellazione del protesto erroneo o illegittimo.
La Corte costituzionale, come può evincersi dalla sentenza e dall’ordinanza citate,
è stata chiamata a valutare una ritenuta disparità di trattamento tra il «ravvedimento operoso» avente ad oggetto la cambiale o il vaglia cambiario e quello avente ad
oggetto l’assegno, ritenendo infondata la questione sulla base di una persistente
non omogeneità normativa e funzionale tra assegno e cambiale.
Cosa ben diversa è non onorare quanto previsto in uno strumento di credito, quale la cambiale, rispetto all’insolvenza di un assegno, che costituisce strumento di
pagamento e determina un affidamento nel prenditore sull’esistenza dei fondi.
Come può evincersi da una lettura della sentenza n. 70/2003, la Consulta sofferma
la sua analisi solo sul comma 1 dell’art. 4: è tale norma, nella sua inapplicabilità
all’assegno bancario, a essere sospettata di incostituzionalità da parte dei giudici
emittenti sulla base di argomentazioni ritenute infondate dal giudice delle leggi.
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(19) Trib. Napoli 1-2-2002, in Foro it., Rep., 2002, Famiglia in genere e abusi familiari, n. 34.
(20) Trib. Foggia 5-2-2004, in Giur. merito, 2004, 914.
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Con un esame attento dell’art. 4 può notarsi come né il tenore letterale dell’art.
4, co. 2, né il suo aspetto funzionale consentono una sovrapposizione delle due
disposizioni, per diverse ragioni.
Anzitutto, il capoverso dell’art. 4 e la disciplina successiva, diversamente dal comma 1, non effettuano un riferimento alla cambiale e al vaglia cambiario.
Non è senza rilievo che anche i commi successivi dell’art. 4, nel regolare la procedura applicabile alle ipotesi di cui al comma 1 e a quelle di cui al comma 2, non
contengano alcun riferimento alla cambiale e al pagherò cambiario.
Inoltre, la l. 77/1955 è denominata «Pubblicazione dei protesti cambiari», ma
regola i protesti anche degli assegni cambiari. L’omessa menzione degli assegni
(come anche delle cambiali), nel comma 2 dell’art. 4, anche se non costituisce
argomento decisivo per ritenere la norma applicabile anche agli assegni bancari, di certo non è dirimente per accedere alla tesi opposta. Quest’ultimo rilievo,
poi, contribuisce a negare qualsiasi rilevanza al fatto che l’allegato all’art. 4
contenente un modello di richiesta di cancellazione dal registro informatico dei
protesti contiene il riferimento ai titoli cambiari e non anche agli assegni. Basta
considerare che molte Camere di commercio forniscono modelli per la cancellazione dei protesti nei quali, nei casi di cui al comma 2 vi è la generica indicazione di «titoli».
Inoltre, a fronte di un’illegittimità o erroneità nella levata del protesto, alcuna differenza appare rivestire la qualità del titolo di credito al quale esso fa riferimento,
non apparendo configurabile alcuna rilevanza della diversità funzionale tra cambiale ed assegno. Nel comma 1 non ci si duole dell’atto di protesto, ma si chiede di
cancellarne gli effetti per effetto di un ravvedimento successivo; nel secondo comma si chiede di ovviare ad un errore del protesto stesso.
Di particolare importanza, ancora, è la distinzione tra i soggetti legittimati all’istanza: per il pagamento tardivo, il solo debitore; per l’illegittimità o erroneità del
protesto, chiunque vi abbia interesse, oltre che lo stesso pubblico ufficiale che ha
redatto il protesto. La previsione appare logica, in quanto il pagamento tardivo è
atto del debitore cambiario il quale, dopo l’adempimento, chiede anche la cancellazione della pubblicità negativa conseguente al protesto del titolo. Nel secondo
caso, invece, può essere lo stesso pubblico ufficiale che intende ovviare ad un
proprio errore; può trattarsi del debitore danneggiato dall’errore; oppure può
anche trattarsi di un terzo (come nel caso di specie ove l’ex socio accomandatario
lamenta l’erroneo inserimento del suo nominativo nell’atto di protesto).
In conclusione, un esame compiuto del testo normativo induce a ritenere applicabile la procedura di cui all’art. 4,co. 2, l. 77/1955 anche agli assegni.
L’esistenza della procedura prevista dall’art. 4, tuttavia, non
determina l’inammissibilità della procedura di urgenza. La proposizione dell’istanza al responsabile dell’ufficio protesti della
Camera di commercio costituisce una condizione di procedibilità del giudizio di
merito, ma non di astratta esperibilità della tutela cautelare.
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Difetto di residualità
della tutela cautelare
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Tuttavia, parte della dottrina e della giurisprudenza di merito (21) ritengono che
non possa ritenersi proponibile immediatamente dinanzi al giudice ordinario, ai
sensi dell’art. 700 c.p.c., in sede cautelare, l’istanza di cancellazione della
pubblicazione di un protesto illegittimo, poiché la cancellazione va preventivamente richiesta al dirigente responsabile dell’ufficio protesti della Camera di
commercio, organo investito, in tema di pubblicazione degli elenchi dei protesti,
di potestà amministrativa.
Secondo tale indirizzo, lascerebbero propendere per questa soluzione il carattere
necessariamente prodromico della fase amministrativa e la circostanza che un
provvedimento cautelare adottato prima della presentazione dell’istanza al suddetto dirigente responsabile della Camera di commercio non risulterebbe strumentale a un giudizio di merito, assolutamente eventuale, bensì alla decisione adottata
dall’organo amministrativo.
La giurisprudenza afferma, in particolare, che gli orientamenti favorevoli all’ammissibilità della tutela cautelare possono risultare plausibili qualora il petitum
dello strumento urgente si identifichi con la richiesta di sospensione della pubblicazione ritenuta erronea o illegittima, mentre desta perplessità l’indirizzo che
propone una visione più ampia dell’esercitabilità di siffatta tutela fino ad inglobare in essa anche la possibilità dell’ottenimento, in via d’urgenza, di una pronuncia
che comporti direttamente la cancellazione del protesto (in quanto illegittimo o
erroneo), al quale è preposto un procedimento ad hoc normativamente predeterminato (ancorché di tipo amministrativo) rispetto al quale potrebbe venirsi a
configurare un problema di sovrapposizione, collidente con il necessario requisito
della residualità (o sussidiarietà) che caratterizza il procedimento previsto dall’art.
700 c.p.c.
In altri termini, il procedimento ex art. 700 non sembra poter essere finalizzato,
né per le cambiali né per gli assegni, alla cancellazione del protesto, mentre è
ammissibile, per entrambe le categorie di titoli, qualora il ricorso abbia ad oggetto
la sospensione del protesto, a prescindere dal preventivo esperimento dell’iter
amministrativo precedentemente descritto; è scontato che, all’esito favorevole del
successivo giudizio di merito, non potrebbe che conseguire la cancellazione, ma
questa non è altro che la naturale consecutio logica di quella domanda cautelare,
mediante la quale il diritto dell’interessato, sussistendo le condizioni di legge, trova
il suo pieno e definitivo soddisfacimento (incompatibile, in quanto tale, con una
pronuncia anticipatoria di tipo cautelare).
Una parte della giurisprudenza segue, tuttavia, un diverso ordine argomentativo.
Poiché la tutela cautelare è indirizzata ad assicurare l’effettività dell’azione giudiziaria, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di incostituzionalità del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 1, co. 11, l.
249/1997, censurato, in riferimento all’art. 24 Cost., se esteso alla tutela cautelare, affermando che tale «assunto risulta privo di fondamento alla luce degli orien-
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(21) Trib. Napoli 13-2-2001, in Giur. merito, 2001, I, 626.
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tamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione e di tutela cautelare. Occorre, infatti, considerare che (…)
quanto stabilito dall’art. 412bis c.p.c. con riferimento alla disciplina delle controversie di lavoro, secondo cui il mancato espletamento del prescritto tentativo di
conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari, deve essere
inteso nel senso che un istituto di generale applicazione in ogni controversia di
lavoro (il tentativo obbligatorio di conciliazione) si arresta in presenza di un’istanza
cautelare, prevalendo — sulle altre perseguite dal legislatore — le esigenze proprie
della tutela cautelare. In termini più generali, (…) per i procedimenti cautelari
l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla stessa strumentalità della giurisdizione cautelare rispetto alla effettività della tutela dinanzi al
giudice. (…) La tutela cautelare, infatti, in quanto preordinata ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, in particolare a non lasciare vanificato l’accertamento del diritto, è uno strumento fondamentale e inerente a qualsiasi sistema
processuale, anche indipendentemente da una previsione espressa (…). Si deve,
quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari. Tale opzione interpretativa — che obbedisce al principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che
prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale,
devono essere interpretate in senso non estensivo — consente di fugare i dubbi di
legittimità costituzionale proposti dal rimettente e si impone pertanto come doverosa, in linea con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte secondo il
quale «una disposizione deve essere dichiarata incostituzionale non perché può
essere interpretata in modo tale da contrastare con precetti costituzionali, ma
soltanto qualora non sia possibile attribuire ad essa un significato che la renda
conforme» (tra le molte, sentenze n. 379 del 2007, n. 343 del 2006, n. 336 del
2002, n. 356 del 1996; ordinanze n. 86 del 2006, n. 147 del 1998)» (22).
La diversità della procedura prodromica all’azione giudiziale (nel caso di specie si
tratta di ricorso amministrativo e non di tentativo di conciliazione) non esclude che
i principi di effettività dell’azione giudiziale abbiano la medesima valenza: il diritto
di ottenere una tutela giudiziale immediata ed effettiva della situazione giuridica
violata non può essere condizionata dall’ammissibilità del ricorso amministrativo.
Quest’ultimo, quindi, non è condizione di ammissibilità della tutela cautelare.
È condivisile, invece, la conclusione dell’ammissibilità della domanda cautelare alla
sola sospensione del protesto, con esclusione della cancellazione.
Quest’ultimo, infatti, è provvedimento sostanzialmente definitivo che comporterebbe una successiva iscrizione del protesto in caso di inefficacia o revoca del provvedimento cautelare; il provvedimento cautelare esaurirebbe la tutela conseguibile
attraverso il giudizio di merito, con problematiche in parte assimilabili – anche se
ben più gravi – assimilabili alla domanda di cancellazione di altre iscrizioni.
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(22) Corte cost. 30-11-2007, n. 403.
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La cancellazione, quindi, è provvedimento demandabile esclusivamente nel giudizio
di merito, trattandosi di un facere che assume carattere definitivo.
Non portano a conclusioni diverse le modifiche intervenute in tema di giudizi cautelari e, in particolare, il fatto che il provvedimento ex art. 700 c.p.c. non ha più
carattere necessariamente provvisorio in quanto è scollegato dal successivo giudizio di merito e, come gli altri provvedimenti cautelari, conserva la sua efficacia in
caso di estinzione del giudizio di merito.
Tali modifiche hanno fatto discutere di una provvisorietà attenuata del giudizio
cautelare; tuttavia, mentre la sentenza ha un’attitudine «naturale» a divenire definitiva contro la volontà della parte soccombente, qualora non venga riformata (così
come anche il decreto ingiuntivo, che diviene definitivo anche quando l’opposizione è rigettata), il nuovo provvedimento cautelare anticipatorio diviene definitivo
solo se una delle parti non inizia il giudizio di merito, conservando, quindi, una
provvisorietà che viene a mancare solo eventualmente, per effetto dell’inerzia
delle parti e con efficacia limitata a quel processo (la sua autorità, infatti, non è
invocabile in un diverso processo.)
Per i motivi sopra espressi, deve ritenersi astrattamente ammissibile la domanda cautelare volta a ottenere la sospensione della pubblicazione del
protesto, ma non la sua cancellazione (23).
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Dalla possibilità di esperire la procedura di cui all’art. 4, co. 2, Legittimazione passiva dell. 77/1995 deriva la qualità di legittimato passivo della Camera la Camera di commercio
di commercio, la quale effettua la cancellazione del protesto dal
registro informatico ed è destinataria di un eventuale ordine del giudice (24).
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(23) Trib. Napoli 28-5-2010, in Ius Sit – www.iussit.eu.
(24) Cass. S.U. 25-2-2009, n. 4464.
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