Interruzione del rapporto di lavoro per motivi giudiziari Per i lavoratori che sono sottoposti ad una misura cautelare a seguito di un’indagine giudiziaria, bisogna distinguere due casi: rapporto di pubblico impiego; rapporto lavorativo privato Rapporto di pubblico impiego Il D.P.R. n° 3 del 1957 detta una disciplina generale sui rapporti fra procedimento penale e attività lavorativa. L’art. 91 prevede l’obbligo di sospensione dell’impiegato colpito da provvedimento restrittivo della libertà personale. Mentre all’art. 97 è sancito che, qualora intervenga una sentenza di proscioglimento o di assoluzione, la sospensione cautelare dello stesso debba essere revocata e recuperati tutti gli assegni non percepiti durante il periodo di assenza dal lavoro. Non esiste una successiva normativa generale che preveda quali siano gli effetti sul rapporto di lavoro del dipendente pubblico sottoposto ad una misura restrittiva. Pertanto, la disciplina applicabile dovrà essere ricercata all’interno del contratto collettivo di categoria che regola il caso specifico. Da un esame comparato dei nuovi contratti collettivi nazionali delle principali categorie di pubblici impiegati (art. 27/1 C.C.N.L. comparto ministeri; art. 27/1 C.C.N.L. comparto sanità pubblica) si riscontra una disciplina abbastanza uniforme. In particolare prevale la tendenza, una volta cessato lo stato di restrizione della libertà personale del dipendente, di prolungare il periodo di sospensione dal lavoro fino al momento dell’emissione della sentenza definitiva. Comunque è consigliabile far sempre riferimento al caso specifico ed al relativo contratto collettivo. Rapporto lavorativo privato Non esistendo una norma di legge che preveda sanzioni specifiche, il problema deve essere risolto ricorrendo alla normativa generale e ai contratti collettivi di lavoro nel rispetto della categoria di appartenenza. La legge n° 604 del 1966 prevede che nel rapporto di lavoro (ove la stabilità di esso non sia assicurata da norme di legge, regolamenti, contratti collettivi o individuali) il licenziamento del dipendente non può avvenire che per "giusta causa" o per "giustificato motivo". Secondo la giurisprudenza, il provvedimento di cattura, o comunque di restrizione della libertà personale del lavoratore dipendente, non rappresenta un inadempimento agli obblighi contrattuali tali da giustificare il licenziamento. Può però costituire un fatto oggettivo se sopravviene l’impossibilità temporanea e parziale della prestazione lavorativa. La possibilità del datore di lavoro di ricevere le ulteriori prestazioni richieste al dipendente ristretto, deve essere valutata in conformità a quanto contenuto nell’art. 3 della n° 604 del 1966. Ovvero sarà legittimo il licenziamento del lavoratore quando risponda a ragioni inerenti all’attività produttiva, tenuto conto della durata dell’assenza del lavoratore (Cass. civ. 4.05.90 n° 3690; Cass. 9.06.93 n° 6403; Cass. 30.03.94 n° 311; Cass. 28.07.94 n° 7048). I suddetti principi generali, che assicurano una tutela minima del lavoratore, saranno applicabili solo quando il caso specifico non sia regolato espressamente da un contratto collettivo. In tale senso è da segnalare l’art. 24 della legge n° 332 del 1995 che (integrando con un comma aggiuntivo l’art. 102 delle norme di attuazione del c.p.p.: "Reintegrazione nel posto di lavoro perduto per ingiusta detenzione") dispone: "Chiunque sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 285 del Codice ovvero a quella degli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 284 del Codice e sia stato per ciò stesso licenziato dal posto di lavoro che occupava prima dell’applicazione della misura, ha diritto di essere reintregrato nel posto di lavoro medesimo qualora venga pronunciata in suo favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere, ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione". Nel rispetto di questa norma, quindi, dovrebbe essere immediatamente rimosso il licenziamento del lavoratore e reintegrato nel posto precedentemente occupato. Per concludere è sempre ai singoli contratti nazionali di Categoria che bisogna far riferimento, anche per altri motivi di assenza, come di persone in terapia presso le strutture per le tossicodipendenze. L’aspettativa non retribuita per gravi motivi personali (non vanno specificati) può essere sempre richiesta (da 1 a 6 mesi), anche se non fa obbligo al datore di lavoro di concederla.