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ORDINE DEI CONSULENTI DEL LAVORO
CONSIGLIO PROVINCIALE DI
NAPOLI
GIURISPRUDENZA
UNA SENTENZA AL MESE
A cura del Dott. Edmondo Duraccio con il gradito contributo del Centro Studi ANCL
“O. Baroncelli” della U.P. di Napoli e del Dott. Francesco Duraccio.
N.01 /Gennaio 2013(*)
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE. PARTECIPAZIONE AL RISCHIO DI
IMPRESA. NECESSITA’. INESISTENZA DEL “NOMEN JURIS”. VALIDITA’ DEL
COMPORTAMENTO FATTUALE DELLE PARTI DOPO LA STIPULA DEL
CONTRATTO. NECESSITA’. INSERIMENTO NELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
AZIENDALE ED ASSENZA DI CONTROLLO DELL’ASSOCIATO SULL’EVOLUZIONE
CONTABILE DELLA PARTECIPAZIONE QUALE INDICE PER LA QUALIFICAZIONE
DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO. SUSSISTE.
(Cassazione - Sezione Lavoro - n. 1817 del 28 Gennaio 2013)
Con la Legge 92/2012 (c.d. Legge Fornero) di Riforma del Mercato del Lavoro ed, invero, anche
con la Legge Biagi (id: Decreto Legislativo 276/2003) è stata sottoposta al focus di determinate
limitazioni la fattispecie contrattuale del “contratto di associazione in partecipazione”
ritenendola potenzialmente idonea a nascondere un vero contratto di lavoro subordinato.
Orbene, a prescindere da tali limitazioni alcune delle quali connotate da presunzioni legali di
dubbia costituzionalità e che non costituiscono l’oggetto della sentenza in commento, occorre, per
meglio comprendere l’emanazione del “principio” giurisprudenziale ad opera degli Ermellini,
stabilire in concreto quali siano i caratteri morfologici dell’istituto de quo alla luce degli artt.
2549 e segg. c.c.
Con l’associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione
agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un certo apporto.
Trattasi, dunque, di un contratto di scambio ovvero di associazione collaborativa senza, tuttavia,
assumere la qualificazione di un contratto societario.
L’associato, salvo patto contrario, concorre alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli
utili ma, in tal caso, le perdite non potranno giammai superare il valore del suo apporto. Se la
quota degli utili non risulta determinata in sede contrattuale, essa va, in ogni caso,
quantificata in proporzione al valore dell’apporto dell’associato rispetto ai valori
dell’impresa o dell’affare rispetto al quale è pattuita l’associazione
All' associato spettano diversi diritti. In primis, l’essere informato sull' andamento, poi al
controllo sull’impresa o sull’affare per il quale è entrato in associazione e, dulcis in fundo, alla
rendicontazione.
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Fatta questa necessaria premessa, esaminiamo il fatto storico.
Un lavoratore ha collaborato con un’azienda fin dal 1990 senza alcun contratto. Nel 1996 ha
stipulato con la medesima azienda un contratto di associazione in partecipazione percependo una
percentuale calcolata sui ricavi aziendali. Il contratto de quo si è sciolto verbalmente nel 2004.
Il lavoratore si è rivolto al Tribunale quale G.U.L. chiedendo l’accertamento e la riconduzione
delle prestazioni ad un contratto di lavoro subordinato, l’inquadramento del II Livello del
CCNL terziario, l’inefficacia del licenziamento perché intimato oralmente, il versamento
delle differenze retributive, la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno
oltre, ovviamente, alla ricostituzione del rapporto assicurativo.
Sulla scorta del solo contegno processuale e senza svolgere alcuna istruttoria, il Tribunale accoglie
tutte le richieste del ricorrente. La sentenza viene confermata dalla Corte di Appello la quale,
dopo aver assunto le prove testimoniali, ritiene sussistente lo schema riconducibile al rapporto
di lavoro subordinato.
Da qui il ricorso aziendale in Cassazione con declaratoria di censura nei confronti della Corte di
Appello per aver tralasciato l’esistenza di un contratto di associazione in partecipazione.
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza N. 1817 del 28 Gennaio 2013, ha respinto il
ricorso.
Gli Ermellini hanno, infatti, ritenuto ininfluente la qualificazione formale del rapporto di
associazione in partecipazione derivante dall’apposito contratto sottoscritto dalle Parti in quanto,
di per sé, il “nomen juris” attribuito al contratto non è significativo se non sorretto da un
comportamento fattuale ad esso corrispondente.
I Giudici della Cassazione hanno dato atto alla Corte Distrettuale del rigoroso esame delle
risultanze istruttorie delle testimonianze che hanno, dunque, evidenziato come il contratto di
associazione in partecipazione non abbia avuto alcun effetto novativo (id: cambiato
significativamente) il rapporto già esistente dal 1990. Ed infatti, dalle testimonianze, era
emerso che le modalità di svolgimento del rapporto erano rimaste inalterate fin dal 1990. Il
Lavoratore, infatti, era rimasto stabilmente inserito nell’organizzazione aziendale, era
sottoposto al rispetto di un preciso orario di lavoro, lo stesso si ampliava in base alle esigenze
aziendali. Il lavoratore era, altresì, sottoposto ad un controllo penetrante e costante operato
sul proprio operato da parte dell’altro contraente.
Ergo, il lavoratore era, di fatto, sottoposto ad un potere organizzativo, gerarchico e disciplinare
dell’associante senza alcuna autonomia essendo, anzi, obbligato ad avvertirlo in caso di
assenza.
Peraltro, dopo la stipula del contratto di associazione in partecipazione, la retribuzione del c.d.
associato era significativamente lievitata in virtù di una percentuale sugli utili. Tutti questi
elementi “indiziari” hanno correttamente convinto la Corte di Appello circa l’inesistenza del
contenuto di un contratto di associazione in partecipazione ancorchè formalmente sottoscritto e,
pertanto, giuridicamente tamquam non esset.
Sul piano del “principio”, la Suprema Corte di Cassazione ha avallato il decisum della Corte di
Appello in quanto la causa tipica dell’associazione in partecipazione era inesistente nel senso che
era esclusa la partecipazione tout court al rischio di impresa che, come noto, costituisce il
requisito essenziale dell’istituto.
Né poteva farsi propendere, per l’esistenza sostanziale del contratto di associazione in
partecipazione, la circostanza che al presunto associato fossero esibiti in visione i bilanci giacchè
anche per il rapporto di lavoro subordinato, con retribuzione ancorata ad una percentuale sugli
utili, è prevista tale ipotesi.
Quindi, per la Suprema Corte di Cassazione, i Giudici di merito avevano correttamente valutato
l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato mediante l’espletamento di una prestazione
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lavorativa (e non un apporto lavorativo) inserita nella stabile organizzazione aziendale senza
partecipazione ad alcun rischio d’impresa e senza ingerenza dell’associato nella gestione
dell’impresa.
Raccomandiamo, vivamente, ai colleghi la possibilità di discutere
le sentenze di Cassazione, di cui alla presente rubrica, con i
propri praticanti.
Buon Approfondimento
Il Presidente
Edmondo Duraccio
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