Dall’associazione in partecipazione alla subordinazione Renzo La Costa Se qualcuno va ancora chiedendosi il perché della repentina abrogazione dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro, quale diffusamente metodologia distorsiva ed elusiva del rapporto di lavoro subordinato, basterebbe ripercorrere una rassegna di giurisprudenza a riguardo, per poter cogliere i numerosissimi casi che hanno interessato tribunali di ogni ordine e grado, senza che quasi mai ne è venuto fuori il sigillo della genuinità. Intere catene commerciali, ma anche piccole realtà, si sono ben guardate nell’ultimo decennio dal ricorrere al lavoro subordinato, neanche – a volte - per le proprie attività tipiche e principali, preferendo la fuga verso altri schemi contrattuali, di minore impatto contributivo, retributivo e contrattuale. Da questo fenomeno deprecabile (e il lavoro a progetto non ne è estraneo), ne è conseguita una precarietà diffusa che non mancherà di rivelare i propri effetti negativi anche nel trattamento pensionistico di una intera generazione – con ovvie ricadute negative sul prossimo intero sistema del welfare come peraltro ufficialmente già evidenziato dai vertici Inps. Perché si è trattato, evidentemente, non di condotte episodiche e marginali, bensì di un comportamento sistematico ed in crescente consolidamento. La recente riforma del lavoro, tende quindi a invertire la rotta, privilegiando il lavoro subordinato quale forma comune di occupazione, anche attraverso lo smantellamento delle ipotesi contrattuali diverse e contrarie alla “normalizzazione” del lavoro. Tornando alla (abolita) associazione in partecipazione con apporto di lavoro, vale la pena evidenziare uno degli ultimi casi sottoposti al vaglio della Corte di Cassazione, giusto per avere la (ennesima) constatazione dell’uso di quello schema contrattuale. (sentenza nr. 25158/2015) Il fatto Il Tribunale aveva accertato la natura subordinata dei rapporti intrattenuti con alcuni lavoratori da una spa di import-export che aveva stipulato contratti di associazione in partecipazione per la gestione di alcuni negozi. La Corte di appello rigettava l'appello della società. La Corte territoriale riteneva che il primo Giudice avesse correttamente valutato, sulla base delle prove documentali e testimoniali, la prevalenza nelle modalità di attuazione dei rapporti intercorsi tra la società ed i commessi, degli elementi che caratterizzano il rapporto di lavoro di tipo subordinato. La Corte ricostruiva l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine agli elementi caratterizzanti un rapporto di associazione in partecipazione, in particolare l'esistenza di un rischio economico anche per l'associato e un controllo dell'associato sulla gestione dell'impresa e ricordava che il Giudice di prime cure aveva accertato, nel caso in esame, l'esistenza di un potere disciplinare e organizzativo dell'associante più ampio di quello generico d'impartire direttive di carattere generale. I lavoratori erano stati selezionati con annunci sui quotidiani ed assunti dopo una selezione e un periodo di lavoro nel quale avevano svolto attività di lavoro occasionale con patto di prova, istituto tipico del lavoro subordinato. I lavoratori sentiti come testi avevano dichiarato di avere ricevuto direttive sull'allestimento e sulla conduzione del negozio da parte del responsabile della società. Erano stati osservati turni ed effettuati vari controlli da parte del medesimo; era necessaria l'autorizzazione per ottenere ferie e permessi. I lavoratori erano privi di ogni potere di controllo sulla gestione dell'attività ed avevano svolto mansioni esecutive di semplici commessi. Non esisteva un rischio economico; alcuni testi hanno dichiarato di non aver mai veduto bilanci o documenti contabili della società e di avere percepito una retribuzione commisurata al ricavo del negozio. Anche il responsabile, aveva dichiarato di aver predisposto solo i rendiconti annuali con il riepilogo del punto vendita (ove avevano operato in concreto gli associati) che riportava il totale delle vendite e la quota spettante all'associato; quindi i lavoratori non avevano conoscenza dell'andamento economico dell'azienda ( anche limitatamente al punto vendita nel quale avevano operato), mancando di ogni informazione sui costi e sui ricavi, né c'era un vero rischio di impresa in quanto la retribuzione a percentuale non era calcolata sugli utili di esercizio, come previsto nei contratti, ma sui ricavi delle vendite, con un minimo garantito anche in caso di assenze nel periodo. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società sostenendo in primis che la Corte d’appello non aveva ritenuto decisive le formulazioni dei contratti stipulati tra le parti. Le motivazioni della sentenza A giudizio della suprema Corte, è stato giustamente ritenuto decisivo l'effettivo svolgimento del rapporto e non la sua qualificazione formale : il che appare conforme alla consolidata giurisprudenza intervenuta. Una volta ricostruita la dinamica di svolgimento dei rapporti, la Corte di appello ha valutato se si trattasse di un genuino contratto di associazione in partecipazione alla luce degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità. La Corte di appello ha valorizzato le seguenti circostanze: reperimento delle personale attraverso annunci del tipo " cercasi commesse"; direttive sull'allestimento e sulla conduzione generale del negozio da parte del responsabile, sempre presente nel negozio e poi presente settimanalmente; ricezione ogni 15 gg. di direttive per l'allestimento; predisposizione di turni da osservare in negozio e controlli anche a sorpresa; necessità di autorizzazioni per ferie e permessi e richiami per ritardi o per lamentale dei clienti. Tali elementi costituiscono certamente sicuri indizi della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato perché dimostrano un'ingerenza assai incisiva dell'associante nell'attività degli associati che venivano di fatto controllati nei tempi e nelle modalità della prestazione eccedendosi di molto la mera potestà di emanare direttive ed istruzioni di carattere generale che rientra pacificamente nei poteri dell'associante. Peraltro la Corte di appello ha anche aggiunto la mancanza di un rischio economico ( la retribuzione non era percepita come previsto nei contratti in relazione agli utili di esercizio, ma sui ricavi delle vendite, con un importo minimo garantito anche in caso di assenze) per l'associato ed anche di un controllo degli associati sul risultato economico dell'impresa: non solo alcuni testi hanno dichiarato di non aver mai visto bilanci e documenti contabili, ma è emerso dalle stesse dichiarazioni del consulente contabile della società che venivano predisposti solo rendiconti annuali dei punti vendita con la sola indicazione del totale delle vendite per cui i lavoratori nonavevano alcuna contezza dell'andamento economico dell'azienda ( costi, utili di esercizio, - andamento finanziario), neppure limitatamente al punto vendita ove operavano. Giova riportare per esteso, comunque, la motivazione di una recentissima sentenza, della stessa suprema Corte in un caso pressoché identico nella quale gli elementi prima ricordati sono stati ritenuti decisivi per la qualificazione del rapporto: " questa Corte ha affermato in più occasioni che, in tema di contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato, l'elemento differenziale rispetto al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili d'impresa risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l'apporto della prestazione da parte dell'associato, dovendosi verificare l'autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell'associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite. Pertanto, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell'organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d'impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell'associato nella gestione dell'impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale favor accordato dall'art. 35 Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni . E’stato altresì più volte affermato che in tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato, pur avendo indubbio rilievo il nomen iuris usato dalle parti, occorre accertare se lo schema negoziale pattuito abbia davvero caratterizzato la prestazione lavorativa o se questa si sia svolta con lo schema della subordinazione . La riconducibilità del rapporto all'uno o all'altro degli schemi predetti esige un'indagine del giudice di merito - volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti Nella specie la Corte territoriale, nell'escludere la sussistenza dei dedotti rapporti di associazione in partecipazione, ha fatto corretta applicazione di tali principi, sulla base di una serie di considerazioni desunte dal tenore dei contratti di associazione in partecipazione stipulati dalle parti, dagli altri documenti acquisiti nonché dalle dichiarazioni degli stessi associati. In particolare la Corte anzidetta ha accertato: - che gli associati osservavano un regolare orario di lavoro, coincidente con quello di apertura e chiusura del punto vendita; - che essi non erano a conoscenza delle spese del punto vendita e non prendevano visione del bilancio; - che non vi era un rendiconto di gestione ed era altresì assente qualsiasi forma di controllo da parte degli associati sulla gestione della società; - che i rendiconti depositati dalla società e consegnati ai lavoratori, invece di riportare gli utili, indicavano i corrispettivi mensili conseguiti dal singolo negozio come risultanti dal registro IVA; - che gli associati erano soggetti al controllo dell'associante, al quale dovevano comunicare quotidianamente a mezzo di personal computer gli incassi e rimettere gli stessi, prevedendosi nel caso di ritardo ingiustificato la risoluzione del rapporto; - che l'associante decideva la tipologia delle merci, il prezzo e le promozioni; -che in caso di assenza gli associati dovevano darne comunicazione all'assodante; - che durante le ferie, organizzate dagli stressi associati , costoro venivano regolarmente pagati; che l'ingresso di altre persone veniva deciso unilateralmente dall'associante, senza il consenso degli associati, in violazione dell'art. 2550 c.c.; - che la retribuzione era costituita da una percentuale sugli utili del singolo negozio, costituiti dalla differenza tra costi e ricavi, forfettariamente calcolati, e non già sugli utili dell'impresa ai sensi dell'art. 2549 c.c.;- che tale calcolo era definitivo, non risultando che venissero effettuati conguagli; - che la retribuzione corrisposta mensilmente non era mai al di sotto di un certo importo, sì da far ritenere la ricorrenza di un "minimo garantito", provato peraltro dalla produzione dell'INPS, dalla quale, "a fronte di un fatturato nullo vengono riconosciute somme corrispondenti a quelle percepite di norma"; - che tutto ciò comportava l'assenza di rischio da parte degli associati; - che, infine, in base al contratto, in caso di inadempienza dell'associato (quale, ad esempio, il ritardo ingiustificato nel versamento degli incassi quotidiani) poteva non rinnovare il contratto semestrale, circostanza questa che portava a ritenere che l'associato fosse sottomesso al potere disciplinare dell'associante e che fosse altresì privo di ogni tutela, essendo tale facoltà oltre che insindacabile rimessa alla mera discrezionalità dell'associante. Le conclusioni Alla stregua di tali argomentazioni, non si ravvisa nella sentenza impugnata il denunziato vizio di motivazione, avendo la Corte di merito compiutamente spiegato le ragioni della decisione con una motivazione congrua, coerente e priva di vizi logico-giuridici, resa sulla scorta di accertamenti di fatto. Si evidenzia che la Corte territoriale ha fondato la sua decisione con riferimento alle modalità organizzative della prestazione, alla mancanza di un controllo sull'andamento dell'azienda ed infine sull'assenza di un rischio economico. Per tutti gli elementi descritti, il ricorso è stato respinto.