L’Idealismo tedesco Con il movimento filosofico chiamato Idealismo, che si sviluppa nella prima metà dell’Ottocento, la filosofia vive l’ultimo suo momento di “cattedrale culturale”, cioè come studio grandioso e articolato attraverso cui si pensava di poter spiegare tutta l’esistenza e il creato. Il movimento, sviluppatosi essenzialmente in Germania, é legato in particolare a tre filosofi: Fichte, Schelling, Hegel. Le caratteristiche comuni all’Idealismo come scuola filosofica sono: 1. Come nel Platonismo e nel Cristianesimo, l’Idealismo privilegia la dimensione ideale su quella reale. 2. Il sapere viene ritenuto un sistema: per l’Idealismo ogni elemento che compone il sapere compone anche la realtà ed è in stretta relazione e connessione con tutti gli altri. 3. La filosofia viene reputata scienza assoluta o scienza delle scienze, ovvero l’unica scienza attraverso cui si può comprendere tutta la realtà, che viene concepita sempre soggetta al divenire dialettico (confronto o scontro tra una tesi ed un’antitesi, ovvero tra posizioni diverse che possono portare ad una sintesi finale). 4. L’Idealismo crea un nuovo linguaggio filosofico molto legato al tedesco, che diventa la lingua filosofica principale della modernità. Per la complessità dei suoi postulati, esso è a volte astratto e oscuro. Johann Gottlieb Fichte (1762 – 1814) La filosofia di Fichte prende le mosse dal pensiero kantiano di cui vuole essere un approfondimento e un compimento. F. parte dal problema del soggetto e del rapporto fra soggetto e oggetto, ovvero dalla cosiddetta “Rivoluzione Copernicana” di Kant. Secondo lui, tale teoria filosofica non è riuscita ad eliminare del tutto il dualismo soggetto/oggetto, quindi quello tra fenomeno e noumeno, poiché ha necessità di ipotizzare dogmaticamente il concetto di “cosa in sé”, cioè di un oggetto inconoscibile esterno alla coscienza, ma base imprescindibile della conoscenza. F. si propone di superare tale dualismo insanabile ipotizzando l’esistenza di un nuovo fondamento filosofico che egli chiama Io puro (Io penso). Questo è un io immanente, ovvero non trascendente né individuale (gli individui ne sono solo particelle) che tutto avvolge e contiene, e che produce la realtà nella sua totalità (non ci sarebbe nulla senza il pensiero), facendo così scomparire la divisione tra mondo fenomenico e mondo noumenico. La produzione della realtà da parte del pensiero, cioè dell’Io puro, o coscienza, avviene attraverso un processo dialettico triadico, cioè composto da 3 momenti: 1. TESI - l’io pone se stesso: la realtà esiste nella misura in cui c’è una coscienza (io) che l’afferma, per cui non ci può essere nulla se il pensiero prima non afferma se stesso diventando autocoscienza. 2. ANTITESI - l’io pone il non io: l’io sarebbe vuoto, ovvero non sarebbe o comunque non avrebbe autocoscienza, se non ci fosse un non io, ossia qualcosa altro da sé (B lo distinguo perché c’è A). Il non io viene creato per necessità dall’io puro, ma in maniera inconscia tramite l’ “immaginazione produttiva”, che crea la realtà in tutti i suoi aspetti particolari con cui l'Io infinito (puro) si autolimita. Proprio perché tale attività è inconscia e inconsapevole, il senso comune considera la realtà materiale e il mondo naturale come qualcosa di esistenti indipendentemente dal soggetto, finché non comprende, grazie all’evoluzione della filosofia che coglie la realtà ideale che sta alla base di tutto, che il mondo è una produzione proprio del soggetto pensante. 3. SINTESI: l’io oppone in se stesso all’io divisibile un non io divisibile. L’io è limitato da un non io e questo è a sua volta limitato dall’io. Nel mondo ci sono tanti io empirici (individui) e trovano davanti a sé molti oggetti finiti che si presentano come loro limite (non io). Questo ostacolo viene superato in quanto il non io non ha una sua autonomia, esso è solo una produzione dell’io, mentre l’individuo per la sua stessa natura è attività libera, è eterna tensione al superamento degli ostacoli che lo limitano per affermare la propria libertà in quanto si può essere liberi solo quando ci sono resistenze. L’io realizza la sua libertà superando costantemente il non-io (la natura). Simile concezione filosofica (Idealismo etico) induce F. a considerare la storia come infinito processo di autoliberazione dell’uomo, che tende a realizzare una superiore libertà spirituale. I filosofi, ovvero i dotti, che sono per F. i veri scienziati, devono essere gli educatori in tal senso dell’umanità. Questa educazione deve portare anche alla realizzazione di uno Stato giusto in cui a tutti sia garantito il diritto all’educazione e alla proprietà. F. è contrario al liberalismo ed è uno dei primi assertori dello statalismo anticipando così le teorie socialcomuniste che si svilupperanno nel corso dell’800. E’ pure un forte sostenitore del “pangermanesimo”, cioè del primato della nazione tedesca sulle altre: la Germania doveva farsi guida degli altri popoli in quanto aveva saputo mantenere nei secoli la purezza della lingua, del carattere e della religione luterana. Nel suo pensiero già ci sono i germi di quella forte ideologia nazionalistica che si manifesterà in seguito col nazismo. Friedrich Schelling (1775 – 1854) Egli applica alla natura il concetto di sviluppo (evoluzione) che Fichte aveva introdotto per spiegare l’evoluzione della coscienza. S. si rifiuta di concepire la natura come semplice non-io, come nuda materialità che serve solo ad essere superata, ma la ritiene una sorta di spirito in letargo o spirito pietrificato, come intelligenza immatura da cui gradualmente si sviluppano esseri intimamente spirituali in un processo che culmina nell’autoconsapevolezza. La natura ha carattere teleologico (finalistico) e non semplicemente meccanico. In pratica la natura per S. diventa il primo stadio, la preistoria dello sviluppo della coscienza (o spirito) nel suo percorso verso il raggiungimento dell’autocoscienza. Non vi è per S. opposizione fra natura e spirito, come succede in Fichte, in quanto fra loro esiste solo una differenza quantitativa e di grado perché la natura è vita spirituale inconscia, quindi di grado inferiore, mentre lo Spirito è vita spirituale conscia, ovvero di grado superiore (primi germi dell’evoluzionismo). Egli, ispirato dal pensiero di Giordano Bruno e Spinosa, concepisce il creato come un tutt’uno, che chiama Assoluto, ritenuto unione indissolubile di io e non-io, di “natura naturans e natura naturata”. Per l’uomo non è però facile comprendere questa unità di natura e spirito in quanto tende a vedere il mondo sempre come un’entità da lui indipendente e a lui opposta. Solo l’artista tramite intuizione e attività creatrice può raggiungere pienamente la conoscenza dell’identità di Natura e Spirito. La vera opera d’arte diventa una sorta di riproduzione dell’Assoluto, qualcosa che supera di molto l’intenzione del suo stesso creatore, in quanto sovrasta gli astratti concetti dell’intelletto e fornisce la concreta visione dell’assoluta identità di spirito e natura. L’artista diventa tramite inconsapevole della voce dell’assoluto. (Idealismo estetico) Nella sua maturità S. cambierà in parte il suo concetto di Assoluto concependolo come un Dio che ha in sé il principio della sua stessa negatività. La natura e la storia sono allora delle cadute di Dio nello spazio e nel tempo. In Dio stesso, tuttavia, è presente il principio positivo del ritorno all’originario, della liberazione e riscatto dalla caduta. Tale principio s’incarna nell’impulso umano verso la libertà. Attraverso l’uomo, Dio torna a se stesso. Georg Wilhelm Friedrich HEGEL (1770-1831) Hegel porta alla sua massima espressione l'idealismo tedesco. Egli ritiene che la realtà nella quale l’individuo vive non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario (Assoluto, Infinito), mentre i vari enti del mondo, essendo manifestazioni parziali di tale Assoluto, coincidono con il finito. "Il vero è l'intero", afferma H., cioè l'Assoluto, mentre le varie determinazioni parziali (cose, uomini, opinioni) non costituiscono realtà alla pari della realtà autentica dell'Assoluto: le determinazioni esistono, ma contengono una minima quantità di realtà rispetto alla realtà del Tutto: "l'esistenza è, in parte, apparizione, e solo in parte realtà". "Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale": La realtà, qui intesa come Tutto e non come l'insieme dei singoli aspetti della percezione, è interamente intrisa di razionalità. Ogni fatto che si manifesta del mondo è logico e risponde sempre a una legge razionale. L'Assoluto si manifesta razionalmente in tutti gli aspetti della realtà, inconsapevolmente nella natura, più consapevolmente negli uomini. Questo è ciò che risponde all'affermazione "ciò che è razionale è reale": ogni cosa non ha un senso arbitrario, soggettivo, ma risponde necessariamente alla struttura assolutamente logica del mondo di cui è una particella. Tutto ha quindi una sua logica, ogni cosa buona e ogni cosa cattiva, il giusto e l'ingiusto, ciò che sembra assurdo e, ovviamente, ciò che non lo è. La razionalità permea necessariamente ogni cosa che, anche quando sembra secondaria, ha in realtà una sua ragione nel Tutto. Vi è sempre una giustificazione per ogni evento, nulla è casuale (giustificazionismo hegeliano). L'uomo può essere solo testimone della realtà che si crea da sé: quando l'uomo arriva a riconoscerla, non può che descriverla senza modificarla, in quanto la realtà si è già autocreata. La filosofia ha il compito di comprendere e spiegare il processo, ma non può intervenirvi per alterarlo. Il vero è l'intero: L'intera realtà è un grande organismo, il mondo è un'immensa gamma di manifestazioni dell'Assoluto, ogni aspetto del reale (quello empirico legato ai fenomeni, quello spirituale legato al pensiero e all'anima) è un pezzo di un intero le cui singole parti non hanno senso in sé, ma possono essere comprese e definite solo se sono messe in rapporto con il tutto, con l’Assoluto. Similmente a un organismo, quindi, ogni parte trova il suo significato solo in relazione con gli altri organi. Gli aspetti particolari per H. non costituiscono verità: "il vero è l'intero", egli afferma, per cui ogni aspetto parziale della realtà è solamente una manifestazione del tutto; ma solo il tutto, l'intero, l'Assoluto, è l'autentica verità. La realtà comunemente percepita dagli uomini è soltanto una determinazione, un modo di manifestarsi dell'essere Assoluto, non un’essenza in sé (ricordarsi di Spinoza: ogni determinazione è negazione). In H. è molto forte lo spirito di sistema in quanto afferma che ogni cosa apparentemente irrazionale lo è finché non si comprende quale funzione abbia all'interno del tutto, perché ogni cosa riceve il proprio significato solo in relazione alle altre. I tre momenti della dialettica hegeliana: Le determinazioni finite del mondo appaiono sempre in divenire, mutano e avanzano. Per H. vi è una legge triadica e dialettica che determina il divenire. La dialettica hegeliana mira a spiegare in che modo l'Assoluto si oggettivizza, cioè si manifesta nel reale, perché le cose mutano da uno stato all'altro e si sviluppano. I momenti della dialettica (dottrina dello sviluppo) hegeliana sono tre: 1. La tesi. E’ lo stato di partenza del processo dialettico, la semplice cosa in sé, per ciò che è. In questo stato le cose sono quelle che sono, si trovano in sé, è un momento astratto puramente intellettuale (potenziale); 2. L'antitesi. L'antitesi è la necessaria negazione della cosa di partenza, per cui un'altra determinazione si oppone alla prima come parte diversa e contrapposta. La seconda fase è quella che costituisce la transizione: perché qualcosa muti è necessaria una negazione della cosa stessa, un cambiamento di essenza, un proiettarsi fuori di sé; 3. La sintesi. La sintesi è l'ultima parte del processo dialettico triadico, è il momento in cui la tesi e l'antitesi si fondono in una nuova entità, la quale racchiude aspetti della prima e della seconda. La sintesi è il momento in cui l'oggetto del mutamento supera la negazione e riacquista un nuovo significato in cui si trovano sintetizzati sia elementi della cosa originaria sia elementi della cosa negata. (Esempio: Tesi: vita, Antitesi: morte, Sintesi: specie (figli): con i figli si può vivere oltre la morte; essi si pongono come tesi di un ulteriore processo diveniente. La tesi e l’antitesi vengono superate per affrontare un momento nuovo superiore ai precedenti). Il processo triadico è continuo e perpetuo; ogni processo è legato all'altro e porta in sé le parti (con arricchimento dei contenuti) dei processi dialettici precedenti. La dialettica è quindi la legge che permette alle singole parti dello Spirito Assoluto di evolversi in un continuo processo di perfezionamento che tende sempre al miglioramento. In questo processo non vi sono mai momenti di regresso, inoltre l'Assoluto si esprime sempre e naturalmente nel mutamento progressivo e nel divenire: non vi è mai stasi, così come non esiste il non essere e il nulla. E’ un sistema perennemente ottimistico basato sulla contraddizione (scontro, guerra), intesa come motore del reale. La Fenomenologia dello Spirito: è la prima grande opera di H.; illustra il processo attraverso cui la coscienza individuale arriva a cogliere lo Spirito Assoluto. Per H. sussiste una corrispondenza fra le tappe dello sviluppo nel singolo individuo e quelle dell’intera specie. Questo significa che la coscienza del singolo segue una storia simile a quella dell’intera umanità. H. utilizza il termine fenomenologia (in greco, discorso su ciò che appare) perché vuole raccontare quali siano le figure sotto cui appare lo spirito mano a mano che si rivela. Queste figure sono le tappe successive di dispiegamento dello spirito nell’ambito della coscienza del singolo, per cui la fenomenologia ci descrive una sorta di percorso storico (la storia è l’ambito in cui si manifesta lo Spirito Assoluto) di iniziazione alla filosofia, che è l’unica scienza che alla fine può cogliere e spiegare il processo. La Fenomenologia si divide in tre momenti: 1) Coscienza (tesi) è il momento in cui l’individuo prende consapevolezza di sé ed è composta da sensibilità, percezione (Es: sensazione coglie un remo immerso in acqua come spezzato, percezione lo coglie come intero perché va aldilà delle apparenze), intelletto (permette di formulare giudizi). 2) Autocoscienza (antitesi) è il momento in cui il singolo individuo pone in relazione la propria esistenza con quella degli altri. In questa fase l’uomo, confrontandosi con gli altri, prende coscienza di se stesso. Per H., però, il riconoscimento delle altre autocoscienze avviene in maniera conflittuale perché ognuna vuole affermare la propria indipendenza. Vincerà alla fine quell’autocoscienza che saprà muoversi a tutto campo, che avrà il coraggio di mettersi in discussione, di rischiare la propria vita. L’altra non soccomberà, ma diventerà servo, e la prima padrone. Ma il servo non rimarrà sempre servo e il padrone sempre padrone. Infatti accade che il padrone delega al servo la soddisfazione di tutti i suoi bisogni, costringendo a lavorare per lui. Il servo acquisisce autonomia lavorando, mentre il padrone nell’ozio la perde; il padrone viene alla fine a dipendere dal suo servo, mentre il servo diviene indispensabile per il suo padrone, ribaltando così il rapporto originario. Questa è la dialettica servo-padrone. La rivincita del servo, che lavora, sul padrone, che ozia, si riferisce anche alla classe borghese che ai tempi di H. stava definitivamente sostituendo l’aristocrazia, comunque è un processo storico che secondo H. più volte si è ripetuto nel corso del tempo. Dopo essersi liberata dal padrone, la coscienza servile compie un’evoluzione storica attraverso i secoli che H. individua nello sviluppo dei pensieri filosofici del passato: prima diventa stoica, poi scettica, poi “coscienza infelice” (tipica del periodo medievale quando l’uomo si annulla in Dio sentendosi infinitamente inferiore e aspirando a una dimensione superiore (metafisica) di cui sente in sé costante necessità). La coscienza infelice rappresenta la figura più alta dell’autocoscienza. 3) Ragione (sintesi) è il contrario della coscienza infelice (storicamente corrisponde alla filosofia dal Rinascimento in poi). La coscienza però raggiunge un’unità eccessivamente astratta e teorica finché non scopre lo Spirito Assoluto, ovvero arriva alla comprensione dell’effettiva unione esistente fra ragione e realtà. La Fenomenologia termina con la scoperta dello Spirito, che storicamente avviene con la filosofia di Hegel. Affermando che la parte ha in sé meno verità dell'intero, H. naturalmente nutre profonda ammirazione per le istituzioni civili, in particolar modo per lo Stato, visto come interprete dell'Assoluto molto più di quanto possa esserne interprete il singolo individuo. Per H., insomma, lo Stato è oggettivazione dell'Assoluto Lo Stato è la sintesi di due momenti (tesi e antitesi), secondo il meccanismo della dialettica hegeliana: la famiglia e la società civile. La famiglia è il nucleo minimo della società (la tesi), in essa lo Spirito Assoluto si manifesta nel sentimento d'amore che la unisce. La famiglia ha nella società civile la sua antitesi, che è l’insieme delle molte famiglie prese singolarmente. Lo Stato, ovvero la sintesi, è l’ente che fornisce l'eticità, i principi morali, le leggi necessarie ad unire i nuclei familiari in un organismo più complesso e più compiuto. Lo Stato viene da H. concepito come un ente quasi divino, come "ingresso di Dio nel mondo", cioè come la concretizzazione dello Spirito Assoluto a cui i cittadini devono consapevolmente assoggettarsi. Lo Stato possiede una maggiore "quantità e qualità" di razionale rispetto all'individuo, in quanto ne costituisce una suprema sintesi (ricordarsi che per H. "il vero è l'intero"). Se si applica la dialettica hegeliana alla storia, che per lui è la concreta espressione dello Spirito Assoluto, ecco che ogni evento storico non appare più slegato e privo di ordine, come lo sono i fatti presi ciascuno isolato dall'altro, perché nella storia viene a manifestarsi e rendersi evidente il cammino della ragione, per cui ogni fatto acquista significato in relazione a ciò che è stato e ciò che sarà (concezione lineare della storia - giustificazionismo storico). La storia viene a configurarsi, in definitiva, come il racconto delle manifestazioni di Dio (Spirito Assoluto), come piano in evoluzione (per H. ciò che la religione chiama ancora primitivamente Provvidenza è in realtà lo Spirito Assoluto). L’uomo, evolvendosi nella storia, progredisce verso una sempre maggiore consapevolezza di essere egli stesso lo strumento dell'Assoluto, ovvero del manifestarsi divino nella realtà. L'Assoluto, lo Spirito, Dio, sono, in sostanza, la realizzazione di una razionalità immanente che trova il suo manifestarsi ultimo nell'uomo e nella sua presa di coscienza di essere un strumento dello Spirito stesso. Il fatto che tutto sia giustificato, che ogni fatto abbia in sé valore, anche il più negativo, porta H. ad avere una visione politica che giustifica sia l'uso della forza, sia la tirannia. La dittatura non è che uno stadio dello Spirito Assoluto, un modo di manifestarsi che lo Spirito sceglie per raggiungere i suoi fini. I singoli uomini non possono quindi opporvisi, poiché è lo Spirito che decide, così come, per lo stesso motivo, devono sempre obbedire alle leggi alla volontà dello Stato. Altri due aspetti importanti che caratterizzano il suo pensiero politico sono l'esistenza degli "eroi cosmici" e la scelta della civiltà tedesca come culmine della dialettica dello Spirito. L'esistenza di singoli uomini eroici che incarnano nel loro spirito e nelle loro azioni l'essenza dello Spirito del proprio tempo, è una conseguenza naturale del sistema hegeliano: uomini come Alessandro Magno, Cesare e Napoleone hanno incarnato a livelli più alti che negli altri individui lo Spirito della Storia. Tali condottieri sono al di sopra di ogni morale, e possono commettere i più feroci eccidi in nome dello Spirito che li incarna. Tuttavia costoro hanno quasi sempre una fine tragica, a dimostrazione del fatto che lo Spirito si serve di loro per raggiungere i propri scopi, e quando lo ritiene più opportuno, li abbandona per incarnarsi in un altro condottiero o in un’altra istituzione. Infine H. analizza le qualità dei popoli della storia alla luce della sua dialettica: come prima fase, la tesi, egli considera la civiltà orientale, come antitesi di questa la cultura mediterranea, dalla Grecia all'Impero Romano, fino al Rinascimento, infine, come sintesi suprema di questa grande dialettica storica, le popolazioni del nord Europa, soprattutto quelle germaniche (e lo Stato prussiano in particolar modo). Nella civiltà tedesca, secondo H., si sintetizza la grandezza originaria delle prime civiltà orientali e tutta l'evoluzione dello spirito razionale contenuta nella storia della civiltà meridionale europea. Ulteriore applicazione della dialettica hegeliana è riferita al significato dell'arte, della religione, della filosofia, nella loro evoluzione storico-culturale. H. afferma che tra le tre discipline non vi è diversità di contenuti (tutte riflettono sull'Assoluto), ma le diversità sono essenzialmente formali, ovvero nei diversi modi in cui esse pensano l'Assoluto e lo interpretano. L'arte è per H. la prima fase del processo dialettico, la tesi di partenza. L'arte primitiva è la fase in cui l'Assoluto, non potendo essere espresso altrimenti, trova manifestazione nelle immagini simboliche. Successivamente lo Spirito Assoluto si manifesta nella religione (antitesi), ovvero l'uomo raggiunge la consapevolezza dell'esistenza dell'Assoluto, ma lo pone ancora fuori di sé (Dio infatti è un "ente" diverso dall'uomo, un essere trascendente). Con la filosofia (in particolar modo quella dell’Idealismo e di H. stesso), che è la sintesi, l'uomo raggiunge finalmente la piena coscienza che egli è parte stessa di Dio e dell'Assoluto, ovvero pone l'Assoluto entro se stesso. Il pensiero di H. ebbe grande influenza sulla filosofia a lui successiva determinando la nascita di due correnti: la destra hegeliana, fedele al pensiero originario di H., e la sinistra hegeliana che, pur partendo dal pensiero di H., in particolare dalla sua concezione dialettica dell’esistenza, approderà a nuove forme di pensiero più materialiste e alquanto diverse da quello di H. Massimo esponente di questa corrente sarà Karl Marx, ideatore del cosiddetto materialismo storico e del socialismo scientifico contrapposto al socialismo utopistico.