24d. La Didone abbandonata di Pietro Metastasio

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24d.
La Didone abbandonata di Pietro Metastasio
Rappresentata nel carnevale del 1724 con musiche di Domenico Sarro, La
Didone Abbandonata riscuote subito un enorme successo. Rivolgendosi a un
pubblico che non ama le tragedie, il poeta smorza i toni, attenua il dramma,
indulge a un sentimentalismo sospiroso e dolciastro. Didone perde il piglio
tragico virgiliano per assumere i caratteri di una damina settecentesca
capricciosa e gelosa. Al clima patetico sembra conformarsi anche la
trasformazione della sorella Anna, ribattezzata esoticamente Selene,
innamorata segretamente di Enea. Molti musicisti rivestiranno di note le parole
di questa Didone per tutto il secolo. La versione musicata da Giuseppe Sarti fu
rappresentata per la prima volta nell’inverno del 1762 al Teatro Reale di
Copenhagen. In seguito lo stesso Sarti produsse una seconda versione del
dramma, che fu rappresentata al Teatro Obizzi di Padova nel giugno del 1782.
Puoi leggere qui di seguito i versi della scena cruciale dell’abbandono.
Didone
E così fin ad ora,
perfido, mi celasti il tuo disegno?
Enea
Fu pietà.
Didone
Che pietà? Mendace il labbro
fedeltà mi giura,
e intanto il cor pensava
come lungi da me volgere il piede!
A chi, misera me, Darò più fede?
Vil rifiuto dell'onde,
io l'accolgo dal lido, io lo ristoro
dalle ingiurie del mar: le navi e l'armi
già disperse io gli rendo; e gli dò loco
nel mio cor, nel mio regno; e questo è poco.
Di cento re per lui,
ricusando l'amor, gli sdegni irrìto:
ecco poi la mercede.
A chi, misera me!, darò più fede?
Enea
Fin ch'io viva, o Didone,
dolce memoria al mio pensier sarai:
nè partirei giammai,
se per voler de' numi io non dovessi
consacrare il mio affanno
all'impero latino.
Didone
Veramente non hanno
altra cura gli dei che il tuo destino?
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