Debito pubblico e deleveraging: un piano strategico per l’Italia di Alessandro Frezza Quando ci si propone di “ricercare soluzioni utili e praticabili per risolvere i problemi dell’italia” come facciamo noi di Epta, non si può prescindere dal comprendere la situazione da cui partiamo in termini di impegni assunti nel passato, ovvero l’entità e la sostenibilità dei debiti contratti fino ad oggi e con i quali qualunque decisione sul futuro deve in qualche modo fare i conti. Abbiamo raccolto quindi alcune informazioni sulla evoluzione della situazione finanziaria del nostro Paese espressa dal volume del debito delle Amministrazioni Pubbliche e dal rapporto di questo con il prodotto interno lordo, che rappresenta il valore dei beni e servizi prodotti dalla nazione ed in ultima analisi – e con alcuni limiti – anche la capacita del nostro paese di sostenere l’indebitamento. Questo, come vedremo, è tra i principali problemi economico-finanziari che affliggono il nostro Paese e che, oltre a costituire un peso sulle attuali generazioni di contribuenti a causa dell’onere del rimborso del debito e degli interessi in maturazione, costituisce anche un importante limite alla capacità dei nostri governi di prendere delle decisioni sugli investimenti per migliorare la competitività del paese ed il benessere delle future generazioni, ad esempio in tema di infrastrutture e ricerca. Ebbene, se analizziamo l’andamento del rapporto tra il debito pubblico ed il valore del prodotto interno lordo dall’unificazione dell’Italia sino ai nostri giorni riportato nel grafico sottostante, osserviamo un andamento variabile, con dei valori di massimo al termine delle guerre mondiali cui seguono delle drastiche riduzioni di valore del debito in particolare negli anni ‘20 e nella seconda meta degli anni ‘40 che hanno consentito di riportare il volume del debito a livelli più accettabili ma che sono dovute ad elementi straordinari : la cancellazione del debito prebellico da parte degli Stati Uniti negli anni ’20 ed un elevato tasso di inflazione negli anni ‘40. 1 Ove la stessa analisi fosse svolta al netto di queste partite straordinarie il grafico sarebbe costantemente crescente. Il grafico, elaborato dalla Banca d’Italia, inoltre si ferma ai dati del 2007 e non evidenzia il peggioramento dell’indice intervenuto nel periodo successivo a causa sia della crescita del valore del debito (aumentato di circa il 5% annuo) sia della contrazione del PIL che ci porteranno a chiudere il 2010 con un nuovo massimo di periodo del rapporto Debito/PIL: il 118% mentre le prime stime per il 2011 già indicano valori superiori al 120%. A riprova di quanto sopra l’andamento del valore complessivo del debito dell’ amministrazione pubblica italiana riportato nel grafico seguente mostra una crescita costante : 2 Debito delle amministrazioni pubbliche 2.000.000 1.800.000 1.600.000 1.400.000 1.200.000 1.000.000 800.000 600.000 400.000 200.000 0 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 Debito delle amministrazioni pubbliche Abbiamo quindi voluto comprendere qual è la situazione degli altri paesi europei a noi più vicini. La tabella seguente espone i valori del rapporto di indebitamento per un periodo recente, il decennio 2001 – 2009 dei principali paesi europei ed i valori medi europei (a 16 ed a 27 paesi ) Anni 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Italia Grecia EUR-16 Ungheria Francia Portogallo EU-27 Germania regno unito Austria Irlanda Paesi bassi Spagna Polonia Finlandia Svezia Romania 108,8 103,7 68,4 52 56,9 52,9 61 58,8 37,7 67,1 35,6 50,7 55,5 37,6 42,3 54,4 25,7 105,7 101,7 68,2 55,6 58,8 55,6 60,4 60,4 37,5 66,5 32,2 50,5 52,5 42,2 41,4 52,6 24,9 104,4 97,4 69,4 58,4 62,9 56,9 61,8 63,9 38,7 65,5 31 52 48,7 47,1 44,4 52,3 21,5 103,8 98,6 69,8 59,1 64,9 58,3 62,2 65,7 40,6 64,8 29,7 52,4 46,2 45,7 44,4 51,3 18,7 105,8 100 70,4 61,8 66,4 63,6 62,7 68 42,2 63,9 27,6 51,8 43 47,1 41,8 51 15,8 106,5 97,8 68,7 65,6 63,7 64,7 61,4 67,6 43,5 62,2 24,9 47,4 39,6 47,7 39,7 45,7 12,4 103,5 95,7 66,2 65,9 63,8 63,6 58,8 65 44,7 59,5 25 45,5 36,2 45 35,2 40,8 12,6 106,1 99,2 69,7 72,9 67,5 66,3 61,6 66 52 62,6 43,9 58,2 39,7 47,2 34,2 38,3 13,3 115,8 115,1 78,7 78,3 77,6 76,8 73,6 73,2 68,1 66,5 64 60,9 53,2 51 44 42,3 23,7 La tabella ci mostra come il rapporto tra il debito pubblico ed il Pil italiano sia il più alto tra i paesi europei in tutto il periodo di osservazione. Tra le critiche che sono avanzate circa l’utilizzo dell’indice per rappresentare la realtà italiana, vi è quella che nel nostro paese esiste una robusta economia sommersa che nel calcolo del PIL è considerata solo in parte (la stima inclusa nel PIL oscilla nei diversi anni tra il 16,3% ed il 17,5% del PIL) ma il fenomeno resta pur tuttavia di difficile apprezzamento e, in assenza di maggiori e più accurati dati non possiamo che considerare questo aspetto più come un ulteriore stimolo ad avviare una seria lotta all’evasione che non come un elemento di diminuzione della gravità dei dati sopra riportati. 3 Fatta questa precisazione, è quindi innegabile che il livello di indebitamento del nostro Paese è molto pesante, specie se comparato a quello degli altri paesi europei. Prima di capire come e quando si è creato questo debito, è però opportuno fare delle considerazioni su due aspetti che influenzeranno la discussione successiva. Il primo relativo all’importante funzione del debito pubblico quando è destinato all’esecuzione di investimenti e il secondo sull’importanza di considerare il debito complessivo aggregato delle famiglie, delle imprese e del settore pubblico per valutare in pieno la sostenibilità di un cosi elevato livello di indebitamento. Sul primo tema vale la pena considerare che il debito pubblico non è di per sé un male assoluto. E’ importante, infatti, comprendere come sono state utilizzate le risorse finanziarie ottenute con l’indebitamento. Se l’indebitamento è stato utilizzato per la creazione di infrastrutture utili o per altre forme di investimento produttivo, le stesse si ripagano direttamente o indirettamente. Direttamente – nel caso in cui consentono la crescita economica e contribuiscono a generare ricchezza (es. un’autostrada o un’importante scoperta risultante da un investimento in ricerca) - o indirettamente - perché contribuiscono a migliorare la qualità della vita generando utilità futura (un parco naturale o una nuova cura medica). In questi casi, infatti, a fronte della decisione di indebitarsi ed ottenere risorse che saranno pagate dalle future generazioni, viene però creata un’infrastruttura o svolta della attività di ricerca finalizzata ad una nuova scoperta ad esempio in campo medico o tecnologico che consentirà a sua volta alle generazioni successive di vivere e/o lavorare meglio o più a lungo e quindi nella maggior parte dei casi anche di generare maggior reddito che consentirà di ripagare i debiti creati o quanto meno di godere della infrastruttura o dei risultati della ricerca mentre viene ripagato il debito, ovvero le generazioni che pagheranno il debito e gli interessi usufruiranno contestualmente dei risultati dell’investimento effettuato. A ben vedere inoltre, senza l’intervento del settore pubblico e quindi in qualche modo l’assunzione di debiti pubblici, la maggior parte degli investimenti il cui ritorno economico è lontano nel tempo o i rischi di esecuzione troppo elevati non verrebbero affatto realizzati. L’intervento del pubblico – che può comunque essere modulato in forme diverse (ad esempio, si parla molto di project financing e di partnership pubblico privato) - è quindi auspicabile e necessario. Purtroppo, però, il debito può essere stato contratto anche per finanziare la spesa per infrastrutture inutili e per coprire le spese correnti in eccesso rispetto alle entrate. Un’infrastruttura inutile è la classica cattedrale nel deserto, l’ospedale finito e mai aperto (anche se a volte ripetutamente inaugurato), la strada mai completata, ma anche l’impianto per le radiografie in eccesso rispetto alle esigenze di un ospedale o la macchina per le analisi acquistata quando la tecnologia era già superata. Opere queste che non si ripagano né direttamente né indirettamente ma che generano un’ingiusta distribuzione della ricchezza tra chi pagherà il debito e chi viene pagato per realizzare l’opera. Il debito è stato per lungo tempo contratto per far fronte ad eccessi di spesa corrente rispetto alle entrate, in quel caso le amministrazioni pubbliche di un epoca hanno speso più di quanto potevano permettersi, si sono indebitate per coprire la spesa e hanno riversato l’onere sulle future generazioni. 4 In alcuni casi alla base della scelta di mantenere un livello di spesa superiore alle entrate finanziando la stessa con indebitamento può esserci stata una decisione di politica economica come la volontà di ridurre il peso su una generazione dell’effetto di una crisi economica e in tale caso, che dovrebbe tuttavia essere l’eccezione, può esser fatta una distinzione circa l’utilità della assunzione del debito. Nel nostro caso, tuttavia, come esposto più avanti, la condizione in cui le spese sono state maggiori delle entrate è stata la regola piuttosto che l’eccezione. Il secondo aspetto che mitiga in parte il significato dei numeri finora presentati, è quello del valore del debito aggregato delle famiglie, imprese ed amministrazioni pubbliche. Come emerge da un recente studio sul tema, se osserviamo i valori aggregati di questi diversi livelli di debito e li compariamo con quello di altri paesi, la nostra nazione, grazie ad un particolarmente basso livello di indebitamento delle famiglie presenta livelli di indebitamento medi rispetto all’insieme. Il seguente grafico espone la composizione del debito calcolata sui valori del 2008 : 469 202 101 459 380 108 113 67 343 101 96 75 331 108 52 UK 114 188 52 UK Giappone normalizz.* 308 298 290 84 81 77 56 44 40 85 80 114 313 136 118 110 115 75 47 28 37 Spagna Corea del Sud Svizzera** 96 81 Stato Istituzioni non finanziarie Famiglie Istituzioni finanziarie 274 76 245 47 62 84 159 78 66 60 69 60 32 Cina 54 73 101 Francia Italia US Germania Canada 6,3 8,1 2,5 6,1 18 142 12 96 30 129 33 13 42 11 10 71 66 66 40 5 Brasile India Russia 16 10 Tasso di crescita annuo ponderato in valuta locale, % (dati 2000 - 2008) 10,2 0,3 14,5 10,8 4,5 7,7 15,1 15,1 16,5 31,6 Questa visione d’insieme è importante per mostrare che nel complesso il sistema economico italiano dovrebbe tenere, e che gli interventi correttivi sui livello del debito devono essere effettuati nel settore pubblico piuttosto che sul comportamento delle famiglie. Tuttavia se è vero che la capacità del sistema nazionale di sopportare il peso del debito risiede nelle famiglie è anche vero che per effettuare nuovi investimenti è necessario trovare un meccanismo tramite il quale coinvolgere queste ultime nel finanziamento delle infrastrutture, meccanismo che non può risiedere nella leva fiscale e che deve forse essere ricercato nella partecipazione del privato alle iniziative pubbliche (partenariato) o in nuove forme di privatizzazione. Su questo ultimo punto ci preme sottolineare che per nuove forme non si intende solo una nuova stagione di privatizzazioni, ma una diversa modalità di esecuzione che consenta tramite adeguati modelli di governance di mantenere l’indirizzo pubblico delle attività oggetto di privatizzazione coniugandolo con modelli di gestione più efficienti, rafforzando contestualmente le aziende privatizzate con le disponibilità finanziarie di un azionariato diffuso alla ricerca di un giusto livello di remunerazione dell’investimento. Ma vediamo ora come è stato creato il debito pubblico esistente. Analizzando i conti economici delle amministrazioni pubbliche nel periodo dal 1980 in poi si evince che i deficit – la differenza tra le spese e le entrate delle amministrazioni pubbliche – cumulati in questi 30 anni giustificano circa 1.500 miliardi del complessivo debito di Euro 1.800 miliardi. Il debito che oggi ci troviamo a dover 5 fronteggiare si è quindi formato prevalentemente negli ultimi 30 anni. Vediamo infatti di seguito l’andamento dei valori delle entrate e delle spese totali nei singoli anni del periodo 1980 – 2009 che mostrano come le uscite siano costantemente superiori alle entrate : Per cercare di capire le cause entriamo quindi nel dettaglio dei conti pubblici dello stesso periodo e vediamo che nel periodo 1980 – 2009 le amministrazioni pubbliche hanno in un primo periodo, fino a metà degli anni ’90, generato debito anche per la copertura di spese correnti. Nel periodo immediatamente successivo si è avviata una fase con saldi primari positivi. Un saldo primario positivo si ha quando le entrate totali sono maggiori delle spese totali al netto degli interessi. Il saldo primario positivo indica quindi che con le entrate si riesce a pagare oltre alle spese correnti e in conto capitale anche, almeno in parte, gli interessi passivi. Il saldo primario tuttavia torna in negativo nel 2009 per effetto probabilmente della crisi economica e delle azioni decise per fronteggiare la stessa. Tra le spese effettuate in questi anni per sostenere le quali sono stati contratti debiti per 1.800 miliardi ci sono sia spese in conto capitale, principalmente investimenti quindi, per circa Euro 1.100 miliardi, ma anche interessi passivi pagati nel periodo a fronte dei debiti contratti per l’importante somma di circa Euro 2.000 miliardi. Insomma, gli interessi pagati dal 1980 ad oggi sono maggiori del valore dell’indebitamento totale esistente. Un altro aspetto emerso dalla lettura dei dati è che nel 2009 il saldo primario è tornato ad essere negativo, ovvero - si ricorda - le entrate totali dell’anno sono state insufficienti a pagare le spese correnti e in conto capitale anche al netto degli interessi passivi: è stato quindi necessario contrarre nuovi debiti sia per pagare gli interessi che per coprire l’eccesso di spesa sulle entrate. 6 Una considerazione, in ultimo, sul valore degli investimenti effettuati nel periodo. L’Italia, come altri paesi occidentali, non brilla certo per lo stato delle proprie infrastrutture. Ci siamo quindi posti una domanda : “quali investimenti abbiamo realizzato o avremmo potuto realizzare con 1.100 miliardi di spese di investimento degli ultimi 30 anni e soprattutto con i circa 1.800 miliardi di risorse ottenute tramite i debiti sottoscritti ?”. Ma come farsi un’idea delle dimensioni dei valori considerati ? 1.100 miliardi per investimenti sono tanti o sono pochi ? Avremmo potuto con tale somma effettivamente realizzare dei progetti in grado di cambiare la dotazione delle infrastrutture italiane e supportare le nostre imprese nello svolgimento della loro attività, facilitare la vita delle persone e favorire la circolazione delle merci e delle persone? Un parametro di riferimento delle grandezze coinvolte può essere il Programma Infrastrutture Strategiche approvato nel 2001 dal CIPE per la modernizzazione e lo sviluppo del paese. Il Programma, la cui esecuzione è purtroppo in ritardo, prevede un insieme di infrastrutture strategiche in diversi settori del trasporto, della ricerca, sanitarie, e altro. Il Programma non include forse tutte le opere di cui avremmo bisogno ma almeno una importante quota delle stesse. Il piano è pari ad Euro 174 miliardi ovvero il 15% circa di quanto speso in conto capitale nei 30 anni dal 1980 ad oggi. Ovviamente nelle spese di investimento sostenute dal 1980 ad oggi c’è sicuramente un insieme numeroso di interventi locali minori essenziali per le comunità locali, scuole, strade locali, strutture sanitarie, ecc. che sommate negli anni generano sicuramente somme importanti, ma non avremmo comunque potuto destinare una quota almeno del 15% della spesa per investimenti ad iniziative strategiche per il paese e soprattutto inserite in un piano strategico della nazione ?. Dalla lettura del Programma Infrastrutture Strategiche del CIPE emerge in ultimo che le stesse opere indicate sono ad una fase di avanzamento media inferiore al 50% e quindi per completarle sarà necessario probabilmente contrarre nuovi debiti considerato che le nostre entrate – essenzialmente generate da imposte e tributi e quindi non ulteriormente incrementabili – non riescono a far fronte alle spese correnti e per interessi. L’ultimo punto su cui vale la pena soffermarsi in tema di indebitamento prima di trarre delle conclusioni attiene alla discussione in corso nell’ambito dell’unione europea circa il rientro da livelli eccessivi di indebitamento che verrà imposto ai paesi membri con modalità ancora da definire. Come già accennato, infatti, l’Unione Europea ha deciso nelle scorse settimane di affiancare al monitoraggio del deficit dei paesi membri, già oggetto del Patto di Stabilità, l’obbligo di contenimento del debito pubblico prevedendo la riduzione dei livelli di indebitamento superiori al 60%. Al momento è in discussione anche l’imposizione di un periodo di rientro di 20 anni ed una sanzione agli Stati inadempienti. Assumendo quindi l’obbligo o la volontà di rientrare da un livello di indebitamento così alto quale può essere il modo o i diversi possibili modi per il rientro ? 7 Analisi empiriche svolte sui dati storici degli ultimi secoli mostrano che ci sono più modi per rientrare dall’indebitamento. Vediamo quali. - Un periodo di austerità: “stringere la cinghia” è il metodo storicamente più diffuso. Secondo uno studio della Mc Kinsey, l’evidenza storica mostra che ci vogliono tra i 6 ed i 7 anni per ridurre il grado di indebitamento del 25% e che il valore del prodotto interno lordo successivamente all’avvio di un tale programma di rientro subisce una iniziale contrazione di alcuni anni per tornare poi ad espandersi nuovamente. E’ il metodo che ha aiutato il Regno Unito a ridurre il rapporto di indebitamento dal 286% nel 1947 al 110% nel 1980 mediante una costante riduzione del deficit annuale ottenuto tramite il mantenimento di un livello di tassazione allineato a quello del periodo bellico e la massiccia riduzione della spesa corrente. - Un default generalizzato: è ovviamente il sistema meno auspicabile. E’ il modo in cui l’Argentina è uscita dalla situazione debitoria degli anni 2000 ma non è comunque applicabile al nostro caso. - Alti livelli di inflazione: elevati livelli di inflazione hanno in realtà aiutato sempre i paesi a ridurre la propria esposizione ed in molti casi questa leva è stata anche pilotata, al momento però non è un’ opzione praticabile, o comunque non un’opzione che l’Italia possa adottare da sola in ragione dell’euro e delle politiche monetarie europee centralizzate. - Rapida crescita del PIL: ovviamente ridurre il rapporto di indebitamento tramite un rapido aumento del Prodotto Interno Lordo sarebbe l’ipotesi più auspicabile. Tuttavia, storicamente, un importante risultato con questa leva è stato ottenuto solo a seguito di una guerra quando viene interrotta la spesa pubblica per gli armamenti e le risorse vengono destinate all’economia oppure nel caso di un “oil boom”. Non è, ovviamente, il nostro caso. In tutti i casi sopra indicati un importante aiuto al raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del debito è dato dall’aumento delle esportazioni nette del paese. Delle diverse modalità di rientro dal debito identificate nella analisi storica, al momento, la strada maggiormente percorribile sembrerebbe essere quella dell’austerità di bilancio. Austerità che - a nostro avviso - non deve essere solo sinonimo di tagli alla spesa ma soprattutto di miglioramento del processo di spesa volto ad evitare gli sprechi e a concentrare le scelte di spesa in funzione della priorità degli obiettivi – sociali ed economici – fissati, premiando e riconoscendo il ruolo dell’impegno delle persone nel lavoro che, in ultima analisi, è l’unica vera fonte di sviluppo di un’economia. Per riepilogare il percorso fatto e provare a trarre delle indicazioni per il futuro, lo scenario in estrema sintesi è il seguente: Abbiamo un debito di oltre 1.800 miliardi di euro ed il peggior rapporto debito/PIL d’Europa. Aspetto parzialmente mitigato da un basso livello di indebitamento delle famiglie; Il bilancio dell’amministrazione pubblica è tornato a generare debiti anche a livello di saldo primario, quindi non solo non riusciamo a ripagare gli oneri del debito esistente, ma la spesa dell’anno genera nuovo debito; 8 Gli investimenti fatti negli ultimi 30 anni, nonostante un livello di spese in conto capitale superiore ad euro 1100 miliardi, non ci hanno consentito di investire seriamente in ricerca o in infrastrutture utili per lo sviluppo. Il Programma Infrastrutture Strategiche è in ritardo e necessita di ulteriori risorse per essere completato. Nonostante questa esigenza di investimenti il settore pubblico ha limitate possibilità di indebitarsi ulteriormente per finanziare queste opere e deve necessariamente essere identificato un modo per consentire a chi ha capacità di indebitamento residua (le famiglie e alcune imprese) di partecipare al processo di investimento. L’Unione Europea, sull’onda delle recenti difficoltà di altri paesi membri, ci chiede di rientrare. Si parla addirittura dell’imposizione agli Stati membri, pena una sanzione, di ridurre il rapporto debito/PIL al di sotto del 60% (siamo al 118%); Tra le diverse opzioni disponibili per attuare una significativa riduzione del rapporto di indebitamento quella maggiormente percorribile sembrerebbe essere quella di un piano di austerità, rafforzata possibilmente da un aumento delle esportazioni nette. Partendo da tale situazione, crediamo ci siano delle azioni che dovrebbero essere considerate in ogni programma di governo indipendentemente dalla visione politica. Tra queste: l’identificazione e la contrazione delle spese correnti dell’apparato pubblico dando priorità agli interventi sulle spese che generano extraredditi e curando la graduale riqualificazione dei dipendenti delle aziende colpite volta a ridurre – troppo ambizioso eliminare – la ridistribuzione di ricchezza tra chi paga le imposte ed i fornitori di beni e servizi ridondanti o inutili; l’attuazione di un piano di supporto alle aziende esportatrici fatto di aiuti concreti nella esecuzione del progetto di internazionalizzazione piuttosto che di contributi a pioggia, riconoscendo l’importanza che in questa fase economica può avere un miglioramento delle esportazioni nette. Piano da attuarsi rapidamente come già stanno facendo alcuni dei nostri partner europei che in questo processo di riavvio delle economie possono comportarsi più da competitors che da partner; la promozione dell’imprenditoria e del lavoro sotto un profilo anche culturale per far comprendere alle future generazioni che chi si adopera per lo sviluppo dell’economia e lo fa in modo onesto è il vero esempio da seguire; l’identificazione degli investimenti in infrastrutture ed in ricerca in quei campi che saranno strategici agli obiettivi – sociali ed economici - che la forza politica al governo avrà presentato nel proprio programma ed il disegno di forme di partecipazione del privato all’investimento che consentano di utilizzare la maggiore capacità finanziaria del privato garantendo a questi una giusta remunerazione; l’identificazione delle aree in cui è ancora possibile avviare un piano di liberalizzazioni e nuove forme di privatizzazione perché queste smuovono l’economia e motivano gli imprenditori liberando risorse per l’investimento del settore pubblico in altre infrastrutture meno appetibili per il privato ma fondamentali per la nostra crescita; 9 l’avvio di un serio programma di lotta all’evasione non solo in termini di repressione ma culturale, per far comprendere e radicare nella mente delle persone oneste che chi evade è un malfattore e non un esempio di persona di successo come talvolta accade, al fine di eliminare questa importante piaga sociale che genera una iniqua ridistribuzione delle risorse tra le persone oneste ed i malfattori e al contempo, facendo emergere l’economia sommersa, migliorare il livello del prodotto interno lordo e quindi il rapporto di indebitamento; Un’ultima considerazione infine sul metodo per l’allocazione delle scarse risorse disponibili. Chi governa dovrebbe definire un piano strategico per l’Italia che parta dalla definizione del cosa si vuole fare della nostra nazione sia sotto il profilo economico che sociale, identifichi le carenze esistenti rispetto al progetto ed allochi le risorse disponibili in maniera coerente, perché obiettivi strategici diversi comportano diverse priorità ed una diversa allocazione delle risorse. 10