Debito pubblico e deleveraging: un piano strategico per l’Italia
di Alessandro Frezza
Quando ci si propone di “ricercare soluzioni utili e praticabili per risolvere i problemi dell’italia” come facciamo
noi di Epta, non si può prescindere dal comprendere la situazione da cui partiamo in termini di impegni assunti nel
passato, ovvero l’entità e la sostenibilità dei debiti contratti fino ad oggi e con i quali qualunque decisione sul
futuro deve in qualche modo fare i conti.
Abbiamo raccolto quindi alcune informazioni sulla evoluzione della situazione finanziaria del nostro Paese
espressa dal volume del debito delle Amministrazioni Pubbliche e dal rapporto di questo con il prodotto interno
lordo, che rappresenta il valore dei beni e servizi prodotti dalla nazione ed in ultima analisi – e con alcuni limiti –
anche la capacita del nostro paese di sostenere l’indebitamento. Questo, come vedremo, è tra i principali
problemi economico-finanziari che affliggono il nostro Paese e che, oltre a costituire un peso sulle attuali
generazioni di contribuenti a causa dell’onere del rimborso del debito e degli interessi in maturazione, costituisce
anche un importante limite alla capacità dei nostri governi di prendere delle decisioni sugli investimenti per
migliorare la competitività del paese ed il benessere delle future generazioni, ad esempio in tema di
infrastrutture e ricerca.
Ebbene, se analizziamo l’andamento del rapporto tra il debito pubblico ed il valore del prodotto interno lordo
dall’unificazione dell’Italia sino ai nostri giorni riportato nel grafico sottostante, osserviamo un andamento
variabile, con dei valori di massimo al termine delle guerre mondiali cui seguono delle drastiche riduzioni di valore
del debito in particolare negli anni ‘20 e nella seconda meta degli anni ‘40 che hanno consentito di riportare il
volume del debito a livelli più accettabili ma che sono dovute ad elementi straordinari : la cancellazione del debito
prebellico da parte degli Stati Uniti negli anni ’20 ed un elevato tasso di inflazione negli anni ‘40.
1
Ove la stessa analisi fosse svolta al netto di queste partite straordinarie il grafico sarebbe costantemente
crescente. Il grafico, elaborato dalla Banca d’Italia, inoltre si ferma ai dati del 2007 e non evidenzia il
peggioramento dell’indice intervenuto nel periodo successivo a causa sia della crescita del valore del debito
(aumentato di circa il 5% annuo) sia della contrazione del PIL che ci porteranno a chiudere il 2010 con un nuovo
massimo di periodo del rapporto Debito/PIL: il 118% mentre le prime stime per il 2011 già indicano valori
superiori al 120%.
A riprova di quanto sopra l’andamento del valore complessivo del debito dell’ amministrazione pubblica italiana
riportato nel grafico seguente mostra una crescita costante :
2
Debito delle amministrazioni pubbliche
2.000.000
1.800.000
1.600.000
1.400.000
1.200.000
1.000.000
800.000
600.000
400.000
200.000
0
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
Debito delle
amministrazioni
pubbliche
Abbiamo quindi voluto comprendere qual è la situazione degli altri paesi europei a noi più vicini. La tabella
seguente espone i valori del rapporto di indebitamento per un periodo recente, il decennio 2001 – 2009 dei
principali paesi europei ed i valori medi europei (a 16 ed a 27 paesi )
Anni
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Italia
Grecia
EUR-16
Ungheria
Francia
Portogallo
EU-27
Germania
regno unito
Austria
Irlanda
Paesi bassi
Spagna
Polonia
Finlandia
Svezia
Romania
108,8
103,7
68,4
52
56,9
52,9
61
58,8
37,7
67,1
35,6
50,7
55,5
37,6
42,3
54,4
25,7
105,7
101,7
68,2
55,6
58,8
55,6
60,4
60,4
37,5
66,5
32,2
50,5
52,5
42,2
41,4
52,6
24,9
104,4
97,4
69,4
58,4
62,9
56,9
61,8
63,9
38,7
65,5
31
52
48,7
47,1
44,4
52,3
21,5
103,8
98,6
69,8
59,1
64,9
58,3
62,2
65,7
40,6
64,8
29,7
52,4
46,2
45,7
44,4
51,3
18,7
105,8
100
70,4
61,8
66,4
63,6
62,7
68
42,2
63,9
27,6
51,8
43
47,1
41,8
51
15,8
106,5
97,8
68,7
65,6
63,7
64,7
61,4
67,6
43,5
62,2
24,9
47,4
39,6
47,7
39,7
45,7
12,4
103,5
95,7
66,2
65,9
63,8
63,6
58,8
65
44,7
59,5
25
45,5
36,2
45
35,2
40,8
12,6
106,1
99,2
69,7
72,9
67,5
66,3
61,6
66
52
62,6
43,9
58,2
39,7
47,2
34,2
38,3
13,3
115,8
115,1
78,7
78,3
77,6
76,8
73,6
73,2
68,1
66,5
64
60,9
53,2
51
44
42,3
23,7
La tabella ci mostra come il rapporto tra il debito pubblico ed il Pil italiano sia il più alto tra i paesi europei in tutto
il periodo di osservazione. Tra le critiche che sono avanzate circa l’utilizzo dell’indice per rappresentare la realtà
italiana, vi è quella che nel nostro paese esiste una robusta economia sommersa che nel calcolo del PIL è
considerata solo in parte (la stima inclusa nel PIL oscilla nei diversi anni tra il 16,3% ed il 17,5% del PIL) ma il
fenomeno resta pur tuttavia di difficile apprezzamento e, in assenza di maggiori e più accurati dati non possiamo
che considerare questo aspetto più come un ulteriore stimolo ad avviare una seria lotta all’evasione che non
come un elemento di diminuzione della gravità dei dati sopra riportati.
3
Fatta questa precisazione, è quindi innegabile che il livello di indebitamento del nostro Paese è molto pesante,
specie se comparato a quello degli altri paesi europei.
Prima di capire come e quando si è creato questo debito, è però opportuno fare delle considerazioni su due
aspetti che influenzeranno la discussione successiva. Il primo relativo all’importante funzione del debito pubblico
quando è destinato all’esecuzione di investimenti e il secondo sull’importanza di considerare il debito
complessivo aggregato delle famiglie, delle imprese e del settore pubblico per valutare in pieno la sostenibilità di
un cosi elevato livello di indebitamento.
Sul primo tema vale la pena considerare che il debito pubblico non è di per sé un male assoluto. E’ importante,
infatti, comprendere come sono state utilizzate le risorse finanziarie ottenute con l’indebitamento. Se
l’indebitamento è stato utilizzato per la creazione di infrastrutture utili o per altre forme di investimento
produttivo, le stesse si ripagano direttamente o indirettamente. Direttamente – nel caso in cui consentono la
crescita economica e contribuiscono a generare ricchezza (es. un’autostrada o un’importante scoperta risultante
da un investimento in ricerca) - o indirettamente - perché contribuiscono a migliorare la qualità della vita
generando utilità futura (un parco naturale o una nuova cura medica).
In questi casi, infatti, a fronte della decisione di indebitarsi ed ottenere risorse che saranno pagate dalle future
generazioni, viene però creata un’infrastruttura o svolta della attività di ricerca finalizzata ad una nuova scoperta
ad esempio in campo medico o tecnologico che consentirà a sua volta alle generazioni successive di vivere e/o
lavorare meglio o più a lungo e quindi nella maggior parte dei casi anche di generare maggior reddito che
consentirà di ripagare i debiti creati o quanto meno di godere della infrastruttura o dei risultati della ricerca
mentre viene ripagato il debito, ovvero le generazioni che pagheranno il debito e gli interessi usufruiranno
contestualmente dei risultati dell’investimento effettuato.
A ben vedere inoltre, senza l’intervento del settore pubblico e quindi in qualche modo l’assunzione di debiti
pubblici, la maggior parte degli investimenti il cui ritorno economico è lontano nel tempo o i rischi di esecuzione
troppo elevati non verrebbero affatto realizzati. L’intervento del pubblico – che può comunque essere modulato
in forme diverse (ad esempio, si parla molto di project financing e di partnership pubblico privato) - è quindi
auspicabile e necessario.
Purtroppo, però, il debito può essere stato contratto anche per finanziare la spesa per infrastrutture inutili e per
coprire le spese correnti in eccesso rispetto alle entrate.
Un’infrastruttura inutile è la classica cattedrale nel deserto, l’ospedale finito e mai aperto (anche se a volte
ripetutamente inaugurato), la strada mai completata, ma anche l’impianto per le radiografie in eccesso rispetto
alle esigenze di un ospedale o la macchina per le analisi acquistata quando la tecnologia era già superata. Opere
queste che non si ripagano né direttamente né indirettamente ma che generano un’ingiusta distribuzione della
ricchezza tra chi pagherà il debito e chi viene pagato per realizzare l’opera.
Il debito è stato per lungo tempo contratto per far fronte ad eccessi di spesa corrente rispetto alle entrate, in quel
caso le amministrazioni pubbliche di un epoca hanno speso più di quanto potevano permettersi, si sono
indebitate per coprire la spesa e hanno riversato l’onere sulle future generazioni.
4
In alcuni casi alla base della scelta di mantenere un livello di spesa superiore alle entrate finanziando la stessa con
indebitamento può esserci stata una decisione di politica economica come la volontà di ridurre il peso su una
generazione dell’effetto di una crisi economica e in tale caso, che dovrebbe tuttavia essere l’eccezione, può esser
fatta una distinzione circa l’utilità della assunzione del debito. Nel nostro caso, tuttavia, come esposto più avanti,
la condizione in cui le spese sono state maggiori delle entrate è stata la regola piuttosto che l’eccezione.
Il secondo aspetto che mitiga in parte il significato dei numeri finora presentati, è quello del valore del debito
aggregato delle famiglie, imprese ed amministrazioni pubbliche. Come emerge da un recente studio sul tema, se
osserviamo i valori aggregati di questi diversi livelli di debito e li compariamo con quello di altri paesi, la nostra
nazione, grazie ad un particolarmente basso livello di indebitamento delle famiglie presenta livelli di
indebitamento medi rispetto all’insieme. Il seguente grafico espone la composizione del debito calcolata sui valori
del 2008 :
469
202
101
459
380
108
113
67
343
101
96
75
331
108
52
UK
114
188
52
UK
Giappone
normalizz.*
308
298
290
84
81
77
56
44
40
85
80
114
313
136
118
110
115
75
47
28
37
Spagna
Corea del
Sud
Svizzera**
96
81
Stato
Istituzioni non finanziarie
Famiglie
Istituzioni finanziarie
274
76
245
47
62
84
159
78
66
60
69
60
32
Cina
54
73
101
Francia
Italia
US
Germania
Canada
6,3
8,1
2,5
6,1
18
142
12
96
30
129
33
13
42
11
10
71
66
66
40
5
Brasile
India
Russia
16
10
Tasso di crescita annuo ponderato in valuta locale, % (dati 2000 - 2008)
10,2
0,3
14,5
10,8
4,5
7,7
15,1
15,1
16,5
31,6
Questa visione d’insieme è importante per mostrare che nel complesso il sistema economico italiano dovrebbe
tenere, e che gli interventi correttivi sui livello del debito devono essere effettuati nel settore pubblico piuttosto
che sul comportamento delle famiglie. Tuttavia se è vero che la capacità del sistema nazionale di sopportare il
peso del debito risiede nelle famiglie è anche vero che per effettuare nuovi investimenti è necessario trovare un
meccanismo tramite il quale coinvolgere queste ultime nel finanziamento delle infrastrutture, meccanismo che
non può risiedere nella leva fiscale e che deve forse essere ricercato nella partecipazione del privato alle iniziative
pubbliche (partenariato) o in nuove forme di privatizzazione. Su questo ultimo punto ci preme sottolineare che
per nuove forme non si intende solo una nuova stagione di privatizzazioni, ma una diversa modalità di esecuzione
che consenta tramite adeguati modelli di governance di mantenere l’indirizzo pubblico delle attività oggetto di
privatizzazione coniugandolo con modelli di gestione più efficienti, rafforzando contestualmente le aziende
privatizzate con le disponibilità finanziarie di un azionariato diffuso alla ricerca di un giusto livello di
remunerazione dell’investimento.
Ma vediamo ora come è stato creato il debito pubblico esistente.
Analizzando i conti economici delle amministrazioni pubbliche nel periodo dal 1980 in poi si evince che i deficit –
la differenza tra le spese e le entrate delle amministrazioni pubbliche – cumulati in questi 30 anni giustificano
circa 1.500 miliardi del complessivo debito di Euro 1.800 miliardi. Il debito che oggi ci troviamo a dover
5
fronteggiare si è quindi formato prevalentemente negli ultimi 30 anni. Vediamo infatti di seguito l’andamento dei
valori delle entrate e delle spese totali nei singoli anni del periodo 1980 – 2009 che mostrano come le uscite siano
costantemente superiori alle entrate :
Per cercare di capire le cause entriamo quindi nel dettaglio dei conti pubblici dello stesso periodo e vediamo che
nel periodo 1980 – 2009 le amministrazioni pubbliche hanno in un primo periodo, fino a metà degli anni ’90,
generato debito anche per la copertura di spese correnti. Nel periodo immediatamente successivo si è avviata
una fase con saldi primari positivi. Un saldo primario positivo si ha quando le entrate totali sono maggiori delle
spese totali al netto degli interessi. Il saldo primario positivo indica quindi che con le entrate si riesce a pagare
oltre alle spese correnti e in conto capitale anche, almeno in parte, gli interessi passivi. Il saldo primario tuttavia
torna in negativo nel 2009 per effetto probabilmente della crisi economica e delle azioni decise per fronteggiare la
stessa.
Tra le spese effettuate in questi anni per sostenere le quali sono stati contratti debiti per 1.800 miliardi ci sono sia
spese in conto capitale, principalmente investimenti quindi, per circa Euro 1.100 miliardi, ma anche interessi
passivi pagati nel periodo a fronte dei debiti contratti per l’importante somma di circa Euro 2.000 miliardi.
Insomma, gli interessi pagati dal 1980 ad oggi sono maggiori del valore dell’indebitamento totale esistente.
Un altro aspetto emerso dalla lettura dei dati è che nel 2009 il saldo primario è tornato ad essere negativo, ovvero
- si ricorda - le entrate totali dell’anno sono state insufficienti a pagare le spese correnti e in conto capitale anche
al netto degli interessi passivi: è stato quindi necessario contrarre nuovi debiti sia per pagare gli interessi che per
coprire l’eccesso di spesa sulle entrate.
6
Una considerazione, in ultimo, sul valore degli investimenti effettuati nel periodo. L’Italia, come altri paesi
occidentali, non brilla certo per lo stato delle proprie infrastrutture. Ci siamo quindi posti una domanda : “quali
investimenti abbiamo realizzato o avremmo potuto realizzare con 1.100 miliardi di spese di investimento degli
ultimi 30 anni e soprattutto con i circa 1.800 miliardi di risorse ottenute tramite i debiti sottoscritti ?”.
Ma come farsi un’idea delle dimensioni dei valori considerati ? 1.100 miliardi per investimenti sono tanti o sono
pochi ? Avremmo potuto con tale somma effettivamente realizzare dei progetti in grado di cambiare la dotazione
delle infrastrutture italiane e supportare le nostre imprese nello svolgimento della loro attività, facilitare la vita
delle persone e favorire la circolazione delle merci e delle persone?
Un parametro di riferimento delle grandezze coinvolte può essere il Programma Infrastrutture Strategiche
approvato nel 2001 dal CIPE per la modernizzazione e lo sviluppo del paese. Il Programma, la cui esecuzione è
purtroppo in ritardo, prevede un insieme di infrastrutture strategiche in diversi settori del trasporto, della ricerca,
sanitarie, e altro. Il Programma non include forse tutte le opere di cui avremmo bisogno ma almeno una
importante quota delle stesse. Il piano è pari ad Euro 174 miliardi ovvero il 15% circa di quanto speso in conto
capitale nei 30 anni dal 1980 ad oggi.
Ovviamente nelle spese di investimento sostenute dal 1980 ad oggi c’è sicuramente un insieme numeroso di
interventi locali minori essenziali per le comunità locali, scuole, strade locali, strutture sanitarie, ecc. che sommate
negli anni generano sicuramente somme importanti, ma non avremmo comunque potuto destinare una quota
almeno del 15% della spesa per investimenti ad iniziative strategiche per il paese e soprattutto inserite in un
piano strategico della nazione ?.
Dalla lettura del Programma Infrastrutture Strategiche del CIPE emerge in ultimo che le stesse opere indicate
sono ad una fase di avanzamento media inferiore al 50% e quindi per completarle sarà necessario probabilmente
contrarre nuovi debiti considerato che le nostre entrate – essenzialmente generate da imposte e tributi e quindi
non ulteriormente incrementabili – non riescono a far fronte alle spese correnti e per interessi.
L’ultimo punto su cui vale la pena soffermarsi in tema di indebitamento prima di trarre delle conclusioni attiene
alla discussione in corso nell’ambito dell’unione europea circa il rientro da livelli eccessivi di indebitamento che
verrà imposto ai paesi membri con modalità ancora da definire. Come già accennato, infatti, l’Unione Europea ha
deciso nelle scorse settimane di affiancare al monitoraggio del deficit dei paesi membri, già oggetto del Patto di
Stabilità, l’obbligo di contenimento del debito pubblico prevedendo la riduzione dei livelli di indebitamento
superiori al 60%. Al momento è in discussione anche l’imposizione di un periodo di rientro di 20 anni ed una
sanzione agli Stati inadempienti.
Assumendo quindi l’obbligo o la volontà di rientrare da un livello di indebitamento così alto quale può essere il
modo o i diversi possibili modi per il rientro ?
7
Analisi empiriche svolte sui dati storici degli ultimi secoli mostrano che ci sono più modi per rientrare
dall’indebitamento. Vediamo quali.
-
Un periodo di austerità: “stringere la cinghia” è il metodo storicamente più diffuso. Secondo uno studio
della Mc Kinsey, l’evidenza storica mostra che ci vogliono tra i 6 ed i 7 anni per ridurre il grado di
indebitamento del 25% e che il valore del prodotto interno lordo successivamente all’avvio di un tale
programma di rientro subisce una iniziale contrazione di alcuni anni per tornare poi ad espandersi
nuovamente. E’ il metodo che ha aiutato il Regno Unito a ridurre il rapporto di indebitamento dal 286%
nel 1947 al 110% nel 1980 mediante una costante riduzione del deficit annuale ottenuto tramite il
mantenimento di un livello di tassazione allineato a quello del periodo bellico e la massiccia riduzione
della spesa corrente.
-
Un default generalizzato: è ovviamente il sistema meno auspicabile. E’ il modo in cui l’Argentina è uscita
dalla situazione debitoria degli anni 2000 ma non è comunque applicabile al nostro caso.
-
Alti livelli di inflazione: elevati livelli di inflazione hanno in realtà aiutato sempre i paesi a ridurre la propria
esposizione ed in molti casi questa leva è stata anche pilotata, al momento però non è un’ opzione
praticabile, o comunque non un’opzione che l’Italia possa adottare da sola in ragione dell’euro e delle
politiche monetarie europee centralizzate.
-
Rapida crescita del PIL: ovviamente ridurre il rapporto di indebitamento tramite un rapido aumento del
Prodotto Interno Lordo sarebbe l’ipotesi più auspicabile. Tuttavia, storicamente, un importante risultato
con questa leva è stato ottenuto solo a seguito di una guerra quando viene interrotta la spesa pubblica
per gli armamenti e le risorse vengono destinate all’economia oppure nel caso di un “oil boom”. Non è,
ovviamente, il nostro caso.
In tutti i casi sopra indicati un importante aiuto al raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del debito è dato
dall’aumento delle esportazioni nette del paese.
Delle diverse modalità di rientro dal debito identificate nella analisi storica, al momento, la strada maggiormente
percorribile sembrerebbe essere quella dell’austerità di bilancio. Austerità che - a nostro avviso - non deve essere
solo sinonimo di tagli alla spesa ma soprattutto di miglioramento del processo di spesa volto ad evitare gli sprechi
e a concentrare le scelte di spesa in funzione della priorità degli obiettivi – sociali ed economici – fissati,
premiando e riconoscendo il ruolo dell’impegno delle persone nel lavoro che, in ultima analisi, è l’unica vera fonte
di sviluppo di un’economia.
Per riepilogare il percorso fatto e provare a trarre delle indicazioni per il futuro, lo scenario in estrema sintesi è il
seguente:

Abbiamo un debito di oltre 1.800 miliardi di euro ed il peggior rapporto debito/PIL d’Europa. Aspetto
parzialmente mitigato da un basso livello di indebitamento delle famiglie;

Il bilancio dell’amministrazione pubblica è tornato a generare debiti anche a livello di saldo primario,
quindi non solo non riusciamo a ripagare gli oneri del debito esistente, ma la spesa dell’anno genera
nuovo debito;
8

Gli investimenti fatti negli ultimi 30 anni, nonostante un livello di spese in conto capitale superiore ad
euro 1100 miliardi, non ci hanno consentito di investire seriamente in ricerca o in infrastrutture utili per lo
sviluppo. Il Programma Infrastrutture Strategiche è in ritardo e necessita di ulteriori risorse per essere
completato. Nonostante questa esigenza di investimenti il settore pubblico ha limitate possibilità di
indebitarsi ulteriormente per finanziare queste opere e deve necessariamente essere identificato un
modo per consentire a chi ha capacità di indebitamento residua (le famiglie e alcune imprese) di
partecipare al processo di investimento.

L’Unione Europea, sull’onda delle recenti difficoltà di altri paesi membri, ci chiede di rientrare. Si parla
addirittura dell’imposizione agli Stati membri, pena una sanzione, di ridurre il rapporto debito/PIL al di
sotto del 60% (siamo al 118%);

Tra le diverse opzioni disponibili per attuare una significativa riduzione del rapporto di indebitamento
quella maggiormente percorribile sembrerebbe essere quella di un piano di austerità, rafforzata
possibilmente da un aumento delle esportazioni nette.
Partendo da tale situazione, crediamo ci siano delle azioni che dovrebbero essere considerate in ogni programma
di governo indipendentemente dalla visione politica. Tra queste:

l’identificazione e la contrazione delle spese correnti dell’apparato pubblico dando priorità agli interventi
sulle spese che generano extraredditi e curando la graduale riqualificazione dei dipendenti delle aziende
colpite volta a ridurre – troppo ambizioso eliminare – la ridistribuzione di ricchezza tra chi paga le imposte
ed i fornitori di beni e servizi ridondanti o inutili;

l’attuazione di un piano di supporto alle aziende esportatrici fatto di aiuti concreti nella esecuzione del
progetto di internazionalizzazione piuttosto che di contributi a pioggia, riconoscendo l’importanza che in
questa fase economica può avere un miglioramento delle esportazioni nette. Piano da attuarsi
rapidamente come già stanno facendo alcuni dei nostri partner europei che in questo processo di riavvio
delle economie possono comportarsi più da competitors che da partner;

la promozione dell’imprenditoria e del lavoro sotto un profilo anche culturale per far comprendere alle
future generazioni che chi si adopera per lo sviluppo dell’economia e lo fa in modo onesto è il vero
esempio da seguire;

l’identificazione degli investimenti in infrastrutture ed in ricerca in quei campi che saranno strategici agli
obiettivi – sociali ed economici - che la forza politica al governo avrà presentato nel proprio programma
ed il disegno di forme di partecipazione del privato all’investimento che consentano di utilizzare la
maggiore capacità finanziaria del privato garantendo a questi una giusta remunerazione;

l’identificazione delle aree in cui è ancora possibile avviare un piano di liberalizzazioni e nuove forme di
privatizzazione perché queste smuovono l’economia e motivano gli imprenditori liberando risorse per
l’investimento del settore pubblico in altre infrastrutture meno appetibili per il privato ma fondamentali
per la nostra crescita;
9

l’avvio di un serio programma di lotta all’evasione non solo in termini di repressione ma culturale, per far
comprendere e radicare nella mente delle persone oneste che chi evade è un malfattore e non un
esempio di persona di successo come talvolta accade, al fine di eliminare questa importante piaga sociale
che genera una iniqua ridistribuzione delle risorse tra le persone oneste ed i malfattori e al contempo,
facendo emergere l’economia sommersa, migliorare il livello del prodotto interno lordo e quindi il
rapporto di indebitamento;
Un’ultima considerazione infine sul metodo per l’allocazione delle scarse risorse disponibili. Chi governa dovrebbe
definire un piano strategico per l’Italia che parta dalla definizione del cosa si vuole fare della nostra nazione sia
sotto il profilo economico che sociale, identifichi le carenze esistenti rispetto al progetto ed allochi le risorse
disponibili in maniera coerente, perché obiettivi strategici diversi comportano diverse priorità ed una diversa
allocazione delle risorse.
10