Possiamo conoscere tutto? Antidoti per la superbia dell`intelletto

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Possiamo conoscere tutto?
Antidoti per la superbia
dell’intelletto
Federico Laudisa
Università di Milano-Bicocca
«Ah, com’è terribile sapere quando non giovi a chi sa!
Io ne ero ben consapevole, ma l’ho dimenticato»
Tiresia a Edipo
Sofocle, Edipo Re, primo episodio
 La superbia dell’intelletto è un tema antico: da Sofocle al Doktor
Faustus di Thomas Mann, da Dante a Goethe. Come molti grandi
temi della cultura occidentale, presenta forti ambivalenze:
Da un lato, infatti, la razionalità è stata rappresentata come
un fattore costitutivo dell’identità e della natura umana:
«Tutti gli uomini per natura tendono al sapere» (Aristotele,
Metafisica, libro I)
Dall’altro, una lunga tradizione (in larga parte teologica)
associa alla razionalità la tendenza a disconoscere l’esistenza
di limiti alla razionalità stessa: dall’albero della conoscenza
della Genesi alla teodicea del XVII secolo
Nel XX secolo, il tema della conoscenza e dei suoi limiti si
arricchisce (si fa per dire!) di una nuova terribile pagina: quella
relativa agli usi militari della scienza, realizzati in particolare
nell’ideazione e costruzione delle armi nucleari
Robert Oppenheimer, direttore del
Progetto Manhattan, in una
conferenza al MIT di Boston del 1947
disse:
“In un senso crudo che non potrebbe
essere cancellato da nessuna accezione
volgare o umoristica, i fisici hanno
conosciuto il peccato”
E in un’intervista del 1965 precisò il senso di quelle parole in una
direzione interessante per il nostro tema:
«Intendevo dire che avevamo conosciuto il peccato d’orgoglio. Ci
eravamo messi in condizione di influenzare, in un modo che si
dimostrò straordinario, il corso della storia dell’uomo. Avevamo la
presunzione di sapere che cosa andasse bene per l’uomo, e credo davvero che
ciò abbia lasciato un segno su molti di coloro che vi furono impegnati
responsabilmente».
C’è poi l’immaginazione
letteraria di uno scrittore come
Leonardo Sciascia, che collega
la scomparsa del grande fisico
teorico Ettore Majorana alla
coscienza di un legame terribile
tra la conoscenza e la morte
«Il ‘portare’ poi la scienza come parte di sé, come funzione vitale,
come misura di vita doveva essergli di angoscioso peso; e ancor di
più nell’intravedere quel peso di morte che sentiva di portare
oggettivarsi nella particolare ricerca e scoperta di un segreto della
natura: depositarsi, cresce, diffondersi nella vita umana come
polvere mortale.
‘In una manciata di polvere ti
mostrerò lo spavento’ dice il poeta.
E questo spavento crediamo abbia
visto Majorana in una manciata
di atomi» (La scomparsa di Majorana,
Adelphi 2004, pp. 84-85)
...fino ad arrivare a quella che qualcuno potrebbe considerare una
manifestazione suprema di superbia: il tentativo di riproduzione
artificiale della MENTE umana
Scena dal film
Ex Machina
«Mi propongo di considerare la domanda Le macchine possono
pensare? [...] credo che alla fine del secolo l’uso delle parole e
l’opinione corrente saranno talmente mutati che si potrà parlare di
macchine pensanti senza aspettarsi di essere contraddetti» (Alan
Turing, Macchine calcolatrici e intelligenza, 1950)
Nel 1950 Alan Turing, ideatore di uno
dei principali modelli di calcolo
(chiamati in suo onore Macchine di
Turing) e precursore del programma di
ricerca noto come IA - Intelligenza
Artificiale, pubblica infatti un articolo
‘qualitativo’ intitolato Macchine
calcolatrici e intelligenza
In questo lavoro Turing analizza il problema del rapporto tra
menti e macchine mediante un esperimento ideale che egli
definisce gioco dell’imitazione
A. Turing, Macchine calcolatrici e intelligenza (1950)
Domanda M
“Possono pensare le macchine?”
Invece di tentare di rispondere dopo un’analisi del significato dei
termini “macchina” e “pensiero”, Turing propone di sostituire
questa domanda con un’altra, che presuppone un esperimento
ideale (detto gioco dell’imitazione)
Gioco dell’imitazione  Test di Turing
A (uomo? donna?)
C (“interrogante”)
B (uomo? donna?)
A e B sono un uomo e una donna.
C non sa qual è l’uomo e quale la donna: lo scopo del gioco
consiste nell’indovinare mediante una serie di domande
adeguate.
Ora la domanda M (“Possono pensare le macchine?”) può essere
sostituita dalla domanda M*
“Cosa accade se una macchina
prende il posto di A?”
C “interrogante”
“Sarà dato per scontato che la migliore strategia per la macchina
sia quella di provare a formulare le risposte che sarebbero date
istintivamente da un uomo”
Nella filosofia della seconda metà del XX secolo, una diversa
forma di ‘superbia’ è stata riformulata nel quadro del cosiddetto
naturalismo
Il naturalismo non è una teoria precisa e formalmente definita: è
piuttosto un insieme di coordinate concettuali tenute insieme
 dal rifiuto di spiegazioni sovrannaturali
 dal riferimento alla scienza come fonte esclusiva di conoscenza
sul mondo
Due versioni fondamentali del naturalismo:
Naturalismo ontologico
L’unica ontologia è quella prescritta dalla scienza: ciò che esiste in
un senso fondamentale è soltanto ciò che la scienza afferma esistere in
un senso fondamentale
Naturalismo epistemico (o metodologico)
L’unica forma autentica di conoscenza è quella scientifica e gli
unici strumenti per ottenerla sono quelli adottati dalle teorie
scientifiche
(Nota bene: con le dovute differenze, un primo dibattito sul
naturalismo – la differenza tra cause e ragioni – si trova già nel
Fedone platonico [98b-d]!)
Il significato e le ambizioni del naturalismo si giustificano davvero
soltanto con la Rivoluzione scientifica, quando la scienza conquista
una propria autonomia dal resto del sapere
 Il carattere rivoluzionario di questa epoca della cultura europea
si deve all’introduzione di un modo radicalmente nuovo di
analizzare i fenomeni naturali
 Esso non deriva soltanto dall’accumulazione di fatti ed
esperienze precedenti ma si configura piuttosto come un
autentico rovesciamento di prospettiva intellettuale nei confronti
dei fenomeni naturali
Da un punto di vista specificamente filosofico, e con particolare
riferimento al tema del naturalismo, l’avvento della Rivoluzione
scientifica giustifica una nuova categoria ontologica – l’essere
secondo la scienza – che semplicemente prima non esisteva.
«In quell’epoca infatti giunsero a maturazione processi di lungo
periodo come la fase di identificazione di un nuovo sapere, la sua
legittimazione, il suo consolidamento istituzionale necessario per
creare le basi di una vera e propria professione, così come apparvero
all’orizzonte questioni nuove e laceranti tra cui spicca, per la prima
volta ufficialmente dibattuto, il gran tema della demarcazione, cioè
l’interrogativo su ciò che debba essere considerato scienza e ciò che invece è
da considerarsi estraneo ad essa.»
V. Ferrone, L’età dei lumi, in P. Rossi, V.
Ferrone, Lo scienziato nell’età moderna, Laterza,
Roma-Bari, 1994
 La svolta contemporanea coincide con il progetto – sviluppato
originariamente dal grande logico e filosofo del linguaggio
W.V.O. Quine – secondo cui è necessario naturalizzare
l’epistemologia (o teoria della conoscenza), cioè – detto in termini
semplicistici – assimilare i processi della conoscenza a veri e
propri processi naturali
 Il naturalismo di Quine si costituisce in contrapposizione
all’immagine della conoscenza scientifica – e dei metodi della
sua giustificazione – elaborati dai filosofi e scienziati riuniti nel
movimento detto Empirismo Logico
Non tutta la filosofia dalla seconda metà del XX secolo ha seguito
Quine!
“Il nostro desiderio di generalità ha come unica fonte il nostro
riferimento al metodo della scienza. Intendo il metodo di ridurre la
spiegazione dei fenomeni naturali al più piccolo numero possibile di
leggi di natura primitive e, in matematica, di unificare il tratttamento
di problemi diversi mediante la generalizzazione.
I filosofi hanno constantemente il metodo della scienza davanti agli
occhi e sono irresistibilmente tentati di interrogare e rispondere al
modo della scienza. Questa tendenza è l’autentica fonte della
metafisica e conduce il filosofo nella completa oscurità.
Voglio dire qui che il nostro lavoro non può mai essere quello di
ridurre niente a niente. La filosofia è «puramente descrittiva».”
L. Wittgenstein, Libro Blu
La critica di Wittgenstein è di origine filosofica: ma è la scienza
stessa del XX secolo ha riflettuto sui suoi limiti, producendo in
questo tentativo alcuni dei suoi risultati più alti!
(Primo) Teorema di incompletezza di Gödel – 1931
Dato un sistema formale coerente e ‘sufficientemente
potente’ T (cioè tale da includere almeno l’aritmetica
elementare), esiste un enunciato g che T non riesce
a decidere, cioè tale che
(i)
(ii)
T non dimostra g
T non dimostra non- g
In termini semplici: qualsiasi teoria formalizzata potente almeno
quanto l’aritmetica elementare include enunciati che essa non
riesce a decidere!
Teorema di Turing (noto come«Teorema della fermata») – 1936
Indichiamo con M(x) l’applicazione di un generico algoritmo M (per
gli esperti, una macchina di Turing), al generico problema x e
chiediamoci: possiamo decidere in generale se M risolverà il problema
x?
La risposta è NO!
Se per semplicità adottiamo la convenzione
M(x) si ferma  esiste una soluzione via M per x
M(x) non si ferma  non esiste una soluzione via M per x
il teorema afferma la non-esistenza di un algoritmo che decida se M
si fermerà o no sulla soluzione
Sulla base di risultati come questi, potremmo concludere:
Possiamo conoscere tutto?
NO
Possiamo esserne certi?
SÌ
La scienza ci garantisce infatti sull’esistenza di problemi che non
possono essere risolti in linea di principio
Grazie per l’attenzione!
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