PROGRAMMA CALCOLO INDICE UNITA’ 1 Configurazione Elettronica degli Elementi……p.3 UNITA’ 2 Elettrone……..………………………………...p.8 UNITA’ 3 Il Legame Dativo……………………………...p.11 UNITA’ 4 Il Modello Quanto-Meccanico di Atomo….….p.13 UNITA’ 5 La Teoria Atomica di Dalton………...……….p.14 UNITA’ 6 Legame ad Idrogeno………………………….p.15 UNITA’ 7 Legame Covalente………...………………….p.17 UNITA’ 8 Legame Ionico...……………………………...p.19 UNITA’ 9 Modello di Bhor………………………………p.24 UNITA’ 10 Orbitale………...……………………………...p.29 UNITA’ 11 Regola dell’Ottetto..………………………….p.39 UNITA’ 12 Relazione tra volume pressione e temperatura nei gas………………………………..…………...p.40 UNITA’ 13 connessione tra Caratteri Qalitativi…………...p.45 UNITA’ 14 Distribuzione di Gauss…..………......………p.47 UNITA’ 15 Distribuzione di Bernoulli…...………………p.49 UNITA’ 16 Distribuzione di Poisson.……………………p.51 UNITA’ 17 Legge dei Grandi Numeri…………………...p.53 UNITA’ 18 Teorema Centrale del Limite..………………p.54 UNITA’ 1 CONFIGURAZIONE ELETTRONICA DEGLI ELEMENTI In chimica, il termine configurazione elettronica si riferisce alla disposizione degli elettroni legati; ovvero al loro comportamento attorno ainuclei di uno o più atomi. Poiché gli elettroni sono fermioni, essi sono soggetti al principio di esclusione di Pauli, il quale stabilisce che due fermioni non possono occupare lo stesso stato quantico contemporaneamente. Questo principio è fondamentale nel determinare la configurazione degli elettroni negli atomi: una volta che uno stato viene occupato da un elettrone, l'elettrone successivo deve occupare uno stato differente. In un atomo, gli stati stazionari (indipendenti dal tempo) di funzione d'ondaelettronica (ovvero gli stati che sono stati particolari dell'equazione di Schrödinger HΨ = EΨ dove H è l'hamiltoniana) vengono detti orbitali, per analogia con la visione classica dell'elettrone come particella che orbita attorno al nucleo. Per un atomo multielettronico, con x elettroni, l'espressione corretta della funzione d'onda deve considerare le coordinate spaziali di tutti gli x elettroni contemporaneamente. Ciò, in termini matematici, viene espresso dalla funzione d'onda Ψ = Ψ(n1, n2, n3,...nx). Tuttavia, per gli scopi della chimica, viene sfruttata una notevole semplificazione utilizzando la cosiddetta "approssimazione orbitalica": cioè ogni elettrone viene considerato singolarmente come appartenente ad un atomo idrogenoide e la carica nucleare Ze, carica che viene utilizzata per calcolare il termine relativo all'energia potenziale da inserire nell'equazione di Schrödinger, viene corretta utilizzando la carica nucleare efficace Zeff. Quindi la forma semplificata della funzione d'onda, utilizzata per descrivere un atomo polielettronico, diviene una funzione del tipo Ψ = Ψ(n1)Ψ(n2)Ψ(n3)...Ψ(nx). Il quadrato del modulo del valore di Ψ in un punto (ampiezza d'onda complessa) rappresenta la densità di probabilità di trovare l'elettrone in quel punto. Gli orbitali di un atomo sono distinti da quattro numeri quantici: n, l, ml e ms e, per il principio di Pauli, non è possibile che due elettroni abbiano lo stesso valore per tutti e quattro i numeri. Numero quantico principale (n) Il primo numero quantico n, detto numero quantico principale, determina la distanza media dal nucleo (dimensione dell'orbitale), che aumenta al crescere di n, e la maggior parte dell'energia dell'elettrone (livello energetico=periodo). Esso assume tutti i valori interi positivi in ordine crescente. Elettroni (e orbitali) che condividono n appartengono allo stesso livello (detto anche "guscio"). Valore di n Lettera Massimo numero di elettroni nel livello (pari a 2 x n2) 1 K 2 2 L 8 3 M 18 4 N 32 5 O 50 6 P 72 7 Q 98 ... ... ... Il numero massimo di elettroni nell'n-simo livello di energia è 2n2. Numero quantico orbitale (l) Il secondo numero quantico l, detto numero quantico orbitale (o, impropriamente, numero quantico azimutale o angolare o rotazionale), corrisponde al momento angolare dello stato. Questi stati prendono la forma di un'armonica sferica, e sono quindi descritti da polinomi di Legendre. I vari stati correlati ai differenti valori di l vengono a volte detti "sottolivelli" o "sotto-gusci", e (principalmente per ragioni storiche) vengono indicati da lettere, come elencato di seguito: Valore di l Lettera Massimo numero di elettroni nel sotto-livello (pari a (2 x l + 1) x 2) 0 s 2 1 p 6 2 d 10 3 f 14 4 g 18 ... ... ... Per ogni valore di n, l assume in ordine crescente tutti i valori interi compresi tra 0 e n-1 e quindi il guscio n=1 possiede solo il sotto-guscio s, il guscio n=2 possiede i sotto-gusci s e p, il guscio n=3 possiede i sottogusci s, p e d e così via. Numero quantico magnetico (ml) e numero quantico di spin (ms) Ogni sotto-guscio può accogliere 2(2l+1) elettroni. Questo perché per ogni valore di l il terzo numero quantico ml, detto numero quantico magnetico, che può essere pensato (in maniera inaccurata) come la proiezione quantizzata del vettore momento angolare sull'asse z, assume in ordine crescente tutti i valori interi compresi tra -l e l, e quindi ci sono 2l+1 stati possibili. Ogni stato distinto nlml può essere occupato da due elettroni con spin opposto (dato dal quarto numero quantico ms, detto numero quantico di spin, che per ogni valore di ml assume i due valori -1/2 e +1/2), dando un totale di 2(2l+1) elettroni. Stati con valori l superiori a quelli mostrati nella tabella sono perfettamente ammissibili in teoria, ma questi valori sono relativi ad atomi che non sono ancora stati scoperti. Ordine di riempimento degli stati quantici e relazione con la struttura della tavola periodica Allo stato fondamentale, gli stati quantici di un atomo sono riempiti in ordine crescente di energia, secondo il principio dell'Aufbau; ovvero, il primo elettrone va ad occupare lo stato libero con energia più bassa è così via. Il fatto che lo stato 3d sia più alto, come energia, dello stato 4s, ma più basso del 4p è il motivo per l'esistenza dei metalli del blocco d. L'ordine in cui gli stati vengono riempiti è il seguente: 1s 2s 3s 4s 5s 6s 7s 2p 3p 3d 4p 4d 5p 4f 5d 6p 5f 6d 7p Ciò porta direttamente alla struttura della tavola periodica. Le proprietà chimiche di un atomo sono largamente determinate dalla disposizione degli elettroni del guscio più esterno, il guscio di valenza (anche se altri fattori, come raggio atomico, peso atomico, e l'aumentata accessibilità a stati elettronici addizionali contribuiscono alla chimica degli elementi, man mano che le dimensioni degli atomi aumentano). Progredendo attraverso un gruppo, dall'elemento più leggero a quello più pesante, i gusci elettronici esterni (quelli che partecipano più facilmente alle reazioni chimiche) sono tutti nello stesso tipo di orbitale, con forme simili, ma con un sempre maggiore livello di energia e distanza media dal nucleo. Ad esempio, i gusci esterni degli elementi del primo gruppo, introdotto dall'idrogeno, hanno tutti un elettrone nell'orbitale s. Nell'idrogeno, l'orbitale s è nel più basso stato di energia possibile per ogni atomo (ed è rappresentato dalla posizione dell'idrogeno nel primo periodo della tavola periodica). Nel francio, l'elemento più pesante del gruppo, il guscio esterno si trova nel settimo orbitale, decisamente più lontano dal nucleo rispetto agli elettroni che riempiono i gusci sottostanti. Come altro esempio: sia il carbonio che ilpiombo hanno quattro elettroni nell'orbitale del guscio esterno. A causa dell'importanza del guscio esterno, le differenti regioni della tavola periodica sono a volte dette blocchi della tavola periodica, chiamati secondo il sotto-guscio nel quale risiede l'ultimo elettrone:, blocco s, blocco p, blocco d, ecc. Notazioni e semplificazioni Un esempio della notazione comunemente usata per esprimere la configurazione elettronica di un atomo, nel caso del silicio, è il seguente: 1s22s2 2p6 3s2 3p2. I numeri sono i numeri dei gusci, n; le lettere si riferiscono agli stati del momento angolare e i numeri sovrascritti sono i numeri degli elettroni in quello stato per l'atomo in questione. Una versione più semplice è quella di elencare il numero di elettroni di ogni guscio, ad esempio, sempre per il silicio: 2-8-4. Altra esemplificazione, molto utilizzata nella pratica comune, consiste nell'evidenziare i gusci più esterni esprimendo i livelli energetici precedenti tramite abbreviazione che rimanda alla configurazione del gas nobile immediatamente precedente l'elemento in oggetto. Ad esempio, considerando sempre il silicio, la configurazione elettronica può essere espressa nella seguente forma contratta: [Ne] 3s2 3p2, dove [Ne] indica la configurazione elettronica del neon. UNITA’ 2 ELETTRONE L'elettrone è una particella subatomica con carica elettrica negativa di qe = 1,602 · 10−19 C(carica elementare), e una massa di −31 circa 9,10 · 10 kg (0,511 MeV/c²). L'elettrone viene comunemente rappresentato dal simbolo e−. L'antiparticella dell'elettrone è ilpositrone, che si differenzia solo per la carica elettrica positiva. Gli atomi consistono di un nucleo (formato da protoni e neutroni) circondato da elettroni. La massa dell'elettrone è circa 1/1836 di quella di neutroni e protoni. L'elettrone appartiene alla classe delle particelle subatomiche dette leptoni, che si ritiene siano componenti fondamentali della materia (ovvero non possono essere scomposte in particelle più piccole). L'elettrone ha spin semi-intero pari a 1/2, il che implica che è unfermione, ovvero, rispetta la statistica di Fermi-Dirac e il principio di esclusione di Pauli, non è quindi possibile avere più elettroni nello stesso stato. Dal 1914, gli esperimenti dei fisici Ernest Rutherford, Henry Moseley, James Franck e Gustav Hertzhanno stabilito definitivamente che l'atomo è composto da un nucleo positivo massivo di cariche positive circondato da una leggera massa di elettroni. Nel 1913, Il fisico danese Niels Bohr postula che gli elettroni risiedano in stati di energia quantizzata, con l'energia determinata dal momento angolare delle orbite degli elettroni attorno al nucleo. Gli elettroni possono muoversi tra questi stati, o orbite, in seguito all'assorbimento o all'emissione di un quanto di energia, un fotone di specifica frequenza. Questa teoria è in grado di spiegare correttamente le linee di emissione spettrale dell'idrogeno che questo forma se scaldato o attraversato da corrente elettrica. Ciò nonostante, il modello di Bohr fallisce nel predire l'intensità delle relative linee e nello spiegare la struttura dello spettro di atomi più complessi. I legami chimici tra gli atomi sono spiegati nel 1916 da Gilbert Newton Lewis, come una interazione tra gli elettroni che li costituiscono. Come è noto che le proprietà chimiche degli elementi si ripetono ciclicamente in accordo con la legge periodica, nel 1919 il chimico americano Irving Langmuir suggerisce che questo può essere spiegato se gli elettroni in un atomo sono strutturati su strati. Gli elettroni si dispongono in gruppi intorno al nucleo. Nel 1924, il fisico austriaco Wolfgang Pauli osserva che la struttura a strati di un atomo può essere spiegata da un set di quattro parametri che definiscono univocamente lo stato quantico di un elettrone, e un singolo stato non può essere occupato da più di un singolo elettrone (questa legge è nota come Principio di esclusione di Pauli). Nonostante ciò, sfuggiva il significato fisico del quarto parametro che può assumere solo due valori. Questo fu spiegato dai fisici tedeschiAbraham Goudsmith e George Uhlenbeck quando suggerirono che un elettrone, oltre al momento angolare associato alla sua orbita, possa possedere un proprio momento angolare intrinseco. Questa proprietà è nota come spin, e riesce a spiegare la misteriosa separazione delle linee spettrali osservate con la spettrografia ad alta definizione. L'elettrone, come particella subatomica, appartiene alla classe dei leptoni. In quanto particella elementare, l'elettrone ha una doppia natura: corpuscolare ed ondulatoria. L'antiparticella dell'elettrone è il positrone, di carica uguale in modulo, ma di segno opposto. Lo scopritore del positrone, Carl David Anderson propose di cambiare il nome dell'elettrone in negatrone, lasciando il termineelettrone ad indicare una generica particella di carica non specificata. L'elettrone ha una carica elettrica di −1,6021765 × 10−19 C, una massa pari a 9,11 × 10−31 kg (quest'ultimo valore corrisponde a 1/1836 della massa del protone). Il simbolo comunemente utilizzato per indicare l'elettrone è e−. La vita media dell'elettrone supera i 4,6 × 1026 anni. Secondo i postulati della meccanica quantistica, è possibile rappresentare l'elettrone per mezzo di una funzione d'onda, dalla quale è possibile dedurre anche la probabilità di trovare tale particella in un volume infinitesimo dV. Tuttavia, in base al principio di indeterminazione di Heisenberg, non è possibile determinare con esattezza laposizione e la quantità di moto di un elettrone. Il principio afferma infatti che maggiore è la precisione con la quale si rileva la posizione, minore è la precisione con la quale è possibile rilevare la quantità di moto, e viceversa. Con lo sviluppo degli acceleratori di particelle nella prima metà del ventesimo secolo, i fisici iniziarono a sondare in profondità nelle proprietà delle particelle subatomiche. Il primo tentativo riuscito di accelerare elettroni usando l'induzione magnetica fu fatto nel 1942 da Donald Kerst. Il suo primo betatrone raggiunse energie di 2.3 MeV (milioni di elettronvolt), mentre il conseguente raggio beta raggiunse i 300 MeV. Nel 1947, fu scoperta la radiazione di sincrotrone con un sincrotrone di 70 MeV della General Electric. Questa radiazione era causata dall'accelerazione di elettroni a velocità prossime a quelle della luce in un campo magnetico. Con un gruppo di particelle cariche (beam) di energia di 1.5 GeV, il primo collider ad alte enegie fu ADONE, che iniziò le operazioni nel 1968. Questa struttura accelerò elettroni e positroni in direzioni opposte, raddoppiando l'energia effettiva a disposizione, rispetto a collisioni con un bersaglio statico. Il Large Electron-Positron Collider (LEP) al CERN, che operò dal 1989 al 2000, raggiunse collisioni di 209 GeV e fece importanti misure in merito al Modello Standard dell Particelle. L'LHC, l'ultimo acceleratore del CERN, sostituirà largamente l'uso di elettroni con l'uso di adroni perché questi sono meno soggetti alla perdita di energia per radiazione di sincrotrone e quindi è maggiore il rapporto fra energia acquisita dalla particella e l'energia spesa per ottenerla. UNITA’ 3 IL LEGAME DATIVO Nei legami di tipo covalente il doppietto elettronico condiviso dai due atomi, è costituito da elettroni provenienti l'uno da un atomo e l'altro dall'altro. I due atomi coinvolti nel legame covalente devono avere pertanto ciascuno almeno un elettrone spaiato sull'ultimo livello quantico. Analizzeremo ora il caso in cui la coppia di elettroni comuni è data per intero da uno solo degli atomi partecipanti al legame, mentre l'altro mette a disposizione un orbitale vuoto. Questo tipo di legame si chiama covalente dativo, o semplicemente legame dativo. Esempi di legame dativo si trovano nella formazione degli ioni ammonio e idronio. Lo ione H+ è l'atomo di idrogeno privo dell'elettrone e presenta pertanto l’unico orbitale di cui dispone vuoto. D'altra parte, l'atomo di azoto della molecola dell'ammoniaca, NH3, presenta nell'ultimo livello quantico un doppietto elettronico che può essere utilizzato per formare un legame dativo nel modo illustrato in figura 15. Il legame dativo può essere anche indicato con una freccia diretta dal donatore all'accettore del doppietto elettronico. Una volta formatosi il legame, la carica elettrica si distribuisce sulla struttura complessiva che quindi si comporta come si trattasse di uno ione formato da un singolo atomo. In modo analogo, l'atomo di ossigeno della molecola di acqua, presenta due doppietti elettronici disponibili per la formazione di altrettanti legami dativi con lo ione H+. Quando però il primo H+ si unisce alla molecola d'acqua, lo ione idronio che si forma respinge un secondo H+ che si avvicina in quanto si tratta ora dell'interazione di due strutture elettriche dello stesso segno. Lo ione H4O++ infatti non è mai stato osservato sperimentalmente. L' atomo di ossigeno può diventare accettore di elettroni pur non presentando, in condizioni normali, orbitali vuoti. Però, uno dei due elettroni spaiati che stazionano negli orbitali di tipo p, con un piccolo apporto di energia, può passare sull'altro orbitale accoppiandosi all'elettrone già presente in esso e liberando in questo modo un orbitale da elettroni Quest'ultima struttura dell'atomo di ossigeno con un orbitale libero sull'ultimo livello energetico, è meno stabile (si ricordi la regola di Hund) di quella con gli elettroni distribuiti su tutti gli orbitali. Così facendo, però, l'atomo di ossigeno si rende disponibile per la formazione di un composto che prevede legami dativi. Il composto che si forma risulta più stabile dell'atomo isolato e alla fine il bilancio energetico appare globalmente positivo. Due esempi in cui l'atomo di ossigeno funge da accettore di doppietti elettronici sono la molecola di acido nitrico e quella di acido solforico. L'azoto presente nella molecola di acido nitroso HNO2 possiede un doppietto elettronico disponibile per un legame dativo. Se a questo si aggancia un atomo di ossigeno, si forma l'acido nitrico di formula HNO3. . Anche l'acido solforico rappresenta un esempio classico di legame dativo, anzi, nella sua molecola, si può notare la presenza di due legami di questo tipo UNITA’ 4 IL MODELLO QUANTO-MECCANICO DELL’ATOMO La teoria di Bohr (detta anche di Bohr-Sommerfeld) lasciava insoluti numerosi problemi. Nel 1924, il fisico francese L. De Broglie ipotizzò che, analogamente a quanto si era postulato per i quanti di luce o fotoni (Einstein, 1905), anche agli elettroni si può attribuire una duplice natura ondulatoria e corpuscolare. Questa ipotesi, confermata in seguito sperimentalmente, indica che a una particella di massa m (espressione della natura corpuscolare) è associabile una lunghezza d'onda λ (espressione della natura ondulatoria) secondo la relazione: dove v è la velocità della particella e h è la costante di Planck. Il fisico tedesco W. Heisenberg (1927) enunciò il principio di indeterminazione, secondo cui non è possibile conoscere contemporaneamente velocità e posizione dell'elettrone. Ciò escludeva la possibilità di attribuire all'elettrone orbite definite come quelle del modello di Bohr, ammettendo invece la possibilità di delimitare una regione di spazio intorno al nucleo dove è massima la probabilità di trovare l'elettrone. In quegli anni il fisico austriaco E. Schrödinger, approfondendo l'ipotesi di De Broglie, formulò un'espressione matematica, detta equazione d'onda di Schrödinger la cui soluzione permette di rappresentare l'elettrone come una nube di carica negativa la cui densità varia in funzione della distanza dal nucleo e della direzione presa in esame. Viene denominato orbitale atomico la regione di spazio intorno al nucleo dove è massima la probabilità di trovare l'elettrone. Gli orbitali nella teoria quanto-meccanica sono descritti per mezzo di numeri quantici n, l, m, ms di significato analogo a quelli utilizzati nella teoria di Bohr-Sommerfeld. UNITA’ 5 LA TEORIA ATOMICA DI DALTON All'inizio del 1800 lo scienziato inglese John Dalton formulò la prima teoria atomica della materia scientificamente valida. Dalton si rese conto che questa ipotesi forniva una perfetta chiave di interpretazione di tutte le fondamentali leggi della chimica a quei tempi già note (la legge di conservazione della massa, la legge delle proporzioni definite e la legge delle proporzioni multiple da lui stesso enunciata). Il termine atomo (dal greco: indivisibile) fu ripreso dal filosofo greco Democrito che per primo, nel IV sec. a.C., aveva ipotizzato che la materia fosse costituita da particelle indivisibili. Quella di Democrito era una teoria filosofica, non si basava cioè su dati oggettivi e non incontrò daltronde un grande favore. Nei secoli che seguirono, infatti, le interpretazioni più seguite furono altre e fu necessario aspettare 2000 anni perchè queste idee riprendessero piede. Dal 1800 a oggi la teoria atomica di Dalton ha avuto continue conferme e da non molti anni, attraverso l'uso di tecniche microscopiche sofisticate, è stato anche possibile ottenere immagini dirette di alcuni atomi. I punti principali della teoria atomica di Dalton possono essere così schematizzati: • • • • La materia ha una natura discontinua ed è costituita da particelle microscopiche non ulteriormnte divisibili (atomi). Gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali. Gli atomi di elementi differenti sono diversi. Nei composti e nelle reazioni chimiche non possono essere presenti che numeri interi di atomi (non ha cioè senso parlare di frazioni di atomi). Anche la teoria di Dalton tuttavia dovette ben presto essere modificata. Le nuove scoperte fatte tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 dimostrarono infatti che l'atomo è divisibile e costituito da particelle più piccole dette subatomiche. Rimane valida la seguente definizione di atomo: L'atomo è la più piccola parte di un elemento che ne mantiene le caratteristiche UNITA’ 6 LEGAME AD IDROGENO Il legame a idrogeno o ponte idrogeno è un caso particolare di interazione fra dipoli. In particolare si tratta di un legame dipolo permanente - dipolo permanente in cui è implicato un atomo di idrogenocoinvolto in un legame covalente con elementi molto elettronegativi come fluoro, ossigeno o azoto(regola FON), i quali attraggono a sé gli elettroni di valenza, acquisendo una parziale carica negativa (δ-) lasciando l'idrogeno con una parziale carica positiva (δ+). Il legame idrogeno si forma quando la relativamente forte carica positiva dell'idrogeno viene in contatto con un doppietto elettronico di un gruppo funzionale di un'altra molecola, il quale lega l'H e viene definito accettore. Il gruppo dove è legato l'H in maniera covalente viene detto donatore. Ad esempio nel radicale idrossile OH e nell'anione idrossido OH- è presente una parziale carica negativa sull'O e una equivalente positiva sull'H, e quindi tali composti si polarizzano parzialmente (dipolo permanente). Se questo gruppo ne incontra un altro polare (ad esempio un gruppo carbonile), si crea una interazione elettrostatica. La forza del legame idrogeno, che è di 20 kJ / mol a temperatura ambiente nell'acqua pura, dipende dalla permittività elettrica del mezzo; infatti, essendo un legame elettrostatico per esso vale la legge di Coulomb. Comunque è nettamente più debole del legame ionico e del legame covalente, ma è nettamente più forte delle forze di Van der Waals. Una importante osservazione è che esso è un legame su base elettrostatica ma altamente direzionale (per es. nell'acqua: ossigeno, idrogeno, doppietto elettronico, ossigeno debbono essere allineati lungo lo stesso asse per avere il legame). Rappresentazione di una α-elica composta da residui di alanina; i bastoncelli fucsia rappresentano i legami a idrogeno Il legame idrogeno è presente nell'acqua sia allo stato liquido che allo stato solido, ed è responsabile della sua relativamente alta temperatura di ebollizione (se paragonata per esempio all'H2S, che pur avendo peso molecolaremaggiore è significativamente meno polare). In particolare, se non esistessero i legami idrogeno, l'acqua bollirebbe a -100 °C. Una caratteristica peculiare del legame idrogeno è quella di mantenere le molecole interessate più distanti fra loro rispetto agli altri tipi di legame: è per questo che il ghiaccio è meno denso dell'acqua (nell'acqua, infatti, le molecole scorrono l'una sull'altra mentre il ghiaccio assume una struttura cristallina dovuta proprio ai legami idrogeno) Il legame idrogeno è presente nelle proteine (principalmente per quanto riguarda le strutture secondarie: alfa elica ebeta foglietto) e negli acidi nucleici, è una delle forze che tiene uniti i due filamenti del DNA UNITA’ 7 LEGAME COVALENTE Un legame covalente polare o apolare si viene a instaurare quando avviene una sovrapposizione degli orbitali atomici di due atomi con una differenza di elettronegatività inferiore a 1,9. Ciò avviene per una ragione ben precisa: gli atomi tendono al minor dispendio energetico possibile ottenibile con la stabilità della loro configurazione elettronica (ad esempio l'ottetto). Un tipico esempio è fornito dalla combinazione di due atomi di idrogeno, che porta alla struttura covalente: H· + ·H --> H:H Nella molecola finale, H2, i due atomi sono tenuti assieme da una coppia di elettroni (carichi negativamente) condivisi, i quali attirano a sé i rispettivi nuclei (carichi positivamente). Un legame covalente è quindi il risultato di un'interazione elettrostatica che coinvolge i nuclei. Quando la nube elettronica è distribuita simmetricamente il legame risulta non polarizzato. In questo caso si parla di legame covalente omopolare opuro. Nel caso in cui vi sia un dipolo molecolare permanente, gli elettroni saranno maggiormente attratti dall'atomo più elettronegativo ed il legame risulterà quindi polarizzato elettricamente determinando quindi uno sbilanciamento della nuvola elettronica. In questo caso si parla di legame covalente eteropolare o più semplicemente polare. Quando entrambi gli elettroni coinvolti nel legame provengono da uno solo dei due atomi, mentre l'altro fornisce un orbitale vuoto in cui allocarli, si parla di legame dativo. Un legame covalente in cui viene condivisa una sola coppia di elettroni viene detto legame monovalente (legame semplice), se vengono condivise due coppie di elettroni viene detto bivalente (doppio legame) e se le coppie condivise sono tre, si dice legame trivalente (triplo legame). Esistono anche legami tetravalenti, ampiamente studiati in chimica inorganica, e nel 2005 è stata dimostrata l'esistenza di legami quintupli in molecole stabili. Il legame monovalente si esprime con un trattino tra i simboli dei due atomi che vi sono coinvolti, nel caso del legame bivalente il trattino è doppio e triplo nel caso del legame trivalente e così via. Esempio La molecola dell'acqua è un legame covalente polare tra ossigeno ed idrogeno. Quando i due elementi si fondono in una molecola d'acqua. L'elettronegatività dell'ossigeno (3,52 ca) prevale su quella dell'idrogeno (2,11 ca) attirando verso di sè gli elettroni dei due atomi H. Se pur vero che nel legame a idrogeno la molecola dell'acqua ha un angolo di legame di 108°3', nel legame covalente la molecola tende ad essere disposta elettronicamente a 90°. La molecola dell'acqua diventa cosi un dipolo magnetico. Un altro esempio è l'acido cloridrico (HCl). UNITA’ 8 LEGAME IONICO l legame ionico è un legame chimico di natura elettrostatica che si forma quando le caratteristiche chimico-fisiche dei due atomi sono nettamente differenti, e vi è soprattutto una grande differenza di elettronegatività tra i componenti. Per convenzione si suole riconoscere un legame ionico tra due atomi quando la differenza di elettronegatività, Δχ è maggiore di 1,9. Al diminuire di tale differenza cresce il caratterecovalente di un legame. Nel legame ionico l’attrazione esercitata dal nucleo dell’atomo più elettronegativo sull’altro atomo, meno elettronegativo, è così forte che la nuvola di carica elettronica può considerarsi come spostata completamente sull’elemento più elettronegativo. L’elettrone dell’altro elemento, meno elettronegativo, viene strappato e un legame ionico è creato in seguito alla formazione di un catione e un anione. Il legame così creato è puramente elettrostatico dovuto all’attrazione reciproca (per la legge di Coulomb) dai due ioni di carica opposta. A differenza del legame covalente che si produce lungo la direzione stabilita dagli orbitali di legame, il legame ionico non è direzionale. L’attrazione tra cariche di segno opposto infatti, non si sviluppa in un'unica direzione ma agisce con ugual forza, in tutte le direzioni con simmetria sferica (a pari distanza). Esempio: il sale da cucina Uno ione Na+ risulta circondato e attratto da 6 ioni Cl- e viceversa, in una struttura detta cristallina. Anioni e cationi infatti si dispongono a turno in uno sconfinato reticolato cubico. Tale disposizione è cristallina perché macroscopicamente genera un cristallo che riflette la geometria della struttura ionica. Anche se la molecola di NaCl esiste allo stato gassoso, allo stato solido (fatto generale valido per tutti i composti ionici) “non esiste una molecola ionica”. Quando si indica un composto ionico con una formula, quindi, non si vuol con essa descrivere una struttura molecolare autonoma ma soltanto il rapporto numerico esistente nel cristallo fra ioni positivi e ioni negativi. In pratica parlare di formula molecolare è abusato, mentre resta valido parlare di formula minima. Allo stesso modo sarebbe più corretto riferirsi al peso formula piuttosto che al peso molecolare. Nel nostro caso, cloruro di sodio, la formula NaCl indica che il rapporto tra le moli di Na+ e Cl- è 1:1 Altro esempio: il cloruro di magnesio, MgCl2 indica che nel reticolato ionico gli ioni di Mg2+ e Cl- sono presenti nel rapporto di 1:2. Numero di coordinazione In un legame ionico, il numero di ioni che circondano il catione che ha carica n+ è detto ’’numero di coordinazione’’ dello ione An+ Se si considerano ioni come sfere rigide, calcolare i numeri di coordinazione più probabili è possibile grazie al rapporto tra i raggi r+/r-. Nello schema che segue vi sono i tipi più comuni di coordinazione con la simmetria spaziale formata dalle particelle, in funzione al suddetto rapporto raggiocatione/raggio-anione. Si osservi che tale rapporto è sempre minore di 1, essendo il catione di un atomo sempre minore dell’anione corrispondente. Si deve tenere presente che la geometria trigonale è solo planaere (cioè i 3 anioni e il catione centrale sono complanari). RAPPORTO r+ / r- NUMERO COORDINAZIONE GEOMETRIA >0,155 3 trigonale >0,225 4 tetraedrica >0,414 6 ottaedrica >0,732 8 cubica Energie in gioco Il legame ionico è tipico dei legami tra metalli e non metalli e si realizza con maggiore probabilità quando un atomo a bassa energia di ionizzazione si combina con un atomo ad alta affinità elettronica. Energia di Madelung Nel reticolo cristallino vi sono forze, quindi energie, di attrazione e repulsione. Ogni catione attrae a sè ed è attratto dagli anioni. L'energia di attrazione è negativa ed è calcolata con l'energia di Coulomb che varia per ogni coppia ione-anione in base a distanza, disposizione geometrica e numero di coordinazione. Analogamente tra ioni di segno uguale viene a crearsi una repulsione elettrica. Anche per essa il valore varia a seconda di distanza, geometria ionica e numero di coordinazione. L'Energia di Madelung tiene conto di tutte le iterazioni tra ioni. Essa è basata appunto sull'energia di Coulomb L'energia di Madelung è quindi una sommatoria di tutte le energie possibili. Fissato uno ione campione, si calcolano tutte le energie possibili ad esso legate. Ogni addendo varia dall'altro per la distanza di legame, che per comodità esprimiamo in funzione della distanza iniziale r0 e per un fattore moltiplicativo che dice il numero di ioni coinvolti in quel processo energetico (a parte lo ione campione stesso. Per capire ecco un esempio che inizia a calcolare l'energia in un cristallo di salgemma. Fissato con R0 la prima distanza calcolata, le seguenti sono La sommatoria è negativi(attrazione) una e sequenza di addendi positivi(repulsione), alternativamente di entità decrescente. Se consideriamo solo il numero degli ioni coinvolti e il fattore motliplicativo che esprime il raggio dell'interazione in funzione del primo raggio calcolato, R0 si ha una somma che converge a un valore, detto costante di Madelung, caratteristico proprio per geometria e coordinazione del cristallo ionico. Cristalli e solidi ionici I solidi ionici sono caratterizzati da forti legami di tipo ionico. Il solido ionico ha una struttura cristallina dalla geometria precisa che dipende dalle distanze di legame e dal numero di coordinazione. I nodi reticolari sono occupati da ioni positivi o negativi tra i quali viene esercitata la forza di Coulomb, si generano così dei legami ionici direzionali. I legami covalenti polari si dovrebbero considerare come ibridi con variabile carattere di legame covalente e ionico, con una tipologia di legame che può essere più o meno predominante sull'altra. D'altro canto molti legami ritenuti per semplicità ionici presentano una certa componente covalente. UNITA’ 9 MODELLO DI BHOR Il modello atomico proposto da Niels Bohr nel 1913 è la più famosa applicazione della quantizzazione dell'energia, che, insieme all'equazione di Schrödinger e alle spiegazioni teoriche sulla radiazione di corpo nero, sull'effetto fotoelettrico e sullo scattering Compton sono la base dellameccanica quantistica. Il modello, proposto per l'atomo di idrogeno, ottenne degli eccellenti risultati, coincidenti, entro il margine degli errori, con lo spettrosperimentale. All'inizio del XX secolo lo studio dell'atomo aveva raggiunto un buon grado di conoscenza. Erano noti, infatti, moltissimi spettri di emissione diluce proveniente dagli atomi: ovvero delle linee discrete e ben distinte poste a differenti frequenze. Una delle prime osservazioni interessanti avvenne nel 1884 quando Johann Balmer, insegnante svizzero, osservò che alcune righe dello spettro di emissione dell'idrogeno potevano essere calcolate utilizzando la formula: Balmer suppose che tale formula fosse, in realtà, un caso particolare di una legge più generale, che venne trovata da Johannes Rydberg eWalter Ritz e nota come legge di Rydberg-Ritz: con n1>n2 ed R la costante di Rydberg. Con questa legge fu possibile completare lo spettro osservato da Balmer e si riescono ad ottenere anche le serie di Lyman (n2=1) e Paschen(n2=3). Furono fatti numerosi tentativi per spiegare teoricamente tali osservazioni sperimentali, ma il meglio che si riuscì a realizzare fu il modello di Thomson, lo scopritore dell'elettrone, che suppose che l'atomo fosse un corpo compatto contenente al suo interno sia la carica positiva, che quella negativa. Tale modello aveva, però, una pecca: poiché si basava solo sulla presenza delle forze elettriche, non era in grado di spiegare come mai il sistema fosse all'equilibrio, né Thomson riuscì mai a determinare una frequenza tra quelle osservate. Nel 1911, Hans Geiger e Ernest Marsden, sotto la supervisione di Ernest Rutherford, realizzarono un esperimento importantissimo per la comprensione della struttura dell'atomo: bombardando una sottile lamina d'oro con particelle alfa, notarono che, mentre la maggior parte di esse subiva deviazioni minime dalla traiettoria iniziale, altre venivano deviate in misura considerevole, se non addirittura respinte dalla lamina. Nell'interpretare questo esperimento, Rutherford stabilì che l'atomo fosse composto da un centro massivo (il nucleo) circondato da cariche negative. Il modello di atomo proposto da Rutherford soffriva, però, di una instabilità elettromagnetica e di una instabilità meccanica: poiché l'elettrone, nel suo moto intorno al nucleo positivo, è sottoposto a un'accelerazione, esso irraggia energia elettromagnetica della stessafrequenza del suo moto di rivoluzione, finendo così per cadere sul nucleo con un moto a spirale. Nel caso di atomi più pesanti, attorno ai quali ruotino più elettroni, questi ultimi sono soggetti a una repulsione elettrostatica che rende inoltre meccanicamente instabili le loro orbite, cosicché, a prescindere dall'irraggiamento, una qualsiasi perturbazione esterna è sufficiente a scompaginare gli atomi. Fu Niels Bohr a risolvere le difficoltà del modello di Rutherford, spiegando anche lo spettro di emissione dell'atomo di idrogeno. Il modello di Bohr Bohr, che a quel tempo lavorava con Rutherford, propose un modello che, applicando all'atomo di Rutherford la quantizzazione dell'energia introdotta da Planck, riuscì a giustificare lo spettro dell'idrogeno. Bohr risolse queste difficoltà sulla base di tre postulati: primo postulato di Bohr: un elettrone può muoversi soltanto su alcune determinate orbite non-radiative, dette stati stazionari; Il secondo postulato di Bohr L'atomo irraggia energia solamente quando, per un qualche motivo, un elettrone effettua una transizione da uno stato stazionario ad un altro. La frequenza della radiazione è legata all'energia del livello di partenza e di quello di arrivo dalla relazione: dove h è la costante di Planck, mentre Ei ed Ef sono le energie dell'orbita iniziale e finale (secondo la teoria classica, invece, la frequenza della radiazione emessa avrebbe dovuto essere uguale a quella del moto periodico della particella carica). L'energia che l'atomo scambia con il campo elettromagnetico soddisfa dunque sia il principio della conservazione dell'energia, sia la relazione tra l'energia e la frequenza introdotta da Planck. Notiamo, però, che nel suo lavoro Bohr non chiama in causa i quanti di luce di Einstein, dei quali sarà un deciso oppositore fino al 1924. Il terzo postulato di Bohr Nel modello semplice di Bohr, la carica del nucleo è +Ze, la carica dell'elettrone è e e l'energia potenziale a distanza r è: dove k è la costante di Coulomb. L'energia totale di un elettrone che si muove su un'orbita circolare con velocità v è quindi: Per ottenere il valore della velocità, e quindi quello dell'energia cinetica, basta eguagliare la relazione F = ma, dove per l'accelerazione si utilizza l'espressione per quella centripeta (a = v2/r), con l'attrazione coulombiana: e quindi l'energia cinetica risulta essere pari alla metà del valore assoluto dell'energia potenziale. L'energia totale risulta quindi essere pari a: Sostituendo questa nella legge matematica del secondo postulato di Bohr, si ottiene un'espressione per le frequenze in funzione delle distanze finale ed iniziale dei livelli interessati dalla transizione: Questa equazione deve essere consistente con la formula di RydberghRitz, sapendo che ν = c/λ, con c velocità della luce. I raggi delle orbite stabili, quindi, dovevano essere proporzionali ai quadrati di numeri interi. Una simile legge di proporzionalità poteva essere ottenuta ipotizzando che il momento angolare dell'elettrone in un'orbita stabile fosse pari a: Questo è il terzo postulato di Bohr, che, in pratica, quantizza il momento della quantità di moto della particella. Raggio di Bohr ed energia fondamentale A questo punto è abbastanza semplice determinare il raggio dell'orbita, combinando quest'ultima con la relazione tra energia cinetica e potenziale: dove è il raggio di Bohr del livello fondamentale dell'atomo di idrogeno. Inoltre, Bohr riuscì a calcolare anche il valore della R costante di Rydberg: che utilizzando i valori allora noti per le costanti, è in accordo con il valore ottenuto dalla spettroscopia. Infine si possono scrivere tutti i valori possibili dell'energia di un elettrone in un atomo, scritti in funzione dell'energia fondamentale dell'atomo di idrogeno: con che risulta di circa 13,6 eV. Questo vuol dire che, per estrarre un elettrone nello stato fondamentale dell'idrogeno, bisogna fornire al sistema un'energia pari a 13,6 eV. Tenendo conto del fatto che la massa del nucleo non è infinita (nel caso dell'idrogeno è circa duemila volte la massa dell'elettrone) e che quindi il nucleo stesso ruota intorno al centro di massa dell'atomo, si introduce una lieve dipendenza della costante di Rydberg dalla massa del nucleo, migliorando così l'accordo con i dati sperimentali. UNITA’ 10 ORBITALE In meccanica quantistica ed in chimica quantistica è necessario generalizzare il concetto classico di orbita per renderlo compatibile col principio di indeterminazione di Heisenberg. Infatti la meccanica quantistica prevede che non sia possibile associare contemporaneamente ad una particella una posizione ed una quantità di moto ben definita. Il concetto di orbita di un elettrone è sostituito da quello di orbitale, ossia la parte dello spazio entro la quale è massima la probabilità di trovare una particella. In questo contesto non ha senso studiare la traiettoria seguita da un corpo ma se ne studiano gli autostati. Formalmente un orbitale è definito come laproiezione della funzione d'onda sulla base della posizione. Questa nomenclatura è stata introdotta dopo il modello atomico proposto da Niels Bohr e l'esperimento di Rutherford. L'emissione di una radiazione durante la rotazione degli elettroni intorno al nucleo portava alla conseguenza teorica per la quale l'elettrone avrebbe dovuto perdere gradualmente energia fino a collassare sul nucleo con un movimento a spirale, fenomeno che in realtà non si osserva sperimentalmente. Inizialmente si postulò l'esistenza di un'infinità discreta, di un numero finito di orbite possibile, senza che vi fosse un modello fisico, in grado di giustificare questo assunto. Bohr fornì una spiegazione in base al dualismo onda-particella: due onde in fase si sommano, mentre due onde in opposizione di fase si annullano. I movimenti di elettroni lungo orbite fuori fase, cresta d'onda contro ventre, sarebbero distrutti dal fenomeno dell'interferenza. Per cui, possono avere luogo solo movimenti a lunghezza d'onda in fase, che definiscono gli orbitali, e, per essere in fase, sono multipli interi di un valore base, lacostante di Planck. In chimica si distingue, in generale, tra orbitale atomico ed orbitale molecolare ma in fisica il concetto di orbitale viene usato per descrivere un qualsiasi insieme di autostati di un sistema. Solitamente in chimica, per favorirne la visualizzazione, un orbitale atomico viene approssimato con quella regione di spazio attorno al nucleoatomico in cui la probabilità di trovare un elettrone è massima (massima densità di probabilità) ed è delimitata da una superficie sulla quale il modulo dell'ampiezza della funzione d'onda è costante (generalmente normalizzata a uno). La forma di un orbitale s e di uno dei tre orbitali p. Al centro degli assi si trova il nucleo. L'asse z è perpendicolare al piano di lettura In altre parole, una regione di spazio attorno ad un nucleo atomico in cui la probabilità di trovarvi un elettrone è massima (di solito superiore ad un limite convenzionalmente fissato nel 90%) è usata per rappresentare graficamente unorbitale atomico di quell'elettrone. Visivamente, tale orbitale può essere meglio rappresentato mediante una nuvola la cui intensità del colore è proporzionale alla densità di probabilità di trovare l'elettrone in quel punto e con forme tali dal comprendere il 90% della probabilità elettronica. Quest'ultima, in ogni punto dello spazio attorno al nucleo, è pari al quadrato delmodulo della funzione d'onda dell'elettrone nel punto stesso. Considerando il campo coulombiano di simmetria sferica, moltiplicando il quadrato della funzione d'onda ψ2 per il volume elementare dτ, uguale in questo caso a 4πr2dr, è possibile calcolare la probabilità che ha un elettrone di trovarsi in uno spazio sferico definito dallo spessore dr della sfera di raggio r. In particolare, usando la forma Pdr, risulta P = 4πr2ψ2 e questo valore di P viene definito funzione di distribuzione radiale. Il numero e l'estensione degli orbitali atomici è deducibile dalla soluzione dell'equazione di Schrödinger per un elettrone confinato nella buca delpotenziale elettrico generato dal nucleo ed è correlato ai numeri quantici che identificano il livello energetico in cui si trova l'elettrone stesso. Il numero quantico principale n, che può assumere valori interi non inferiori a 1, definisce il livello dell'energia (autovalore dell'equazione diSchrödinger), l'estensione dell'orbitale ed il numero totale di nodi, considerando come nodo anche una superficie sferica a distanza infinita dal nucleo; Il numero quantico azimutale (o numero quantico angolare) l, che può assumere valori interi positivi compresi tra 0 ed n-1, a cui è legato il numero di nodi non sferici e, indirettamente, la simmetria dell'orbitale; Il numero quantico magnetico ml, che può assumere valori interi compresi tra +l e -l, a cui sono legati il tipo di nodo - planare o conico - la sua orientazione nello spazio e la molteplicità degli orbitali. In base al principio di esclusione di Pauli, ogni orbitale può contenere al massimo due elettroni, dato che essi sono fermioni. Gli orbitali vengono riempiti partendo da quelli ad energia minima (stato fondamentale) e riempiendo, via via, quelli ad energia superiore; se sono presenti degli orbitali degeneri (ovvero più autostati per un unico autovalore, come ad esempio i tre orbitali p) gli elettroni si distribuiscono preferenzialmente in modo da occuparne il maggior numero. La disposizione degli elettroni negli orbitali atomici costituisce la configurazione elettronica di un atomo, dalla quale dipendono la reattività, lavalenza e la geometria delle molecole che questi va a comporre. s (l=0) p (l=1) n=1 d (l=2) m=0 m=0 m=±1 s pz px py f (l=3) m=0 m=±1 dz2 dxz m=±2 dyz dxy m=0 m=±1 dx2-y2 fz3 fxz2 fyz2 n=2 n=3 n=4 n=5 n=6 n=7 ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... Esempi idrogeno: 1 elettrone nell'orbitale 1s -> 1s1 con un elettrone spaiato, è in grado di formare un legame semplice con gli altri atomi elio: 2 elettroni nell'orbitale 1s -> 1s2 non ha elettroni spaiati, non è in grado di formare legami con gli altri atomi azoto: 2 elettroni nell'orbitale 1s, 2 nel 2s, 3 nel 2p -> 1s2 2s2 2p3 con tre elettroni spaiati - uno in ogni orbitale 2p - è in grado di formare tre legami (ammoniaca: NH3) ossigeno: 2 elettroni nell'orbitale 1s, 2 nel 2s, 4 nel 2p -> 1s2 2s2 2p4 con due elettroni spaiati - un orbitale 2p ne alloca due, gli altri due uno ciascuno - è in grado di formare due legami (acqua: H2O). Il modello, però, costruito così semplicemente, non è perfettamente compatibile con i dati sperimentali. Se, ad esempio, l'azoto lega tre atomi a sé tramite i suoi orbitali p, allora l'ammoniaca dovrebbe avere i suoi legami a 90° di distanza l'uno dall'altro. Sappiamo, dai dati sperimentali, che non è così; l'angolo formato da due legami N-H è di circa 107°. Il carbonio ha la seguente struttura: 1s2 2s2 2p2 - due elettroni spaiati negli orbitali p; però l'unico composto del carbonio in cui questi scambia due legami è l'ossido di carbonio, C=O: in tutti gli altri suoi composti il carbonio forma con gli atomi vicini quattro legami. Orbitali atomici ibridi Gli orbitali atomici convenzionali vengono ottenuti risolvendo l'equazione di Schrödinger per sistemi idrogenoidi (ovvero un nucleo carico positivamente attorno al quale orbita un unico elettrone). Questi formano una base completa per descrivere tutti gli stati del sistema. Tuttavia, quando ci sono due o più elettroni che interagiscono fra di loro, questi orbitali non sono più autostati del sistema. Invece che definire un nuovo insieme di orbitali, per ogni possibile numero di elettroni attorno al nucleo, si preferisce, solitamente, descrivere tutti i sistemi comecombinazione lineare degli orbitali, ottenuti per atomi idrogenoidi. In chimica queste combinazioni vengono solitamente chiamate orbitali ibridi. due orbitali ibridi sp allineati lungo l'asse s + p → dell'orbitale p originario che puntano in direzioni opposte, quindi con un angolo di 180° fra loro tre orbitali ibridi sp2 che giacciono sul piano formato dai due s + 2 p → orbitali p di partenza e puntano ai tre vertici di un triangolo equilatero, quindi con un angolo di 120° fra loro quattro orbitali ibridi sp3 che puntano ai quattro vertici di un s+3p→ tetraedro, quindi con un angolo di 109,5° fra loro Forma degli orbitali sp2 del carbonio. Forma degli orbitali sp3 del carbonio. L'ibridazione porta ad avere un gruppo di orbitali degeneri in cui gli elettroni andranno a distribuirsi occupandone il più possibile; prendiamo l'esempio del carbonio, la cui configurazione elettronicastabile è: 1s2 2s2 2p2 E diventa, in ibridazione sp3: 1s2 2(sp3)4 In questa configurazione ibrida, il carbonio presenta quattro elettroni spaiati, ognuno in un orbitale sp3, configurazione che spiega i quattro legami formati dal carbonio nei suoi composti e la geometria tetraedrica delle molecole in cui compare (vedi alcani). Invece, in ibridazione sp2, (vedi alcheni): solo due orbitali p vengono ibridati 1s2 2(sp2)3 2p1 Analogamente, in ibridazione sp, solo un orbitale p viene ibridato (vedi alchini): 1s2 2(sp)2 2p2 Similmente all'ibridazione sp3 del carbonio, la configurazione elettronica dell'azoto cambia in questo modo: 1s2 2s2 2p3 → 1s2 2(sp3)5 Allocare cinque elettroni in quattro orbitali sp3 significa avere un orbitale completo di due elettroni e tre orbitali contenenti un elettrone spaiato. Questo spiega non solo i tre legami che l'azoto forma nei suoi composti, ma anche l'angolo di 107° tra due legami - l'orbitale che ospita i due elettroni tende a comprimere gli altri tre, distorcendo la regolare geometria del tetraedro. I due elettroni allocati nell'orbitale non coinvolto nel legame possono essere però impiegati per formare un legame dativo, tale comportamento è alla base del comportamento basico dell'ammoniaca e delle ammine. Ultimo esempio è l'ossigeno, la cui configurazione elettronica cambia in questo modo: 1s2 2s2 2p4 → 1s2 2(sp3)6 Allocare sei elettroni in quattro orbitali sp3 significa avere due orbitali completi di due elettroni ciascuno e due orbitali contenenti un elettrone spaiato. Questo spiega i due legami che l'ossigeno forma nei suoi composti ed anche l'angolo di 105° tra i due legami, tipico della molecolad'acqua - i due orbitali completi non impegnati nei legami tendono a comprimere gli altri due, distorcendo la regolare geometria del tetraedro in misura ancora maggiore a quanto visto nell'esempio precedente. L'ibridazione è un processo che richiede energia, dato che gli orbitali p si trovano ad un livello energetico leggermente superiore a quello dei corrispondenti orbitali s, tuttavia questa energia è ampiamente compensata dalla maggiore stabilità dei legami che l'atomo ibridato è in grado di formare. Le ibridazioni tra orbitali s e p non sono le uniche esistenti. Gli elementi di transizione possono formare ibridi più complessi (es. d2sp3), tipici dei composti di coordinazione. Orbitali molecolari Un orbitale molecolare è un orbitale esteso a due o più atomi uniti da un legame covalente. Si può visualizzarlo come il prodotto della fusione per sovrapposizione di due orbitali atomici. Quando la sovrapposizione avviene lungo la congiungente i due nuclei, l'orbitale molecolare prende il nome di σ (sigma); quando la sovrapposizione avviene perpendicolarmente all'asse che unisce i due nuclei, ovvero sopra e sotto i medesimi, l'orbitale molecolare prende il nome di π (pi greco). Rappresentazione grafica dell'orbitale molecolare σ del legame C-C dell'etano, per sovrapposizione di orbitali sp3. Le proporzioni sono state alterate per evidenziarlo. I lobi minori dei due orbitali ibridi sono stati omessi Rappresentazione grafica dell'orbitale molecolare π del legame C=C dell'etene, per sovrapposizione degli orbitali p non coinvolti nell'ibridazione sp2. Le proporzioni sono state alterate per evidenziarlo. Il legame C-C rappresentato da una retta è un legame σ analogo al precedente. Una funzione d'onda che vada a descrivere il moto di un elettrone attorno a più nuclei in presenza di altri elettroni risulta estremamente complessa, una possibilità di trattare gli orbitali molecolari è l'approssimarli facendo ricorso ad una combinazione lineare degli orbitali atomicida cui essi derivano per sovrapposizione (metodo LCAO, da linear combination of atomic orbitals). Secondo il metodo LCAO, la sovrapposizione di due orbitali atomici produce due orbitali molecolari, uno a bassa energia, detto legante, che corrisponde alla somma delle funzioni d'onda dei due orbitali; uno ad alta energia, detto antilegante, che corrisponde alla sottrazione delle funzioni d'onda dei due orbitali. Gli orbitali non leganti invece non risultano il frutto di alcuna sovrapposizione (i non leganti puri), sono ininfluenti riguardo alla stabilità energetica della struttura molecolare ma influiscono sulla reattività chimica. La sovrapposizione di n orbitali atomici in legami delocalizzati, come nel caso dei composti aromatici o dei dieni coniugati, produce altrettanti norbitali molecolari a energie diverse. Applichiamo a titolo di esempio il metodo LCAO per ottenere gli orbitali molecolari di una struttura relativamente semplice, quale quella delfluoruro di idrogeno (simbolo chimico HF). Innanzi tutto occorre avere presente le configurazioni elettroniche degli atomi che compongono la molecola: per l'idrogeno (H): 1s1 per il fluoro (F): 1s2 2s2 2p2x 2p2y 2p1z Adesso analizziamo le combinazioni lineari possibili, ovvero le combinazioni di due diversi orbitali aventi energia comparabile e medesima orientazione spaziale (da notare come risulti utile esprimere le simmetrie lungo i tre assi cartesiani indicandole a pedice degli orbitali orientabili): risulta sovrapponibile solamente l'orbitale 1s dell'idrogeno con gli orbitali 2s e 2px (con x asse internucleare di legame) del fluoro. Ciò significa determinare, tramite l'equazione di Schrödinger, i valori fisicamente accettabili della seguente funzione d'onda: ψ = c1φ1s(H) + c2φ2s(F) + c3φ2px(F) valori che identificano tre orbitali molecolari di tipo σ. Inoltre, gli orbitali 2py e 2pz del fluoro restano inalterati in quanto manifestano simmetria π e non esistono orbitali dell'idrogeno che possano combinarsi con questi; essi origineranno un orbitale molecolare non legante π. In definitiva otto elettroni totali (1 di H + 7 di F) assumono per la molecola HF la configurazione 1σ2 2σ2 1π4, con 1σ orbitale molecolare legante, 2σ orbitale essenzialmente non legante e l'orbitale 1π non legante puro. Esiste anche un orbitale molecolare 3σ vuoto e di tipo antilegante. Dividendo per due il risultato della differenza tra gli elettroni contenuti negli orbitali leganti e quelli contenuti negli antileganti, si ottiene l'ordine di legame che in questo caso vale uno. UNITA’ 11 REGOLA DELL’OTTETTO La regola dell'ottetto è una regola empirica introdotta da Gilbert Newton Lewis per spiegare in modo approssimato la formazione di legami chimici tra gli atomi, usabile a rigore solo per gli atomi dei gruppi principali (quelli con numerazione romana) della tavola periodica.Ciò spiega la condizione particolare di stabilità di un atomo, ossia quando questo possiede il livello elettronico esterno completo, ma considerato il fatto che il primo livello può contenere al massimo due elettroni sarebbe meglio parlare di "regola dell'ottetto-duetto". Tutti gli elementi tendono ad avere una configurazione elettronica stabile (s2 p6), ovvero a divenire non reattivi o comunque poco reattivi. Gli elementi dei primi gruppi della tavola periodica perdono elettroni attraverso un processo denominato ionizzazione assumendo in tal modo la struttura elettronica del gas nobile che li precede; gli elementi del VI e VII gruppo tendono invece ad acquistare elettroni liberando energia dettaaffinità elettronica e raggiungendo la struttura elettronica del gas nobile che segue. Un'importante eccezione è costituita da idrogeno ed elio che, possedendo solamente un orbitale s, raggiungono una configurazione completa con due elettroni. Un'altra eccezione è rappresentata dai metalli di transizione, nel cui guscio di valenza possono essere ospitati fino a 18 elettroni e si dice che hanno ottetto espanso. Gli elementi a partire dal terzo periodo, analogamente ai metalli di transizione, possono sfruttare gli orbitali d espandendo anche loro l'ottetto (ad esempio PCl5 e SCl6). Dalla regola dell'ottetto segue che i gas nobili non formano legami, anche se in condizioni particolari è stato possibile ottenere composti di gas nobili (soprattutto di Xeno), in particolare ossidi, fluoruri e clatrati. UNITA’ 12 RELAZIONE TRA VOLUME PRESSIONE E TEMPERATURA NEI GAS Un gas è un aeriforme caratterizzato da una temperatura critica inferiore alla temperatura ambiente; gli aeriformi per cui ciò non avviene si trovano nello stato di vapore. In pratica, un gas può anche essere definito come un aeriforme non condensabile a temperatura ambiente. Inoltre, per estensione, tutti gli aeriformi che si trovano ad una temperatura superiore a quella critica vengono detti gas: un esempio è dato dal vapore d'acqua, caratterizzato da una temperatura critica superiore a quella ambiente (374 °C), viene definito come "gas d'acqua" solo quando viene portato a superare questa temperatura (temperatura critica). Il gas, come tutti gli aeriformi, rappresenta lo stato della materia in cui le forze interatomiche e intermolecolari tra le singole particelle di una sostanza sono così piccole che non c'è più un'effettivacoesione tra di esse. Gli atomi o le molecole del gas sono liberi di muoversi assumendo ciascuno una certa velocità: le particelle atomiche o molecolari del gas quindi interagiscono urtandosi continuamente l'un l'altra. Per questo un gas non ha un volume definito ma tende ad occupare tutto lo spazio a sua disposizione, e assume la forma del contenitore che lo contiene, riempiendolo completamente. Un altro vincolo che può limitare il volume di un gas è un campo gravitazionale, come nel caso dell'atmosfera terrestre. Nel linguaggio corrente si dice comunque che una data sostanza "è un gas" quando la sua temperatura di ebollizione è molto al di sotto della temperatura ambiente, cioè quando si trova normalmente allo stato di gas sulla Terra. Per esempio è normale dire che "il metano è un gas mentre il ferro non lo è", sebbene il metano possa benissimo trovarsi allo stato liquido (raffreddato al di sotto di -161 °C) e il ferro allo stato gassoso (riscaldato oltre i 2750 °C). Un gas può essere approssimato ad un gas ideale quando si trova ad una temperatura "molto maggiore" della sua temperatura critica, ossia che T > > Tcr e convenzionalmente si intende che i due termini devono differire di almeno un ordine di grandezza). Ciò equivale a chiedere che . La temperatura critica si colloca sul punto di massimo della curva del liquido-vapore (a forma di campana). All'interno della campana, il fluido cambia di fase, mentre al di sopra resta allo stato gassoso qualunque sia la pressione cui è sottoposto. Imponendo che T > > Tcr[, la curva del liquido-vapore può non essere rappresentata nel diagramma di Andrews (diagramma pressione-volume), non è visibile se si adotta una scala normale. Etimologia e storia del termine gas Il termine "gas" fu coniato da un chimico fiammingo belga Jean Baptiste van Helmont nel 1630. Sembra derivi, come spiegò Leo Meyer, dalla trascrizione della sua pronuncia della parola greca Χαος (caos) che lui fece diventare geist; ma Weigand e Scheler interprerarono l'origine etimologica dal tedesco gascht (fermentazione): quindi sarebbe, secondo loro, inizialmente usata dal chimico van Helmont per indicare la fermentazione vinosa. Comunque, tralasciando l'etimologia, sappiamo per certo che il chimico di Bruxelles van Helmont all'età di 63 anni fu il primo a postulare l'esistenza di sostanze distinte nell'aria che così chiamò nei suoi saggi pubblicati dal figlio Mercurio van Helmont. Pochi anni dopo l'irlandese chimico Robert Boyle enunciò che l'aria era costituita da atomi e da vuoto e solo dopo 140 anni le affermazioni di Boyle e di van Helmont si dimostreranno vere. I gas perfetti In fisica e in termodinamica si usa generalmente l'approssimazione detta dei gas perfetti: il gas cioè viene considerato costituito da atomi puntiformi, che si muovono liberi da forze di attrazione o repulsione fra loro e le pareti del contenitore: questa approssimazione conduce a formulare la legge nota come equazione di stato dei gas perfetti, che descrive, in condizioni di equilibrio termodinamico, la relazione fra pressione, volume e temperatura del gas: dove P è la pressione, V il volume occupato dal gas, n il numero di moli del gas, R la costante universale dei gas perfetti e T è la temperatura. Per esempio, una mole di gas perfetto occupa 22,4 litri a temperatura di 0 °C e pressione di 1 atmosfera. Da questa legge ne discendono poi altre due: La legge di Boyle Per una certa massa di gas a temperatura costante, il prodotto del volume del gas V per la sua pressione P è costante. Cioè per una certa massa di gas a temperatura costante, le pressioni sono inversamente proporzionali ai volumi. La figura geometrica che ha per equazione l'espressione è una iperbole equilatera. La legge di Boyle è una legge limite vale cioè con buona approssimazione ma non in modo assoluto per tutti i gas. Un gas perfetto o gas ideale che segua perfettamente la legge di Boyle non esiste. Le deviazioni dal comportamento dei gas reali sono assai piccole per un gas che si trovi a bassa pressione e ad una temperatura lontana da quella di liquefazione. La trasformazione isoterma è quindi una variazione del volume e della pressione mantenendo costante la temperatura. La prima legge di Gay Lussac Un gas perfetto che alla temperatura di 0 °C occupa un volume V° e che viene riscaldato mantenendo costante la pressione occupa alla temperatura t un volume Vt espresso dalla legge in cui V0 è il volume occupato dal gas a 0 °C e α0 è pari a 1/273,15. La temperatura è espressa in gradi Celsius. La trasformazione isobara è una variazione del volume e della temperatura a pressione costante. In un diagramma pressione-volume è rappresentata da un segmento parallelo all'asse dei volumi. Quindi la variazione di volume che subisce un gas per la variazione di temperatura di ogni grado centigrado ammonta a 1/273 del volume che il gas occupa a 0 centigradi. La seconda legge di Gay Lussac La relazione che intercorre tra pressione-volume e quella tra temperatura e volume, permette di ricavare la relazione tra la pressione di un gas e la temperatura quando si operi a volume costante. Un gas perfetto che alla temperatura di 0 °C ha una pressione p° e che viene scaldato mantenendo costante il volume si trova, alla temperatura t,a una pressione pt espressa dalla legge: La trasformazione isocora è una variazione della pressione e della temperatura che avviene mantenendo costante il volume. Oltre alle leggi summenzionate, per i gas perfetti vale anche la legge di Avogadro: a pari condizioni di temperatura e pressione, se due gas occupano lo stesso volume allora hanno lo stesso numero di molecole. I gas reali Un tentativo di produrre un'equazione che descriva il comportamento dei gas in modo più realistico è rappresentato dall'equazione dei gas reali. Le correzioni apportate all'equazione dei gas perfetti sono due: si tiene conto del volume proprio delle molecole, che non sono quindi più considerate puntiformi, e si considerano le interazioni tra molecole che venivano trascurate nel caso dei gas perfetti. La prima correzione ha l'effetto di rendere non indefinitamente comprimibile il gas; il suo riscontro empirico è la liquefazione cui vanno soggetti i gas reali se compressi (e raffreddati) a sufficienza. L'altra correzione fa sì che i gas reali non si espandano infinitamente ma arrivino ad un punto in cui non possono occupare più volume (questo perché tra gli atomi si stabilisce una forza molto piccola, dovuta alla variazione casuale delle cariche elettrostatiche nelle singole molecole, chiamata Forza di van der Waals). Per questo la legge dei gas perfetti non fornisce risultati accurati nel caso di gas reali, soprattutto in condizioni di bassa temperatura e/o alta pressione, mentre diventa più precisa in caso di gas rarefatti, ad alta temperatura e a bassa pressione, cioè quando forze intermolecolari e volume molecolare diventano trascurabili. L'equazione dei gas reali si può ricostruire tenendo quindi conto del fatto che il volume a disposizione del gas sarà (V - nb), dove b è il volume occupato da una mole di particelle e n è il numero di moli di gas considerate, e la pressione sarà invece corretta di un fattore a/V2 che tiene conto delle forze di attrazione fra atomi. Dunque l'equazione, detta anche equazione di Van der Waals, risulta: Questa equazione non è valida in ogni caso, ma solo in particolari condizioni, ma è molto importante in quanto si può identificare all'interno di essa un significato fisico. Un'equazione che invece ci da un'esatta visione dello stato del gas reale è l'equazione del viriale (di cui si parla più specificamente alla parola Equazione di stato). Troviamo dei coefficienti che hanno solo significato matematico e che si trovano tabulati per ogni sostanza gassosa quali a,b,c,.... UNITA’ 13 CONNESSIONE TRA CARATTERI QUALITATIVI La teoria della connessione studia la dipendenza tra le mutabili, cioè la dipendenza tra caratteri statistici qualitativi. Due caratteri sono indipendenti se non esiste alcuna relazione tra essi. Se due caratteri qualitativi non sono dipendenti allora sono connessi. Le tabelle, a doppia entrata, in cui vengono rappresentate le frequenze di due caratteri vengono dette tabelle di connessione. L'indipendenza tra due caratteri si ottiene quando tutte le frequenze congiunte soddisfano la relazione In una tabella di connessione si chiama contingenza cij di una casella la differenza tra la frequenza osservata nij e quella teorica in caso di indipendenza Nij : cij = nij - Ni Una contingenza positiva indica che quella particolare associazione fra modalità dei due caratteri si è presentata più spesso che in caso di indipendenza. L'indice di contingenza chi-quadro di Person permette di ottenere una misura della connessione tra i caratteri: Questo indice permette di verificare la dipendenza o l'indipendenza di due caratteri statistici: l'ipotesi nulla(H0) di indipendenza al livello di significatività H0 :i caratteri sono indipendenti contro l'ipotesi alternativa H1 :i caratteri sono dipendenti. UNITA’ 14 DISTRIBUZIONE DI GAUSS La gaussiana (curva di Gauss) è un concetto matematico abbastanza avanzato, ma che ha notevoli implicazioni con il mondo reale. Molte persone ritengono la matematica arida e finiscono per odiarla ("non sono portato per i numeri"). Questa posizione può essere senz'altro giustificata da un insegnamento troppo nozionistico della materia, insegnamento che fa danni notevoli perché si riscontra che chi ha scarso spirito matematico ben difficilmente comprende a fondo la realtà. Per spirito matematico non s'intende la conoscenza delle scienze matematiche, ma la comprensione (a volte intuitiva) di ciò che della matematica ha un'applicazione concreta, anzi concretissima. È vero che molte nozioni sono assolutamente inutili per chi non le userà poi nella sua professione. Pensiamo alla trigonometria, utilissima a un ingegnere, ma inutile a una commessa, a un giornalista ecc. Che importanza "pratica" (cioè per la comprensione del mondo) ha sapere che sen2a+cos2a=1? Nessuna. La stessa cosa invece non può dirsi per altri concetti: la curva di Gauss (da Karl Friedrich Gauss, grande matematico tedesco) ne è un esempio. Anzi, questo articolo sarà propedeutico a molti altri di alimentazione o di sport che spiegheranno concetti semplicissimi ma fondamentali. Armatevi quindi di buona volontà e provate a seguirmi in questa esposizione divulgativa della curva gaussiana. La distribuzione Quando dobbiamo giudicare un evento possiamo descriverlo con la distribuzione dei suoi possibili valori. Se lancio una moneta il valore testa ha probabilità 0,5 e idem ne ha il valore croce. Avremo una distribuzione a due soli valori, ognuno dei quali ha probabilità 0,5. La somma dei valori possibili dà l'unità (cioè la certezza, o esce testa o esce croce: non si considera la possibilità che la moneta resti in piedi!). Se analizziamo la distribuzione di un campione di persone che seguono un certo programma televisivo per decadi di età, magari otteniamo un grafico di questo tipo: Le cose si complicano quando ho molti valori possibili, addirittura infiniti. Supponiamo per esempio di effettuare tante misurazioni di una stessa grandezza con uno strumento; avremo risultati differenti, dovuti all'inevitabile imprecisione del nostro strumento e del nostro operato, che sono detti errori accidentali. Se rappresentiamo le misure ottenute su un grafico, se il numero di misurazioni è molto grande, al limite infinito, la curva che otterremo è proprio la curva di Gauss. Si tratta di una curva dalla classica forma a campana che ha un massimo attorno alla media dei valori misurati e può essere più o meno stretta a seconda della dispersione dei valori attorno alla media; la dispersione si misura con la deviazione standard: praticamente una delle proprietà della gaussiana è che il 68% delle misurazioni differisce dalla media meno della deviazione standard e che il 95% meno di due deviazioni standard: quindi maggiore è la deviazione standard, più la gaussiana è "aperta" e più c'è la possibilità che la media (il punto più alto) non sia rappresentativo di tanti casi. Anche nel caso della curva di Gauss l'area sottesa dalla curva vale 1 perché la somma delle probabilità di tutti i valori dà 1, cioè la certezza. Un esempio reale La distribuzione di Gauss è spesso detta normale. L'aggettivo è significativo perché indica che moltissimi fenomeni possono essere descritti da una curva gaussiana o Gauss-like (cioè simile). Se è vero che la gaussiana vale per una popolazione infinita di misurazioni e per eventi del tutto casuali, è altresì vero che curve a campana (Gauss-like) possono descrivere facilmente molti fenomeni; per detti fenomeni anche i concetti di mediae di deviazione standard continuano a essere validi, anche se spesso solo il primo può essere definito con una notevole precisione. Supponiamo di considerare l'altezza degli italiani maschi. Analizziamo un campione di 1.000 soggetti. Probabilmente otterremmo una curva a campana, centrata attorno a una media, del tipo 174 cm di media con una "deviazione standard" di circa 20 cm, cioè il 95% dei soggetti analizzati sarebbe compreso fra 154 cm e 194 cm. UNITA’ 15 DISTRIBUZIONI DI BERNOULLI La variabile casuale bernoulliana, dal nome dello scienziato svizzero Jakob Bernoulli (1654-1705), è la più semplice di tutte le variabili casuali. È una variabile dicotomica, dunque con due sole possibili realizzazioni (0 e 1), cui sono associate le rispettive probabilità p e 1-p. A volte il termine variabile casuale bernoulliana è usato riferendosi alle variabili casuali binomiali. La distribuzione di Bernoulli La distribuzione di Bernoulli è la distribuzione di probabilità discreta associata ad una variabile casuale bernoulliana, che assume valore 1 con probabilità di successo e valore 0 con probabilità di insuccesso . Sia quindi X una variabile casuale bernoulliana, si ha che: La funzione di probabilità f di questa distribuzione è: Il valore atteso di una variabile casuale di Bernoulli X è: , mentre la sua varianza è: L'indice di skewness e la curtosi sono rispettivamente: ; . La curtosi tende ad infinito per valori molto bassi o alti di p, ma per la distribuzione di Bernoulli presenta il valore della curtosi più basso di qualsiasi altra distribuzione: -2. La funzione generatrice dei momenti è: Distribuzioni collegate Se sono variabili casuali Bernoulli indipendenti e identicamente distribuite con probabilità di successo pari a p, allora X = X1 + X2 +...+ Xn, è una variabile casuale binomiale B(n;p). UNITA’ 16 DISTRIBUZIONI DI POISSON Nell'ambito della teoria delle variabili casuali con distribuzione composta di Poisson si intende la somma di un numero casuale poissoniano di variabili casuale identiche e indipendenti. In particolare si pone dove N è una variabile casuale poissoniana con valore atteso λ, e sono variabili casuali indipendenti da N. indipendenti identicamente distribuite e Allora la somma è una distribuzione di Poisson composta (dove se N = 0, allora Y è 0.) Se le n variabili casuali sono identicamente distribuite come un arbitraria variabile casuale X, con valore atteso µ, secondo momento m2 e terzo momento m3 si ottengono i seguenti parametri valore atteso = λµ varianza = λm2 coefficiente di assimetria = λm3 Alcune composte di Poisson Se sono distribuite come la variabile casuale logaritmica allora la composta di Poisson è una variabile casuale binomiale negativa. UNITA’ 17 LEGGE DEI GRANDI NUMERI La legge dei grandi numeri è fondamentale nella teoria delle variabili casuali. Quella che segue è una sua formulazione in termini semplici ed intuitivi. Essa afferma che, se E è un evento e p è la sua probabilità di successo, cioè la probabilità del verificarsi di E in una prova, allora la frequenza relativa dei successi in n prove indipendenti converge in probabilità a p, quando n tende a infinito, dove "converge in probabilità" è un concetto che non definiamo in senso accurato, ma si può intendere in un senso intuitivo (se il numero di prove effettuate è sufficientemente grande, la frequenza relativa dei successi nelle n prove si avvicinerà sempre più alla probabilità di successo nella singola prova, via via che n cresce). Questo teorema, formulato da Jakob Bernoulli (1654-1705), fornisce una possibile giustificazione della legge empirica del caso, secondo la quale la frequenza relativa di un evento tende a stabilizzarsi all'aumentare del numero delle prove. La legge dei grandi numeri stabilisce il comportamento asintotico della frequenza relativa e non dice nulla sulla possibilità di successo di una singola prova condizionata a quelle precedenti (che resta sempre p); quindi, questa legge non dice che l'osservazione di - per esempio - 10 teste aumenta la probabilità che venga croce all'undicesima prova. Questo fraintendimento è l'errore più comune nel quale incorrono i giocatori d'azzardo, che scommettono sull'evento che non si verifica da più tempo, convinti che, per questo stesso fatto, esso si debba verificare. UNITA’ 18 TEOREMA CENTRALE DEL LIMITE La famiglia della distribuzioni di probabilità normali ha un'importante proprietà che la rende utilizzabile in un ampio raggio di applicazioni: questa proprietà è il teorema centrale limite e riguarda la distribuzione della somma o della media aritmetica di un campione scelto a caso di osservazioni. Siccome media aritmetica e somma dei dati differiscono tra loro per una costante moltiplicativa, d'ora in poi quello che si dirà riferito alla media aritmetica varrà sostanzialmente anche per la somma, fatti salvi alcuni aggiustamenti di costanti moltiplicative. La formula che segue esprime quella che d'ora in avanti definiremo "media campionaria". Capita spesso di trovarsi di fronte a somme o medie artimetiche: ad es., le vendite mensili di un'azienda consistono nella somma delle vendite dei singoli rappresentanti. Il teorema centrale limite afferma che, in condizioni abbastanza generali, somme e medie di misurazioni casuali ricavate da una popolazione tendono a possedere approssimativamente una distribuzione a forma di campana, nel senso che si spiegherà in seguito. La rilevanza di questo concetto è forse meglio comprensibile se ci si avvale di un esempio. Quest'esempio è un'applicazione del metodo di montecarlo, un metodo di campionamento simulato, nel quale si simula la situazione nella quale si vuole calcolare la probabilità di un certo evento. Si consideri una popolazione di lanci di dadi, generata lanciando un dado un'infinitamente grande numero di volte, con distribuzione di probabilità data dalla seguente immagine: Si estragga un campione di n = 5 misurazioni dalla popolazione lanciando cinque volte un dado e si prenda nota delle cinque osservazioni, come indicato nella seguente tabella: Si noti che i numeri osservati nel primo campione erano y = (3, 5, 1, 3, 2). Si calcoli la somma delle cinque misurazioni e la media campionaria, . Per scopi sperimentali, si ripeta la procedura di campionatura un centinaio di volte, o, preferibilmente, un numero maggiore di volte. Si costruisca ora un istogramma della frequenza per per i cento campioni e si osservi la distribuzione risultante nella prima immagine. Compare un risultato interessante: benché i valori di y nella popolazione (Y = {1, 2, 3, 4, 5, 6}) siano equiprobabili e perciò posseggano una distribuzione di probabilità che è perfettamente orizzontale, la distribuzione delle medie campionarie scelta dalla popolazione possiede una distribuzione con un addensamento al centro e una densità minore sulle code a sinistra e a destra. Inoltre, si osserva che, se si ripete l'esperimento delineato in precedenza per un campione più grande (es.: n = 10), si noterà che la distribuzione delle medie campionarie tende ad avvicinarsi sempre più alla forma di una campana, via via che n cresce. Pertanto, il teorema centrale limite, che si riferisce a "qualunque" popolazione da cui si estraggano dei campioni, dice che: Si traggono campioni casuali di n osservazioni da una popolazione con media µ e scarto quadratico medio finito (o deviazione standard) σ. Allora, quando n è grande, la media campionaria sarà approssimativamente distribuita normalmente, con media uguale a µ e scarto quadratico medio σ/n 1/2. L'approssimazione diventerà sempre più accurata via via che n cresce. Il teorema centrale limite è importante innanzitutto perché spiega il motivo per cui alcune misurazioni tendono a possedere approssimativamente una distribuzione normale. Si può immaginare l'altezza umana come composta da un numero di elementi - ognuno dei quali casuale - associati con variabili come l'altezza della madre e del padre, l'ambiente, la dieta, ecc. Se ognuno di questi elementi tende ad aggiungersi agli altri per fornire la misurazione dell'altezza, allora l'altezza è la "somma" di un numero di variabili casuali e il teorema centrale limite può essere applicato e fornire una distribuzione delle altezze che è approssimativamente normale. In secondo luogo, l'altro e più importante contributo del teorema centrale limite si esplica nell'inferenza statistica, perché molte procedure statistiche di verifica di ipotesi fanno uso di questo teorema.