PSICOLOGIA I Minori Prima Infanzia Seconda Infanzia Terza Infanzia L’Adolescenza Le Varie Manifestazioni del Disagio Giovanile Il Disagio e il Disturbo Mentale Il Lavoro dell’Assistente Sociale Le Tecniche della Riabilitazione Tecniche Cognitive Comportamentali Tecniche Espressive Tecniche Verbali Altri Interventi I MINORI Minori sono tutte le persone che hanno dagli 0 ai 18 anni di età, chiamata età evolutiva per via dei numerosi cambiamenti somatici e psicologici che avvengono. Prima dei 3 anni i bambini vengono considerati con scarsa capacità di comprensione e di autocontrollo, dipendenti dall’adulto e senza moralità. Questo modo di pensare cambia all’ingresso nella scuola elementare dove vengono richieste prestazioni cognitive e gli adulti di conseguenza considerano i bambini più simili a loro stessi. L’idea rimane pur sempre quella dell’adulto in miniatura. L’idea che ad ogni età corrispondano caratteristiche e bisogni differenti da quelli dell’adulto risale al 1700 quando Rousseau avanzò l’idea che il bambino fosse buono e che fosse compito degli educatori predisporre le condizioni perché potessero emergere le sue potenzialità. Si ha una visione dell’infanzia propedeutica a quella adulta. La conoscenza relativa al bambino dipende dalla frequentazione che si ha con lui: ci sono adulti che non hanno avuto nessuna esperienza di contatto con bambini. I servizi per bambini sono frequentati solo dai genitori. La mancata esperienza innesca stereotipi su come deve essere il bambino, la scuola, i servizi. Spesso i genitori che non hanno avuto la possibilità di confrontarsi con altre realtà famigliari ed educative vivono lo stesso rapporto in base ai ricordi dei loro rapporti con i genitori. Le famiglie sono spesso lasciate sole nel loro compito educativo: Ai giorni nostri molte famiglie vivono lontane dalle famiglie d’origine perciò non possono contare sul loro supporto. La solitudine è vissuta dalle giovani madri nei primi mesi dopo la nascita del figlio che prima aveva occasioni di contatto sociale tramite il lavoro mentre ora devono occuparsi a tempo pieno del loro bambino. Egli è amato e desiderato ma allo stesso tempo lo si vede come oggetto di limitazioni. Il padre è importate come contenimento di ansie della madre e come persona con la quale condividere problemi. La scelta di un figlio è oggetto di forti investimenti affettivi: Spesso le coppie hanno solo un figlio per motivi legati all’età materna o per scelte economiche e questo deve realizzare tutte le aspettative genitoriale. Questo è messo a dura prova dai difetti fisici, dalle malattie, dal confronto con la perfezione ideale. L’accettazione della realtà presuppone il passaggio da una visione di figlio reale a quel particolare figlio dalla caratteristiche determinate. Occorre distinguere i bisogni dei genitori da quelli dei figli. Questa capacità è difficile nei casi di bambini maltrattasti, bambini eccessivamente responsabilizzati o con libertà eccessiva. I mass media propongono modelli irrealistici di bambini: si fa riferimento a un modello di bambino bello, felice, con caratteristiche desiderabili rendendo ancora più difficile il confronto con la realtà. Sembra che il rapporto genitore – figlio possa essere mediato dal possesso di un determinato prodotto. È bene distinguere i bisogni reali del bambino da quelli indotti. I bambini sono lasciati sempre più soli di fronte ai compiti di crescita: superati i primi anni di vita il bambino ha bisogno di rapportarsi con i coetanei. Tempo fa la possibilità di interagire con altri bambini era garantita ma ora gli spazi sono formalizzati e costringono il bambino alla solitudine stando in casa con la TV, i videogiochi, internet ecc. che non favoriscono l’interazione sociale e la crescita dell’identità personale. Occorre una diversa organizzazione dello spazio urbano. Sono diffuse numerose incoerenze educative: 2 ambiguità: 1°- relativa al rapporto autonomia – dipendenza. Ai bambini e ai ragazzi si chiede sempre di avere autonomia creando così le condizioni che l’autonomia non porti ad educazione. Accade anche che i genitori si trovano a cercare di mantenere una dipendenza come impegno nei confronti dei figli e a sentirsi in colpa rispetto ad ogni negazione alla restrizione di libertà. Questa ambiguità si supera quando i genitori si impossessano del loro ruolo di genitori. 2°- relativa ad una sempre più adultizzazione dei minori. Si assiste al fenomeno di una condivisione di esperienze difficilmente assimilabili dal bambino. Riferendosi agli spettacoli mostrati ai bambini trattanti temi del mondo adulto. PRIMA INFANZIA nascita/2 anni Caratteristiche generali: il bambino ha una predisposizione innata a stabilire rapporti sociali già verso i 3 mesi. Il primo rapporto sociale significativo è con la figura con cui si stabilisce un legame di attaccamento e si strutturerà il senso di fiducia o di sfiducia verso il mondo esterno. L’interesse con le altre persone, nel primo anno, è in funzione dei propri bisogni. Si sviluppano i primi legami affettivi con la madre fornendo protezione, rassicurazione e dando risposta ai bisogni primari. Dopo i 18 mesi il bambino comincia a rappresentarsi mentalmente l’esistenza della figura dell’attaccamento, indipendentemente dalla sua presenza e questo anche in relazione allo sviluppo delle sue capacità cognitive. In questo periodo lo sviluppo dell’intelligenza è legato all’uso di schemi percettivi e motori. A partire dai 12 mesi si ha la deambulazione e il bambino amplia le sue conoscenze del mondo esterno. Verso i 18 mesi compare la figura simbolica o rappresentativa del pensiero, la capacità di sostituire la realtà concreta con una sua rappresentazione mentale. Il linguaggio è ristretto all’ olofrase. I bisogni prevalenti: - Bisogni primari: mangiare, dormire, essere puliti. Attraverso queste attività si interagisce con il mondo esterno e si pongono le basi per una diversificazione tra realtà oggettiva e realtà soggettiva perché si formano le prime associazioni spaziali e temporali. - Bisogni di affetto e attaccamento: la presenza di una figura significativa opera con funzioni di protezione contro le aggressioni del mondo esterno e di contenimento affettivo ed è importante per la strutturazione di un rapporto affettivo. Avrà un significato importante per l’evoluzione della personalità del bambino e per i futuri rapporti sociali. - Bisogni di esplorazione e di gioco: le prime attività esplorative riguardano se stessi, la madre, gli oggetti e lo spazio che può raggiungere. Questo è legato alle conoscenze delle figure dell’attaccamento e alla fiducia che il bambino acquisisce sulle sue capacità. È necessario fornire stimolazioni sensoriali per incuriosire il bambino e questa possibilità dovrà essere favorita permettendo al bambino di manipolare, spostare, giocare con oggetti di varie dimensioni. LA SECONDA INFANZIA 3/6 anni (età prescolare) Caratteristiche generali: In età prescolare il bambino è sempre più indipendente e autonomo. Aumentano le capacità motorie ed è in grado si spostarsi con facilità, di farsi comprendere attraverso il linguaggio, di avere una coscienza di sé con caratteristiche e abilità che lo contraddistinguono dagli altri. Il pensiero è ancora dominato dalla percezione cioè il modo in cui si presentano le situazioni influenza il ragionamento predominando sugli aspetti logici. Il pensiero non ha ancora i caratteri della reversibilità per cui le esperienze sono rievocate solo nella sequenza in cui si sono presentate. Il pensiero è fortemente influenzato dall’egocentrismo e dal realismo. Le competenze linguistiche diventano sempre più elaborate. La vita emotiva diviene sempre più complessa perché il bambino amplia progressivamente le esperienze e la capacità di comprensione del mondo e di se stesso vengono più precise. In concomitanza con le esperienze legate al controllo sfinterico si presentano sentimenti di dubbio relativo alla capacità di controllo del proprio corpo e di vergogna qualora l’atteggiamento educativo dei genitori sottolinei queste incapacità. Si verifica la fase di opposizione in cui il bambino utilizza il “no” come forma di rivendicazione della propria autonomia. Verso i 3 anni con l’insorgenza del complesso edipico fanno la loro comparsa dei sentimenti conflittuali nei confronti del genitore dello stesso sesso e di sentimenti di desiderio e di ossessività nei confronti del genitore del sesso opposto. La risoluzione del conflitto si attua attraverso l’identificazione con il genitore del sesso opposto. Si ampliano anche le relazioni sociali: si aggiunge anche la relazione con il padre e con altri famigliari. Il bambino tende all’esplorazione continua dell’ambiente dimostrando curiosità verso ciò che lo circonda. I bisogni prevalenti: - Bisogno di gioco e di scoperta: il gioco è l’attività fondamentale e promuove i processi cognitivi, affettivi e sociali. A partire dai 2 anni troviamo anche il gioco con i coetanei trovando anche il gioco simbolico. I conflitti aiutano il superamento dell’egocentrismo. - Bisogno di autonomia e iniziativa: Il bambino pretende di fare da solo, di essere autonomo ed è un legittimo desiderio. Il ruolo dei genitori e degli educatori è di mediare esigenze di autonomia e limiti di regole. Egli non è tanto interessato al risultato finale dell’attività ma all’attività stessa. Il movimento è il presupposto perché si realizzino queste attività. - Bisogno di interazione con i coetanei: l’interazione sociale si amplia ad altre figure di adulti ma vi è un’attenzione particolare allo stare insieme tra coetanei perché pone le premesse per le prime conoscenze relative all’identità e ai ruoli di genere. LA TERZA INFANZIA 6/11 anni Caratteristiche generali: Si ha una differenza nel modo di ragionare; il pensiero diviene capace di reversibilità cioè prende in esame aspetti diversi della realtà. Si ampliano e si affinano le strategie cognitive sopratutto quelle relative alla memoria. Il linguaggio si adegua alle regole dell’esposizione corretta ed il lessico si arricchisce. Il ruolo dell’insegnante funge da mediatore con l’insieme delle conoscenze proposte all’interno dell’ambito scolastico. Se il bambino riesce bene nei compiti assegnati incrementa la sua autostima se invece nei confronti dei coetanei è un perdente sviluppa un sentimento di inferiorità. Si consolidano le amicizie con i coetanei. Le bambine tendono a relazioni più strette ed esclusive mentre i bambini hanno più autonomia. Con il superamento dell’egocentrismo del pensiero si verifica una maggior strutturazione dei gruppi, l’accettazione di regole condivise nel gioco e il riconoscimento del leader. I bisogni prevalenti: - Bisogni di avventura: l’avventura è la possibilità di esplorare il mondo contando solo sulle proprie forze. Può trattarsi anche dell’avventura in mondi virtuali o del mondo del sapere. Per controllare la realtà circostante, in quest’età, si verifica un consistente dispiego di energia. - Bisogni di aggregazione: I genitori non sono più uniche figure di riferimento, cominciano le prime ribellioni e le amicizie con i coetanei hanno significati diversi. I gruppi sono ancora determinati dall’appartenere ad uno stesso ambiente. A partire dagli 8 anni c’è una forma di esclusione dal gruppo di persone di sesso diverso. - Bisogni di stima e riconoscimento: l’ingresso nella scuola rende molto sensibile il ragazzo ai giudizi che egli si crea fra ciò che crede di essere e ciò che vorrebbe essere che egli ricava su se stesso dalle persone che gli stanno intorno. Per avere migliore percezione di sé è bene sentirsi dire dai coetanei e dai genitori che si è bravi nel fare qualcosa e avere esperienze di successo. - L’ADOLESCENZA Caratteristiche generali: periodo percorso da mutamenti che intervengono sul versante fisico, intellettuale, emotivo e sociale. È una fase di transizione tra l’infanzia e l’adulo che si sta sempre più prolungando rinviando l’ingresso nel mondo adulto. I ragazzi sono in possesso della capacità di utilizzare ragionamenti logici su contenuti astratti. Questo permette di accedere a realtà ipotetiche, di avvicinarsi ad interessi legati ad una visione del mondo dominata da valori. La capacità di usare il pensiero ipotetico formale non è da tutti, per alcuni l’uso è limitato. In questo periodo vi è una rinnovata attenzione per tutte le dinamiche affettive che ora sono indirizzate verso i soggetti dell’altro sesso. Gli oggetti d’amore dell’infanzia devono essere sostituiti da altri. I cambiamenti fisici possono essere vissuti con preoccupazione perché non sempre l’adolescente si riconosce nel nuovo aspetto che sta assumendo. Il gruppo diventa un elemento di appartenenza in cui ci si riconosce e si rafforza la propria identità. La funzione del gruppo è quella di permettere una nuova organizzazione del Sé attraverso la coesione e la forza del gruppo e l’opposizione nei confronti delle regole imposte dagli adulti. Si verifica una nuova attenzione nei confronti di problematiche sociali e politiche. In gran parte delle famiglie vi è un incremento della conflittualità. Il gruppo dei coetanei acquista sempre maggior forza e spesso si presentano comportamenti devianti come risultato di imitazione e conformismo all’interno del gruppo. Un altro aspetto del comportamento problematico del giovane può essere considerato l’uso di alcol e droghe. I bisogni prevalenti: - Bisogno di identità: Il giovane si chiede: “Chi sono?”, “Come voglio essere?”. Il gruppo funziona come strumento che facilità il passaggio dalla vita protetta della famiglia al mondo adulto. - Bisogno di indipendenza: si ha una forte spinta d’indipendenza per poter effettuare delle scelte in modo autonomo. Occorre fornire occasione di sperimentare le proprie scelte e nello stesso tempo controllare che queste non siano autodistruttive. - Bisogno di “senso” : l’adolescente si chiede “perché fare?”. Si ricerca un collegamento tra un agire ed un pensiero. La possibilità di esercitare giudizio critico, di confronto con posizioni diverse e di avvicinarsi a realtà sconosciute mette in grado di cogliere la coesistenza si tanti livelli di consapevolezza e di motivazione. ALTRE REALTA’ Esistono situazioni che si connotano per una loro specificità e che evidenziano altri tipi di bisogno: - Il disagio: Percezione soggettiva di malessere, di fatica, di sofferenza psichica: difficoltà esistenziale. Si manifesta con comportamenti come incostanza, instabilità emotiva, chiusura, disinvestimento affettivo, che si discostano dalle aspettative degli adulti ma non sono trasgressivi o disturbati. - Il disadattamento: relazione disturbata con uno specifico ambiente; è la mancata capacità e/o possibilità di un inserimento creativo e attivo dei giovani all’interno della società e delle sue istituzioni. - La devianza: comportamento che infrange visibilmente uno norma e che determina disapprovazione e/o punizione. LE VARIE MANIFESTAZIONI DEL DISAGIO GIOVANILE Con l’espressione ‘disagio giovanile’ si intendono e sottintendono molte cose, talora assai diverse tra loro. ‘Disagio’ è in realtà un termine piuttosto generico che viene usato nel linguaggio comune in un senso ampio e comprende difficoltà che possono investire diversi ambiti della vita di un giovane: a livello affettivo, familiare, scolastico o sociale. Una persona si può trovare in una generica situazione di disagio che riesce o non riesce a percepire, di cui può essere più o meno cosciente o che solo gli altri possono cogliere. Si tratta di forme di disagio emotivo che si manifestano attraverso una gamma più o meno sfumata di segnali come stati d’ansia, cambiamenti di umore, irrequietezza o che possono diventare veri e propri sintomi quali disturbi psicosomatici, dell’alimentazione, del sonno ed altro. Diverso è il disagio espresso attraverso modalità comportamentali atipiche o addirittura devianti; questo è il disagio più facile da cogliere poiché la sua forma non solo è evidente ma disturbante. Tali comportamenti debbono essere definiti come disadattivi ed è perciò corretto parlare, in questi casi, di disadattamento scolastico o sociale a seconda dell’ambito in cui si evidenziano. Questa forma di disagio, il vero e proprio disadattamento, si propone quindi mediante l’azione, che è qualcosa di molto diverso dai segnali e anche dai sintomi cui si accennava precedentemente. Esso ha un carattere di maggiore inconsapevolezza, dal momento che il soggetto non riesce a dare alcuna spiegazione riguardo al perché del proprio agire, non è capace di autocontrollo e tende pertanto a ripetere quel comportamento in modo impulsivo o talora anche passivo. Rientrano in questa tipologia di disagio il rifiuto e l’abbandono scolastico (oltre che le varie forme di condotta dissociale, certamente ancor più gravi da un punto di vista psicopatologico). Come abbiamo visto, il disagio giovanile ha molteplici forme ed espressioni. Affonda le sue origini nei primi anni di vita del bambino e nelle sue più precoci esperienze affettive e relazionali. Trova espressione nelle varie fasi della crescita e si può manifestare in modo diverso in ogni fascia di età. E’ quindi molto importante per genitori, educatori e insegnanti cogliere questi segnali premonitori che potremmo definire “di esordio”, i quali non vanno ignorati né minimizzati ma assunti nella loro appropriata considerazione e perciò interpretati come modi del bambino di comunicare una sua problematica interiore o un conflitto non risolto. Possono altresì significare un momento di crisi evolutiva o una difficoltà transitoria che ostacola la crescita, e andrebbero trattati con l’aiuto di uno specialista che tuttavia non deve necessariamente valutare il bambino. Talvolta infatti è sufficiente fornire un supporto ai genitori mentre in altri casi possono essere necessarie altre forme di intervento come una consultazione terapeutica breve o una vera e propria psicoterapia. In questi due ultimi decenni si è sempre più sviluppata l’attenzione da parte di operatori sociali, sanitari e scolastici, nonché di pediatri e medici di famiglia, verso gli aspetti emotivo relazionali dell’infanzia. Sempre più frequenti e tempestive sono infatti le richieste e gli invii allo psicologo, al neuropsichiatra e alle altre figure sanitarie che si occupano di problematiche dell’apprendimento e della riabilitazione (pedagogisti, logopedisti e psicomotricisti). Se il disagio viene trattato prima che si radichi, ovvero subito dopo il suo manifestarsi in modo acuto, potranno evitarsi in futuro altre forme più gravi di natura psicopatologica. E’ quindi fondamentale porre la massima attenzione ai segnali precoci che possono emergere già durante il primo anno di vita del bambino quali disturbi del ritmo sonno veglia, dell’alimentazione o della sfera affettiva. Ancor più rilevanti, ai fini del tema qui affrontato, sono i disturbi di carattere comportamentale che attualmente osserviamo sempre più di frequente in bambini anche molto piccoli. Mi riferisco all’età che va dall’anno e mezzo ai due/tre anni quando ha inizio, per poi gradualmente consolidarsi, l’acquisizione delle regole e l’interiorizzazione da parte del bambino delle norme che regolano la vita sociale. Spesso i genitori sottovalutano l’enorme importanza di questa fase che è alla base dello sviluppo dell’identità sociale oltre che del senso di sicurezza e fiducia nelle proprie capacità; ciò è inoltre determinante per consentire al bambino di vivere serenamente all’interno del gruppo dei coetanei, nella scuola e nella comunità. In quest’operazione così complessa e delicata, molto significativa è la presenza paterna che deve integrare e supportare l’azione educativa della madre (oltre a fornire una sicurezza affettiva a lei stessa e al bambino). E’ chiaro che la madre non può e non deve essere l’unico riferimento per il figlio. La psicoanalisi, a partire dal pensiero di Freud, ha sottolineato il ruolo cardine svolto dal padre nella costruzione del Super Io infantile, istanza regolatrice e modulatrice del nostro psichismo che rende capaci di conciliare le esigenze della realtà con i moti pulsionali basati sugli istinti. Per consolidare questa capacità di adattamento alla realtà e di autocontrollo sulla sfera pulsionale possono essere di supporto tutte le figure adulte che ruotano intorno al mondo del bambino come nonni, baby-sitter, educatori e insegnanti che dovrebbero fornire attenzione e sostegno attraverso atteggiamenti chiari e coerenti fondati su capacità affettive e, al contempo, contenitive: in grado cioè di porre limiti ben definiti ove necessari, di arginare il bambino nei momenti di disorientamento, confusione, eccessiva reattività. Il disagio nelle prime fasi dell’età evolutiva se non adeguatamente interpretato e preso in considerazione, viene esternato in altri momenti della vita ed, in particolare, nel periodo adolescenziale. L’adolescenza inizia ormai precocemente e molti autori sono concordi nel considerare i primi segni di cambiamento a partire dalla prepubertà e cioè già dai nove/dieci anni. Essi trovano la loro espressione più diffusa in atteggiamenti di tipo reattivo ed oppositivo accompagnati da un forte e nuovo (per i genitori) desiderio di autonomia. In questa fase possono anche presentarsi sintomi disadattivi quali: difficoltà di apprendimento e di rendimento scolastico, disturbi della condotta associati a deficit dell’attenzione, rifiuto improvviso della scuola. Tali forme possono essere misconosciute o sottovalutate e talvolta esitare in patologie più gravi come depressione, chiusura e isolamento sociale. Oltre alle competenze affettivo-educative (due termini che non possono essere disgiunti) richieste alla famiglia, sono indispensabili le risorse che la scuola dovrebbe offrire e attivare; ancor più quando le famiglie presentano aspetti carenti o problematici. In questi casi, che sappiamo essere sempre più numerosi, l’ambiente scuola può diventare uno spazio di accoglienza per il giovane in una circostanza particolarmente delicata, quando la naturale ipersensibilità dell’adolescente si accompagna al timore del rifiuto o al disprezzo nei confronti del mondo degli adulti. Per attuare un intervento di rete che riesca ad assumere una valenza preventiva occorre la collaborazione tra scuola (o ente di formazione professionale) e operatori socio-sanitari. Questi ultimi possono coadiuvare il personale docente e stabilire un proficuo rapporto di collaborazione con altre figure presenti nella struttura che il ragazzo frequenta (psicologi, educatori, formatori, orientatori). In questo modo possono essere organizzate attività mirate rivolte al gruppo classe, a piccoli gruppi che evidenzino una particolare problematica, ai genitori. Per fare un esempio, lo psicologo può affiancare gli insegnanti in un lavoro di educazione sanitaria che può riguardare la sessualità come altre tematiche (abuso di alcolici e sostanze stupefacenti). Tali argomenti, se adeguatamente proposti, riscuotono l’interesse degli studenti e rappresentano un primo momento di avvicinamento ad uno specialista esterno e fino a quel momento estraneo al loro ambiente. Questo primo livello di intervento può essere preliminare ad una successiva presa in carico individuale che avviene in un contesto diverso da quello scolastico, in una struttura sanitaria della quale talvolta i ragazzi hanno già sentito parlare (il Centro Giovani della ASL). Ma prima di questo eventuale secondo livello è importante riuscire a creare un clima di fiducia ed una situazione relazionale che faciliti un aggancio. Tuttavia, anche se ciò non avviene nell’immediato, il rapporto che si è stabilito può lasciare nella mente dell’adolescente una traccia preziosa, il ricordo di un adulto disponibile ad un colloquio, ad un confronto aperto e solidale, rispettoso del segreto professionale e capace di escludere se necessario anche i genitori (questi ultimi, se desiderosi di essere aiutati, vengono di solito inviati a altri colleghi). Concludendo, l’obiettivo prioritario dell’intervento di educazione sanitaria da parte dello psicologo nel contesto scolastico e formativo è quello di porsi come figura amichevole e disponibile riducendo così gli aspetti minacciosi e persecutori che sono presenti nella fantasia di ogni adolescente. Tali aspetti possono impedire la sua concreta possibilità di chiedere aiuto e condurlo ad agire il proprio malessere non comunicato con modalità che sempre più spesso, purtroppo, hanno carattere autodistruttivo. Il disagio e il disturbo mentale L'OMS calcola che nel mondo ci siano 450 milioni di persone che soffrono di disturbi mentali, neurologici o del comportamento, e che la gran parte di questi disturbi non siano nè diagnosticati nè trattati. A livello mondiale, i disturbi neuropsichiatrici sono causa di morte per 1.105.000 persone (anno 2002); in 13 mila casi la principale causa di morte è direttamente correlata alla presenza di disturbi depressivi. Secondo alcune ricerche le persone in condizione di disagio mentale sarebbero invece, secondo le stime più attendibili, oltre 900 milioni, circa il 13% della popolazione mondiale. La somma delle persone in una condizione più o meno grave di sofferenza psichica risulta quindi di un miliardo abbondante di soggetti, cioè un quinto della popolazione globale. Se riportiamo questi dati alla realtà del nostro paese, possiamo avanzare l'ipotesi che circa dieci milioni di italiani soffrano per un disagio o per un disturbo mentale. I disturbi mentali più diffusi sono nell'ordine: depressione, schizofrenia e demenza. Mente e corpo Mente e cervello non sono la stessa cosa, anche se sono legati indissolubilmente. Oltre cento miliardi di neuroni aprono e chiudono nel nostro cervello una miriade infinita di collegamenti, a seconda delle esperienze che facciamo e del significato che diamo loro. Quando è una parte del corpo a dover essere curata è giusto che il paziente stia a letto, che i medici lo visitino, toccandolo, ascoltandolo, facendo delle analisi per trovare la natura del male. Ma la psichiatria si è separata dalla neurologia proprio per l'impossibilità di considerare i disturbi psichici esclusivamente come disturbi del cervello. Non esiste una linea di confine assoluta fra salute e malattia mentale. Sono quattro le diverse condizioni mentali che una persona può incontrare nel corso della vita: • benessere mentale: è la condizione in cui si vive quando esiste un buon livello di soddisfazione dei bisogni, insieme a una soddisfacente qualità della vita: equilibrio, serenità, tranquillità, accettazione del proprio stato individuale e sociale, ma allo stesso tempo curiosità e spirito di iniziativa contraddistinguono tale condizione. Certamente non è uno stato che si raggiunge una volta per tutte e per tutti uguale: nelle alterne situazioni dell'esistenza, il benessere mentale è l'obiettivo verso cui l'individuo tende costantemente; • disagio mentale: è la condizione in cui si vive quando si avverte uno stato di sofferenza, connesso a difficoltà di varia natura (negli affetti, nel lavoro ecc.), che comunque si presentano nella vita. Tensione, frustrazione, aggressività o tristezza caratterizzano questa condizione, senza tuttavia che si instauri alcun sintomo specifico. È bene tenere presente che, insieme alla condizione di benessere, una quota di disagio è parte integrante di ogni esistenza; • disturbo o malattia mentale: è la condizione in cui il soggetto vive quando non trova risoluzione alla sofferenza in cui lo pone la condizione di disagio, ovvero quando essa raggiunge livelli di intensità molto elevati. Si passa dal disagio al disturbo quando alla sofferenza prolungata o intensa si accompagnano alterazioni mentali o dei comportamenti. La sofferenza si "clinicizza", cioè insorgono sintomi psichiatrici specifici: deliri, allucinazioni, ossessioni ecc. Sebbene la condizione di disturbo mentale non rientri nella vita normale, tutti, in situazioni particolari, possiamo incorrere in tale condizione. La condizione di disturbo può essere temporanea se curata efficacemente e in maniera tempestiva; • disturbo mentale stabilizzato: è la condizione in cui il soggetto vive quando il disturbo si cronicizza: dunque, perdurano nel tempo non solo le alterazioni mentali o del comportamento, ma anche la situazione che le ha determinate. Molto spesso il disturbo si stabilizza per non essere stato curato o per essere stato curato male. Le quattro condizioni che abbiamo tratteggiato costituiscono il sistema di riferimento entro cui vanno riveduti e collocati i concetti tradizionali di malattia e di salute mentale. Infatti, la psichiatria moderna considera nettamente falsa e dannosa l'idea ampiamente diffusa nel senso comune, quella che divide la mente umana in due soli stati possibili, lo stato sano e lo stato malato, al quale immediatamente si collegano i pregiudizi della organicità, inguaribilità ecc. In realtà, quella che chiamiamo esistenza normale, comprende anche condizioni di disagio, che possono sfociare in veri e propri disturbi. Si tratta sempre di passaggi sfumati e graduali, spesso reversibili. Ciascuno di noi transita continuamente tra la prima e la seconda condizione, dal benessere al disagio e viceversa; qualcuno può trovarsi nella terza condizione, essere cioè soggetto a specifici disturbi; qualcuno può, infine, stabilizzarsi su un certo disturbo, ponendosi in una condizione di difficile reversibilità. Si vede chiaramente che l'idea che alcune teorie rifiutano è frutto di un pregiudizio ulteriore, che potremo chiamare manicheo, o del bianco e nero: la tendenza a dividere il mondo in due parti, malattia e salute, folli e normali. Un modo di vedere le cose apparentemente semplice, evidentemente primitivo, sicuramente dannoso. I principali disturbi mentali Prima di descrivere i principali disturbi mentali è necessaria qualche premessa. Partendo dalla distinzione tra neurologia, che si occupa delle alterazioni organiche del sistema nervoso centrale e periferico, e psichiatria, che si occupa dei disturbi mentali o psichici, è bene tener presente che tra le due specializzazioni esistono ampie zone di sovrapposizione; ma che la distinzione resta fondamentale. I disturbi che descriveremo sinteticamente sono, dunque, quelli di ambito psichiatrico. Molti nomi di disturbi psichici sono entrati nel linguaggio comune, col risultato che spesso vengono usati in modo vago o improprio. Talvolta si tratta di espressioni prive di ogni riferimento scientifico, come accade per il termine esaurimento nervoso, utilizzato per segnalare stati di disagio o disturbi in fase leggera. Va detto che alla genericità e improprietà del linguaggio comune, corrisponde un certo disaccordo, sui termini e sulle classificazioni dei disturbi, anche nella comunità scientifica. La premessa più importante, dunque, è la seguente: termini, classificazioni e descrizioni hanno un valore orientativo e consentono ai curanti la comunicazione rapida; men che mai devono essere presi alla lettera, o peggio ancora essere usati da inesperti per "proporre diagnosi" o etichettare situazioni in modo spesso inadeguato. Ansia È uno stato che, in diversa misura, capita di provare, a tutti, specie all'approssimarsi di una prova o di un cambiamento (un esame, un incontro, un viaggio, l'inizio di un lavoro, l'ingresso in un luogo pubblico ecc.); ma può insorgere anche inaspettatamente, senza apparente collegamento con eventi particolari. È caratterizzato da tensione, da una sensazione di timore indeterminato, da una penosa aspettativa di imminente pericolo o di difficoltà, senza che vi sia un motivo ragionevole a giustificarle. Il soggetto, concentrato sulla propria intensa preoccupazione, diviene disattento alla situazione e alle mansioni del momento: è incerto, compie errori, commette gaffe. Spesso si accompagnano allo stato d'ansia manifestazioni, variamente intense, come sudorazione, senso di affanno, aumento dei battiti cardiaci, rossori, tremori ecc. L'ansia può diventare un disturbo in sé quando si stabilizza nel tempo o quando compaiono crisi ricorrenti; ma più spesso è un sintomo presente in tutti i disturbi mentali. Depressione "Sono preoccupato", "sono scoraggiato", "sono disperato", "mi sento avvilito", "mi sento vuoto", "non ne posso più". Sono le parole che più facilmente possono ricorrere in chi è depresso ed esprime il suo stato emotivo. Lo stato d'animo fondamentale della depressione è per lo più quello di una disperazione triste e cupa, un senso di impotenza verso le cose, l'incombente bisogno di piangere, di fuggire e perfino di morire. Le cose che normalmente suscitano interesse, piacere e soddisfazione, lasciano indifferenti, annoiati o vengono contemplate con amaro pessimismo. È frequente il senso di commiserazione verso il mondo e verso se stessi. Il depresso perde la capacità di ridere. La depressione può dare luogo anche a manifestazioni di irresponsabilità. Mania È caratterizzata da una eccitazione generale dell'attività mentale e del comportamento. Tutto sembra urgente. Il soggetto salta da un pensiero all'altro con rapidità, è superattivo, reagisce in modo sproporzionato agli stimoli esterni. Ma l'attività svolta dalla persona in stato maniacale è per lo più inconcludente e non porta ad alcun beneficio concreto. Spesso lo stato di eccitazione impedisce la concentrazione e tutto si riduce ad un fare - che può essere vario o ripetitivo - senza progetto. Al senso di urgenza può contrapporsi, allora, la frustrazione propria di chi avverte di "girare a vuoto". Sebbene le manifestazioni della mania e della depressione siano di segno opposto, il problema di fondo è lo stesso: il soggetto avverte, in entrambi i disturbi, il medesimo senso di incapacità di vivere pienamente e serenamente la propria esistenza. Il depresso è risucchiato nel vuoto, il maniaco gli gira vorticosamente attorno. Non è infrequente che fasi di maniacalità si alternino a fasi depressive (disturbo maniaco-depressivo). Mania è uno dei termini più usati nel linguaggio comune con significati diversi da quello appena definito, per lo più come sinonimo della parola ossessione ("Ma è una mania!", "Ha la mania di pettinarsi"), o riferito a persona perversa ("È un maniaco", "un maniaco sessuale"). Tali usi, anche se diffusi, sono comunque impropri. Schizofrenia È il disturbo forse più difficile da definire. Rappresenta tuttora uno dei temi centrali e più controversi della psichiatria. Nella collettività evoca l'immagine della "pazzia" più grave e incomprensibile. II termine viene usato per indicare uno stato della mente affetto da scissioni e separazioni nel quale logica, pensiero, emozioni, sentimenti si dissociano producendo comportamenti incoerenti e strani. In passato si riteneva che questa patologia fosse incurabile e progressivamente invalidante, fino a rendere il soggetto demente. Oggi questa idea è ampiamente superata, ma la parola schizofrenia è rimasta ancora in uso e sotto questo termine vengono classificati numerosi disturbi psichici di varia entità e gravità. Illustriamo sinteticamente i principali sintomi che vengono riscontrati quando si parla di schizofrenia: • • isolamento dalla realtà, ovvero il soggetto vive in un "mondo proprio", difficile ma non impossibile da comprendere, dove si rifugia per vincere l'angoscia e in cui difficilmente consentirà agli altri di penetrare; delirio, è la convinzione profondamente radicata che un certo fatto, falso o inverosimile, sia vero; è carica di emotività e il soggetto non ammette dubbi o incertezze sulla sua verità: • allucinazione, è una alterazione della percezione; il soggetto percepisce e vive come reali immagini e sensazioni inesistenti. Deliri e allucinazioni, pur essendo molto frequenti nella schizofrenia, si rinvengono anche in altri disturbi mentali. Nonostante, le manifestazioni del soggetto risultino spesso sconcertanti, facendo pensare a veri e propri "guasti" del cervello, questi sintomi sono modalità con cui la persona schizofrenica cerca di difendersi, sia pure in modo incongruo, da una sofferenza profonda e devastante. Così intesa, la schizofrenia è curabile, spesso suscettibile di miglioramento e in diversi casi guaribile. La concezione pessimistica della vecchia psichiatria non ha motivo di esistere. Paranoia È un disturbo psichico caratterizzato dal ritenersi in pericolo perché perseguitati da uno o più nemici. Eventi quotidiani, usuali comportamenti delle persone, avvenimenti straordinari: tutto è interpretato come segnale di congiure in atto. Si sviluppa un vero e proprio delirio ben strutturato e destinato a durare nel tempo e da esso il soggetto è irremovibile. A nulla serve cercare di convincerlo della assurdità dei suoi sospetti. Lo stato delirante è una sorta di barriera difensiva, eretta per paura del mondo esterno, cui si accompagna l'isolamento dalla vita sociale, con pensieri e sentimenti di diffidenza e ostilità nei confronti degli altri. Questo disturbo, quindi, non ha nulla a che vedere con gli stati di sfiducia e di incertezza che possono prendere chiunque in particolari momenti di difficoltà nella vita. Fobia È una paura immotivata ed esagerata verso determinati oggetti, persone, animali, ambienti o situazioni. Molte fobie, senza raggiungere caratteri patologici, sono diffuse, oltre che tra gli adulti, anche tra i bambini, come la fobia del buio o dei cani. L'ambiente e l'educazione spesso possono influire nel determinare una fobia: si pensi alla madre che rimprovera il bambino e dice: "se non stai buono ti faccio mangiare dal cane", "se fai i capricci ti chiudo al buio". La caratteristica delle persone che hanno sviluppato una o più fobie è quella di evitare in tutti i modi la possibilità di entrare in contatto con l'oggetto, la persona, l'animale o l'ambiente temuto. Questo fatto può comportare notevoli alterazioni di comportamento e impedimenti nello svolgimento della vita quotidiana. Ossessione La persona che ha un disturbo ossessivo si sente costretta, suo malgrado, ad avere pensieri ripetitivi e ad agire secondo comportamenti obbligati (per es., deve controllare continuamente chiusure o aperture di porte, interruttori, rubinetti ecc.; deve pulire ripetutamente suppellettili, strumenti, indumenti o se stessa; deve uscire portando con sé certe cose o passando per certi luoghi). La fobia è un rifiuto, l'ossessione è un'attrazione inesorabile. Il soggetto si sofferma su un'idea assurda ed inappropriata, che avverte come estranea, che lo rende pesantemente schiavo di cose, di luoghi, di riti, perdendo la padronanza di sé e della propria vita. Le ossessioni possono invadere così profondamente la mente di una persona, da renderle la vita impossibile, dolorosa e soffocante. Isteria Può essere definita come la finzione inconsapevole ed involontaria di un disturbo, sia del corpo che della mente: impossibilità di camminare, paralisi degli arti, amnesie, cecità ecc. Senza rendersene conto la persona imita ed esibisce, a sé ed agli altri, un disturbo che realmente non ha, ma che è convinta di avere. Così facendo, spera inconsciamente di ottenere l'attenzione e l'aiuto degli altri. L'isterico, in questo modo, fa vedere con una finta malattia solo una parte della grande sofferenza che si nasconde dietro un problema non affrontato. Ipocondria È il disturbo per cui si ha la convinzione di essere malati senza che ve ne sia reale motivo, e di questa preoccupazione si soffre e ci si tormenta. Non è raro trovare persone che trascorrono gran parte del tempo sottoponendosi a visite mediche, analisi cliniche e pratiche terapeutiche, nel disperato tentativo di conoscere quale "malattia interna" debba assolutamente esserci, per spiegare la loro sofferenza. L'ipocondria è come un'ossessione rivolta verso il proprio corpo vissuto come luogo di malfunzionamento. Attenzione: l'ipocondriaco è un malato immaginario per la medicina generale, ma diviene un paziente per la psichiatria. Infatti la sua convinzione è falsa, ma la sofferenza è vera. L'ipocondria non va confusa con i disturbi psicosomatici che sono vere e proprie malattie dell'organismo, determinate prevalentemente da fattori psicologici (ulcera gastro-duodenale, asma ecc.). Anoressia e bulimia Si tratta di due disturbi psicologici che si manifestano attraverso l'eccessiva attenzione per l'alimentazione e per il proprio corpo. L'anoressia si manifesta prevalentemente tra le adolescenti con un ostinato rifiuto ad alimentarsi, con la conseguenza di un forte dimagrimento che nelle forme più gravi può condurre anche alla morte. L'anoressica vede il proprio corpo, anche se magro, sempre come troppo grasso. La bulimia è caratterizzata da grandi abbuffate di dolci e di cibi ingrassanti, che vengono ingurgitati in gran fretta; quasi sempre di nascosto. Sia le persone anoressiche che quelle bulimiche si procurano il vomito come estremo tentativo di ripristinare il controllo del proprio corpo. Demenza Esistono altri disturbi mentali, che hanno una sicura base organica (lesione biologica del cervello); tali disturbi, di parziale competenza psichiatrica, coinvolgono anche la neurologia e la medicina generale. La demenza è un disturbo caratterizzato dalla progressiva perdita dell'intelligenza e della memoria per la morte di un consistente numero di cellule cerebrali. La demenza deriva da cause patologiche (atrofia cerebrale, arteriosclerosi, traumi, tumori cerebrali ecc.), ma anche dal semplice invecchiamento, cioè dal fisiologico deterioramento mentale cui va incontro l'essere umano nel corso della sua esistenza. Insufficienza mentale È la condizione dovuta ad uno sviluppo limitato della personalità, sia in termini cognitivi che affettivi. Le cause dello sviluppo limitato sono di natura ereditaria, traumatica (nella gravidanza e durante il parto) ed infettiva (encefalite cerebrale). L'insufficiente mentale (o handicappato mentale) è una persona in vario grado meno intelligente e più immatura, sul piano affettivo e comportamentale, della media degli individui. In conclusione il demente è un ricco divenuto povero, mentre l'insufficiente mentale è una persona sempre stata povera. Confusione mentale È quella condizione per la quale una persona perde la capacità di orientarsi nel tempo, nello spazio e perfino verso le persone più intime e note che non riesce a riconoscere. Più che un disturbo è un sintomo causato da un'aggressione diretta dell'encefalo (intossicazione alcolica, infezioni cerebrali, traumi cranici, tumori cerebrali, arteriosclerosi) o indiretta, come avviene in alcune malattie infettive gravi con febbre alta (malaria, tifo ecc.). Qualunque disturbo mentale in fase acuta può presentarsi in forma di confusione mentale. Il lavoro dell'assistente sociale L'Assistente sociale lavora sulle situazioni di disagio e di emarginazione di singole persone, di nuclei familiari e di particolari categorie. L'assistente sociale lavora a stretto contatto con persone o nuclei familiari in gravi situazioni di disagio. Le categorie che solitamente beneficiano di questa professionalità sono i minori, gli anziani, i tossicodipendenti, i portatori di handicap e gli immigrati. Risulta già ben chiaro come possano essere tantissimi i compiti di questi professionisti che devono essere in grado di relazionarsi con una moltitudine diversa di interlocutori. Ruoli dell'assistente sociale Questa figura svolge non solo compiti di carattere socio-assistenziale, ma anche di natura amministrativa e organizzativa; nello specifico: • • • • • • • individua e censisce le situazioni di emarginazione su segnalazioni di insegnanti, medici, forze dell'ordine, ecc.; entra in contatto con le persone che si trovano in situazioni di disagio e ne analizza i bisogni; identifica gli strumenti più adatti al singolo caso e disponibili sul territorio; crea un contatto tra i servizi territoriali competenti e il soggetto; segnala alle autorità giudiziarie i casi che necessitano del loro intervento (abbandoni, abusi, ecc.); coordina le attività svolte dalle strutture competenti; definisce i percorsi da seguire con le persone in stato di bisogno, elaborandoli anche all’interno di équipe multidisciplinari. Lavori di consulenza L'Assistente sociale ricopre inoltre compiti di consulenza presso i tribunali e collabora con l'autorità giudiziaria nelle pratiche di affido e di adozione di minori, negli affidamenti al servizio sociale, in alternativa alla pena carceraria. Dove lavora un assistente sociale? • • • presso strutture pubbliche e private, ASL, Ministeri (Giustizia, Lavoro, Sanità, ecc.), Enti locali, servizi alla persona e centri riabilitativi nei servizi per i minori con problemi di giustizia e in quelli per gli adulti delle amministrazioni penitenziarie presso le prefetture, nelle case di riposo, nelle case-famiglia e in quelle di accoglienza per le donne maltrattate. Questa figura professionale deve: avere conoscenze di base e specialistiche nel campo della sociologia, della psicologia, del diritto e dell'economia; possedere competenze in merito alle politiche sociali, alla sanità, alla sicurezza dei luoghi; all'organizzazione dei servizi e all'analisi di fenomeni sociali e culturali; saper prevenire e trovare soluzioni alle situazioni di disagio di singoli o di gruppi; essere capace di programmare gli interventi; essere in grado di organizzare e coordinare le strutture di servizio, conoscere almeno una lingua dell'Unione Europea per l'aggiornamento professionale; utilizzare gli strumenti informatici. Requisiti per intraprendere questo lavoro Per diventare assistente sociale è infine necessaria la laurea triennale in Servizio sociale e il superamento dell'esame di Stato che abilita alla professione. È obbligatoria l'iscrizione all'Albo, divisa in due sezioni in base al grado di formazione: Assistente sociale specialista, se in possesso delle laurea specialistica; Assistente sociale, se in possesso della sola laurea triennale. Chi richiede i servizi dell'assistenza sociale I professionisti del settore possono lavorare sia nel comparto pubblico che in quello privato. Le competenze richieste possono variare dalle semplici funzioni di assistente sociale a mansioni organizzative e manageriali per le quali è richiesto il profilo di Assistente sociale Specialista. In particolare è possibile trovare impiego in Ministeri, ospedali, Usl, cliniche private, case famiglia, carceri, centri d'accoglienza, Tribunali per minori, centri per le dipendenze, oltre che in attività di ricerca (quindi Università ed enti di ricerca). La retribuzione varia da caso a caso, con una forte discrasia fra il settore pubblico – dove si accede solo tramite concorso pubblico – e quello privato dove, di norma, la retribuzione è molto bassa e le possibilità di carriera esigue. È possibile lavorare anche come libero professionista fondando uno studio e cercando convenzioni con enti pubblici e soggetti privati. Tutto sul lavoro di assistente domiciliare La figura dell’assistente domiciliare è sempre esistita, ma solo negli ultimi anni se ne parla di più, tanto che la professione è stata anche oggetto di regolamentazione, come ogni altro lavoro del resto. L’assistente domiciliare è colui che aiuta chi è in stato di non indipendenza (permanentemente o temporaneamente) e ha bisogno di una mano per la vita quotidiana. In poche parole, l’assistente domiciliare aiuta gli anziani e non che hanno bisogno di aiuto nello svolgere le faccende domestiche, nel fare la spesa, nel curare la propria igiene personale e quella della casa, coloro i quali hanno bisogno di aiuto per uscire da casa e andare a pagare una bolletta. Insomma, questa figura professionale è una sorta di angelo che aiuta chi non riesce a vivere bene da solo. In molti casi, gli assistenti domiciliari si trovano ad operare in situazioni di assoluta indigenza ed è proprio per questo motivo che devono essere ben preparati e devono riuscire a far fronte a diverse situazioni, anche non proprio felici. Ci sono degli anziani, ma anche dei giovani disabili, che vivono in uno stato di abbandono e povertà e che hanno bisogno di cure e aiuto, non potendo avere al loro fianco una famiglia che si occupi dei loro bisogni primari. Ma come si diventa assistente domiciliare? Iniziamo con il dire che per fare questo mestiere, che ultimamente è tra i più richiesti in assoluto, bisogna avere un po’ di esperienza. Moltissimi sono i corsi di formazione, così come tante sono le possibilità di formarsi facendo volontariato. Solo l’esperienza, infatti, può dare quella formazione che serve per essere a contatto con delle realtà che possono rivelarsi molto difficili. Dopo aver frequentato un corso o aver fatto del volontariato, si deve trovare effettivamente un lavoro: come? Ci sono dei privati che cercano assistenti domiciliari, delle aziende che si occupano di assistenza domiciliare e presso le quali si può venire assunti o anche degli enti. Il lavoro di assistente domiciliare è un lavoro tutt’altro che semplice: sebbene sia molto richiesto e facile da trovare, non è detto che sia altrettanto facile svolgerlo. Di solito il luogo di lavoro è l’abitazione della persona che si deve accudire e spesso capita anche che l’assistente domiciliare debba abitare sotto lo stesso tetto del suo assistito, poiché ci sono delle situazioni che richiedono assistenza 24 ore su 24. In poche parole, l’assistente domiciliare diviene una sorta di infermiere tuttofare a disposizione di chi lo assiste. Ci vuole molta preparazione ma anche molta pazienza, perché si tratta di un lavoro estremamente complesso anche se di elevatissimo valore sociale, perché si aiutano delle persone in difficoltà. Le Tecniche della Riabilitazione Le attività riabilitative possono centrare il proprio focus su diversi ambiti che consentono la loro classificazione in: 1. primo livello inerente alla vita quotidiana nei suoi risvolti personali, famigliari e sociali. Sono attività mirate allo sviluppo delle competenze di vita quotidiana, per esempio Social Skills Training, supporto allo studio, reinserimento lavorativo, ecc. 2. secondo livello sono finalizzate al recupero di più adeguate capacità introspettive e relazionali, infatti mirano a far emergere, riconoscere ed elaborare il vissuto emotivo al fine di facilitare nel paziente il raggiungimento di un miglior livello di consapevolezza e di adattamento, per esempio l’arteterapia, la musicoterapia attiva e d’ascolto, la danzamovimentoterapia, l’assertività, il gruppo discussione. Devono essere condotte da figure terapeutiche con formazione specifica nel campo. In altri termini le attività di 1° livello sono orientate prevalentemente sulla realtà esterna del paziente, sui suoi comportamenti, sul suo modo di interagire con l’ambiente, sulle attività concrete di vita quotidiana e utilizzano prevalentemente l’agire. Le attività di 2° livello invece si rivolgono essenzialmente al mondo interno del paziente, alle sue ansie, ai suoi conflitti e alle sue emozioni. Moltissime sono le tecniche che possono essere utilizzate, a titolo esemplificativo, ma non esaustivo: Tecniche cognitivo comportamentali Introduzione • Modelli di Social Skills Training (Anthony, Liberman, Farkas) • Modello di Ciompi • Modello di potenziamento dei Comportamenti Socialmente Competenti di Spivak • Modello Psicoeducativo Familiare di Falloon • Terapia Psicologia Integrata e Metodo casa, lavoro e tempo libero di Brenner Tecniche espressive • Arteterapia • Danzamovimentoterapia • Musicoterapia • Teatroterapia Tecniche verbali • Discussione • Supporto alle famiglie Altri interventi • Assertività • Attività reparto • Cineforum • Cura del sé • Gioco e tempo libero • Gruppo cucina • Gruppo Fiabe • Gruppo giornale • Inserimento lavorativo • Interventi a domicilio • Psicomotricità • Terapia facilitata da animali • Terapia occupazionale · · Rot Validation TECNICHE COGNITIVO - COMPORTAMENTALI Si tratta di modelli diversificati sia in termini teorici che operativi, ma è presente una comunanza di intenti terapeutici rappresentati da: § migliorare l'adattamento sociale dei pazienti psichiatrici, § promuovere l'acquisizione di quelle condizioni affettive, cognitive e relazionali essenziali per determinare l'acquisizione e la conservazione dei ruoli sociali. Se le caratteristiche cliniche del disturbo comportamentale, le relazioni famigliari e sociali in cui vive il paziente appaiono correlate alla disabilità in una circolarità quasi sinergica, l'ipotesi di lavoro su cui si fonda questo approccio è che sia possibile rompere questo circuito con interventi miranti a far evolvere tali interazioni in senso positivo. Il modello esplicativo più condiviso dai diversi autori è rappresentato dal modello vulnerabilità – stress, secondo il quale alcuni individui sono biologicamente più vulnerabili allo stress (per esempio, disagi e conflitti quotidiani; life events, altamente significativi, quali lutti, rotture di relazioni, perdita del lavoro, ecc.) ed in conseguenza di questa vulnerabilità un evento stressante, di intensità tale da superare le capacità di adattamento della persona, può determinare l’insorgere di un episodio acuto e successivamente di disabilità. Modelli di Social Skills Training (Anthony, Liberman, Farkas) Secondo i modelli cosiddetti bio-psico-sociali l’esordio, il decorso e l’esito della malattia mentale possono essere spiegati grazie a fattori psicosociali e biologici. Si tratta di approcci finalizzati al rinforzo delle performances di social skills del soggetto tra cui: autogestione, self help, gestione dello spazio abitativo, attività lavorative, ecc. Secondo Liberman i fattori che determinano, con maggiore probabilità, l’insorgenza di disabilità nei pazienti schizofrenici sono: 1. Un apprendimento inadeguato delle Social Skills determinato dal fatto che l’esordio della patologia avviene, solitamente, in fase adolescenziale o post adolescenziale e quindi il soggetto non ha la possibilità di osservare, in maniera sufficientemente adeguata e protratta nel tempo, gli adulti che lo circondano e, in conseguenza, non può acquisire le competenze che gli sono necessarie. 2. Un non corretto utilizzo delle Social Skills che ha appreso prima dell'esordio della patologia e questo a causa della scarsa interazione con l'ambiente circostante che spesso caratterizza e connota la personalità premorbosa dei soggetti schizofrenici. 3. Una carenza di rinforzi, da parte dell’ambiente circostante, che è conseguente alla mancanza sia di contatti sociali validi, sia dei feed back positivi che gli sono necessari allo sviluppo e al consolidamento delle Social Skills. 4. Una sintomatologia caratterizzata anche da ansia sociale che può raggiungere un’intensità tale da impedire al soggetto l'utilizzo, totale o parziale, delle Social Skills che possiede. 5. Le interferenze che sono conseguenti ai sintomi produttivi, per esempio deliri o allucinazioni, che gli impediscono l'utilizzo delle Social Skills possedute. 6. Il rinforzo, da parte dell’ambiente circostante, del suo comportamento inadeguato e del ruolo di malato. 7. La presenza di effetti collaterali farmacologici che possono rendere difficile l'utilizzo delle Social Skills che possiede. Ai fattori di vulnerabilità l'intervento riabilitativo contrappone i cosiddetti fattori protettivi (per esempio un ambiente adeguato, sistemi di supporto idonei, servizi psicosociali, eccetera) e percorsi terapeutici finalizzati allo sviluppo delle Social Skills. Modello di Ciompi Ciompi centra il proprio modello riabilitativo sul reinserimento sociale, sulla ricerca di autonomia, responsabilità e libertà del soggetto. Il suo protocollo di intervento è costituito da una strategia basata sulle: aspettative dei familiari e/o del contesto e degli operatori, ipo/iper stimolazione del paziente. Il processo terapeutico si sviluppa lungo due assi: lavoro (con una declinazione di sviluppo che va da nessun lavoro al lavoro normale), casa (con una progressione di sviluppo che va dal reparto psichiatrico chiuso all’abitazione non protetta). Il compito quindi della riabilitazione è quello di favorire il passaggio del paziente, da livelli più regrediti a livelli più maturi. L’autore afferma che il successo dell’intervento non dipende dalla malattia o da variabili generali (sesso, età, ecc.), ma da: fattori di tipo sociale (tra cui soprattutto le aspettative della famiglia, poi quelle del paziente infine quelle degli operatori), la struttura della rete sociale del paziente, la durata temporale dell'esclusione dal mondo del lavoro, fattori legati alla personalità e alla motivazione del paziente stesso. Modello di potenziamento dei Comportamenti Socialmente Competenti (CSC) (Spivak) Questo modello è basato sulla prevenzione della cronicità grazie ad interventi essenzialmente di tipo psicosociale che sono attuati in due filoni: la valutazione dei CSC del paziente nel suo contesto, le interazioni tra i CSC e le aspettative del contesto in cui il soggetto vive. Questi programmi sono solitamente individuali e si centrano sulle competenze abitative, della cura di sè, lavorative, delle relazioni familiari e sociali. Secondo Spivak la disabilità psicosociale può essere compresa attraverso quella che lui definisce spirale viziosa della desocializzazione che è il risultato di un processo di reciproco influenzamento fra il paziente e il mondo che lo circonda, compreso l’ambito terapeutico. Per Spivak l’obbiettivo fondamentale della riabilitazione è l'aumento dell'articolazione sociale del paziente, che deve poter sviluppare le abilità sociali che gli consentano di soddisfare i bisogni e le richieste proprie ed altrui in maniera efficace e secondo norme sociali accettabili e condivisibili. L'autore individua 5 aree o spazi vitali che sono: l'abitazione, il lavoro, i compagni e/o famiglia, la cura personale, lo spazio sociale e ricreativo. Il compito della riabilitazione è quindi lo sviluppo dei CSC che determinano un aumento dell'articolazione sociale in ciascuna di queste 5 aree. Il percorso riabilitativo verso l'acquisizione di CSC è reso possibile dall'utilizzo delle quattro dimensioni socio-interazionali della riabilitazione: supporto costante del paziente, iniziale permissività nei confronti del paziente per consentire l'espressione del comportamento inadeguato da riabilitare, non rinforzo delle aspettative presenti in risposta al comportamento inadeguato, impiego selettivo di ricompense sotto forma di relazioni umane e oggetti materiali. Modello Psicoeducativo Familiare (Falloon) Questo modello è finalizzato ad aumentare la consapevolezza dei familiari sulla patologia del paziente, a ridurre l'Emotività Espressa familiare, a migliorare la compliance farmacologica e a ridurre le ricadute utilizzando le alcune strategie: potenziare lo sviluppo delle risorse sane della famiglia senza interferire con i presupposti base della famiglia stessa; fornire informazioni sulla natura, le manifestazioni e le possibili terapie della patologia del paziente; ridimensionare le aspettative familiari, gli atteggiamenti di ipercoinvolgimento emotivo, di ostilità e ipercriticismo che determinano l’isolamento del paziente nel nucleo familiare; migliorare la compliance al trattamento del paziente e dei familiari; favorire l'accettazione della cronicità indotta dalla malattia. L'addestramento dei familiari avviene a domicilio e si centra sui seguenti aspetti fondamentali: sviluppo delle capacità di comunicare sentimenti positivi o negativi; sviluppo di capacità nuove di affrontare i problemi. Questi obiettivi vengono raggiunti utilizzando il problem solving. Grazie a questo metodo i problemi del singolo possono essere condivisi dall'intera famiglia, facendo convergere nella soluzione del problema tutte le risorse emotive, cognitive del nucleo familiare implicato, inoltre è favorita l'apertura di nuovi canali di comunicazione. Terapia Psicologica Integrata (IPT) e metodo CLT (Casa, Lavoro e Tempo libero) di Brenner Il metodo IPT interviene sui deficit cognitivi, presenti nel paziente schizofrenico, prima che su quelli comportamentali, invece il programma CLT rappresenta una specifica articolazione dell’ultima parte del metodo IPT in quanto ottimizza gli interventi sulle abilità sociali applicandoli ad ambiti specifici e rilevanti della vita del paziente quali quello abitativo, lavorativo e del tempo libero. Il programma IPT è stato sviluppato per favorire il miglioramento delle funzioni cognitive di base (livello attentivo e percettivo) e degli aspetti cognitivi più complessi (livello cognitivo) e in un secondo momento favorisce l’acquisizione di abilità sociali progressivamente più complesse (livello micro e macro sociale). Il metodo CLT si propone invece il miglioramento del funzionamento sociale e quindi lo sviluppo di abilità implicate nei livelli micro e macrosociale. I programmi si svolgono in gruppi chiusi, costituiti da 4-8 soggetti per il metodo IPT e fino a 10 partecipanti per il metodo CLT. Il metodo IPT si articola in cinque sottoprogrammi: differenziazione cognitiva, percezione sociale (training cognitivo), comunicazione verbale, abilità sociali e risoluzione di problemi (training sociale) ciascuno dei quali a sua volta prevede un numero variabile di fasi. Sottoprogrammi e fasi sono organizzati in modo consecutivo e gerarchico rappresentando rispettivamente uno la premessa del successivo. Il metodo CLT è costituito da tre moduli: casa, lavoro e tempo libero. Ciascuno modulo può essere proposto separatamente o in associazione agli altri, in relazione alle aree di disabilità riconosciute in ciascun paziente. Ogni modulo si articola in unità e prevede diverse fasi: § orientamento cognitivo (valutazione dei desideri, delle aspettative e delle risorse di ciascun partecipante) necessaria alla formulazione di obbiettivi realistici nell’area oggetto del modulo, § acquisizione di abilità specifiche finalizzata all’identificazione e all’apprendimento delle abilità utili alla realizzazione dei propri obbiettivi § gestione delle situazioni problematiche finalizzata a fornire ai pazienti le strategie di soluzione dei problemi a loro più adatte. Il metodo CLT si avvale in modo particolare di quattro tecniche terapeutiche: del role-play e del problem solving che come visto corrispondono agli ultimi due sottoprogrammi IPT, di interventi di ristrutturazione cognitiva e delle tecniche di rilassamento. LE TECNICHE ESPRESSIVE ARTETERAPIA Per arteterapia si intende una tecnica terapeutica non verbale che utilizza il linguaggio dell’arte come mezzo di comunicazione, allo scopo di incanalare ed organizzare emozioni, conflitti o ricordi dando loro forma in un opera visiva concreta che viene effettuata all’interno della dinamica relazionale tra terapeuta e fruitore. E’ importante precisare che l’attenzione è rivolta soprattutto al processo creativo di cui l’opera non è che il risultato visivo. In altri termini le potenzialità terapeutiche sono presenti non nel prodotto, ma nel processo creativo. L'opera artistica diviene quindi uno strumento terapeutico in quanto permette di poter comunicare e riconoscere quelle emozioni celate nel suo mondo interiore; un mondo che, nella vita reale, rischierebbe di portarlo all'alienazione. Il linguaggio adoperato dal paziente sarà composto da immagini e simboli, i mezzi tecnici messi a sua disposizione sono diversi tra pennarelli colorati, acquerelli, matite colorate, gessetti, pastelli a cera. L'uso del colore può essere considerato uno dei tanti punti di forza di questa tecnica non verbale, infatti esso può essere considerato di per sé un'esperienza estetica, capace di stimolare un immediato rimando emotivo che possa essere allo stesso tempo espressione e contenimento dell'emozione. Se nella psicoterapia l’espressione verbale è lo strumento privilegiato grazie al quale il terapeuta entra in contatto con i vissuti emotivi del paziente ed esprime i propri interventi, nell’arte terapia è l’espressione grafica a svolgere queste funzioni. Esprimersi con l’arte vuol dire non solo comunicare qualcosa di sé, ma anche imparare come farlo, modulando gli istinti, le emozioni e il pensiero. L’arte oggettiva sentimenti ed emozioni consentendo di contemplarli e capirli, concretizza l’esperienza interiore dando la possibilità di farla emergere, riconoscerla, interpretarla e contenerla. DANZAMOVIMENTOTERAPIA (DMT) Per DMT si intende l’utilizzazione terapeutica del movimento, in quanto processo per aiutare un individuo a ritrovare la propria unità psicocorporea. La sua specificità si riferisce al linguaggio del movimentocorporeo e al processo creativo, che sono i modi attraverso cui si valuta e si interviene all’interno di processi interpersonali che hanno come scopo la positiva evoluzione della persona. Infatti il movimento è un mezzo per scoprire il corpo e le sue possibilità espressive, non limita e non riduce il suo ruolo all’apprendimento motorio meccanico e codificato di schemi più o meno biologicamente determinati, ma tende a riconsegnare alla persona unicità espressiva, agisce sull’educazione dell’espressione tonica e motoria attraverso lo spazio, il tempo e l’energia, i tre elementi della danza. Gli obiettivi terapeutici di queste tecniche sono molteplici e schematicamente è possibile riassumerli in: § promuovere o far ritrovare alla persona il piacere funzionale, l’affinamento delle funzioni psicomotorie, l’unità psicocorporea, la simbolizzazione, l’immagine corporea e la stima di sé. § Favorire il miglioramento delle performances comunicative intrapersonale ed interpersonale; lo sviluppo delle capacità espressive, e quindi della capacità di esprimere i propri vissuti; il miglioramento delle performances emotive, della consapevolezza, della regolazione delle emozioni, con conseguente miglioramento delle capacità di canalizzare la scarica di eventuali tensioni con modalità socialmente accettabili; il potenziamento dell’integrazione corporeo emozionale; il cambiamento reso possibile da una maggiore integrazione del Sé. Il panorama delle metodologie della DMT applicate in Italia oggi è rappresentato da: DMT espressivo creativa ad orientamento psicoanalitico DMT ad orientamento espressivo (psicodinamica e relazionale) DMT Integrata DMTI Danzaterapia di Maria Fux DMT in chiave simbolica DMT ad orientamento gestaltico MUSICOTERAPIA La musicoterapia viene definita come l'insieme di tecniche basate sull’uso del suono e della musica come strumenti atti a facilitare lo sviluppo di una buona relazione. Si basa sulla capacità dei suoni di favorire una comunicazione che oltrepassa l’uso del linguaggio, promuovendo l’espressione dei vissuti più profondi: le pulsioni (aggressività, energia vitale), le emozioni di base (rabbia, tristezza, paura, sorpresa, gioia) e tutti gli affetti che animano l’interiorità umana (vergogna, dubbio, incertezza, timore, eccetera). La musica è stata infatti definita come il linguaggio delle emozioni. La musicoterapia dispone di due categorie tecniche fondamentali: § l’ascolto (MT ricettiva): si tratta dell’ascolto di brani musicali, opportunamente scelti all’interno della relazione terapeuta - paziente, capaci di stimolare sensazioni, emozioni, immagini mentali, ricordi, pensieri; § la produzione (MT attiva): riguarda l’uso di semplici strumenti musicali, che non richiedono alcuna competenza tecnica, per costruire un dialogo sonoro tra terapeuta e paziente, in grado di facilitare l’espressione dei vissuti emotivi, aumentando così la consapevolezza di sé, l’autostima, l’equilibrio tra le tensioni interne, la creatività. La finalità principale della musicoterapica è l’armonizzazione della personalità dell’individuo e la costruzione di uno stato di miglior-essere a partire da uno di mal-essere o di ben-essere relativo. Tale modello pone inoltre particolare attenzione alla regolazione delle emozioni, quale esito di un buono sviluppo e di una buona integrazione personale. In ambito psichiatrico, la musicoterapia trova il suo campo di applicazione nel trattamento riabilitativo poiché essa consente: § l’espressione delle cariche pulsionali; § l’integrazione mente-corpo (armonizzazione tra tono muscolare, sensazioni, atteggiamenti motori, affetti e attività mentale) § § la ristrutturazione dei concetti di tempo e durata; l’utilizzazione di una comunicazione non verbale vicina al processo primario e sintona con la regredita struttura dell’Io psicotico; § l’istituzione di una relazione interpersonale mediata dall’”oggetto” musicale; § l’integrazione della personalità sul piano spaziale (adeguata distinzione tra sè e non sè) § l’espressione delle emozioni, attraverso la rimozione di blocchi ed inibizioni § lo sviluppo delle capacità di socializzazione attraverso l’integrazione nel gruppo § lo sviluppo della creatività La musicoterapia attiva può comprendere numerose tecniche in stretta relazione con il “fare musicale”: improvvisazione, esecuzione di partiture, composizione di brani ecc. TEATROTERAPIA La teatroterapia è la tecnica espressiva di applicazione più recente e conseguentemente è quella che presenta un maggior numero di approcci, infatti al termine teatroterapia vengono riferiti, con diversi livelli di correttezza semantica e concettuale, un gran numero di approcci terapeutici che si originano o vertono nell’ambito teatrale. E' possibile definire l’ambito delle teatroterapie come l'insieme di tecniche terapeutiche che operano partendo dalle caratteristiche proprie del teatro: l’identificazione, il personaggio, la rappresentazione, il palcoscenico, il gioco, la finzione scenica, l’espressività, la catarsi, la maschera, l’attività simbolica, il linguaggio verbale e non verbale, la comunicazione. Ognuno degli approcci terapeutici basati sul teatro parte da punti di vista differenti, privilegiando una o più caratteristiche e ponendosi obbiettivi terapeutici diversificati. L’approccio terapeutico mediato da tecniche teatrali opera in due direzioni convergenti: a partire dall’esterno, intervenendo sul corpo e le sue manifestazioni attraverso le tecniche che incidono sulla postura, il movimento e il linguaggio. A partire dall’interno, attraverso l’analisi del personaggio sé che si può decidere di rappresentare, valutandone ed affrontandone i sentimenti e le emozioni che lo animano e che lo porteranno a sviluppare le intenzioni recitative. Essere in grado di gestire le emozioni di un personaggio e di rappresentarlo nella finzione scenica, può convincere che sia possibile interpretare, possedendolo e gestendolo, il copione della propria esistenza, uscendo dal ruolo passivo ed impotente che tanto spesso la malattia impone a chi ne è portatore. TECNICHE VERBALI IL GRUPPO DI DISCUSSIONE Per gruppo di discussione si intende un gruppo riabilitativo che utilizza come strumento terapeutico la comunicazione verbale e non verbale. Solitamente è strutturato come gruppo aperto, eterogeneo ed autocentrato. Ha una frequenza settimanale o bisettimanale e una durata compresa tra un’ora e un’ora e trenta. Rientra nelle attività di II livello e si colloca in posizione intermedia tra le attività riabilitative più elementari e la psicoterapia. E’ indicato per soggetti che, non avendo buone capacità di insight, non possono accedere alla psicoterapia, si tratta quindi di pazienti non gravemente regrediti e parzialmente capaci di intraprendere relazioni interpersonali, ma deficitari dal punto di vista del mantenimento di una corretta e costante relazione d’oggetto ed incapaci di verbalizzare in modo adeguato e sintono le proprie problematiche ed i vissuti emotivi. Attraverso l’uso di strumenti riabilitativi quali la relazione e la comunicazione verbale e non verbale, si pone come obiettivi fondamentali: il sostegno alle funzioni dell'Io nei pazienti che a causa del proprio quadro psicopatologico (psicosi sia dello spettro schizofrenico che affettivo, disturbi di personalità (soprattutto, ma non esclusivamente, borderline), gravi forme nevrotiche, ecc., manifestano deficit nella struttura egoica; il miglioramento delle capacità e della qualità della comunicazione interpersonale; l’aumento, per quanto possibile, delle capacità di insight e, comunque, il miglioramento della capacità di cogliere i propri stati emotivi e affettivi; il miglioramento delle modalità comportamentali; il miglioramento delle capacità relazionali interpersonali. E’ controindicato per pazienti: gravemente regrediti o deficitari dal punto di vista cognitivo, in fase di scompenso conclamato, con valenze autistiche marcate, o comunque sintoni rispetto al loro ritiro comunicativo. Vanno quindi considerati i seguenti criteri di esclusione dal gruppo: lo stato di agitazione psicomotoria, quadri spiccatamente paranoidei, che potrebbero essere rinforzati dalla situazione gruppale, e più generalmente quadri psicopatologici di grave scompenso e in fase florida; la presenza di gravi istanze narcisistiche o istrioniche di personalità; lo stato confusionale e le patologie difettuali o le situazioni gravemente regressive che non consentono di intraprendere o sostenere una attività terapeutico riabilitativa basata sull'uso prevalente del codice verbale. SUPPORTO ALLA FAMIGLIA Il coinvolgimento della famiglia nel progetto riabilitativo è uno dei elementi centrali dell’intervento, infatti creare una rete di supporto e di comunicazione tra paziente, équipe riabilitativa e famigliari facilita la comprensione dei reciproci bisogni, delle aspettative, delle difficoltà e delle potenzialità presenti, riducendo la frammentazione che il paziente vive. Inoltre lavorare con le famiglie fornisce loro la possibilità di avere un contenitore ed un supporto emotivo nel percorso di cura. Sono diversi i modelli di terapia famigliare che sono stati strutturati nel corso degli anni, schematicamente è possibile raggrupparli in: § Il modello psicoanalitico considera la famiglia un’entità a sé con modalità di funzionamento specifiche rispetto al singolo funzionamento individuale. La famiglia esercita una forte influenza sui vissuti del singolo: la manifestazione e la trasmissione dei vissuti psicodinamici e relazionali contribuisce alla strutturazione delle funzioni dell’Io individuale, del suo stato affettivo, delle sue difese ed in senso generale del suo Sé. A questa famiglia intesa come “corpo ed apparato pensante” si rivolgerà la terapia, che si svolge secondo la tecnica propria psicanalitica; l’analisi delle dinamiche interpersonali intrafamigliari avverrà sia nell’hic et nunc della seduta che nella storia passata della famiglia. § Il modello strategico, opposto all’intervento analitico, segue un orientamento pragmatico: nelle sedute il terapeuta decide le modalità di soluzione del problema posto dalla famiglia, problema che diventa la guida del procedimento terapeutico. § Il modello strutturale è costituito da un intervento attraverso prescrizioni ai famigliari da svolgere durante le sedute, finalizzate a ristrutturare il sistema famigliare, rompendo coalizioni patologiche, ridefinendo i confini in famiglie invischiate o attivando famiglie disimpegnate; gli interventi strutturali sono altamente emotivi ed i risultati sono facilmente verificabili. § L’approccio sistemico relazionale, in questo approccio invece di cercare le cause, l’osservatore si allena a capire come i membri del sistema si organizzano tra loro, che tipo di regole hanno strutturato nel tempo e su quali premesse è basato tutto il sistema. § Gli interventi psicoeducativi. Questi modelli si basano sulla discussione in famiglia degli aspetti cruciali della malattia quali la diagnosi, l’eziologia, i sintomi, spesso confusi con atteggiamenti volontari e tratti del carattere. Viene discussa l’evoluzione del disturbo e la gestione delle crisi; viene facilitata nella famiglia l’acquisizione di modalità di comunicazione a bassa emotività espressa per ridurre l’ostilità ed il criticismo e viene sostenuto il miglioramento delle capacità di soluzione di problemi e di gestione del carico emotivo e pratico creato dalla malattia di un membro. ALTRI INTERVENTI IL GRUPPO ASSERTIVITA’ L’obiettivo di questo gruppo è costituito dalla possibilità, offerta ai partecipanti, di aumentare il livello di articolazione sociale dell’individuo attraverso la gestione delle relazioni interpersonali, che possono costituire una fonte di stress emozionale, sia in famiglia che nell’ambito sociale più allargato. L'assertività è sostanzialmente uno stile di vita, caratterizzato da un atteggiamento positivo e costruttivo nei riguardi di sé stessi e degli altri. Essa rende possibile il raggiungimento di un compromesso tra il porsi in modo passivo e l’aggressività, nella ricerca di buoni rapporti interpersonali e di equilibrio interiore. In altri termini per comportamento assertivo si intende un comportamento sociale (di relazione) in cui si esprimono liberamente e onestamente le proprie opinioni, i propri bisogni, i desideri e i sentimenti, senza imbarazzo o sensi di colpa, possibilmente in modo adeguato alla situazione specifica in cui ci si trova. Il comportamento assertivo rende possibile un aumento del senso di efficacia personale e un aumento dell'autostima e della fiducia in sé stessi, anche quando la soluzione a cui si perviene non soddisfa completamente i propri bisogni e desideri. L’assunto di base di questo comportamento è quello di essere consapevoli dei propri e degli altrui diritti e di volersi comportare in modo da non violare né gli uni né gli altri. L’obiettivo generale del comportamento assertivo è quello di soddisfare i bisogni e rispettare gli stati d'animo e i diritti di entrambe le parti coinvolte nella relazione, valorizzando i contributi di tutti nel trovare soluzioni funzionali e stimolando la collaborazione. ATTIVITÀ IN REPARTO DI DEGENZA Strutturare delle attività riabilitative durante il periodo di degenza in reparto prevede modificazioni anche significative nelle prassi operative delle attività stesse. Infatti quanto viene proposto deve tenere in considerazione elementi significativi come per esempio: l’alto turn over dei pazienti, la non possibilità di strutturare del gruppi stabili, la situazione psicopatologica dei partecipanti che possono essere in fase acuta. A fronte di questo lavorare all’interno di un reparto di degenza può consentire di: · agire precocemente nei confronti degli aspetti passivizzanti e regressivi · favorire un più rapido reinserimento nella socialità extraospedaliera. · contrastare le istanze di dipendenza spesso presenti nei pazienti ricoverati · facilitare la socializzazione, l’incontro e la comunicazione con l’altro · · mantenere concentrazione e attenzione favorire il successivo inserimento nei trattamenti riabilitativo extraospedalieri · sostenere e rafforzare le funzioni dell’Io, migliorare la giusta distanza tra sé e l’altro, stimolare le capacità espressive e creative, l’apprendimento, l’autonomia, l’addestramento al controllo delle pulsioni e migliorare la comunicazione verbale. Gli interventi proposti possono essere: · di tipo individuale come per esempio la cura del sé, della camera, il miglioramento delle performances comportamentali e relazionali sia all’interno del reparto sia all’esterno. · di gruppo finalizzati al mantenimento o all’acquisizione di abilità psicomotorie e relazionali di base. Queste attività sono prevalentemente ludiche (giochi di società, giornali, collage, ecc.) che proprio per il loro carattere di piacevolezza e di apparente disimpegno possono rappresentare un adeguato strumento per “far passare” contenuti terapeutici più significativi dal punto di vista riabilitativo (miglioramenti della capacità di attenzione, concentrazione, finalismo, ecc.). La scelta delle attività dipende da diversi elementi quali: i bisogni del paziente, le sue capacità, le sue risorse, le possibilità offerte dall’istituzione. Anche l’articolazione temporale di questa attività dipende dagli elementi sopracitati, ma tendenzialmente l’intervento tende ad essere il più intenso e frequente possibile, infatti in alcune situazioni si è arrivati ad un incontro, anche se breve, con frequenza quotidiana. GRUPPO CINEFORUM Il gruppo Cineforum è un particolare setting terapeutico finalizzato al sostegno dell’Io, attraverso la visione di un film che tratta tematiche relative a problematiche esistenziali: i pazienti rivivono attraverso l’identificazione con gli attori, situazioni esperienziali simili a quelle del passato o del presente, filtrate da uno spazio protetto che ha valenza ludica e di intrattenimento. Classicamente, il lavoro si articola in tre momenti successivi: · Scelta della programmazione dei film operata dai pazienti e dagli operatori in base alle preferenze o alle tematiche emerse all’interno del gruppo. · Visione del film preceduto da una breve introduzione. · Discussione alla fine della proiezione con lo scopo di identificare ed elaborare le tematiche che più hanno suscitato emozioni. Questa attività rientra nelle forme di cineterapia che può essere definita come la terapia psicologica che impiega la visione di un film e la discussione dei sentimenti e delle emozioni che esso suscita. Infatti i film possono aiutare i pazienti ad osservare, riconoscere ed elaborare i propri comportamenti, rendendoli maggiormente consapevoli. PROGRAMMA “CURA DI SÉ” Per cura di sé si intende la capacità di occuparsi autonomamente della propria igiene personale, del proprio aspetto, del proprio abbigliamento ed in senso più ampio del proprio ambiente e di mantenere adeguate abitudini di vita. Nella maggior parte dei casi i gruppi che si occupano di aiutare il soggetto ad acquisire competenze in questo ambito sono di impostazione cognitivo comportamentale come i moduli di social skill training che propongono l’individuazione di due aree fondamentali di intervento: una prima mirata a migliorare le abilità strumentali di base per poter soddisfare un livello sufficientemente buono di vita nell’ambiente sociale di appartenenza ed una seconda concernente l’area relazionale, rappresentata dalla capacità di esprimere i propri bisogni e le proprie aspettative in maniera adeguata. Per esempio l’Independent Grooming che è un programma finalizzato a motivare i pazienti ad apprendere, esercitare e mantenere autonomamente le abilità di base per la cura del sé in senso lato. Il programma Cura di sé prevede quattro differenti moduli che si possono attuare in modo progressivo: · cura dell’igiene personale: dal lavaggio mani, denti, all’utilizzo doccia o vasca, igiene intima, ecc; · cura dell’abbigliamento: riconoscere i capi di abbigliamento, scelta e abbinamento, consapevolezza delle proprie misure, cura e pulizia dei capi di abbigliamento, delle scarpe, come riporli e come ripararli, ecc; · cura dell’ambiente: pulizia e ordine della propria stanza, casa etc. ma non solo. cura dell’alimentazione. Comprende diversi sotto-moduli: informazioni per una corretta alimentazione, come stare a tavola, l’igiene in cucina, attrezzi per cucinare, gli alimenti e la loro conservazione, ricette, ecc. GIOCO E TEMPO LIBERO Parlando di attività di gioco e tempo libero ci si riferisce ad interventi finalizzati alla soddisfazione ludica, ma anche e soprattutto alla socializzazione e all’attivazione delle capacità di attenzione, espressione, ecc. Il gioco, nei suoi diversi tipi (funzionale, simbolico, di regole), nelle sue diverse fasi evolutive e nei suoi diversi significati, è essenzialmente una spinta innata ad acquisire abilità e con esse a diventare indipendenti, a osservare, riflettere, a coprire e compensare frustrazioni, a confrontarsi con la realtà, a godere della vita, ecc. Infatti, attraverso il gioco è possibile: · creare un clima di accoglienza e di ascolto · stimolare la conoscenza reciproca e la socializzazione, favorendo in alcuni casi l’instaurarsi di vere e proprie amicizie che possono ridurre l’apatia e la solitudine. · osservare le modalità del paziente nel rapportarsi con gli altri rispettando i tempi, le regole e le esigenze che il gioco impone · far emergere aspetti della personalità e dell’emotività che in altri ambiti emergerebbero con altre difficoltà · facilitare l’instaurarsi di una buona relazione tra i pazienti o con gli operatori · tollerare le frustrazioni e saper gestire le proprie emozioni e impulsi e la competizione con gli altri L’attività ludica, il gioco, racchiude in sè quattro caratteristiche che lo contraddistinguono: · libero poiché spontaneo e liberamente scelto; · fittizio poiché finzione e imitazione della realtà; · separato in quanto distinto dal lavoro; · regolato in quanto strutturato tramite norme convenzionali. GRUPPO CUCINA Per gruppo cucina si intende una attività riabilitativa centrata su uno degli aspetti fondanti e specifici del processo di autonomizzazione del soggetto portatore di un disagio psichico, e non solo: la preparazione del pasto. Questo tipo di attività può prevedere un intervento centrato esclusivamente sulla preparazione del pasto, ma più generalmente, prevede anche un lavoro riabilitativo sull’acquisto degli alimenti (spesa e quindi gestione del budget economico ad essa destinato) e sulla preparazione e sul riordino dell’ambiente dove si pranza (preparazione della tavola e suo riordino, lavaggio dei piatti e delle pentole, ecc.). Non esistono rigidi criteri di esclusione da questa attività, ma è certamente auspicabile che i partecipanti abbiano la possibilità di sperimentare, anche al proprio domicilio, le competenze acquisite. Il GRUPPO FIABE L’obiettivo che si propone questo tipo di gruppo è quello di stimolare attraverso l’utilizzo terapeutico delle fiabe classiche l’elaborazione dei contenuti emozionali e dei vissuti personali e interpersonali dei partecipanti al gruppo. Infatti attraverso il confronto e la discussione, emergono meccanismi d’identificazione, proiezione, introiezione sollecitate dalle immagini e simbolismi delle fiabe. La fiaba si propone e costituisce come area transizionale, all’interno della relazione terapeutica, attraverso la quale è possibile tollerare l’emergenza dei vissuti ed emozioni sino a poterli riconoscere ed accettare come propri. Il lavoro viene svolto in un settino gruppale perché il gruppo ha una funzione di stimolo, ma anche di contenimento là dove le angosce sono troppo forti o dove sono presenti sintomi produttivi quali allucinazioni o deliri. La discussione e l’interazione tra i partecipanti al gruppo, l’intervento attivo dei terapeuti riporta costantemente alla storia, costringe in una trama, mentre il gruppo si costituisce come contenitore in cui ognuno può lasciare fluire immagini pensieri ed emozioni senza temerne la possibile distruttività. Il gruppo fiabe può essere strumento di cambiamento attraverso due diverse modalità di utilizzo terapeutico: • costruzione della fiaba • lettura ed ascolto della fiaba GRUPPO GIORNALE Il Gruppo Giornale ha come presupposto teorico l’utilizzo di tecniche cognitive ed è finalizzato ad incrementare abilità come la memoria, l’attenzione, la concentrazione, l’uso di strutture logiche, l’uso della scrittura come mezzo di comunicazione e, conseguentemente, favorisce il mantenimento o il recupero di un adeguato rapporto di realtà, facilita lo sviluppo di abilità sociali, favorendo le relazioni sia con gli altri pazienti che con gli operatori. Il gruppo si articola in quattro momenti: · discussione libera e scelta degli argomenti in base alle tematiche emerse · suddivisione degli incarichi e scelta dell’impaginazione · discussione del tema del mese con riferimenti al proprio vissuto · previsione di stesura al computer e pubblicazione Attraverso questa attività i pazienti esprimono pensieri ed opinioni, manifestano i bisogni mantenendo un saldo contatto con la realtà circostante, trattando tematiche inerenti il loro micro e macro cosmo sociale, culturale e terapeutico. Gli obiettivi che questo gruppo persegue sono rappresentati da: stimolare le capacità organizzative, relazionali, cognitive, di sintesi, incrementando l’autostima e la vicinanza emotiva dei pazienti. INSERIMENTO LAVORATIVO L’inserimento o il reinserimento lavorativo di un soggetto portatore di disagio psichico costituisce, quando possibile, la tappa finale dei percorsi riabilitativi. Infatti se è certamente vero che l’inserimento lavorativo del disabile psichico è un obiettivo da perseguire, è sostanziale premettere che questo obiettivo non è sempre raggiungibile (per esempio nel caso in cui la disabilità conseguente alla psicopatologia sia troppo alta), oppure può esserlo solo parzialmente ed in questo caso il soggetto potrà essere inserito esclusivamente in “lavori altamente protetti”. Altra caratteristica specifica di questo ambito di intervento è che certamente il percorso deve rispettare le caratteristiche e i bisogni del soggetto portatore di un disagio, ma è altrettanto vero che l’inserimento lavorativo è possibile solo se il soggetto raggiunge una capacità sufficiente per interfacciarsi con il mondo del lavoro e le sue “regole”. Infine è diverso pensare ad un percorso da attuarsi con un soggetto che ha già avuto esperienze lavorative pregresse o con un soggetto che, indipendentemente dalle motivazioni causali, non ha mai effettuato una esperienza lavorativa. Concluse queste necessarie premesse, la strutturazione di una attività riabilitativa finalizzata al “lavoro terapeutico” necessario per il reinserimento di un paziente nell’ambito lavorativo costituisce una delle tappe ultime dei percorsi di riabilitazione e la sua attuazione può avvenire individualmente (per esempio attraverso l’affiancamento con un operatore che supporti il paziente al recupero di competenze messe in scacco dalla patologia) o attraverso interventi gruppali finalizzati al raggiungimento delle competenze necessarie. I modelli operativi di intervento sono molto differenziati, ma schematicamente tutte le prassi operative dovrebbero prevedere: un' attenta analisi della legislazione vigente, la strutturazione di attività formative finalizzate al fornire al soggetto le competenze pratico professionali necessarie all’inserimento, la strutturazione di attività finalizzate al raggiungimento di capacità relazionali e interpersonali stabili e sufficientemente articolate ed efficaci. L'INTERVENTO DOMICILIARE Nell’intervento domiciliare è l’operatore a recarsi presso il paziente, nel suo “territorio”, a casa sua, oppure in un contesto “neutrale” in cui l’attività riabilitativa viene svolta in luoghi non di pertinenza dell’operatore né del paziente (per esempio, interventi effettuati in giro per la città, o al ristorante, o in palestra, o in un museo, ecc). Questo tipo di intervento individuale persegue obiettivi di: · conoscenza del paziente, delle sue problematiche, delle sue relazioni familiari, della sua quotidianità nel contesto extraistituzionale · comprensione del suo disagio psichico, della sua articolazione quotidiana e del suo significato · facilitazione della presa in carico del paziente con scarsa compliance. · intervento terapeutico specificamente attuato nel contesto domiciliare, o comunque extraistituzionale finalizzato al miglioramento delle capacità di rapporto interpersonale e all’acquisizione di compentenze specifiche di vita quotidiana (ad esempio gestione della propria casa, capacità di provvedere adeguatamente alla propria alimentazione con tutto quello che questo comporta, ecc.). I destinatari degli interventi domiciliari possono essere soggetti che: · non vogliono recarsi in ambulatorio, che si oppongono per diverse ragioni al trattamento, che manifestano una compliance parziale e incompleta · hanno difficoltà a lasciare il proprio domicilio per gravi disabilità personali e sociali, che hanno una famiglia per lo più assente o scarsamente disponibile · che necessitano di un percorso riabilitativo a domicilio o comunque extraistituzionale LA PSICOMOTRICITA’ La psicomotricità è una terapia specifica, basata sulla relazione tra paziente e terapeuta, che si realizza attraverso il corpo e il movimento, utilizzando come strumento privilegiato il gioco. Scopo della psicomotricità è quindi scoprire per il bambino e riscoprire per l’adulto il piacere ed il significato del movimento attraverso la relazione, liberando tutti i contenuti positivi e negativi, affettivi e cognitivi legati al corpo e al movimento stesso. Questo obiettivo si raggiunge ridimensionando i vissuti emergenti, coscientizzandoli ed elaborandoli, attraverso il gioco e la relazione terapeutica. Fine ultimo del percorso psicomotorio è il raggiungimento dell’autonomia, cioè la capacità di scegliere, decidere, rapportarsi liberi e pari agli altri, al di là e sopra l’eventuale realtà invalidante. S’individua in tal modo il campo d’azione di questa tecnica, che si differenzia dalla terapia neuromotoria (fisioterapia): se quest’ultima si può definire terapia del movimento attraverso il movimento, perché lavora sul ripristino e la normalizzazione di una funzione motoria, la psicomotricità lavora per far riscoprire il piacere nell’utilizzo di quella funzione, cercando comunque di utilizzarla al massimo, ma soprattutto colorandola di affettività e cognitività. Lo psicomotricista punta al raggiungimento di un movimento abile, preciso, rapido ed economico, rispetto alle potenzialità della persona. Questi aspetti devono essere integrati attraverso la relazione terapeutica, perché il paziente possa sperimentare le proprie potenzialità motorie, cognitive e affettive e le spenda con maggiore fiducia e autonomia nella propria realtà quotidiana. TERAPIA FACILITATA DA ANIMALI La Terapia Facilitata da Animali è costituita da un variegato spettro di attività riabilitative che prevedono l’inserimento della relazione uomo/animale nel percorso terapeutico. E’ indicata in tutti quei casi in cui vi sia un disagio psichico e/o un handicap fisico che, pur presentando aree disfunzionali (motorie o relazionali), può rispondere positivamente alla particolare stimolazione emotiva, cenestesica (tattile, visiva) psicomotoria e relazionale che inevitabilmente viene evocata nell’incontro con l’animale. E’ controindicata quando la patologia mentale è così grave da portare ad un possibile maltrattamento dell’animale o ad una impossibilità di interazione per esempio nel caso di fobie o di allergia al pelo degli animali. Ippoterapia e Riabilitazione Equestre La Riabilitazione Equestre si svolge attraverso diversi livelli: l’Ippoterapia, la Rieducazione Equestre, la pre-sportiva e lo sport vero. L’Ippoterapia costituisce il punto di partenza di ogni intervento riabilitativo; essa agisce sullo schema corporeo, sull’equilibrio e sulla regolazione del tono muscolare, sulla coordinazione e la dissociazione, sull’orientamento spazio-temporale. Nella Rieducazione Equestre vengono introdotte la sella, le staffe e le redini per cercare di stimolare la capacità di autonomia del paziente che apprende i rudimenti della tecnica equestre. Il cavallo diventa un compagno di lavoro, un alleato per perseguire gli obbiettivi proposti. Delfinoterapia I diversi studi hanno confermato l’effetto positivo del rapporto con il delfino in termini di rilassamento, aumento delle capacità di attenzione e di socializzazione, di ricerca del contatto. TERAPIA OCCUPAZIONALE Per Terapia Occupazionale si intende “l’arte e la scienza di dirigere la partecipazione di un individuo in compiti selezionati, per ristabilire, rinforzare e migliorare la prestazione, facilitare l’apprendimento di quelle capacità e funzioni essenziali all’adattamento e alla produttività, diminuire e correggere la patologia”. Definendola invece in base alle finalità è la disciplina che si propone di promuovere, mantenere e sviluppare nel tempo la capacità di svolgere con la maggiore soddisfazione possibile i compiti essenziali per essere protagonisti per la propria vita e dell'ambiente. In altri termini si tratta di un intervento finalizzato a sviluppare il più alto livello possibile di competenze individuali e a raggiungere un buon grado di autonomia e indipendenza. I suoi principali obiettivi sono: 1. incrementare le performance attinenti l'autonomia personale; 2. accrescere le capacità lavorative; 3. sostenere l'inserimento lavorativo, sia nella fase iniziale che successivamente; 4. dirigere in modo nuovo ed adattivo gli interessi sia ricreativi che lavorativi del paziente; 5. controllare gli impulsi emotivi e sviluppare relazioni più gratificanti; 6. migliorare la consapevolezza dei propri comportamenti; 7. imparare ad usare le proprie capacità e qualità individuali e ad esprimere i propri gusti. Vari sono i modelli teorici di riferimento, ma i più utilizzati sono: 1. la terapia occupazionale come processo di comunicazione, derivato dallo schema di riferimento psicodinamico 2. la facilitazione della crescita e dello sviluppo, derivato dallo schema di riferimento dello sviluppo 3. la "Human Occupation" derivato dallo schema di riferimento del comportamento occupazionale. I soggetti che traggono maggior beneficio dalla Terapia Occupazionale sono coloro che: 1. imparano più facilmente attraverso il “fare” rispetto al pensare e al concettualizzare 2. si esprimono più spontaneamente attraverso le azioni rispetto alle parole 3. presentano deficit di tipo cognitivo-percettivo-motorio. Questa tecnica, interviene puntando la sua attenzione su tre aree di performances, che sono: 1. vita quotidiana 2. lavoro 3. gioco e tempo libero TECNICA DI ORIENTAMENTO ALLA REALTA' La tecnica di Orientamento alla Realtà è un approccio psicologico educativo che mira a far assimilare, a soggetti dementi, nozioni semplici e di base riguardanti il tempo, lo spazio, le persone che li circondano, il nome degli oggetti comunemente usati o incontrati. E’ un trattamento rivolto a soggetti che presentano confusione mentale, disorientamento spazio temporale, alterazione del rapporto di realtà, riferito a sé e al mondo circostante, perdita di memoria. Attraverso un'appropriata stimolazione, consente di riapprendere gli elementi basilari in relazione a sé, come per esempio rispondere al nome o assolvere alle più elementari attività quotidiane (mangiare, piccola igiene, ecc.) e all'ambiente. Questa tecnica si articola su due diversi aspetti: • l'Orientamento alla Realtà Informale, interviene a modificare l'ambiente in cui vive il paziente con simboli, adattamenti e stimoli particolari, perché egli possa orientarsi nello spazio e compensare i suoi deficit mantenere il più a lungo possibile l'autonomia. • l'Orientamento alla Realtà Formale, formulato in sessioni, stimola il soggetto nel senso dell'orientamento (tempo - spazio - persone cose), della memoria presente e passata, ecc., potenziando le abilità ancora integre. VALIDATION Per Validation si intende sia un approccio teorico ai soggetti anziani e con disturbi della memoria, sia un insieme di tecniche specifiche, rivolte ad anziani disorientati, finalizzate a restituire loro dignità grazie all’utilizzo di un approccio relazionale molto centrato sull’empatia e sulla valorizzazione del patrimonio emotivo affettivo dell’anziano stesso.