PSICOLOGIA
I Minori
Prima Infanzia
Seconda Infanzia
Terza Infanzia
L’Adolescenza
Le Varie Manifestazioni del Disagio Giovanile
Il Disagio e il Disturbo Mentale
Il Lavoro dell’Assistente Sociale
Le Tecniche della Riabilitazione
Tecniche Cognitive Comportamentali
Tecniche Espressive
Tecniche Verbali
Altri Interventi
I MINORI
Minori sono tutte le persone che hanno dagli 0 ai 18 anni di età, chiamata
età evolutiva per via dei numerosi cambiamenti somatici e psicologici che
avvengono. Prima dei 3 anni i bambini vengono considerati con scarsa
capacità di comprensione e di autocontrollo, dipendenti dall’adulto e senza
moralità. Questo modo di pensare cambia all’ingresso nella scuola
elementare dove vengono richieste prestazioni cognitive e gli adulti di
conseguenza considerano i bambini più simili a loro stessi. L’idea rimane
pur sempre quella dell’adulto in miniatura. L’idea che ad ogni età
corrispondano caratteristiche e bisogni differenti da quelli dell’adulto
risale al 1700 quando Rousseau avanzò l’idea che il bambino fosse buono
e che fosse compito degli educatori predisporre le condizioni perché
potessero emergere le sue potenzialità. Si ha una visione dell’infanzia
propedeutica a quella adulta.
La conoscenza relativa al bambino dipende dalla frequentazione che si ha
con lui: ci sono adulti che non hanno avuto nessuna esperienza di contatto
con bambini. I servizi per bambini sono frequentati solo dai genitori. La
mancata esperienza innesca stereotipi su come deve essere il bambino, la
scuola, i servizi. Spesso i genitori che non hanno avuto la possibilità di
confrontarsi con altre realtà famigliari ed educative vivono lo stesso
rapporto in base ai ricordi dei loro rapporti con i genitori.
Le famiglie sono spesso lasciate sole nel loro compito educativo: Ai giorni
nostri molte famiglie vivono lontane dalle famiglie d’origine perciò non
possono contare sul loro supporto. La solitudine è vissuta dalle giovani
madri nei primi mesi dopo la nascita del figlio che prima aveva occasioni
di contatto sociale tramite il lavoro mentre ora devono occuparsi a tempo
pieno del loro bambino. Egli è amato e desiderato ma allo stesso tempo lo
si vede come oggetto di limitazioni. Il padre è importate come
contenimento di ansie della madre e come persona con la quale
condividere problemi.
La scelta di un figlio è oggetto di forti investimenti affettivi: Spesso le
coppie hanno solo un figlio per motivi legati all’età materna o per scelte
economiche e questo deve realizzare tutte le aspettative genitoriale. Questo
è messo a dura prova dai difetti fisici, dalle malattie, dal confronto con la
perfezione ideale. L’accettazione della realtà presuppone il passaggio da
una visione di figlio reale a quel particolare figlio dalla caratteristiche
determinate. Occorre distinguere i bisogni dei genitori da quelli dei figli.
Questa capacità è difficile nei casi di bambini maltrattasti, bambini
eccessivamente responsabilizzati o con libertà eccessiva.
I mass media propongono modelli irrealistici di bambini: si fa riferimento
a un modello di bambino bello, felice, con caratteristiche desiderabili
rendendo ancora più difficile il confronto con la realtà. Sembra che il
rapporto genitore – figlio possa essere mediato dal possesso di un
determinato prodotto. È bene distinguere i bisogni reali del bambino da
quelli indotti.
I bambini sono lasciati sempre più soli di fronte ai compiti di crescita:
superati i primi anni di vita il bambino ha bisogno di rapportarsi con i
coetanei. Tempo fa la possibilità di interagire con altri bambini era
garantita ma ora gli spazi sono formalizzati e costringono il bambino alla
solitudine stando in casa con la TV, i videogiochi, internet ecc. che non
favoriscono l’interazione sociale e la crescita dell’identità personale.
Occorre una diversa organizzazione dello spazio urbano.
Sono diffuse numerose incoerenze educative: 2 ambiguità:
1°- relativa al rapporto autonomia – dipendenza. Ai bambini e ai ragazzi si
chiede sempre di avere autonomia creando così le condizioni che
l’autonomia non porti ad educazione. Accade anche che i genitori si
trovano a cercare di mantenere una dipendenza come impegno nei
confronti dei figli e a sentirsi in colpa rispetto ad ogni negazione alla
restrizione di libertà. Questa ambiguità si supera quando i genitori si
impossessano del loro ruolo di genitori.
2°- relativa ad una sempre più adultizzazione dei minori. Si assiste al
fenomeno di una condivisione di esperienze difficilmente assimilabili dal
bambino. Riferendosi agli spettacoli mostrati ai bambini trattanti temi del
mondo adulto.
PRIMA INFANZIA
nascita/2 anni
Caratteristiche generali: il bambino ha una predisposizione innata a
stabilire rapporti sociali già verso i 3 mesi. Il primo rapporto sociale
significativo è con la figura con cui si stabilisce un legame di attaccamento
e si strutturerà il senso di fiducia o di sfiducia verso il mondo esterno.
L’interesse con le altre persone, nel primo anno, è in funzione dei propri
bisogni. Si sviluppano i primi legami affettivi con la madre fornendo
protezione, rassicurazione e dando risposta ai bisogni primari. Dopo i 18
mesi il bambino comincia a rappresentarsi mentalmente l’esistenza della
figura dell’attaccamento, indipendentemente dalla sua presenza e questo
anche in relazione allo sviluppo delle sue capacità cognitive. In questo
periodo lo sviluppo dell’intelligenza è legato all’uso di schemi percettivi e
motori. A partire dai 12 mesi si ha la deambulazione e il bambino amplia
le sue conoscenze del mondo esterno. Verso i 18 mesi compare la figura
simbolica o rappresentativa del pensiero, la capacità di sostituire la realtà
concreta con una sua rappresentazione mentale. Il linguaggio è ristretto all’
olofrase.
I bisogni prevalenti:
- Bisogni primari: mangiare, dormire, essere puliti. Attraverso queste
attività si interagisce con il mondo esterno e si pongono le basi per
una diversificazione tra realtà oggettiva e realtà soggettiva perché si
formano le prime associazioni spaziali e temporali.
- Bisogni di affetto e attaccamento: la presenza di una figura
significativa opera con funzioni di protezione contro le aggressioni
del mondo esterno e di contenimento affettivo ed è importante per la
strutturazione di un rapporto affettivo. Avrà un significato
importante per l’evoluzione della personalità del bambino e per i
futuri rapporti sociali.
- Bisogni di esplorazione e di gioco: le prime attività esplorative
riguardano se stessi, la madre, gli oggetti e lo spazio che può
raggiungere. Questo è legato alle conoscenze delle figure
dell’attaccamento e alla fiducia che il bambino acquisisce sulle sue
capacità. È necessario fornire stimolazioni sensoriali per incuriosire
il bambino e questa possibilità dovrà essere favorita permettendo al
bambino di manipolare, spostare, giocare con oggetti di varie
dimensioni.
LA SECONDA INFANZIA
3/6 anni (età prescolare)
Caratteristiche generali: In età prescolare il bambino è sempre più
indipendente e autonomo. Aumentano le capacità motorie ed è in grado si
spostarsi con facilità, di farsi comprendere attraverso il linguaggio, di
avere una coscienza di sé con caratteristiche e abilità che lo
contraddistinguono dagli altri. Il pensiero è ancora dominato dalla
percezione cioè il modo in cui si presentano le situazioni influenza il
ragionamento predominando sugli aspetti logici. Il pensiero non ha ancora
i caratteri della reversibilità per cui le esperienze sono rievocate solo nella
sequenza in cui si sono presentate. Il pensiero è fortemente influenzato
dall’egocentrismo e dal realismo. Le competenze linguistiche diventano
sempre più elaborate. La vita emotiva diviene sempre più complessa
perché il bambino amplia progressivamente le esperienze e la capacità di
comprensione del mondo e di se stesso vengono più precise. In
concomitanza con le esperienze legate al controllo sfinterico si presentano
sentimenti di dubbio relativo alla capacità di controllo del proprio corpo e
di vergogna qualora l’atteggiamento educativo dei genitori sottolinei
queste incapacità. Si verifica la fase di opposizione in cui il bambino
utilizza il “no” come forma di rivendicazione della propria autonomia.
Verso i 3 anni con l’insorgenza del complesso edipico fanno la loro
comparsa dei sentimenti conflittuali nei confronti del genitore dello stesso
sesso e di sentimenti di desiderio e di ossessività nei confronti del genitore
del sesso opposto. La risoluzione del conflitto si attua attraverso
l’identificazione con il genitore del sesso opposto. Si ampliano anche le
relazioni sociali: si aggiunge anche la relazione con il padre e con altri
famigliari. Il bambino tende all’esplorazione continua dell’ambiente
dimostrando curiosità verso ciò che lo circonda.
I bisogni prevalenti:
- Bisogno di gioco e di scoperta: il gioco è l’attività fondamentale e
promuove i processi cognitivi, affettivi e sociali. A partire dai 2 anni
troviamo anche il gioco con i coetanei trovando anche il gioco
simbolico. I conflitti aiutano il superamento dell’egocentrismo.
- Bisogno di autonomia e iniziativa: Il bambino pretende di fare da
solo, di essere autonomo ed è un legittimo desiderio. Il ruolo dei
genitori e degli educatori è di mediare esigenze di autonomia e limiti
di regole. Egli non è tanto interessato al risultato finale dell’attività
ma all’attività stessa. Il movimento è il presupposto perché si
realizzino queste attività.
- Bisogno di interazione con i coetanei: l’interazione sociale si amplia
ad altre figure di adulti ma vi è un’attenzione particolare allo stare
insieme tra coetanei perché pone le premesse per le prime
conoscenze relative all’identità e ai ruoli di genere.
LA TERZA INFANZIA
6/11 anni
Caratteristiche generali: Si ha una differenza nel modo di ragionare; il
pensiero diviene capace di reversibilità cioè prende in esame aspetti diversi
della realtà. Si ampliano e si affinano le strategie cognitive sopratutto
quelle relative alla memoria. Il linguaggio si adegua alle regole
dell’esposizione corretta ed il lessico si arricchisce. Il ruolo
dell’insegnante funge da mediatore con l’insieme delle conoscenze
proposte all’interno dell’ambito scolastico. Se il bambino riesce bene nei
compiti assegnati incrementa la sua autostima se invece nei confronti dei
coetanei è un perdente sviluppa un sentimento di inferiorità. Si
consolidano le amicizie con i coetanei. Le bambine tendono a relazioni più
strette ed esclusive mentre i bambini hanno più autonomia. Con il
superamento dell’egocentrismo del pensiero si verifica una maggior
strutturazione dei gruppi, l’accettazione di regole condivise nel gioco e il
riconoscimento del leader.
I bisogni prevalenti:
- Bisogni di avventura: l’avventura è la possibilità di esplorare il
mondo contando solo sulle proprie forze. Può trattarsi anche
dell’avventura in mondi virtuali o del mondo del sapere. Per
controllare la realtà circostante, in quest’età, si verifica un
consistente dispiego di energia.
- Bisogni di aggregazione: I genitori non sono più uniche figure di
riferimento, cominciano le prime ribellioni e le amicizie con i
coetanei hanno significati diversi. I gruppi sono ancora determinati
dall’appartenere ad uno stesso ambiente. A partire dagli 8 anni c’è
una forma di esclusione dal gruppo di persone di sesso diverso.
- Bisogni di stima e riconoscimento: l’ingresso nella scuola rende
molto sensibile il ragazzo ai giudizi che egli si crea fra ciò che crede
di essere e ciò che vorrebbe essere che egli ricava su se stesso dalle
persone che gli stanno intorno. Per avere migliore percezione di sé è
bene sentirsi dire dai coetanei e dai genitori che si è bravi nel fare
qualcosa e avere esperienze di successo.
-
L’ADOLESCENZA
Caratteristiche generali: periodo percorso da mutamenti che intervengono
sul versante fisico, intellettuale, emotivo e sociale. È una fase di
transizione tra l’infanzia e l’adulo che si sta sempre più prolungando
rinviando l’ingresso nel mondo adulto. I ragazzi sono in possesso della
capacità di utilizzare ragionamenti logici su contenuti astratti. Questo
permette di accedere a realtà ipotetiche, di avvicinarsi ad interessi legati ad
una visione del mondo dominata da valori. La capacità di usare il pensiero
ipotetico formale non è da tutti, per alcuni l’uso è limitato. In questo
periodo vi è una rinnovata attenzione per tutte le dinamiche affettive che
ora sono indirizzate verso i soggetti dell’altro sesso. Gli oggetti d’amore
dell’infanzia devono essere sostituiti da altri. I cambiamenti fisici possono
essere vissuti con preoccupazione perché non sempre l’adolescente si
riconosce nel nuovo aspetto che sta assumendo. Il gruppo diventa un
elemento di appartenenza in cui ci si riconosce e si rafforza la propria
identità. La funzione del gruppo è quella di permettere una nuova
organizzazione del Sé attraverso la coesione e la forza del gruppo e
l’opposizione nei confronti delle regole imposte dagli adulti. Si verifica
una nuova attenzione nei confronti di problematiche sociali e politiche. In
gran parte delle famiglie vi è un incremento della conflittualità. Il gruppo
dei coetanei acquista sempre maggior forza e spesso si presentano
comportamenti devianti come risultato di imitazione e conformismo
all’interno del gruppo. Un altro aspetto del comportamento problematico
del giovane può essere considerato l’uso di alcol e droghe.
I bisogni prevalenti:
- Bisogno di identità: Il giovane si chiede: “Chi sono?”, “Come voglio
essere?”. Il gruppo funziona come strumento che facilità il passaggio
dalla vita protetta della famiglia al mondo adulto.
- Bisogno di indipendenza: si ha una forte spinta d’indipendenza per
poter effettuare delle scelte in modo autonomo. Occorre fornire
occasione di sperimentare le proprie scelte e nello stesso tempo
controllare che queste non siano autodistruttive.
- Bisogno di “senso” : l’adolescente si chiede “perché fare?”. Si
ricerca un collegamento tra un agire ed un pensiero. La possibilità di
esercitare giudizio critico, di confronto con posizioni diverse e di
avvicinarsi a realtà sconosciute mette in grado di cogliere la
coesistenza si tanti livelli di consapevolezza e di motivazione.
ALTRE REALTA’
Esistono situazioni che si connotano per una loro specificità e che
evidenziano altri tipi di bisogno:
- Il disagio: Percezione soggettiva di malessere, di fatica, di sofferenza
psichica: difficoltà esistenziale. Si manifesta con comportamenti
come incostanza, instabilità emotiva, chiusura, disinvestimento
affettivo, che si discostano dalle aspettative degli adulti ma non sono
trasgressivi o disturbati.
- Il disadattamento: relazione disturbata con uno specifico ambiente; è
la mancata capacità e/o possibilità di un inserimento creativo e attivo
dei giovani all’interno della società e delle sue istituzioni.
- La devianza: comportamento che infrange visibilmente uno norma e
che determina disapprovazione e/o punizione.
LE VARIE MANIFESTAZIONI DEL DISAGIO
GIOVANILE
Con l’espressione ‘disagio giovanile’ si intendono e sottintendono
molte cose, talora assai diverse tra loro. ‘Disagio’ è in realtà un
termine piuttosto generico che viene usato nel linguaggio comune in
un senso ampio e comprende difficoltà che possono investire diversi
ambiti della vita di un giovane: a livello affettivo, familiare,
scolastico o sociale. Una persona si può trovare in una generica
situazione di disagio che riesce o non riesce a percepire, di cui può
essere più o meno cosciente o che solo gli altri possono cogliere.
Si tratta di forme di disagio emotivo che si manifestano attraverso
una gamma più o meno sfumata di segnali come stati d’ansia,
cambiamenti di umore, irrequietezza o che possono diventare veri e
propri sintomi quali disturbi psicosomatici, dell’alimentazione, del
sonno ed altro.
Diverso è il disagio espresso attraverso modalità comportamentali
atipiche o addirittura devianti; questo è il disagio più facile da
cogliere poiché la sua forma non solo è evidente ma disturbante. Tali
comportamenti debbono essere definiti come disadattivi ed è perciò
corretto parlare, in questi casi, di disadattamento scolastico o sociale
a seconda dell’ambito in cui si evidenziano. Questa forma di disagio,
il vero e proprio disadattamento, si propone quindi mediante
l’azione, che è qualcosa di molto diverso dai segnali e anche dai
sintomi cui si accennava precedentemente. Esso ha un carattere di
maggiore inconsapevolezza, dal momento che il soggetto non riesce
a dare alcuna spiegazione riguardo al perché del proprio agire, non è
capace di autocontrollo e tende pertanto a ripetere quel
comportamento in modo impulsivo o talora anche passivo. Rientrano
in questa tipologia di disagio il rifiuto e l’abbandono scolastico (oltre
che le varie forme di condotta dissociale, certamente ancor più gravi
da un punto di vista psicopatologico).
Come abbiamo visto, il disagio giovanile ha molteplici forme ed
espressioni. Affonda le sue origini nei primi anni di vita del bambino
e nelle sue più precoci esperienze affettive e relazionali.
Trova espressione nelle varie fasi della crescita e si può manifestare
in modo diverso in ogni fascia di età. E’ quindi molto importante per
genitori, educatori e insegnanti cogliere questi segnali premonitori
che potremmo definire “di esordio”, i quali non vanno ignorati né
minimizzati ma assunti nella loro appropriata considerazione e perciò
interpretati come modi del bambino di comunicare una sua
problematica interiore o un conflitto non risolto. Possono altresì
significare un momento di crisi evolutiva o una difficoltà transitoria
che ostacola la crescita, e andrebbero trattati con l’aiuto di uno
specialista che tuttavia non deve necessariamente valutare il
bambino. Talvolta infatti è sufficiente fornire un supporto ai genitori
mentre in altri casi possono essere necessarie altre forme di
intervento come una consultazione terapeutica breve o una vera e
propria psicoterapia.
In questi due ultimi decenni si è sempre più sviluppata l’attenzione
da parte di operatori sociali, sanitari e scolastici, nonché di pediatri e
medici di famiglia, verso gli aspetti emotivo relazionali dell’infanzia.
Sempre più frequenti e tempestive sono infatti le richieste e gli invii
allo psicologo, al neuropsichiatra e alle altre figure sanitarie che si
occupano di problematiche dell’apprendimento e della riabilitazione
(pedagogisti, logopedisti e psicomotricisti). Se il disagio viene
trattato prima che si radichi, ovvero subito dopo il suo manifestarsi in
modo acuto, potranno evitarsi in futuro altre forme più gravi di
natura psicopatologica. E’ quindi fondamentale porre la massima
attenzione ai segnali precoci che possono emergere già durante il
primo anno di vita del bambino quali disturbi del ritmo sonno veglia,
dell’alimentazione o della sfera affettiva.
Ancor più rilevanti, ai fini del tema qui affrontato, sono i disturbi di
carattere comportamentale che attualmente osserviamo sempre più di
frequente in bambini anche molto piccoli. Mi riferisco all’età che va
dall’anno e mezzo ai due/tre anni quando ha inizio, per poi
gradualmente consolidarsi, l’acquisizione delle regole e
l’interiorizzazione da parte del bambino delle norme che regolano la
vita sociale. Spesso i genitori sottovalutano l’enorme importanza di
questa fase che è alla base dello sviluppo dell’identità sociale oltre
che del senso di sicurezza e fiducia nelle proprie capacità; ciò è
inoltre determinante per consentire al bambino di vivere serenamente
all’interno del gruppo dei coetanei, nella scuola e nella comunità. In
quest’operazione così complessa e delicata, molto significativa è la
presenza paterna che deve integrare e supportare l’azione educativa
della madre (oltre a fornire una sicurezza affettiva a lei stessa e al
bambino). E’ chiaro che la madre non può e non deve essere l’unico
riferimento per il figlio. La psicoanalisi, a partire dal pensiero di
Freud, ha sottolineato il ruolo cardine svolto dal padre nella
costruzione del Super Io infantile, istanza regolatrice e modulatrice
del nostro psichismo che rende capaci di conciliare le esigenze della
realtà con i moti pulsionali basati sugli istinti. Per consolidare questa
capacità di adattamento alla realtà e di autocontrollo sulla sfera
pulsionale possono essere di supporto tutte le figure adulte che
ruotano intorno al mondo del bambino come nonni, baby-sitter,
educatori e insegnanti che dovrebbero fornire attenzione e sostegno
attraverso atteggiamenti chiari e coerenti fondati su capacità affettive
e, al contempo, contenitive: in grado cioè di porre limiti ben definiti
ove necessari, di arginare il bambino nei momenti di
disorientamento, confusione, eccessiva reattività.
Il disagio nelle prime fasi dell’età evolutiva se non adeguatamente
interpretato e preso in considerazione, viene esternato in altri
momenti della vita ed, in particolare, nel periodo adolescenziale.
L’adolescenza inizia ormai precocemente e molti autori sono
concordi nel considerare i primi segni di cambiamento a partire dalla
prepubertà e cioè già dai nove/dieci anni.
Essi trovano la loro espressione più diffusa in atteggiamenti di tipo
reattivo ed oppositivo accompagnati da un forte e nuovo (per i
genitori) desiderio di autonomia. In questa fase possono anche
presentarsi sintomi disadattivi quali: difficoltà di apprendimento e di
rendimento scolastico, disturbi della condotta associati a deficit
dell’attenzione, rifiuto improvviso della scuola. Tali forme possono
essere misconosciute o sottovalutate e talvolta esitare in patologie
più gravi come depressione, chiusura e isolamento sociale.
Oltre alle competenze affettivo-educative (due termini che non
possono essere disgiunti) richieste alla famiglia, sono indispensabili
le risorse che la scuola dovrebbe offrire e attivare; ancor più quando
le famiglie presentano aspetti carenti o problematici. In questi casi,
che sappiamo essere sempre più numerosi, l’ambiente scuola può
diventare uno spazio di accoglienza per il giovane in una circostanza
particolarmente delicata, quando la naturale ipersensibilità
dell’adolescente si accompagna al timore del rifiuto o al disprezzo
nei confronti del mondo degli adulti. Per attuare un intervento di rete
che riesca ad assumere una valenza preventiva occorre la
collaborazione tra scuola (o ente di formazione professionale) e
operatori socio-sanitari. Questi ultimi possono coadiuvare il
personale docente e stabilire un proficuo rapporto di collaborazione
con altre figure presenti nella struttura che il ragazzo frequenta
(psicologi, educatori, formatori, orientatori). In questo modo possono
essere organizzate attività mirate rivolte al gruppo classe, a piccoli
gruppi che evidenzino una particolare problematica, ai genitori. Per
fare un esempio, lo psicologo può affiancare gli insegnanti in un
lavoro di educazione sanitaria che può riguardare la sessualità come
altre tematiche (abuso di alcolici e sostanze stupefacenti). Tali
argomenti, se adeguatamente proposti, riscuotono l’interesse degli
studenti e rappresentano un primo momento di avvicinamento ad uno
specialista esterno e fino a quel momento estraneo al loro ambiente.
Questo primo livello di intervento può essere preliminare ad una
successiva presa in carico individuale che avviene in un contesto
diverso da quello scolastico, in una struttura sanitaria della quale
talvolta i ragazzi hanno già sentito parlare (il Centro Giovani della
ASL). Ma prima di questo eventuale secondo livello è importante
riuscire a creare un clima di fiducia ed una situazione relazionale che
faciliti un aggancio. Tuttavia, anche se ciò non avviene
nell’immediato, il rapporto che si è stabilito può lasciare nella mente
dell’adolescente una traccia preziosa, il ricordo di un adulto
disponibile ad un colloquio, ad un confronto aperto e solidale,
rispettoso del segreto professionale e capace di escludere se
necessario anche i genitori (questi ultimi, se desiderosi di essere
aiutati, vengono di solito inviati a altri colleghi).
Concludendo, l’obiettivo prioritario dell’intervento di educazione
sanitaria da parte dello psicologo nel contesto scolastico e formativo
è quello di porsi come figura amichevole e disponibile riducendo
così gli aspetti minacciosi e persecutori che sono presenti nella
fantasia di ogni adolescente. Tali aspetti possono impedire la sua
concreta possibilità di chiedere aiuto e condurlo ad agire il proprio
malessere non comunicato con modalità che sempre più spesso,
purtroppo, hanno carattere autodistruttivo. Il disagio e il disturbo mentale
L'OMS calcola che nel mondo ci siano 450 milioni di persone che soffrono
di disturbi mentali, neurologici o del comportamento, e che la gran parte di
questi disturbi non siano nè diagnosticati nè trattati. A livello mondiale, i
disturbi neuropsichiatrici sono causa di morte per 1.105.000 persone (anno
2002); in 13 mila casi la principale causa di morte è direttamente correlata
alla presenza di disturbi depressivi. Secondo alcune ricerche le persone in
condizione di disagio mentale sarebbero invece, secondo le stime più
attendibili, oltre 900 milioni, circa il 13% della popolazione mondiale.
La somma delle persone in una condizione più o meno grave di sofferenza
psichica risulta quindi di un miliardo abbondante di soggetti, cioè un
quinto della popolazione globale. Se riportiamo questi dati alla realtà del
nostro paese, possiamo avanzare l'ipotesi che circa dieci milioni di italiani
soffrano per un disagio o per un disturbo mentale.
I disturbi mentali più diffusi sono nell'ordine: depressione, schizofrenia e
demenza.
Mente e corpo
Mente e cervello non sono la stessa cosa, anche se sono legati
indissolubilmente.
Oltre cento miliardi di neuroni aprono e chiudono nel nostro cervello una
miriade infinita di collegamenti, a seconda delle esperienze che facciamo e
del significato che diamo loro. Quando è una parte del corpo a dover
essere curata è giusto che il paziente stia a letto, che i medici lo visitino,
toccandolo, ascoltandolo, facendo delle analisi per trovare la natura del
male.
Ma la psichiatria si è separata dalla neurologia proprio per l'impossibilità
di considerare i disturbi psichici esclusivamente come disturbi del
cervello. Non esiste una linea di confine assoluta fra salute e malattia
mentale.
Sono quattro le diverse condizioni mentali che una persona può incontrare
nel corso della vita:
•
benessere mentale:
è la condizione in cui si vive quando esiste un buon livello di
soddisfazione dei bisogni, insieme a una soddisfacente qualità della vita:
equilibrio, serenità, tranquillità, accettazione del proprio stato individuale e
sociale, ma allo stesso tempo curiosità e spirito di iniziativa
contraddistinguono tale condizione.
Certamente non è uno stato che si raggiunge una volta per tutte e per tutti
uguale: nelle alterne situazioni dell'esistenza, il benessere mentale è
l'obiettivo verso cui l'individuo tende costantemente;
•
disagio mentale:
è la condizione in cui si vive quando si avverte uno stato di sofferenza,
connesso a difficoltà di varia natura (negli affetti, nel lavoro ecc.), che
comunque si presentano nella vita. Tensione, frustrazione, aggressività o
tristezza caratterizzano questa condizione, senza tuttavia che si instauri
alcun sintomo specifico. È bene tenere presente che, insieme alla
condizione di benessere, una quota di disagio è parte integrante di ogni
esistenza;
•
disturbo o malattia mentale:
è la condizione in cui il soggetto vive quando non trova risoluzione alla
sofferenza in cui lo pone la condizione di disagio, ovvero quando essa
raggiunge livelli di intensità molto elevati. Si passa dal disagio al disturbo
quando alla sofferenza prolungata o intensa si accompagnano alterazioni
mentali o dei comportamenti. La sofferenza si "clinicizza", cioè insorgono
sintomi psichiatrici specifici: deliri, allucinazioni, ossessioni ecc. Sebbene
la condizione di disturbo mentale non rientri nella vita normale, tutti, in
situazioni particolari, possiamo incorrere in tale condizione. La condizione
di disturbo può essere temporanea se curata efficacemente e in maniera
tempestiva;
•
disturbo mentale stabilizzato:
è la condizione in cui il soggetto vive quando il disturbo si cronicizza:
dunque, perdurano nel tempo non solo le alterazioni mentali o del
comportamento, ma anche la situazione che le ha determinate. Molto
spesso il disturbo si stabilizza per non essere stato curato o per essere stato
curato male.
Le quattro condizioni che abbiamo tratteggiato costituiscono il sistema di
riferimento entro cui vanno riveduti e collocati i concetti tradizionali di
malattia e di salute mentale. Infatti, la psichiatria moderna considera
nettamente falsa e dannosa l'idea ampiamente diffusa nel senso comune,
quella che divide la mente umana in due soli stati possibili, lo stato sano e
lo stato malato, al quale immediatamente si collegano i pregiudizi della
organicità, inguaribilità ecc. In realtà, quella che chiamiamo esistenza
normale, comprende anche condizioni di disagio, che possono sfociare in
veri e propri disturbi.
Si tratta sempre di passaggi sfumati e graduali, spesso reversibili.
Ciascuno di noi transita continuamente tra la prima e la seconda
condizione, dal benessere al disagio e viceversa; qualcuno può trovarsi
nella terza condizione, essere cioè soggetto a specifici disturbi; qualcuno
può, infine, stabilizzarsi su un certo disturbo, ponendosi in una condizione
di difficile reversibilità.
Si vede chiaramente che l'idea che alcune teorie rifiutano è frutto di un
pregiudizio ulteriore, che potremo chiamare manicheo, o del bianco e nero:
la tendenza a dividere il mondo in due parti, malattia e salute, folli e
normali. Un modo di vedere le cose apparentemente semplice,
evidentemente primitivo, sicuramente dannoso.
I principali disturbi mentali
Prima di descrivere i principali disturbi mentali è necessaria qualche
premessa. Partendo dalla distinzione tra neurologia, che si occupa delle
alterazioni organiche del sistema nervoso centrale e periferico, e
psichiatria, che si occupa dei disturbi mentali o psichici, è bene tener
presente che tra le due specializzazioni esistono ampie zone di
sovrapposizione; ma che la distinzione resta fondamentale. I disturbi che
descriveremo sinteticamente sono, dunque, quelli di ambito psichiatrico.
Molti nomi di disturbi psichici sono entrati nel linguaggio comune, col
risultato che spesso vengono usati in modo vago o improprio. Talvolta si
tratta di espressioni prive di ogni riferimento scientifico, come accade per
il termine esaurimento nervoso, utilizzato per segnalare stati di disagio o
disturbi in fase leggera. Va detto che alla genericità e improprietà del
linguaggio comune, corrisponde un certo disaccordo, sui termini e sulle
classificazioni dei disturbi, anche nella comunità scientifica.
La premessa più importante, dunque, è la seguente: termini, classificazioni
e descrizioni hanno un valore orientativo e consentono ai curanti la
comunicazione rapida; men che mai devono essere presi alla lettera, o
peggio ancora essere usati da inesperti per "proporre diagnosi" o
etichettare situazioni in modo spesso inadeguato.
Ansia
È uno stato che, in diversa misura, capita di provare, a tutti, specie
all'approssimarsi di una prova o di un cambiamento (un esame, un
incontro, un viaggio, l'inizio di un lavoro, l'ingresso in un luogo pubblico
ecc.); ma può insorgere anche inaspettatamente, senza apparente
collegamento con eventi particolari. È caratterizzato da tensione, da una
sensazione di timore indeterminato, da una penosa aspettativa di
imminente pericolo o di difficoltà, senza che vi sia un motivo ragionevole
a giustificarle. Il soggetto, concentrato sulla propria intensa
preoccupazione, diviene disattento alla situazione e alle mansioni del
momento: è incerto, compie errori, commette gaffe. Spesso si
accompagnano allo stato d'ansia manifestazioni, variamente intense, come
sudorazione, senso di affanno, aumento dei battiti cardiaci, rossori, tremori
ecc.
L'ansia può diventare un disturbo in sé quando si stabilizza nel tempo o
quando compaiono crisi ricorrenti; ma più spesso è un sintomo presente in
tutti i disturbi mentali.
Depressione
"Sono preoccupato", "sono scoraggiato", "sono disperato", "mi sento
avvilito", "mi sento vuoto", "non ne posso più". Sono le parole che più
facilmente possono ricorrere in chi è depresso ed esprime il suo stato
emotivo. Lo stato d'animo fondamentale della depressione è per lo più
quello di una disperazione triste e cupa, un senso di impotenza verso le
cose, l'incombente bisogno di piangere, di fuggire e perfino di morire. Le
cose che normalmente suscitano interesse, piacere e soddisfazione,
lasciano indifferenti, annoiati o vengono contemplate con amaro
pessimismo. È frequente il senso di commiserazione verso il mondo e
verso se stessi. Il depresso perde la capacità di ridere. La depressione può
dare luogo anche a manifestazioni di irresponsabilità.
Mania
È caratterizzata da una eccitazione generale dell'attività mentale e del
comportamento. Tutto sembra urgente. Il soggetto salta da un pensiero
all'altro con rapidità, è superattivo, reagisce in modo sproporzionato agli
stimoli esterni. Ma l'attività svolta dalla persona in stato maniacale è per lo
più inconcludente e non porta ad alcun beneficio concreto. Spesso lo stato
di eccitazione impedisce la concentrazione e tutto si riduce ad un fare - che
può essere vario o ripetitivo - senza progetto. Al senso di urgenza può
contrapporsi, allora, la frustrazione propria di chi avverte di "girare a
vuoto". Sebbene le manifestazioni della mania e della depressione siano di
segno opposto, il problema di fondo è lo stesso: il soggetto avverte, in
entrambi i disturbi, il medesimo senso di incapacità di vivere pienamente e
serenamente la propria esistenza. Il depresso è risucchiato nel vuoto, il
maniaco gli gira vorticosamente attorno. Non è infrequente che fasi di
maniacalità si alternino a fasi depressive (disturbo maniaco-depressivo).
Mania è uno dei termini più usati nel linguaggio comune con significati
diversi da quello appena definito, per lo più come sinonimo della parola
ossessione ("Ma è una mania!", "Ha la mania di pettinarsi"), o riferito a
persona perversa ("È un maniaco", "un maniaco sessuale"). Tali usi, anche
se diffusi, sono comunque impropri.
Schizofrenia
È il disturbo forse più difficile da definire. Rappresenta tuttora uno dei
temi centrali e più controversi della psichiatria. Nella collettività evoca
l'immagine della "pazzia" più grave e incomprensibile. II termine viene
usato per indicare uno stato della mente affetto da scissioni e separazioni
nel quale logica, pensiero, emozioni, sentimenti si dissociano producendo
comportamenti incoerenti e strani. In passato si riteneva che questa
patologia fosse incurabile e progressivamente invalidante, fino a rendere il
soggetto demente.
Oggi questa idea è ampiamente superata, ma la parola schizofrenia è
rimasta ancora in uso e sotto questo termine vengono classificati numerosi
disturbi psichici di varia entità e gravità. Illustriamo sinteticamente i
principali sintomi che vengono riscontrati quando si parla di schizofrenia:
•
•
isolamento dalla realtà, ovvero il soggetto vive in un "mondo
proprio", difficile ma non impossibile da comprendere, dove si
rifugia per vincere l'angoscia e in cui difficilmente consentirà agli
altri di penetrare;
delirio, è la convinzione profondamente radicata che un certo fatto,
falso o inverosimile, sia vero; è carica di emotività e il soggetto non
ammette dubbi o incertezze sulla sua verità:
•
allucinazione, è una alterazione della percezione; il soggetto
percepisce e vive come reali immagini e sensazioni inesistenti.
Deliri e allucinazioni, pur essendo molto frequenti nella schizofrenia, si
rinvengono anche in altri disturbi mentali. Nonostante, le manifestazioni
del soggetto risultino spesso sconcertanti, facendo pensare a veri e propri
"guasti" del cervello, questi sintomi sono modalità con cui la persona
schizofrenica cerca di difendersi, sia pure in modo incongruo, da una
sofferenza profonda e devastante.
Così intesa, la schizofrenia è curabile, spesso suscettibile di miglioramento
e in diversi casi guaribile. La concezione pessimistica della vecchia
psichiatria non ha motivo di esistere.
Paranoia
È un disturbo psichico caratterizzato dal ritenersi in pericolo perché
perseguitati da uno o più nemici. Eventi quotidiani, usuali comportamenti
delle persone, avvenimenti straordinari: tutto è interpretato come segnale
di congiure in atto. Si sviluppa un vero e proprio delirio ben strutturato e
destinato a durare nel tempo e da esso il soggetto è irremovibile. A nulla
serve cercare di convincerlo della assurdità dei suoi sospetti. Lo stato
delirante è una sorta di barriera difensiva, eretta per paura del mondo
esterno, cui si accompagna l'isolamento dalla vita sociale, con pensieri e
sentimenti di diffidenza e ostilità nei confronti degli altri. Questo disturbo,
quindi, non ha nulla a che vedere con gli stati di sfiducia e di incertezza
che possono prendere chiunque in particolari momenti di difficoltà nella
vita.
Fobia
È una paura immotivata ed esagerata verso determinati oggetti, persone,
animali, ambienti o situazioni. Molte fobie, senza raggiungere caratteri
patologici, sono diffuse, oltre che tra gli adulti, anche tra i bambini, come
la fobia del buio o dei cani. L'ambiente e l'educazione spesso possono
influire nel determinare una fobia: si pensi alla madre che rimprovera il
bambino e dice: "se non stai buono ti faccio mangiare dal cane", "se fai i
capricci ti chiudo al buio". La caratteristica delle persone che hanno
sviluppato una o più fobie è quella di evitare in tutti i modi la possibilità di
entrare in contatto con l'oggetto, la persona, l'animale o l'ambiente temuto.
Questo fatto può comportare notevoli alterazioni di comportamento e
impedimenti nello svolgimento della vita quotidiana.
Ossessione
La persona che ha un disturbo ossessivo si sente costretta, suo malgrado,
ad avere pensieri ripetitivi e ad agire secondo comportamenti obbligati
(per es., deve controllare continuamente chiusure o aperture di porte,
interruttori, rubinetti ecc.; deve pulire ripetutamente suppellettili,
strumenti, indumenti o se stessa; deve uscire portando con sé certe cose o
passando per certi luoghi). La fobia è un rifiuto, l'ossessione è
un'attrazione inesorabile. Il soggetto si sofferma su un'idea assurda ed
inappropriata, che avverte come estranea, che lo rende pesantemente
schiavo di cose, di luoghi, di riti, perdendo la padronanza di sé e della
propria vita. Le ossessioni possono invadere così profondamente la
mente di una persona, da renderle la vita impossibile, dolorosa e
soffocante.
Isteria
Può essere definita come la finzione inconsapevole ed involontaria di un
disturbo, sia del corpo che della mente: impossibilità di camminare,
paralisi degli arti, amnesie, cecità ecc. Senza rendersene conto la persona
imita ed esibisce, a sé ed agli altri, un disturbo che realmente non ha, ma
che è convinta di avere. Così facendo, spera inconsciamente di ottenere
l'attenzione e l'aiuto degli altri. L'isterico, in questo modo, fa vedere con
una finta malattia solo una parte della grande sofferenza che si nasconde
dietro un problema non affrontato.
Ipocondria
È il disturbo per cui si ha la convinzione di essere malati senza che ve ne
sia reale motivo, e di questa preoccupazione si soffre e ci si tormenta. Non
è raro trovare persone che trascorrono gran parte del tempo sottoponendosi
a visite mediche, analisi cliniche e pratiche terapeutiche, nel disperato
tentativo di conoscere quale "malattia interna" debba assolutamente
esserci, per spiegare la loro sofferenza. L'ipocondria è come un'ossessione
rivolta verso il proprio corpo vissuto come luogo di malfunzionamento.
Attenzione: l'ipocondriaco è un malato immaginario per la medicina
generale, ma diviene un paziente per la psichiatria. Infatti la sua
convinzione è falsa, ma la sofferenza è vera. L'ipocondria non va confusa
con i disturbi psicosomatici che sono vere e proprie malattie
dell'organismo, determinate prevalentemente da fattori psicologici (ulcera
gastro-duodenale, asma ecc.).
Anoressia e bulimia
Si tratta di due disturbi psicologici che si manifestano attraverso
l'eccessiva attenzione per l'alimentazione e per il proprio corpo.
L'anoressia si manifesta prevalentemente tra le adolescenti con un ostinato
rifiuto ad alimentarsi, con la conseguenza di un forte dimagrimento che
nelle forme più gravi può condurre anche alla morte. L'anoressica vede il
proprio corpo, anche se magro, sempre come troppo grasso.
La bulimia è caratterizzata da grandi abbuffate di dolci e di cibi
ingrassanti, che vengono ingurgitati in gran fretta; quasi sempre di
nascosto.
Sia le persone anoressiche che quelle bulimiche si procurano il vomito
come estremo tentativo di ripristinare il controllo del proprio corpo.
Demenza
Esistono altri disturbi mentali, che hanno una sicura base organica (lesione
biologica del cervello); tali disturbi, di parziale competenza psichiatrica,
coinvolgono anche la neurologia e la medicina generale.
La demenza è un disturbo caratterizzato dalla progressiva perdita
dell'intelligenza e della memoria per la morte di un consistente numero di
cellule cerebrali. La demenza deriva da cause patologiche (atrofia
cerebrale, arteriosclerosi, traumi, tumori cerebrali ecc.), ma anche dal
semplice invecchiamento, cioè dal fisiologico deterioramento mentale cui
va incontro l'essere umano nel corso della sua esistenza.
Insufficienza mentale
È la condizione dovuta ad uno sviluppo limitato della personalità, sia in
termini cognitivi che affettivi. Le cause dello sviluppo limitato sono di
natura ereditaria, traumatica (nella gravidanza e durante il parto) ed
infettiva (encefalite cerebrale). L'insufficiente mentale (o handicappato
mentale) è una persona in vario grado meno intelligente e più immatura,
sul piano affettivo e comportamentale, della media degli individui. In
conclusione il demente è un ricco divenuto povero, mentre l'insufficiente
mentale è una persona sempre stata povera.
Confusione mentale
È quella condizione per la quale una persona perde la capacità di orientarsi
nel tempo, nello spazio e perfino verso le persone più intime e note che
non riesce a riconoscere. Più che un disturbo è un sintomo causato da
un'aggressione diretta dell'encefalo (intossicazione alcolica, infezioni
cerebrali, traumi cranici, tumori cerebrali, arteriosclerosi) o indiretta, come
avviene in alcune malattie infettive gravi con febbre alta (malaria, tifo
ecc.).
Qualunque disturbo mentale in fase acuta può presentarsi in forma di
confusione mentale.
Il lavoro dell'assistente sociale
L'Assistente sociale lavora sulle situazioni di disagio e di emarginazione
di singole persone, di nuclei familiari e di particolari categorie.
L'assistente sociale lavora a stretto contatto con persone o nuclei familiari
in gravi situazioni di disagio. Le categorie che solitamente beneficiano di
questa professionalità sono i minori, gli anziani, i tossicodipendenti, i
portatori di handicap e gli immigrati. Risulta già ben chiaro come possano
essere tantissimi i compiti di questi professionisti che devono essere in
grado di relazionarsi con una moltitudine diversa di interlocutori.
Ruoli dell'assistente sociale
Questa figura svolge non solo compiti di carattere socio-assistenziale, ma
anche di natura amministrativa e organizzativa; nello specifico:
•
•
•
•
•
•
•
individua e censisce le situazioni di emarginazione su segnalazioni di
insegnanti, medici, forze dell'ordine, ecc.;
entra in contatto con le persone che si trovano in situazioni di disagio
e ne analizza i bisogni;
identifica gli strumenti più adatti al singolo caso e disponibili sul
territorio;
crea un contatto tra i servizi territoriali competenti e il soggetto;
segnala alle autorità giudiziarie i casi che necessitano del loro
intervento (abbandoni, abusi, ecc.);
coordina le attività svolte dalle strutture competenti;
definisce i percorsi da seguire con le persone in stato di bisogno,
elaborandoli anche all’interno di équipe multidisciplinari.
Lavori di consulenza
L'Assistente sociale ricopre inoltre compiti di consulenza presso i tribunali
e collabora con l'autorità giudiziaria nelle pratiche di affido e di adozione
di minori, negli affidamenti al servizio sociale, in alternativa alla pena
carceraria.
Dove lavora un assistente sociale?
•
•
•
presso strutture pubbliche e private, ASL, Ministeri (Giustizia,
Lavoro, Sanità, ecc.), Enti locali, servizi alla persona e centri
riabilitativi
nei servizi per i minori con problemi di giustizia e in quelli per gli
adulti delle amministrazioni penitenziarie
presso le prefetture, nelle case di riposo, nelle case-famiglia e in
quelle di accoglienza per le donne maltrattate.
Questa figura professionale deve: avere conoscenze di base e specialistiche
nel campo della sociologia, della psicologia, del diritto e dell'economia;
possedere competenze in merito alle politiche sociali, alla sanità, alla
sicurezza dei luoghi; all'organizzazione dei servizi e all'analisi di fenomeni
sociali e culturali; saper prevenire e trovare soluzioni alle situazioni di
disagio di singoli o di gruppi; essere capace di programmare gli interventi;
essere in grado di organizzare e coordinare le strutture di servizio,
conoscere almeno una lingua dell'Unione Europea per l'aggiornamento
professionale; utilizzare gli strumenti informatici.
Requisiti per intraprendere questo lavoro
Per diventare assistente sociale è infine necessaria la laurea triennale in
Servizio sociale e il superamento dell'esame di Stato che abilita alla
professione. È obbligatoria l'iscrizione all'Albo, divisa in due sezioni in
base al grado di formazione: Assistente sociale specialista, se in possesso
delle laurea specialistica; Assistente sociale, se in possesso della sola
laurea triennale.
Chi richiede i servizi dell'assistenza sociale
I professionisti del settore possono lavorare sia nel comparto pubblico che
in quello privato. Le competenze richieste possono variare dalle semplici
funzioni di assistente sociale a mansioni organizzative e manageriali per le
quali è richiesto il profilo di Assistente sociale Specialista. In particolare è
possibile trovare impiego in Ministeri, ospedali, Usl, cliniche private, case
famiglia, carceri, centri d'accoglienza, Tribunali per minori, centri per le
dipendenze, oltre che in attività di ricerca (quindi Università ed enti di
ricerca).
La retribuzione varia da caso a caso, con una forte discrasia fra il settore
pubblico – dove si accede solo tramite concorso pubblico – e quello
privato dove, di norma, la retribuzione è molto bassa e le possibilità di
carriera esigue.
È possibile lavorare anche come libero professionista fondando uno studio
e cercando convenzioni con enti pubblici e soggetti privati.
Tutto sul lavoro di assistente domiciliare
La figura dell’assistente domiciliare è sempre esistita, ma solo negli ultimi
anni se ne parla di più, tanto che la professione è stata anche oggetto di
regolamentazione, come ogni altro lavoro del resto.
L’assistente domiciliare è colui che aiuta chi è in stato di non indipendenza
(permanentemente o temporaneamente) e ha bisogno di una mano per la
vita quotidiana. In poche parole, l’assistente domiciliare aiuta gli anziani e
non che hanno bisogno di aiuto nello svolgere le faccende domestiche, nel
fare la spesa, nel curare la propria igiene personale e quella della casa,
coloro i quali hanno bisogno di aiuto per uscire da casa e andare a pagare
una bolletta.
Insomma, questa figura professionale è una sorta di angelo che aiuta chi
non riesce a vivere bene da solo. In molti casi, gli assistenti domiciliari si
trovano ad operare in situazioni di assoluta indigenza ed è proprio per
questo motivo che devono essere ben preparati e devono riuscire a far
fronte a diverse situazioni, anche non proprio felici. Ci sono degli anziani,
ma anche dei giovani disabili, che vivono in uno stato di abbandono e
povertà e che hanno bisogno di cure e aiuto, non potendo avere al loro
fianco una famiglia che si occupi dei loro bisogni primari.
Ma come si diventa assistente domiciliare?
Iniziamo con il dire che per fare questo mestiere, che ultimamente è tra i
più richiesti in assoluto, bisogna avere un po’ di esperienza. Moltissimi
sono i corsi di formazione, così come tante sono le possibilità di formarsi
facendo volontariato. Solo l’esperienza, infatti, può dare quella formazione
che serve per essere a contatto con delle realtà che possono rivelarsi molto
difficili. Dopo aver frequentato un corso o aver fatto del volontariato, si
deve trovare effettivamente un lavoro: come? Ci sono dei privati che
cercano assistenti domiciliari, delle aziende che si occupano di assistenza
domiciliare e presso le quali si può venire assunti o anche degli enti.
Il lavoro di assistente domiciliare è un lavoro tutt’altro che semplice:
sebbene sia molto richiesto e facile da trovare, non è detto che sia
altrettanto facile svolgerlo. Di solito il luogo di lavoro è l’abitazione della
persona che si deve accudire e spesso capita anche che l’assistente
domiciliare debba abitare sotto lo stesso tetto del suo assistito, poiché ci
sono delle situazioni che richiedono assistenza 24 ore su 24. In poche
parole, l’assistente domiciliare diviene una sorta di infermiere tuttofare a
disposizione di chi lo assiste. Ci vuole molta preparazione ma anche molta
pazienza, perché si tratta di un lavoro estremamente complesso anche se di
elevatissimo valore sociale, perché si aiutano delle persone in difficoltà.
Le Tecniche della Riabilitazione
Le attività riabilitative possono centrare il proprio focus su diversi ambiti
che consentono la loro classificazione in:
1. primo livello inerente alla vita quotidiana nei suoi risvolti personali,
famigliari e sociali. Sono attività mirate allo sviluppo delle competenze di
vita quotidiana, per esempio Social Skills Training, supporto allo studio,
reinserimento lavorativo, ecc.
2. secondo livello sono finalizzate al recupero di più adeguate capacità
introspettive e relazionali, infatti mirano a far emergere, riconoscere ed
elaborare il vissuto emotivo al fine di facilitare nel
paziente il
raggiungimento di un miglior livello di consapevolezza e di adattamento,
per esempio l’arteterapia, la musicoterapia attiva e d’ascolto, la
danzamovimentoterapia, l’assertività, il gruppo discussione. Devono
essere condotte da figure terapeutiche con formazione specifica nel campo.
In altri termini le attività di 1° livello sono orientate prevalentemente sulla
realtà esterna del paziente, sui suoi comportamenti, sul suo modo di
interagire con l’ambiente, sulle attività concrete di vita quotidiana e
utilizzano prevalentemente l’agire. Le attività di 2° livello invece si
rivolgono essenzialmente al mondo interno del paziente, alle sue ansie, ai
suoi conflitti e alle sue emozioni.
Moltissime sono le tecniche che possono essere utilizzate, a titolo
esemplificativo, ma non esaustivo:
Tecniche cognitivo comportamentali
Introduzione
•
Modelli di Social Skills Training (Anthony, Liberman, Farkas)
•
Modello di Ciompi
•
Modello
di
potenziamento
dei
Comportamenti
Socialmente
Competenti di Spivak
•
Modello Psicoeducativo Familiare di Falloon
•
Terapia Psicologia Integrata e Metodo casa, lavoro e tempo libero di
Brenner
Tecniche espressive
•
Arteterapia
•
Danzamovimentoterapia
•
Musicoterapia
•
Teatroterapia
Tecniche verbali
•
Discussione
•
Supporto alle famiglie
Altri interventi
•
Assertività
•
Attività reparto
•
Cineforum
•
Cura del sé
•
Gioco e tempo libero
•
Gruppo cucina
•
Gruppo Fiabe
•
Gruppo giornale
•
Inserimento lavorativo
•
Interventi a domicilio
•
Psicomotricità
•
Terapia facilitata da animali
•
Terapia occupazionale
·
·
Rot
Validation
TECNICHE COGNITIVO - COMPORTAMENTALI
Si tratta di modelli diversificati sia in termini teorici che operativi, ma è
presente una comunanza di intenti terapeutici rappresentati da:
§
migliorare l'adattamento sociale dei pazienti psichiatrici,
§ promuovere l'acquisizione di quelle condizioni affettive, cognitive e
relazionali essenziali per determinare l'acquisizione e la conservazione
dei ruoli sociali.
Se le caratteristiche cliniche del disturbo comportamentale, le relazioni
famigliari e sociali in cui vive il paziente appaiono correlate alla disabilità
in una circolarità quasi sinergica, l'ipotesi di lavoro su cui si fonda questo
approccio è che sia possibile rompere questo circuito con interventi
miranti a far evolvere tali interazioni in senso positivo.
Il modello esplicativo più condiviso dai diversi autori è rappresentato dal
modello vulnerabilità – stress, secondo il quale alcuni individui sono
biologicamente più vulnerabili allo stress (per esempio, disagi e conflitti
quotidiani; life events, altamente significativi, quali lutti, rotture di
relazioni, perdita del lavoro, ecc.) ed in conseguenza di questa
vulnerabilità un evento stressante, di intensità tale da superare le capacità
di adattamento della persona, può determinare l’insorgere di un episodio
acuto e successivamente di disabilità.
Modelli di Social Skills Training (Anthony, Liberman, Farkas)
Secondo i modelli cosiddetti bio-psico-sociali l’esordio, il decorso e l’esito
della malattia mentale possono essere spiegati grazie a fattori psicosociali
e biologici. Si tratta di approcci finalizzati al rinforzo delle performances
di social skills del soggetto tra cui: autogestione, self help, gestione dello
spazio abitativo, attività lavorative, ecc. Secondo Liberman i fattori che
determinano, con maggiore probabilità, l’insorgenza di disabilità nei
pazienti schizofrenici sono:
1. Un apprendimento inadeguato delle Social Skills determinato dal fatto
che
l’esordio
della
patologia
avviene,
solitamente,
in
fase
adolescenziale o post adolescenziale e quindi il soggetto non ha la
possibilità di osservare, in maniera sufficientemente adeguata e protratta
nel tempo, gli adulti che lo circondano e, in conseguenza, non può
acquisire le competenze che gli sono necessarie.
2. Un non corretto utilizzo delle Social Skills che ha appreso prima
dell'esordio della patologia e questo a causa della scarsa interazione con
l'ambiente circostante che spesso caratterizza e connota la personalità
premorbosa dei soggetti schizofrenici.
3. Una carenza di rinforzi, da parte dell’ambiente circostante, che è
conseguente alla mancanza sia di contatti sociali validi, sia dei feed
back positivi che gli sono necessari allo sviluppo e al consolidamento
delle Social Skills.
4. Una sintomatologia caratterizzata anche da ansia sociale che può
raggiungere un’intensità tale da impedire al soggetto l'utilizzo, totale o
parziale, delle Social Skills che possiede.
5. Le interferenze che sono conseguenti ai sintomi produttivi, per esempio
deliri o allucinazioni, che gli impediscono l'utilizzo delle Social
Skills possedute.
6. Il rinforzo, da parte dell’ambiente circostante, del suo comportamento
inadeguato e del ruolo di malato.
7. La presenza di effetti collaterali farmacologici che possono rendere
difficile l'utilizzo delle Social Skills che possiede.
Ai fattori di vulnerabilità l'intervento riabilitativo contrappone i cosiddetti
fattori protettivi (per esempio un ambiente adeguato, sistemi di supporto
idonei, servizi psicosociali, eccetera) e percorsi terapeutici finalizzati allo
sviluppo delle Social Skills.
Modello di Ciompi
Ciompi centra il proprio modello riabilitativo sul reinserimento sociale,
sulla ricerca di autonomia, responsabilità e libertà del soggetto. Il suo
protocollo di intervento è costituito da una strategia basata sulle:
aspettative dei familiari e/o del contesto e degli operatori, ipo/iper
stimolazione del paziente.
Il processo terapeutico si sviluppa lungo due assi: lavoro (con una
declinazione di sviluppo che va da nessun lavoro al lavoro normale), casa
(con una progressione di sviluppo che va dal reparto psichiatrico chiuso
all’abitazione non protetta). Il compito quindi della riabilitazione è quello
di favorire il passaggio del paziente, da livelli più regrediti a livelli più
maturi. L’autore afferma che il successo dell’intervento non dipende dalla
malattia o da variabili generali (sesso, età, ecc.), ma da: fattori di tipo
sociale (tra cui soprattutto le aspettative della famiglia, poi quelle del
paziente infine quelle degli operatori), la struttura della rete sociale del
paziente, la durata temporale dell'esclusione dal mondo del lavoro, fattori
legati alla personalità e alla motivazione del paziente stesso.
Modello
di
potenziamento
dei
Comportamenti
Socialmente
Competenti (CSC) (Spivak)
Questo modello è basato sulla prevenzione della cronicità grazie ad
interventi essenzialmente di tipo psicosociale che sono attuati in due filoni:
la valutazione dei CSC del paziente nel suo contesto, le interazioni tra i
CSC e le aspettative del contesto in cui il soggetto vive.
Questi programmi sono solitamente individuali e si centrano sulle
competenze abitative, della cura di sè, lavorative, delle relazioni familiari e
sociali. Secondo Spivak la disabilità psicosociale può essere compresa
attraverso quella che lui definisce spirale viziosa della desocializzazione
che è il risultato di un processo di reciproco influenzamento fra il paziente
e il mondo che lo circonda, compreso l’ambito terapeutico. Per Spivak
l’obbiettivo fondamentale della riabilitazione è l'aumento dell'articolazione
sociale del paziente, che deve poter sviluppare le abilità sociali che gli
consentano di soddisfare i bisogni e le richieste proprie ed altrui in
maniera efficace e secondo norme sociali accettabili e condivisibili.
L'autore individua 5 aree o spazi vitali che sono: l'abitazione, il lavoro, i
compagni e/o famiglia, la cura personale, lo spazio sociale e ricreativo. Il
compito della riabilitazione è quindi lo sviluppo dei CSC che determinano
un aumento dell'articolazione sociale in ciascuna di queste 5 aree. Il
percorso riabilitativo verso l'acquisizione di CSC è reso possibile
dall'utilizzo
delle
quattro
dimensioni
socio-interazionali
della
riabilitazione: supporto costante del paziente, iniziale permissività nei
confronti del paziente per consentire l'espressione del comportamento
inadeguato da riabilitare, non rinforzo delle aspettative presenti in risposta
al comportamento inadeguato, impiego selettivo di ricompense sotto forma
di relazioni umane e oggetti materiali.
Modello Psicoeducativo Familiare (Falloon)
Questo modello è finalizzato ad aumentare la consapevolezza dei familiari
sulla patologia del paziente, a ridurre l'Emotività Espressa familiare, a
migliorare la compliance farmacologica e a ridurre le ricadute utilizzando
le alcune strategie: potenziare lo sviluppo delle risorse sane della famiglia
senza interferire con i presupposti base della famiglia stessa; fornire
informazioni sulla natura, le manifestazioni e le possibili terapie della
patologia del paziente; ridimensionare le aspettative familiari, gli
atteggiamenti di ipercoinvolgimento emotivo, di ostilità e ipercriticismo
che determinano l’isolamento del paziente nel nucleo familiare; migliorare
la compliance al trattamento del paziente e dei familiari; favorire
l'accettazione della cronicità indotta dalla malattia.
L'addestramento dei familiari avviene a domicilio e si centra sui seguenti
aspetti fondamentali: sviluppo delle capacità di comunicare sentimenti
positivi o negativi; sviluppo di capacità nuove di affrontare i problemi.
Questi obiettivi vengono raggiunti utilizzando il problem solving. Grazie a
questo metodo i problemi del singolo possono essere condivisi dall'intera
famiglia, facendo convergere nella soluzione del problema tutte le risorse
emotive, cognitive del nucleo familiare implicato, inoltre è favorita
l'apertura di nuovi canali di comunicazione.
Terapia Psicologica Integrata (IPT) e metodo CLT (Casa, Lavoro e
Tempo libero) di Brenner
Il metodo IPT interviene sui deficit cognitivi, presenti nel paziente
schizofrenico, prima che su quelli comportamentali, invece il programma
CLT rappresenta una specifica articolazione dell’ultima parte del metodo
IPT in quanto ottimizza gli interventi sulle abilità sociali applicandoli ad
ambiti specifici e rilevanti della vita del paziente quali quello abitativo,
lavorativo e del tempo libero.
Il programma IPT è stato sviluppato per favorire il miglioramento delle
funzioni cognitive di base (livello attentivo e percettivo) e degli aspetti
cognitivi più complessi (livello cognitivo) e in un secondo momento
favorisce l’acquisizione di abilità sociali progressivamente più complesse
(livello micro e macro sociale). Il metodo CLT si propone invece il
miglioramento del funzionamento sociale e quindi lo sviluppo di abilità
implicate nei livelli micro e macrosociale.
I programmi si svolgono in gruppi chiusi, costituiti da 4-8 soggetti per il
metodo IPT e fino a 10 partecipanti per il metodo CLT.
Il metodo IPT si articola in cinque sottoprogrammi: differenziazione
cognitiva, percezione sociale (training cognitivo), comunicazione verbale,
abilità sociali e risoluzione di problemi (training sociale) ciascuno dei
quali a sua volta prevede un numero variabile di fasi. Sottoprogrammi e
fasi sono organizzati in modo consecutivo e gerarchico rappresentando
rispettivamente uno la premessa del successivo.
Il metodo CLT è costituito da tre moduli: casa, lavoro e tempo libero.
Ciascuno modulo può essere proposto separatamente o in associazione agli
altri, in relazione alle aree di disabilità riconosciute in ciascun paziente.
Ogni modulo si articola in unità e prevede diverse fasi:
§ orientamento cognitivo (valutazione dei desideri, delle aspettative e
delle risorse di ciascun partecipante) necessaria alla formulazione di
obbiettivi realistici nell’area oggetto del modulo,
§
acquisizione di abilità specifiche finalizzata all’identificazione e
all’apprendimento delle abilità utili alla realizzazione dei propri
obbiettivi
§ gestione delle situazioni problematiche finalizzata a fornire ai pazienti
le strategie di soluzione dei problemi a loro più adatte.
Il metodo CLT si avvale in modo particolare di quattro tecniche
terapeutiche: del role-play e del problem solving che come visto
corrispondono agli ultimi due sottoprogrammi IPT, di interventi di
ristrutturazione cognitiva e delle tecniche di rilassamento.
LE TECNICHE ESPRESSIVE
ARTETERAPIA
Per arteterapia si intende una tecnica terapeutica non verbale che utilizza il
linguaggio dell’arte come mezzo di comunicazione, allo scopo di
incanalare ed organizzare emozioni, conflitti o ricordi dando loro forma in
un opera visiva concreta che viene effettuata all’interno della dinamica
relazionale tra terapeuta e fruitore. E’ importante precisare che l’attenzione
è rivolta soprattutto al processo creativo di cui l’opera non è che il risultato
visivo. In altri termini le potenzialità terapeutiche sono presenti non nel
prodotto, ma nel processo creativo. L'opera artistica diviene quindi uno
strumento terapeutico in quanto permette di poter comunicare e
riconoscere quelle emozioni celate nel suo mondo interiore; un mondo che,
nella vita reale, rischierebbe di portarlo all'alienazione. Il linguaggio
adoperato dal paziente sarà composto da immagini e simboli, i mezzi
tecnici messi a sua disposizione sono diversi tra pennarelli colorati,
acquerelli, matite colorate, gessetti, pastelli a cera. L'uso del colore può
essere considerato uno dei tanti punti di forza di questa tecnica non
verbale, infatti esso può essere considerato di per sé un'esperienza estetica,
capace di stimolare un immediato rimando emotivo che possa essere allo
stesso tempo espressione e contenimento dell'emozione.
Se nella psicoterapia l’espressione verbale è lo strumento privilegiato
grazie al quale il terapeuta entra in contatto con i vissuti emotivi del
paziente ed esprime i propri interventi, nell’arte terapia è l’espressione
grafica a svolgere queste funzioni.
Esprimersi con l’arte vuol dire non solo comunicare qualcosa di sé, ma
anche imparare come farlo, modulando gli istinti, le emozioni e il
pensiero.
L’arte oggettiva sentimenti ed emozioni consentendo di
contemplarli e capirli, concretizza l’esperienza interiore dando la
possibilità di farla emergere, riconoscerla, interpretarla e contenerla.
DANZAMOVIMENTOTERAPIA (DMT)
Per DMT si intende l’utilizzazione terapeutica del movimento, in quanto
processo per aiutare un individuo a ritrovare la propria unità
psicocorporea. La sua specificità si riferisce al linguaggio del
movimentocorporeo e al processo creativo, che sono i modi attraverso cui
si valuta e si interviene all’interno di processi interpersonali che hanno
come scopo la positiva evoluzione della persona. Infatti il movimento è
un mezzo per scoprire il corpo e le sue possibilità espressive, non limita e
non riduce il suo ruolo all’apprendimento motorio meccanico e codificato
di schemi più o meno biologicamente determinati, ma tende a
riconsegnare alla persona unicità espressiva, agisce sull’educazione
dell’espressione tonica e motoria attraverso lo spazio, il tempo e l’energia,
i tre elementi della danza.
Gli
obiettivi
terapeutici
di
queste
tecniche
sono
molteplici
e
schematicamente è possibile riassumerli in:
§
promuovere o far ritrovare alla persona il piacere funzionale,
l’affinamento delle funzioni psicomotorie, l’unità psicocorporea, la
simbolizzazione, l’immagine corporea e la stima di sé.
§
Favorire
il
miglioramento
delle
performances
comunicative
intrapersonale ed interpersonale; lo sviluppo delle capacità espressive, e
quindi della capacità di esprimere i propri vissuti; il miglioramento
delle performances emotive, della consapevolezza, della regolazione
delle emozioni, con conseguente miglioramento delle capacità di
canalizzare la scarica di eventuali tensioni con modalità socialmente
accettabili; il potenziamento dell’integrazione corporeo emozionale; il
cambiamento reso possibile da una maggiore integrazione del Sé.
Il panorama delle metodologie della DMT applicate in Italia oggi è
rappresentato da:
DMT espressivo creativa ad orientamento psicoanalitico
DMT ad orientamento espressivo (psicodinamica e relazionale)
DMT Integrata DMTI
Danzaterapia di Maria Fux
DMT in chiave simbolica
DMT ad orientamento gestaltico
MUSICOTERAPIA
La musicoterapia viene definita come l'insieme di tecniche basate sull’uso
del suono e della musica come strumenti atti a facilitare lo sviluppo di una
buona relazione. Si basa sulla capacità dei suoni di favorire una
comunicazione che oltrepassa l’uso del linguaggio, promuovendo
l’espressione dei vissuti più profondi: le pulsioni (aggressività, energia
vitale), le emozioni di base (rabbia, tristezza, paura, sorpresa, gioia) e tutti
gli affetti che animano l’interiorità umana (vergogna, dubbio, incertezza,
timore, eccetera). La musica è stata infatti definita come il linguaggio delle
emozioni.
La musicoterapia dispone di due categorie tecniche fondamentali:
§
l’ascolto (MT ricettiva): si tratta dell’ascolto di brani musicali,
opportunamente scelti all’interno della relazione terapeuta - paziente,
capaci di stimolare sensazioni, emozioni, immagini mentali, ricordi,
pensieri;
§ la produzione (MT attiva): riguarda l’uso di semplici strumenti musicali,
che non richiedono alcuna competenza tecnica, per costruire un dialogo
sonoro tra terapeuta e paziente, in grado di facilitare l’espressione dei
vissuti emotivi, aumentando così la consapevolezza di sé, l’autostima,
l’equilibrio tra le tensioni interne, la creatività.
La finalità principale della musicoterapica è l’armonizzazione della
personalità dell’individuo e la costruzione di uno stato di miglior-essere a
partire da uno di mal-essere o di ben-essere relativo. Tale modello pone
inoltre particolare attenzione alla regolazione delle emozioni, quale esito di
un buono sviluppo e di una buona integrazione personale. In ambito
psichiatrico, la musicoterapia trova il suo campo di applicazione nel
trattamento riabilitativo poiché essa consente:
§
l’espressione delle cariche pulsionali;
§ l’integrazione mente-corpo (armonizzazione tra tono muscolare,
sensazioni, atteggiamenti motori, affetti e attività mentale)
§
§
la ristrutturazione dei concetti di tempo e durata;
l’utilizzazione di una comunicazione non verbale vicina al processo
primario e sintona con la regredita struttura dell’Io psicotico;
§
l’istituzione di una relazione interpersonale mediata dall’”oggetto”
musicale;
§
l’integrazione della personalità sul piano spaziale (adeguata distinzione
tra sè e non sè)
§
l’espressione delle emozioni, attraverso la rimozione di blocchi ed
inibizioni
§
lo sviluppo delle capacità di socializzazione attraverso l’integrazione
nel gruppo
§
lo sviluppo della creatività
La musicoterapia attiva può comprendere numerose tecniche in stretta
relazione con il “fare musicale”: improvvisazione, esecuzione di partiture,
composizione di brani ecc.
TEATROTERAPIA
La teatroterapia è la tecnica espressiva di applicazione più recente e
conseguentemente è quella che presenta un maggior numero di approcci,
infatti al termine teatroterapia vengono riferiti, con diversi livelli di
correttezza semantica e concettuale, un gran numero di approcci
terapeutici che si originano o vertono nell’ambito teatrale. E' possibile
definire l’ambito delle teatroterapie come l'insieme di tecniche
terapeutiche che operano partendo dalle caratteristiche proprie del teatro:
l’identificazione, il personaggio, la rappresentazione, il palcoscenico, il
gioco, la finzione scenica, l’espressività, la catarsi, la maschera, l’attività
simbolica, il linguaggio verbale e non verbale, la comunicazione. Ognuno
degli approcci terapeutici basati sul teatro parte da punti di vista differenti,
privilegiando una o più caratteristiche e ponendosi obbiettivi terapeutici
diversificati.
L’approccio terapeutico mediato da tecniche teatrali opera in due direzioni
convergenti: a partire dall’esterno, intervenendo sul corpo e le sue
manifestazioni attraverso le tecniche che incidono sulla postura, il
movimento e il linguaggio.
A partire dall’interno, attraverso l’analisi del personaggio sé che si può
decidere di rappresentare, valutandone ed affrontandone i sentimenti e le
emozioni che lo animano e che lo porteranno a sviluppare le intenzioni
recitative. Essere in grado di gestire le emozioni di un personaggio e di
rappresentarlo nella finzione scenica, può convincere che sia possibile
interpretare, possedendolo e gestendolo, il copione della propria esistenza,
uscendo dal ruolo passivo ed impotente che tanto spesso la malattia
impone a chi ne è portatore.
TECNICHE VERBALI
IL GRUPPO DI DISCUSSIONE
Per gruppo di discussione si intende un gruppo riabilitativo che utilizza
come strumento terapeutico la comunicazione verbale e non verbale.
Solitamente è strutturato come gruppo aperto, eterogeneo ed autocentrato.
Ha una frequenza settimanale o bisettimanale e una durata compresa tra
un’ora e un’ora e trenta. Rientra nelle attività di II livello e si colloca in
posizione intermedia tra le attività riabilitative più elementari e la
psicoterapia. E’ indicato per soggetti che, non avendo buone capacità di
insight, non possono accedere alla psicoterapia, si tratta quindi di pazienti
non gravemente regrediti e parzialmente capaci di intraprendere relazioni
interpersonali, ma deficitari dal punto di vista del mantenimento di una
corretta e costante relazione d’oggetto ed incapaci di verbalizzare in modo
adeguato e sintono le proprie problematiche ed i vissuti emotivi.
Attraverso l’uso di strumenti riabilitativi quali la relazione e la
comunicazione verbale e non verbale, si pone come obiettivi fondamentali:
il sostegno alle funzioni dell'Io nei pazienti che a causa del proprio quadro
psicopatologico (psicosi sia dello spettro schizofrenico che affettivo,
disturbi di personalità (soprattutto, ma non esclusivamente, borderline),
gravi forme nevrotiche, ecc., manifestano deficit nella struttura egoica; il
miglioramento delle capacità e della qualità della comunicazione
interpersonale; l’aumento, per quanto possibile, delle capacità di insight e,
comunque, il miglioramento della capacità di cogliere i propri stati emotivi
e affettivi; il miglioramento delle modalità comportamentali; il
miglioramento delle capacità relazionali interpersonali.
E’ controindicato per pazienti: gravemente regrediti o deficitari dal punto
di vista cognitivo, in fase di scompenso conclamato, con valenze autistiche
marcate, o comunque sintoni rispetto al loro ritiro comunicativo. Vanno
quindi considerati i seguenti criteri di esclusione dal gruppo: lo stato di
agitazione psicomotoria, quadri spiccatamente paranoidei, che potrebbero
essere rinforzati dalla situazione gruppale, e più generalmente quadri
psicopatologici di grave scompenso e in fase florida; la presenza di gravi
istanze narcisistiche o istrioniche di personalità; lo stato confusionale e le
patologie difettuali o le situazioni gravemente regressive che non
consentono di intraprendere o sostenere una attività terapeutico riabilitativa basata sull'uso prevalente del codice verbale.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA
Il coinvolgimento della famiglia nel progetto riabilitativo è uno dei
elementi centrali dell’intervento, infatti creare una rete di supporto e di
comunicazione tra paziente, équipe riabilitativa e famigliari facilita la
comprensione dei reciproci bisogni, delle aspettative, delle difficoltà e
delle potenzialità presenti, riducendo la frammentazione che il paziente
vive. Inoltre lavorare con le famiglie fornisce loro la possibilità di avere un
contenitore ed un supporto emotivo nel percorso di cura.
Sono diversi i modelli di terapia famigliare che sono stati strutturati nel
corso degli anni, schematicamente è possibile raggrupparli in:
§ Il modello psicoanalitico considera la famiglia un’entità a sé con
modalità di funzionamento specifiche rispetto al singolo funzionamento
individuale. La famiglia esercita una forte influenza sui vissuti del
singolo: la manifestazione e la trasmissione dei vissuti psicodinamici e
relazionali contribuisce alla strutturazione delle funzioni dell’Io
individuale, del suo stato affettivo, delle sue difese ed in senso generale
del suo Sé. A questa famiglia intesa come “corpo ed apparato
pensante” si rivolgerà la terapia, che si svolge secondo la tecnica
propria
psicanalitica;
l’analisi
delle
dinamiche
interpersonali
intrafamigliari avverrà sia nell’hic et nunc della seduta che nella storia
passata della famiglia.
§ Il modello strategico, opposto all’intervento analitico, segue un
orientamento pragmatico: nelle sedute il terapeuta decide le modalità di
soluzione del problema posto dalla famiglia, problema che diventa la
guida del procedimento terapeutico.
§
Il modello strutturale è costituito da un intervento attraverso
prescrizioni ai famigliari da svolgere durante le sedute, finalizzate a
ristrutturare il sistema famigliare, rompendo coalizioni patologiche,
ridefinendo i confini in famiglie invischiate o attivando famiglie
disimpegnate; gli interventi strutturali sono altamente emotivi ed i
risultati sono facilmente verificabili.
§
L’approccio sistemico relazionale, in questo approccio invece di
cercare le cause, l’osservatore si allena a capire come i membri del
sistema si organizzano tra loro, che tipo di regole hanno strutturato nel
tempo e su quali premesse è basato tutto il sistema.
§
Gli interventi psicoeducativi. Questi modelli si basano sulla
discussione in famiglia degli aspetti cruciali della malattia quali la
diagnosi, l’eziologia, i sintomi, spesso confusi con atteggiamenti
volontari e tratti del carattere. Viene discussa l’evoluzione del disturbo
e la gestione delle crisi; viene facilitata nella famiglia l’acquisizione di
modalità di comunicazione a bassa emotività espressa per ridurre
l’ostilità ed il criticismo e viene sostenuto il miglioramento delle
capacità di soluzione di problemi e di gestione del carico emotivo e
pratico creato dalla malattia di un membro.
ALTRI INTERVENTI
IL GRUPPO ASSERTIVITA’
L’obiettivo di questo gruppo è costituito dalla possibilità, offerta ai
partecipanti, di aumentare il livello di articolazione sociale dell’individuo
attraverso la gestione delle relazioni interpersonali, che possono costituire
una fonte di stress emozionale, sia in famiglia che nell’ambito sociale più
allargato.
L'assertività è sostanzialmente uno stile di vita, caratterizzato da un
atteggiamento positivo e costruttivo nei riguardi di sé stessi e degli altri.
Essa rende possibile il raggiungimento di un compromesso tra il porsi in
modo passivo e l’aggressività, nella ricerca di buoni rapporti interpersonali
e di equilibrio interiore.
In altri termini per comportamento assertivo si intende un comportamento
sociale (di relazione) in cui si esprimono liberamente e onestamente le
proprie opinioni, i propri bisogni, i desideri e i sentimenti, senza
imbarazzo o sensi di colpa, possibilmente in modo adeguato alla situazione
specifica in cui ci si trova.
Il comportamento assertivo rende possibile un aumento del senso di
efficacia personale e un aumento dell'autostima e della fiducia in sé stessi,
anche quando la soluzione a cui si perviene non soddisfa completamente i
propri bisogni e desideri.
L’assunto di base di questo comportamento è quello di essere consapevoli
dei propri e degli altrui diritti e di volersi comportare in modo da non
violare né gli uni né gli altri.
L’obiettivo generale del comportamento assertivo è quello di soddisfare i
bisogni e rispettare gli stati d'animo e i diritti di entrambe le parti coinvolte
nella relazione, valorizzando i contributi di tutti nel trovare soluzioni
funzionali e stimolando la collaborazione.
ATTIVITÀ IN REPARTO DI DEGENZA
Strutturare delle attività riabilitative durante il periodo di degenza in
reparto prevede modificazioni anche significative nelle prassi operative
delle attività stesse. Infatti
quanto viene proposto deve tenere in
considerazione elementi significativi come per esempio: l’alto turn over
dei pazienti, la non possibilità di strutturare del gruppi stabili, la situazione
psicopatologica dei partecipanti che possono essere in fase acuta.
A fronte di questo lavorare all’interno di un reparto di degenza può
consentire di:
·
agire precocemente nei confronti degli aspetti passivizzanti e
regressivi
·
favorire un più rapido reinserimento nella socialità extraospedaliera.
·
contrastare le istanze di dipendenza spesso presenti nei pazienti
ricoverati
·
facilitare la socializzazione, l’incontro e la comunicazione con
l’altro
·
·
mantenere concentrazione e attenzione
favorire il successivo inserimento nei trattamenti riabilitativo
extraospedalieri
· sostenere e rafforzare le funzioni dell’Io, migliorare la giusta distanza
tra sé e l’altro, stimolare le capacità espressive e creative,
l’apprendimento, l’autonomia, l’addestramento al controllo delle
pulsioni e migliorare la comunicazione verbale.
Gli interventi proposti possono essere:
·
di tipo individuale come per esempio la cura del sé, della camera, il
miglioramento delle performances comportamentali e relazionali sia
all’interno del reparto sia all’esterno.
· di gruppo finalizzati al mantenimento o all’acquisizione di abilità
psicomotorie e relazionali di base. Queste attività sono prevalentemente
ludiche (giochi di società, giornali, collage, ecc.) che proprio per il loro
carattere di piacevolezza e di apparente disimpegno possono
rappresentare un adeguato strumento per “far passare” contenuti
terapeutici
più
significativi
dal
punto
di
vista
riabilitativo
(miglioramenti della capacità di attenzione, concentrazione, finalismo,
ecc.).
La scelta delle attività dipende da diversi elementi quali: i bisogni del
paziente, le sue capacità, le sue risorse, le possibilità offerte
dall’istituzione. Anche l’articolazione temporale di questa attività dipende
dagli elementi sopracitati, ma tendenzialmente l’intervento tende ad essere
il più intenso e frequente possibile, infatti in alcune situazioni si è
arrivati ad un incontro, anche se breve, con frequenza quotidiana.
GRUPPO CINEFORUM
Il gruppo Cineforum è un particolare setting terapeutico finalizzato al
sostegno dell’Io, attraverso la visione di un film che tratta tematiche
relative a problematiche esistenziali: i pazienti rivivono attraverso
l’identificazione con gli attori, situazioni esperienziali simili a quelle del
passato o del presente, filtrate da uno spazio protetto che ha valenza ludica
e di intrattenimento.
Classicamente, il lavoro si articola in tre momenti successivi:
·
Scelta della programmazione dei film operata dai pazienti e dagli
operatori in base alle preferenze o alle tematiche emerse all’interno del
gruppo.
·
Visione del film preceduto da una breve introduzione.
· Discussione alla fine della proiezione con lo scopo di identificare ed
elaborare le tematiche che più hanno suscitato emozioni.
Questa attività rientra nelle forme di cineterapia che può essere definita
come la terapia psicologica che impiega la visione di un film e la
discussione dei sentimenti e delle emozioni che esso suscita. Infatti i film
possono aiutare i pazienti ad osservare, riconoscere ed elaborare i propri
comportamenti, rendendoli maggiormente consapevoli.
PROGRAMMA “CURA DI SÉ”
Per cura di sé si intende la capacità di occuparsi autonomamente della
propria igiene personale, del proprio aspetto, del proprio abbigliamento ed
in senso più ampio del proprio ambiente e di mantenere adeguate abitudini
di vita.
Nella maggior parte dei casi i gruppi che si occupano di aiutare il soggetto
ad acquisire competenze in questo ambito sono di impostazione cognitivo
comportamentale come i moduli di social skill training che propongono
l’individuazione di due aree fondamentali di intervento: una prima mirata
a migliorare le abilità strumentali di base per poter soddisfare un livello
sufficientemente buono di vita nell’ambiente sociale di appartenenza ed
una seconda concernente l’area relazionale, rappresentata dalla capacità di
esprimere i propri bisogni e le proprie aspettative in maniera adeguata. Per
esempio l’Independent Grooming che è un programma finalizzato a
motivare i pazienti ad apprendere, esercitare e mantenere autonomamente
le abilità di base per la cura del sé in senso lato.
Il programma Cura di sé prevede quattro differenti moduli che si possono
attuare in modo progressivo:
· cura dell’igiene personale: dal lavaggio mani, denti, all’utilizzo doccia o
vasca, igiene intima, ecc;
· cura dell’abbigliamento: riconoscere i capi di abbigliamento, scelta e
abbinamento, consapevolezza delle proprie misure, cura e pulizia dei
capi di abbigliamento, delle scarpe, come riporli e come ripararli, ecc;
·
cura dell’ambiente: pulizia e ordine della propria stanza, casa etc. ma
non solo.
cura dell’alimentazione. Comprende diversi sotto-moduli: informazioni
per una corretta alimentazione, come stare a tavola, l’igiene in cucina,
attrezzi per cucinare, gli alimenti e la loro conservazione, ricette, ecc.
GIOCO E TEMPO LIBERO
Parlando di attività di gioco e tempo libero ci si riferisce ad interventi
finalizzati alla soddisfazione ludica, ma anche e soprattutto alla
socializzazione e all’attivazione delle capacità di attenzione, espressione,
ecc.
Il gioco, nei suoi diversi tipi (funzionale, simbolico, di regole), nelle sue
diverse fasi evolutive e nei suoi diversi significati, è essenzialmente una
spinta innata ad acquisire abilità e con esse a diventare indipendenti, a
osservare, riflettere, a coprire e compensare frustrazioni, a confrontarsi con
la realtà, a godere della vita, ecc.
Infatti, attraverso il gioco è possibile:
·
creare un clima di accoglienza e di ascolto
· stimolare la conoscenza reciproca e la socializzazione, favorendo in
alcuni casi l’instaurarsi di vere e proprie amicizie
che possono ridurre
l’apatia e la solitudine.
·
osservare le modalità del paziente nel rapportarsi con gli altri
rispettando i tempi, le regole e le esigenze che il gioco impone
·
far emergere aspetti della personalità e dell’emotività che in altri
ambiti emergerebbero con altre difficoltà
·
facilitare l’instaurarsi di una buona relazione tra i pazienti o con gli
operatori
·
tollerare le frustrazioni e saper gestire le proprie emozioni e impulsi e
la competizione con gli altri
L’attività ludica, il gioco, racchiude in sè quattro caratteristiche che lo
contraddistinguono:
·
libero poiché spontaneo e liberamente scelto;
·
fittizio poiché finzione e imitazione della realtà;
·
separato in quanto distinto dal lavoro;
·
regolato in quanto strutturato tramite norme convenzionali.
GRUPPO CUCINA
Per gruppo cucina si intende una attività riabilitativa centrata su uno degli
aspetti fondanti e specifici del processo di autonomizzazione del soggetto
portatore di un disagio psichico, e non solo: la preparazione del pasto.
Questo tipo di attività può prevedere un intervento centrato esclusivamente
sulla preparazione del pasto, ma più generalmente, prevede anche un
lavoro riabilitativo sull’acquisto degli alimenti (spesa e quindi gestione del
budget economico ad essa destinato) e sulla preparazione e sul riordino
dell’ambiente dove si pranza (preparazione della tavola e suo riordino,
lavaggio dei piatti e delle pentole, ecc.).
Non esistono rigidi criteri di esclusione da questa attività, ma è certamente
auspicabile che i partecipanti abbiano la possibilità di sperimentare, anche
al proprio domicilio, le competenze acquisite.
Il GRUPPO FIABE
L’obiettivo che si propone questo tipo di gruppo è quello di stimolare
attraverso l’utilizzo terapeutico delle fiabe classiche l’elaborazione dei
contenuti emozionali e dei vissuti personali e interpersonali dei
partecipanti al gruppo. Infatti attraverso il confronto e la discussione,
emergono
meccanismi
d’identificazione,
proiezione,
introiezione
sollecitate dalle immagini e simbolismi delle fiabe.
La fiaba si propone e costituisce come area transizionale, all’interno della
relazione terapeutica, attraverso la quale è possibile tollerare l’emergenza
dei vissuti ed emozioni sino a poterli riconoscere ed accettare come
propri.
Il lavoro viene svolto in un settino gruppale perché il gruppo ha una
funzione di stimolo, ma anche di contenimento là dove le angosce sono
troppo forti o dove sono presenti sintomi produttivi quali allucinazioni o
deliri.
La discussione e l’interazione tra i partecipanti al gruppo, l’intervento
attivo dei terapeuti riporta costantemente alla storia, costringe in una
trama, mentre il gruppo si costituisce come contenitore in cui ognuno può
lasciare fluire immagini pensieri ed emozioni senza temerne la possibile
distruttività.
Il gruppo fiabe può essere strumento di cambiamento attraverso due
diverse modalità di utilizzo terapeutico:
•
costruzione della fiaba
•
lettura ed ascolto della fiaba
GRUPPO GIORNALE
Il Gruppo Giornale ha come presupposto teorico l’utilizzo di tecniche
cognitive ed è finalizzato ad incrementare abilità come la memoria,
l’attenzione, la concentrazione, l’uso di strutture logiche, l’uso della
scrittura come mezzo di comunicazione e, conseguentemente, favorisce il
mantenimento o il recupero di un adeguato rapporto di realtà, facilita lo
sviluppo di abilità sociali, favorendo le relazioni sia con gli altri pazienti
che con gli operatori.
Il gruppo si articola in quattro momenti:
·
discussione libera e scelta degli argomenti in base alle tematiche
emerse
·
suddivisione degli incarichi e scelta dell’impaginazione
·
discussione del tema del mese con riferimenti al proprio vissuto
·
previsione di stesura al computer e pubblicazione
Attraverso questa attività i pazienti esprimono pensieri ed opinioni,
manifestano i bisogni mantenendo un saldo contatto con la realtà
circostante, trattando tematiche inerenti il loro micro e macro cosmo
sociale, culturale e terapeutico.
Gli obiettivi che questo gruppo persegue sono rappresentati da: stimolare
le capacità organizzative, relazionali, cognitive, di sintesi, incrementando
l’autostima e la vicinanza emotiva dei pazienti.
INSERIMENTO LAVORATIVO
L’inserimento o il reinserimento lavorativo di un soggetto portatore di
disagio psichico costituisce, quando possibile, la tappa finale dei percorsi
riabilitativi. Infatti se è certamente vero che l’inserimento lavorativo del
disabile psichico è un obiettivo da perseguire, è sostanziale premettere che
questo obiettivo non è sempre raggiungibile (per esempio nel caso in cui la
disabilità conseguente alla psicopatologia sia troppo alta), oppure può
esserlo solo parzialmente ed in questo caso il soggetto potrà essere inserito
esclusivamente in “lavori altamente protetti”.
Altra caratteristica specifica di questo ambito di intervento è che
certamente il percorso deve rispettare le caratteristiche e i bisogni del
soggetto portatore di un disagio, ma è altrettanto vero che l’inserimento
lavorativo è possibile solo se il soggetto raggiunge una capacità sufficiente
per interfacciarsi con il mondo del lavoro e le sue “regole”.
Infine è diverso pensare ad un percorso da attuarsi con un soggetto che ha
già avuto esperienze lavorative pregresse o con un soggetto che,
indipendentemente dalle motivazioni causali, non ha mai effettuato una
esperienza lavorativa.
Concluse queste necessarie premesse, la strutturazione di una attività
riabilitativa finalizzata al “lavoro terapeutico” necessario per il
reinserimento di un paziente nell’ambito lavorativo costituisce una delle
tappe ultime dei percorsi di riabilitazione e la sua attuazione può avvenire
individualmente (per esempio attraverso l’affiancamento con un operatore
che supporti il paziente al recupero di competenze messe in scacco dalla
patologia) o attraverso interventi gruppali finalizzati al raggiungimento
delle competenze necessarie.
I modelli operativi di intervento sono molto differenziati, ma
schematicamente tutte le prassi operative dovrebbero prevedere: un' attenta
analisi della legislazione vigente, la strutturazione di attività formative
finalizzate al fornire al soggetto le competenze pratico professionali
necessarie all’inserimento, la strutturazione di attività finalizzate al
raggiungimento di capacità relazionali e interpersonali stabili e
sufficientemente articolate ed efficaci.
L'INTERVENTO DOMICILIARE
Nell’intervento domiciliare è l’operatore a recarsi presso il paziente, nel
suo “territorio”, a casa sua, oppure in un contesto “neutrale” in cui
l’attività riabilitativa viene svolta in luoghi non di pertinenza
dell’operatore né del paziente (per esempio, interventi effettuati in giro per
la città, o al ristorante, o in palestra, o in un museo, ecc).
Questo tipo di intervento individuale persegue obiettivi di:
· conoscenza del paziente, delle sue problematiche, delle sue relazioni
familiari, della sua quotidianità nel contesto extraistituzionale
·
comprensione del suo disagio psichico, della sua articolazione
quotidiana e del suo significato
·
facilitazione della presa in carico del paziente con scarsa compliance.
·
intervento terapeutico specificamente attuato nel contesto domiciliare, o
comunque extraistituzionale finalizzato al miglioramento delle capacità
di rapporto interpersonale e all’acquisizione di compentenze specifiche
di vita quotidiana (ad esempio gestione della propria casa, capacità di
provvedere adeguatamente alla propria alimentazione con tutto quello
che questo comporta, ecc.).
I destinatari degli interventi domiciliari possono essere soggetti che:
· non vogliono recarsi in ambulatorio, che si oppongono per diverse
ragioni al trattamento, che manifestano una compliance parziale e
incompleta
·
hanno difficoltà a lasciare il proprio domicilio per gravi disabilità
personali e sociali, che hanno una famiglia per lo più assente o
scarsamente disponibile
·
che necessitano di un percorso riabilitativo a domicilio o comunque
extraistituzionale
LA PSICOMOTRICITA’
La psicomotricità è una terapia specifica, basata sulla relazione tra
paziente e terapeuta, che si realizza attraverso il corpo e il movimento,
utilizzando come strumento privilegiato il gioco.
Scopo della psicomotricità è quindi scoprire per il bambino e riscoprire per
l’adulto il piacere ed il significato del movimento attraverso la relazione,
liberando tutti i contenuti positivi e negativi, affettivi e cognitivi legati al
corpo e al movimento stesso.
Questo obiettivo si raggiunge ridimensionando i vissuti emergenti,
coscientizzandoli ed elaborandoli, attraverso il gioco e la relazione
terapeutica. Fine ultimo del percorso psicomotorio è il raggiungimento
dell’autonomia, cioè la capacità di scegliere, decidere, rapportarsi liberi e
pari agli altri, al di là e sopra l’eventuale realtà invalidante.
S’individua in tal modo il campo d’azione di questa tecnica, che si
differenzia dalla terapia neuromotoria (fisioterapia): se quest’ultima si può
definire terapia del movimento attraverso il movimento, perché lavora sul
ripristino e la normalizzazione di una funzione motoria, la psicomotricità
lavora per far riscoprire il piacere nell’utilizzo di quella funzione, cercando
comunque di utilizzarla al massimo, ma soprattutto colorandola di
affettività e cognitività.
Lo psicomotricista punta al raggiungimento di un movimento abile,
preciso, rapido ed economico, rispetto alle potenzialità della persona.
Questi aspetti devono essere integrati attraverso la relazione terapeutica,
perché il paziente possa sperimentare le proprie potenzialità motorie,
cognitive e affettive e le spenda con maggiore fiducia e autonomia nella
propria realtà quotidiana.
TERAPIA FACILITATA DA ANIMALI
La Terapia Facilitata da Animali è costituita da un variegato spettro di
attività
riabilitative
che
prevedono
l’inserimento
della
relazione
uomo/animale nel percorso terapeutico. E’ indicata in tutti quei casi in cui
vi sia un disagio psichico e/o un handicap fisico che, pur presentando aree
disfunzionali (motorie o relazionali), può rispondere positivamente alla
particolare
stimolazione
emotiva,
cenestesica
(tattile, visiva) psicomotoria e relazionale che inevitabilmente viene
evocata nell’incontro con l’animale. E’ controindicata quando la patologia
mentale è così grave da portare ad un possibile maltrattamento
dell’animale o ad una impossibilità di interazione per esempio nel caso di
fobie o di allergia al pelo degli animali.
Ippoterapia e Riabilitazione Equestre
La
Riabilitazione
Equestre
si
svolge
attraverso
diversi
livelli:
l’Ippoterapia, la Rieducazione Equestre, la pre-sportiva e lo sport vero.
L’Ippoterapia costituisce il punto di partenza di ogni intervento
riabilitativo; essa agisce sullo schema corporeo, sull’equilibrio e sulla
regolazione del tono muscolare, sulla coordinazione e la dissociazione,
sull’orientamento spazio-temporale.
Nella Rieducazione Equestre vengono introdotte la sella, le staffe e le
redini per cercare di stimolare la capacità di autonomia del paziente che
apprende i rudimenti della tecnica equestre. Il cavallo diventa un
compagno di lavoro, un alleato per perseguire gli obbiettivi proposti.
Delfinoterapia
I diversi studi hanno confermato l’effetto positivo del rapporto con il
delfino in termini di rilassamento, aumento delle capacità di attenzione e
di socializzazione, di ricerca del contatto.
TERAPIA OCCUPAZIONALE
Per Terapia Occupazionale si intende “l’arte e la scienza di dirigere la
partecipazione di un individuo in compiti selezionati, per ristabilire,
rinforzare e migliorare la prestazione, facilitare l’apprendimento di quelle
capacità e funzioni essenziali all’adattamento e alla produttività, diminuire
e correggere la patologia”.
Definendola invece in base alle finalità è la disciplina che si propone di
promuovere, mantenere e sviluppare nel tempo la capacità di svolgere con
la maggiore soddisfazione possibile i compiti essenziali per essere
protagonisti per la propria vita e dell'ambiente. In altri termini si tratta di
un intervento finalizzato a sviluppare il più alto livello possibile di
competenze individuali e a raggiungere un buon grado di autonomia e
indipendenza.
I suoi principali obiettivi sono:
1. incrementare le performance attinenti l'autonomia personale;
2. accrescere le capacità lavorative;
3.
sostenere l'inserimento lavorativo, sia nella fase iniziale che
successivamente;
4. dirigere in modo nuovo ed adattivo gli interessi sia ricreativi che
lavorativi del paziente;
5. controllare gli impulsi emotivi e sviluppare relazioni più gratificanti;
6. migliorare la consapevolezza dei propri comportamenti;
7. imparare ad usare le proprie capacità e qualità individuali e ad
esprimere i propri gusti.
Vari sono i modelli teorici di riferimento, ma i più utilizzati sono:
1. la terapia occupazionale come processo di comunicazione, derivato
dallo schema di riferimento psicodinamico
2. la facilitazione della crescita e dello sviluppo, derivato dallo schema di
riferimento dello sviluppo
3. la "Human Occupation" derivato dallo schema di riferimento del
comportamento occupazionale.
I soggetti che traggono maggior beneficio dalla Terapia Occupazionale
sono coloro che:
1. imparano più facilmente attraverso il “fare” rispetto al pensare e al
concettualizzare
2. si esprimono più spontaneamente attraverso le azioni rispetto alle
parole
3. presentano deficit di tipo cognitivo-percettivo-motorio.
Questa tecnica, interviene puntando la sua attenzione su tre aree di
performances, che sono:
1. vita quotidiana
2. lavoro
3. gioco e tempo libero
TECNICA DI ORIENTAMENTO ALLA REALTA'
La tecnica di Orientamento alla Realtà è un approccio psicologico educativo che mira a far assimilare, a soggetti dementi, nozioni semplici e
di base riguardanti il tempo, lo spazio, le persone che li circondano, il
nome degli oggetti comunemente usati o incontrati.
E’ un trattamento rivolto a soggetti che presentano confusione mentale,
disorientamento spazio temporale, alterazione del rapporto di realtà,
riferito a sé e al mondo circostante, perdita di memoria. Attraverso
un'appropriata stimolazione, consente di riapprendere gli elementi basilari
in relazione a sé, come per esempio rispondere al nome o assolvere alle più
elementari attività quotidiane (mangiare, piccola igiene, ecc.) e
all'ambiente.
Questa tecnica si articola su due diversi aspetti:
•
l'Orientamento alla Realtà Informale, interviene a modificare
l'ambiente in cui vive il paziente con simboli, adattamenti e stimoli
particolari, perché egli possa orientarsi nello spazio e compensare i
suoi deficit mantenere il più a lungo possibile l'autonomia.
•
l'Orientamento alla Realtà Formale, formulato in sessioni, stimola il
soggetto nel senso dell'orientamento (tempo - spazio - persone cose), della memoria presente e passata, ecc., potenziando le abilità
ancora integre.
VALIDATION
Per Validation si intende sia un approccio teorico ai soggetti anziani e con
disturbi della memoria, sia un insieme di tecniche specifiche, rivolte ad
anziani disorientati, finalizzate a restituire loro dignità grazie all’utilizzo di
un approccio relazionale molto centrato sull’empatia e sulla valorizzazione
del patrimonio emotivo affettivo dell’anziano stesso.