Heidegger – Essere e Tempo Neokantismo, fenomenologia, esistenzialismo Heidegger pubblica la sua opera principale (del periodo precedente la “svolta”), Essere e tempo, nel 1927. L'opera, dedicata al suo maestro Husserl, porta come epigrafe un passo del Sofista di Platone, nel quale si dice che nonostante l'apparente ovvietà del concetto, il termine “ente” è ben lungi dal significare qualcosa di chiaro. Negli scritti di Husserl, Heidegger trova già un superamento della prospettiva costruttiva e matematizzante del neokantismo. Per Husserl, l'atto conoscitivo si risolve nella Anschauung, l'intuizione (delle essenze), un incontrare le cose in carne e ossa. La filosofia ha come oggetto la vita nella sua effettività (il mondo della vita, Lebenswelt), ovvero la vita come tempo e storicità (la questione della “filosofia dell'esistenza” era già stata posta da Kierkegaard e prima ancora da sant'Agostino). L'essere come semplice-presenza L'insufficienza dell'apparato concettuale della filosofia da Parmenide a Hegel (ma anche Nietzsche non fa eccezione), sta nel concepire l'essere come semplice-presenza (Vorhandenheit), ovvero come qualcosa di “già dato”, che ha già un suo significato e sue proprietà (categorie), conoscibili attraverso l'impiego della ragione. Conoscere l'essere come semplice-presenza significa, secondo questa tradizione, conoscerne le proprietà (le categorie). Tuttavia, la vita come storicità non si lascia pensare entro categorie. La vita non è mai completamente razionalizzabile. La questione dell'esistenza, pensata nella sua dimensione effettiva, non è riducibile alla descrizione di determinate (già date) proprietà. È necessario fondare una nuova filosofia che sia in grado di pensare l'esistenza effettiva senza ridurla a schemi categoriali. Il soggetto di cui questa nuova filosofia si occupa non è il soggetto puro di tipo trascendentale, ma soggetto vivente, storico, che esiste nel tempo e che diviene. La metafisica tradizionale concepisce l'essere come presenza e come obiettività (tende a pensare le cose non nel loro divenire, ma nella loro immutabilità). Studiare l'uomo non significa definire la sua essenza, ma porre la questione del suo mutare continuo, della sua temporalità. La filosofia si è occupata di identificare, classificare le essenze ed ha perso di vista la vita, l'esistenza concreta. Analisi dell'essere a partire dall'uomo Per parlare di essere bisogna metterlo in rapporto con il tempo. Ciò si può fare solo partendo dall'analisi di quell'ente che solo si pone il problema del senso dell'essere, ovvero l'uomo. L'analisi sull'uomo deve partire dalla quotidianità (Alltaglichkeit) o medietà, cioè nel suo modo di darsi “innanzitutto” e “per lo più”, cioè nelle maniere in cui i singoli uomini (in generale, senza tener conto delle eccezioni) si determinano nel mondo. La medietà è già una pre-comprensione, un presupposto, un orizzonte preliminare aperto e disponibile. La pre-comprensione è ineliminabile, ma non è un limite, anzi è ciò che rende possibile la comprensione successiva. L'uomo è poter-essere. Esistenza è poter-essere. La natura dell'uomo è esistere. L'essenza dell'uomo è esistenza. Tradizionalmente quando si parla della natura di un ente, si intende l'insieme dei caratteri costitutivi che quell'ente possiede e senza dei quali non è quello che è. Ma dire che la natura dell'uomo è poter-essere è come dire che la sua natura è di non avere una natura o un'essenza. Il modo di essere dell'uomo è quello della possibilità e non della realtà, egli non è esistente nel senso della semplice-presenza, non è qualcosa di semplicemente dato: la sua specificità (ciò che lo distingue, in quanto uomo, dalle cose) è il fatto di rapportarsi a delle possibilità. Essenza per l'uomo va presa in senso etimologico, come ex-sistere, stare fuori, oltrepassare la realtà della semplice-presenza in direzione della possibilità. L'analisi dell'uomo non mira a identificare proprietà determinate, ma possibili maniere d'essere, che Heidegger chiama esistenziali (chiamati così per distinguerli dalle categorie, che sono modi d'essere nel senso di proprietà). Esistenziali La filosofia che studia i modi d'essere dell'esistenza si chiama “analitica esistenziale”. Quali sono le caratteristiche esistenziali dell'uomo? 1) l'uomo è esistenza, ovvero poter-essere 2) l'uomo è essere-nel-mondo. Dasein, esser-ci L'uomo è Dasein, esser-ci. L'uomo è situato (gettato), ma nello stesso tempo è poter-essere, oltrepassamento (trascende continuamente se stesso). Questo oltrepassamento è sempre oltrepassamento di qualcosa. L'uomo è progetto (ci si progetta a partire da una situazione data, che però si vuole superare, in ragione di una dimensione futura). Essere-nel-mondo L'uomo è essere-nel-mondo. Il mondo è costituito di cose e di altri uomini. Le cose (che incontriamo) prima di essere semplice-presenza (qualcosa di obiettivo), sono originariamente e innanzitutto per-noi, cioè sono strumenti, utilizzabili, hanno significato in rapporto a noi. L'uomo è nel mondo come ente progettante e come tale inserisce le cose nel suo progetto. Le cose non sono innanzitutto guardate in modo disinteressato, come se avessero significato indipendentemente da noi (come vorrebbe la scienza), ma noi le guardiamo in rapporto al nostro progetto. L'obiettività è qualcosa che si raggiunge mettendo da parte i pregiudizi, gli interessi, le preferenze, è un'operazione dell'uomo, fatta per scopi precisi: la connessione tecnico-scientifica. La semplice-presenza è un modo derivato dell'utilizzabilità (che è il modo originario d'essere delle cose). [Esempio: se mi interrogo sulla pioggia, posso rispondere ricorrendo a nozioni fisicometereologiche, pensando che questa rappresentazione sia quella che definisce il vero significato del fenomeno. Tuttavia il significato fisico della pioggia è solo una delle sue possibili rappresentazioni. Si tratta di un'operazione che è l'uomo stesso a compiere in vista di scopi pratici. Ma la pioggia può essere utilizzata anche per altri scopi, per esempio per rispecchiare uno stato emotivo. La pioggia, come tutte le cose, è innanzitutto uno strumento, che acquista significato in relazione ai nostri scopi, ai nostri progetti]. L'obiettività è uno dei possibili modi d'essere delle cose, che si manifesta in rapporto a una precisa operazione dell'uomo e a precisi scopi. Le cose sono anzitutto per-noi (e non in sé), sono strumenti-per. Lo strumento non è mai isolato, ma si dà all'interno di una totalità di mezzi (ogni strumento rinvia ad altri, come il martello al chiodo, al legno, ecc.). Gli strumenti esistono in quanto c'è qualcuno che può adoperarli (l'uomo, l'esserci), ma l'esserci a sua volta è essere-nel-mondo, non è concepibile senza gli strumenti-cose. Il mondo è un carattere esistenziale dell'esserci. Le cose hanno il carattere del rimando (anche se di per sé non lo manifestano, a parte il segno in cui invece la rimandatività è di per sé evidente; nel segno utilizzabilità e rimandatività coincidono, nel segno viene in luce ciò che è proprio di tutte le cose intramondane). La valenza delle cose (il loro valere per noi) non ci sono mai scoperte tutte attualmente nell'uso (gli strumenti hanno molteplici, forse infinite, possibilità di utilizzo). Il significato della cosa è più ampio dell'utilizzo attuale; l'utilizzo concreto non esaurisce l'utilizzabilità delle cose. Per l'esserci essere-nel-mondo significa essere intimo con una totalità di significati. Le cose gli si danno già fornite di una funzione, di un significato e si possono presentare come cose proprio in quanto si inseriscono in una totalità di significati di cui egli già dispone (ma questi significati non sono gli unici, se ne possono scoprire di altri, le cose possono assumere altri significati, in ragione dei progetti dell'esserci e dello sviluppo di tali progetti). L'esserci è comprensione C'è una struttura circolare della comprensione. Il mondo ci si dà solo in quanto abbiamo già un patrimonio di idee (anche pregiudizi), le quali ci guidano alla scoperta delle cose. È come nella lettura di un libro: il libro ci parla nella misura in cui chiediamo, cerchiamo, qualcosa (cfr. Platone: possiamo conoscere il vero quando lo incontriamo, perché in qualche modo, lo possediamo già). Ciò non significa che l'esserci possiede già una conoscenza completa e conchiusa del mondo. La comprensione originaria (pre-comprensione) è un progetto aperto a modifiche e sviluppi ed è, inizialmente, nella forma di un abbozzo che deve essere ulteriormente elaborato. La comprensione è progetto in quanto è un possedere la totalità dei significati che costituiscono il mondo prima di incontrare le singole cose; ma l'esserci può incontrare le cose solo inserendole in quanto suo poter-essere. L'esserci non è mai una tabula rasa su cui vengano a imprimersi le immagini e i concetti delle cose. Ma nemmeno si può pensare che l'esserci sia un soggetto fornito fin dall'inizio, per eredità biologica o culturale, di certe ipotesi da verificare o respingere in base all'incontro con le cose. Non bisogna uscire dalla pre-comprensione (pregiudizio) per comprendere le cose in sé, la pre-comprensione è ineliminabile e sempre superabile allo stesso tempo. Il superamento della pre-comprensione porta a una nuova pre-comprensione (più evoluta, ma mai definitiva). L'impossibilità di uscire dalla precomprensione non è qualcosa di negativo o limitante, ma viene a costituire la nostra stessa possibilità di incontrare il mondo. La conoscenza non è un andare del soggetto verso un oggetto semplicemente-presente o l'interiorizzazione di un oggetto originariamente separato da parte di un soggetto originariamente vuoto. La conoscenza è l'articolazione di una comprensione originaria in cui le cose ci sono già sempre scoperte. Questa articolazione si chiama interpretazione (Heidegger indica poi con il termine discorso l'ulteriore articolazione dell'interpretazione). Essa è elaborazione del costitutivo e originario rapporto con il mondo. L'idea della conoscenza come articolazione di una precomprensione originaria è la dottrina di quello che Heidegger chiama “circolo ermeneutico”. Esserci come tonalità affettiva Oltre a essere comprensione-interpretazione (e discorso come articolazione dell'interpretazione), l'esserci è “situazione affettiva”. L'esserci in quanto essere-nel-mondo non solo ha già sempre una comprensione di una totalità di significati, ma ha sempre anche una certa tonalità affettiva: le cose non solo sono già sempre fornite di un significato in senso teorico, ma anche di una valenza emotiva. L'affettività è piuttosto essa stessa una specie di pre-comprensione ancora più originaria della comprensione stessa. L'incontro delle cose sul piano della sensibilità è possibile solo sulla base del fatto che l'esserci è sempre originariamente in una situazione affettiva (apertura al mondo garantita dalla tonalità affettiva). L'essere-nel-mondo non è mai un soggetto puro, disinteressato, la comprensione è sempre legata a una tonalità emotiva determinata (il soggetto non è un soggetto puro, puramente razionale, come quello kantiano). L'esserci come essere-gettato La situazione affettiva rivela il fatto che il progetto che costituisce l'esserci è sempre un “progetto gettato”, cioè mette in luce la finitezza dell'esserci. Il mondo ci appare sempre alla luce di una certa disposizione emotiva: gioia, paura, disinteresse, noia.... La tonalità affettiva non dipende dall'esserci stesso. L'affettività è proprio quanto ciascuno di noi ha di più proprio (individuale, mutevole). L'esserci è un fatto, un determinato e qualificato esserci. L'esserci è finito in quanto, pur essendo quello che apre e fonda il mondo, è a propria volta gettato in questa apertura. Questa struttura gettata dell'esserci è l'effettività dell'esistenza. Effettività = esser-gettato (Geworfenheit). Al soggetto puro neokantiano si sostituisce un esserci concretamente de-finito, storicamente situato. Heidegger intende rivendicare la finitezza dell'esserci contro concezioni che vedono l'uomo come puro occhio sul mondo. Esistenza inautentica Nella quotidianità media a cui l'analitica esistenziale si attiene come suo punto di partenza, la preliminare comprensione del mondo che costituisce l'esserci si attua come partecipazione irriflessa e acritica a un certo mondo storico-sociale, ai suoi pregiudizi, alle sue propensioni e ai suoi rifiuti, al modo comune di vedere e giudicare le cose. L'esserci incontra il mondo già sempre alla luce di certe idee che ha respirato nell'ambiente sociale in cui si trova a vivere. L'esserci è nel mondo insieme ad altri esseri, è essere-con. L'esserci è presso il mondo, in una situazione di immedesimazione, che ha il carattere del “si” (man). L'esserci ha la tendenza a comprendere il mondo secondo l'opinione comune, a pensare quello che “si” pensa, a progettarsi in base all'anonimo “si” della mentalità pubblica. Nel mondo del “si” dominano la chiacchiera, la curiosità e l'equivoco (allargamento e ripetizione del già detto). Questa appartenenza al mondo del “si” non è qualcosa che si possa evitare con una scelta deliberata. In quanto sempre innanzitutto gettata nel mondo del “si”, l'esistenza è sempre originariamente inautentica. All'essere gettato è connessa la costitutiva deiezione (Verfallenheit) dell'esserci. L'esserci è sempre consegnato a questo stato interpretativo, alla mentalità del “si”. Esistenza autentica. Cura. Essere-per-la-morte Autentico (in tedesco Eigentlichkeit, da Eigen = proprio) è l'esserci che si appropria di sé, cioè che si progetta in base alla possibilità più sua. L'inautenticità del “si” consiste nel fatto che il suo non è mai un vero “progetto”; le cose di cui parla il “si” non sono incontrate nell'ambito di un progetto concreto, deciso e scelto davvero da qualcuno. Il progetto implica una scelta e una decisione progettante; solo in un progetto così concretamente voluto le cose sono davvero quelle che sono. Ciò implica assunzione di responsabilità da parte dell'esserci. L'esserci quindi è definito anche come cura (Sorge), cioè assunzione di responsabilità (non in senso morale, ma come progetto progettante, esserci che si impegna in un progetto). L'esserci non è sempre nel modo della possibilità; esso infatti muore, viene dunque un momento in cui quella struttura di aperta incompiutezza non è più. La morte non dà completezza all'esserci, semplicemente l'esserci quando muore non è più (il suo progetto non è concluso, semplicemente si interrompe nel punto in cui era arrivato). Il primo aspetto della morte che ci si impone è la sua insuperabilità. La morte è una possibilità a cui l'esserci non può sfuggire, ma rispetto a ogni altra possibilità è caratterizzata dal fatto che al di là di essa nulla è più possibile per l'esserci. Essa è la possibilità dell'impossibilità di ogni altra possibilità. La morte è la possibilità più propria dell'esserci, in quanto lo tocca nel suo stesso “ci”, nella sua stessa essenza di progetto, mentre ogni altra possibilità si colloca all'interno del progetto stesso, come suo modi di determinarsi. Da un lato, la morte è la possibilità più propria, cioè autentica dell'esserci; dall'altro, in quanto non è mai sperimentabile come “realtà” (almeno la mia morte), essa è autentica possibilità, cioè possibilità che rimane permanentemente tale, che non si realizza mai, almeno finché l'esserci c'è. Essa è dunque possibilità autentica e autentica possibilità. La morte, come possibilità dell'impossibilità di ogni possibilità, lungi dal chiudere l'esserci, lo apre alle sue possibilità nel modo più autentico. Ciò implica però che essa venga assunta dall'esserci in modo autentico, cioè sia esplicitamente riconosciuta da lui come la possibilità più propria. Tale assunzione della morte come possibilità autentica è l'anticipazione della morte; che non significa un “pensare alla morte” nel senso di tener presente che dovremo morire, ma piuttosto equivale all'assunzione di tutte le altre possibilità nella loro natura di pure possibilità. L'anticipazione della morte si identifica con il riconoscimento della non definitività di ognuna delle possibilità concrete che la vita ci presenta. L'esserci rimane continuamente aperto: nessuna possibilità è mai definitiva (rigida). Lo sviluppo è sempre aperto, in quanto l'esserci è un essere-per-la-morte (cioè è continuo sviluppo fino alla morte). L'anticipazione della morte rende concreta l'esistenza autentica. Nella quotidianità media, inautentica e deietta in cui l'esserci si presenta, come è possibile il passaggio all'esistenza autentica? L'esserci è esser-gettato, questa condizione l'esserci la vive come una colpa (senza aver commesso effettivamente alcun peccato). Ascoltare la voce della coscienza si può solo col rispondervi, uscendo dall'anonimità del “si” per decidersi “in proprio”. L'essere-gettato come essere colpevole è il passato dell'esserci.