L`Esistenzialismo: Heidegger (1889 – 1976) e Sartre (1905

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L’Esistenzialismo: Heidegger (1889 – 1976) e Sartre (1905-1980)
L’Esistenzialismo è un indirizzo del pensiero filosofico che si è espresso non solo nella filosofia, trovando ampio e
significativo spazio anche nella letteratura, nelle arti, nel cinema e nel costume. Esso insiste soprattutto sul valore
specifico dell’esistenza individuale umana, eternamente diveniente e proiettata verso l’incertezza del futuro,
soggetta a continue scelte responsabili, quindi precaria e tormentata.
L’Esistenzialismo si oppone all’idealismo hegeliano (il reale è razionale) e al razionalismo in genere, che invece
ritenevano di essere in grado di spiegare l’Essere e il divenire come entità logiche e positive, ed esprime i
sentimenti di crisi, di orrore e di continua insicurezza legati al periodo delle due guerre mondiali.
In alcuni rappresentanti ha un’accentuazione religiosa, in altri ha carattere umanistico e mondano. Suoi precursori
possono ritenersi Pascal e Kierkegaard, ma ha trovato soprattutto nel XX secolo ampio sviluppo e si è diffuso e
affermato principalmente tra la gli anni Venti e i Cinquanta.
Martin Heidegger è stato un fondamentale rappresentante dell’esistenzialismo, e il suo testo “Essere e tempo”
può essere considerato una pietra miliare di tale corrente di pensiero.
Altra figura importante è stato Karl Jaspers, che tra il 1946 e il 1962 ha riproposto alcuni temi di esistenzialismo a
sfondo religioso già affrontati da Kierkegaard.
Lo scopo dichiarato della filosofia di Heidegger è quello di costituire un’ontologia1 che giunga alla comprensione
completa dell’essere. L’uomo, che egli chiama Dasein ossia Esserci, è l’unico che può porsi tale problema e
svolgere un’indagine adeguata potendosi rapportare al mondo attraverso due modalità principali: l’emotività e la
comprensione. Per l’uomo esistere non è un fatto scontato, egli è coinvolto nel mondo, non ne è mai solo semplice
spettatore, pur essendo un gettato-dentro (ovvero si trova a vivere senza un suo atto di volontà).
Nonostante questa particolare condizione, l’esistenza dell’esserci è sempre possibilità. L’uomo è poter essere, non
è semplice-presenza, ma qualcosa che ex-siste, cioè esce da, emerge dall’ora per proiettarsi verso il futuro. Inoltre
non è esistenza isolata, ma è essere nel mondo, il quale è strumento per l’uomo, è utilizzabilità. Ogni cosa del
mondo è unità inscindibile con tutto il resto a cui rimanda (chiodo-martello-legno-casa-ecc.). Inoltre il mondo è fatto
di segni in quanto ogni cosa è un segno che rimanda ad altri segni. L’uomo è colui che interpreta il tutto in base
agli oggetti, ai segni e alla pre-comprensione e ai pre-giudizi (non chiari e distinti) che ha del mondo (si nasce
dentro un mondo precostituito; il soggetto dà senso alle cose, cioè lo comprende, inserendole in un orizzonte di
senso già prestabilito e di cui dispone).
Egli poi si prende cura delle cose, cioè ha un rapporto con il mondo che può essere autentico o no. L’esserci può
essere esistenza autentica, che è quella soggetta alla dittatura del si, alla chiacchiera, alla semplice curiosità, alla
massificazione, alla deiezione (ovvero alienazione nella banalità quotidiana). L’esistenza inautentica è quella
originaria perché l’uomo, nascendo dentro, non ha una vita soggettiva e personale, ma pubblica e anonima.
Questo lo rende tranquillo perché con la massificazione vive la vita di tutti, ma determina per alcuni anche profonda
infelicità. L’esistenza inautentica si prende cura delle cose nella loro semplice utilizzabilità quotidiana, si lascia
vivere.
Oppure l’esserci può essere esistenza autentica, che è colui che sente l’angoscia e con essa il senso della
temporalità, della morte, della finitezza. Aver consapevolezza della morte è però la possibilità più vera dell’esserci.
Solo l’anticipazione della morte e riconoscersi come essere per la morte porta alla vita autentica. Infatti l’uomo
autentico è scelta, decisione, progetto, quello inautentico è cosa tra le cose. L’esistenza autentica si prende cura
delle cose in un quadro di scopi e valori esistenziali, l’esistenza inautentica le usa soltanto. L’esistenza autentica è
sempre storica (temporale) perché si coglie nel suo divenire-divenuto, e ha il costante senso della sua finitezza e
relatività.
La temporalità è il senso dell’esserci in quanto egli si trova gettato dentro una dimensione temporale che è futuro,
come possibilità e progettualità, passato come angoscia e paura, presente come quotidianità anonima. H. dice,
contrariamente alla metafisica tradizionale (che egli critica profondamente perché da Platone in poi ha identificato
l’essere con l’oggettività, cioè con la semplice presenza degli enti), che l’uomo prima di essere un essere razionale
è un essere temporale. Tuttavia non riesce a sviluppare del tutto tale idea perché, afferma, gli mancano le parole.
A questo punto occorre parlare di svolta nel pensiero di H. che sposta la sua attenzione dall’esserci all’essere.
Infatti si rende conto che l’essere non può venire ricercato partendo dall’esserci, che è un gettato-dentro, che non
determina l’essere, ma vi si trova a vivere e a interpretarlo, vi partecipa. L’uomo, insomma, non è il fondamento del
creato, ma vi si trova a vivere a prescindere dalla sua volontà. Infatti per H. l’essere è l’orizzonte (illuminazione,
apertura, evento) che dà senso agli enti, ma è incoglibile perché per coglierlo occorrerebbero una nuova logica,
nuove parole e, quindi, una nuova metafisica, ovvero chiavi interpretative che l’esserci non possiede.
H. sviluppa poi un’interessante riflessione sulla Tecnica, come strumento per assoggettare la natura e metterla a
disposizione dell’uomo in base alla sua ragione strumentale. Per H. la tecnica è l’ultima figura della metafisica
occidentale in quanto è ciò che determina l’annichilimento finale e il nascondimento totale dell’essere, il suo oblio.
Nel mondo della tecnica moderna H. vede realizzata la morte di Dio annunciata da Nietzche perché con
l’evoluzione della tecnica ormai l’essere ha abbandonato il mondo.
1
Analisi filosofica che studia l’essere in quanto essere, al di fuori delle sue determinazioni particolari e fenomeniche.
L’oblio dell’essere, però, non è responsabilità dell’uomo, ma è un evento dell’essere stesso, una particolare
modalità del suo accadere storico, proprio perché non è l’uomo l’artefice dell’essere e delle aperture storiche in cui
si trova a vivere. Tuttavia l’avvento della tecnica ed il nichilismo che determina è il culmine del processo attraverso
cui l’essere è divenuto, per cui H. pensa che si sia alle soglie di una nuova epoca post-metafisica di rinascita e di
riporsi dell’essere, e anche post-filosofica e post-razionale, essendo proprio filosofia e ragione all’origine dell’oblio
dell’essere e dello smarrimento dell’uomo. Il nulla a cui porta la tecnica è un passaggio obbligato per rinascere,
perché è il nulla che riporta l’uomo all’essere. H. pensa che l’uomo possa ricogliere l’essere e risollevarsi dal
nichilismo in cui è caduto tramite la poesia, l’unico mezzo che può ritrovare l’essere nella sua interezza, al di là
della tecnica, della razionalità, della religione, e la natura come fisis, ovvero nella sua sacralità e totalità esaltata
dagli antichi (non dunque come strumento). L’uomo attraverso l’arte contribuisce a creare nuove aperture
sull’essere e sulla verità. L’artista è creatore, ma soprattutto occasione per l’accadere di una verità che lo
trascende. La verità, cioè, (l’essere) si realizza attraverso la sua persona. La poesia è l’arte somma perché H.
reputa linguaggio e parole come i mezzi fondamentali con cui ci apriamo all’essere. Infatti è con le parole che noi
precomprendiamo la dimensione in cui siamo gettati dentro. E’ tramite le parole e il linguaggio che diamo senso
alle cose e al mondo.
Il linguaggio per H. è la casa dell’essere, perché è col linguaggio che l’essere si apre all’esserci nella situazione
storica in cui costui si trova a vivere. L’esserci viene gettato dentro un mondo di parole già dette, di significati già
consolidati, che gli permettono di aprirsi all’essere stesso. Ovviamente non tutto il linguaggio è apertura all’essere:
c’è anzi soprattutto il linguaggio per la semplice comunicazione, che poi è quello della chiacchiera, della deiezione.
Solo col linguaggio poetico, cioè creativo, avviene l’automanifestazione dell’essere, si apre l’orizzonte in cui le cose
appaiono in una determinata epoca storica. La filosofia diventa quindi un pensare sul linguaggio, un processo
ermeneutico teso a disvelare la verità tramite l’analisi e la comprensione del linguaggio creativo e della poesia.
In H. l’ermeneutica assume una valenza ontologica e non solo conoscitiva: essa rappresenta l’automanifestazione
stessa dell’essere. L’essere per H. è in definitiva lo sfondo inesauribile di ogni significato e da cui proviene ogni
possibilità di senso e significazione. L’uomo ne è il custode ed il pastore, colui che in parte lo può ascoltare e dire,
anche se non potrà mai esplicitarlo completamente, svelarlo o ridurlo a semplice oggetto.
Egli, insomma, non potrà mai essere il padrone/interprete dell’essere.
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A cominciare dagli anni 1944 - 1945 è stato l'esistenzialismo di Jean Paul Sartre a riscuotere grande successo,
soprattutto in rapporto al marxismo, all’epoca molto in voga, da lui abbracciato e sostenuto.
Sartre esprime un esistenzialismo ateo e umanistico in quanto sostiene che la soluzione dei problemi dell’esistenza
non si può trovare all’esterno del mondo, cioè non è metafisica, ma solo al suo interno.
Egli afferma che l’uomo è coscienza, cioè esistenza e libertà, in quanto è oltrepassamento dei dati di fatto e della
presenza oggettiva delle cose che sono al suo esterno. L’io è coscienza non posta dalle cose, ma è presenza a se
stessa, è l’essere per sé, mentre ciò che le è esterno, gli oggetti al di là di lei (il mondo), sono l’essere in sé in
quanto posti (colti) dalla coscienza e inconsapevoli della loro esistenza.
La coscienza è libera perché è capace di trascendere le situazioni di fatto e di negare ogni limite apparente, cioè
può superare l’esistente tramite l’elaborazione di progetti. In tal senso si può affermare che essa è anche il nulla in
quanto ha il potere di nullificare (superare) la realtà oggettiva sulla base di un progetto sempre rinnovato e
proiettato verso il futuro. La coscienza è però anche vincolata dal mondo, perché è sempre coscienza di qualcosa
non potendo esistere se non situata in un mondo di cose e di persone.
Per S., quindi, l’uomo è libero. Anzi, è obbligato alla libertà perché è obbligato all’esistenza, non scegliendo
autonomamente di esistere. Esistendo, l’uomo deve fare continue scelte e progetti, ovvero è responsabile di
programmare la sua vita, che comunque avviene in una dimensione nichilistica e priva di valori: da qui la sua
angoscia, la sua frustrazione e la sua disperazione.
La libertà per S. porta inevitabilmente l’uomo al naufragio. Infatti la libertà è dolore e angoscia perché l’uomo non la
sceglie, ma vi è condannato essendo un gettato dentro al mondo. Egli, per progettare, è costretto a conferire
significati e valori alla vita, che invece in sé non ne ha, è sempre priva di senso.
L’uomo è la somma dei suoi atti e delle sue scelte, perché ormai Dio è morto, come ha dichiarato Nietzche, per cui
l’uomo non ha più valori forti e parametri morali a cui affidarsi. Da qui il senso del nulla che attanaglia l’uomo, e la
nausea per il vuoto esistenziale che domina tutti, perché per quanti progetti costruiamo, per quanti sogni abbiamo,
alla fine l’uomo si accorge che la vita, di cui siamo comunque sempre responsabili in prima persona, anche se
costretti da altri a fare qualcosa, non ha in sé alcun significato.
Tra gli uomini, poi, s’instaura uno strano rapporto dialettico: infatti gli altri uomini sono per me degli oggetti perché
estranei alla mia coscienza, così come io sono oggetto per loro. Gli uomini, insomma, entrano in rapporto
conflittuale tra loro perché ognuno è coscienza e libertà, quindi ognuno tende a nullificare, a rendere oggetto gli
altri. Lo sguardo dell’altro, che mi vede come oggetto, mi ferisce dunque, e mi fa sentire nudo, ma non mi ci posso
sottrarre, per cui mi vergogno e avverto malessere perché mi sento una cosa di chi mi guarda, mi sento
vulnerabile, anche se posso fare la stessa cosa pure io verso gli altri, perché posso posare il mio sguardo su di loro
rendendoli miei oggetti, nullificandoli.
L’inferno sono gli altri, afferma S., anche se gli altri sono sempre estremamente importanti per me perché posso
conoscermi, avere coscienza di me stesso, solo tramite gli altri e contro gli altri. Lo sguardo dell’altro, però, mi
rivela l’assoluta estraneità e alienazione che costituisce l’esistenza umana.
Nel dopo guerra S. è spinto dai problemi della ricostruzione a aderire al marxismo. Nel 1960 con l’opera Critica
della ragione dialettica mira ad operare una sintesi tra esistenzialismo e marxismo stesso. Analizza perciò
l’esistenza individuale in rapporto alle condizioni socioeconomiche, affermando che la storia nasce liberamente
dalle azioni e dalle responsabili scelte degli individui, che quindi possono opporsi alla società borghese, che tende
a serializzarli e a renderli oggetti numerabili, organizzandosi in modo tale da stabilire rapporti liberi tra loro per
trasformare le condizioni materiali di sfruttamento e di alienazione a cui sono soggetti per colpa della società
capitalistica.
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