Caratteri generali
Intorno alla metà del III secolo a.C., nel momento dell'espansione di Roma
nel meridione d'Italia, diventano sempre più strette le relazioni del mondo
romano con l'ellenismo, un fenomeno che si accentua nel secolo
successivo in seguito all'espansione in Grecia e in Oriente.
Per esigenze anche solo pratiche i Romani dovevano conoscere la lingua
greca e inoltre si diffondeva il desiderio di conoscere e di capire gli
splendidi prodotti dell'arte e del pensiero ellenici.
Cominciò ad affluire a Roma una massa crescente di Greci, arrivati come
prigionieri, o più spesso immigrati volontariamente in cerca di fortuna;
tra essi numerosi erano letterati e artisti, che a Roma divennero
scrivani, lettori, segretari privati, insegnanti. Il greco viene appreso dai
Romani ricchi fin dall'infanzia.
Le prime scuole pubbliche sorsero a Roma verso la metà del III secolo
a.C., erano aperte a tutti coloro che non si potevano permettere un insegnate
privato, ma potevano pagare il compenso dovuto all'insegnate della scuola
pubblica.
Il liberto Livio Andronico, originario di Taranto, città greca dell'Italia
Meridionale, fu considerato il primo "grammatico" cioè insegnate di
scuola superiore, studioso e professore di lingua e di letteratura.
Proprio Livio Andronico inaugurò ufficialmente la letteratura latina con
la messa in scena nel 240 a.C. di una fabula, cioè di un'opera teatrale
di autore greco volta in latino.
La letteratura di Roma nacque dunque all'insegna dell'imitazione di
quella greca.
Il processo di ellenizzazione della civiltà romana (che naturalmente coinvolse
anche la mentalità, i comportamenti, gli usi e i costumi) non avvenne senza
resistenze e conflitti. Se una parte del mondo romano, ben rappresentata
dal circolo filellenico degli Scipioni, si aprì con entusiasmo alla cultura
greca, i settori più tradizionalisti, di cui Catone il Censore può essere
considerato portavoce, videro nell'assimilazione del modello culturale
ellenico un fattore di corruzione morale e una minaccia per i valori su
cui si fondava la res publica romana.
Con l'espressione circolo scipionico si indica il gruppo di uomini politici e
di letterati, romani e greci, che si raccoglieva intorno a Scipione
Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Pidna. Molto
importante per gli sviluppi successivi della cultura romana è il fatto che lo
storico greco Polibio, venuto a Roma come ostaggio dopo Pidna e rimasto
nell'Urbe per diciassette anni, abbia frequentato assiduamente la casa di Emilio
Paolo e si sia legato di profonda amicizia con uno dei suoi figli, Publio Cornelio
Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia.
Per la prima volta nel circolo scipionico si realizza una sintesi
armoniosa tra le due opposte tendenze, conservatrice e innovatrice,
con la piena consapevolezza da parte dei Romani più qualificati
intellettualmente, della necessità di vivificare e di arricchire il loro
mondo spirituale con l'apporto, pur nel rispetto e nella salvaguardia
dei valori tradizionali, della cultura greca; e dall'incontro tra spirito
romano e filosofia ellenica sarebbe nato l'ideale dell'humanitas e il
senso nuovo di una missione morale e politica assegnata all'egemonia
di Roma.
Anche quello arcaico fu un periodo caratterizzato dal lotte interne ed
esterne.
Roma si scontra in modo particolare con Cartagine (seconda e terza
guerra punica), conquista tutto il bacino del Mediterraneo e fonda il
suo impero.
Numerose sono poi anche le lotte tra il partito democratico (nullatenenti,
ex combattenti) che chiede l'elargizione di terre e la frantumazione del
latifondo e il partito aristocratico (famiglie senatorie patrizie o plebee)
che vi si oppone. Tali lotte hanno inizio con i Gracchi (133-121 a.C.) e si
svolgono specialmente nell'ultimo secolo della repubblica.
I generi della letteratura latina delle origini
La nascita di una letteratura scritta in lingua latina e il suo progressivo sviluppo
si pongono in relazione di netta dipendenza dai generi codificati dalla
letteratura greca.
Sono presenti infatti nella letteratura latina delle origini, sul versante della
poesia, l'epica, la tragedia e la commedia, mentre sul versante della prosa
si affacciano l'oratoria e la storiografia.
L'epica, inaugurata dalla traduzione dell'Odissea di Omero da parte di
Livio Andronico, si sviluppa come epopea nazionale, in modi e con
caratteri propri e originali, pur in un quadro generale di riferimento all'epos
omerico ed ellenistico.
I generi teatrali invece rimangono più legati ai modelli greci:
evidentemente l'importazione a Roma delle delle forme teatrali indigene, fu
sentita come un progresso e fu accolta con vivo favore dal pubblico, per cui la
fedele imitazione dei modelli, lungi dall'essere considerata un limite e un
difetto, fu ritenuta dagli stessi autori un pregio di cui vantarsi.
Nessuno dei primi scrittori fu originario della città di Roma: Andronico,
Nevio ed Ennio provenivano dall'Italia meridionale; Plauto da Sarsina, antico
centro umbro, nell'attuale Romagna. Nessuno era di condizione sociale
elevata, alcuni di loro giunsero a Roma come schiavi.
Solo i generi della prosa, l'oratoria e la storiografia, essendo
direttamente collegati con la vita politica, anzi integrati in essa, furono
coltivati dagli stessi uomini politici.
L'attività poetica, invece, secondo la mentalità pratica e utilitaristica dei
Romani, poco confacente con la dignitas e la gravitas (autorevolezza) del
cittadino eminente, veniva lasciata a letterati di professione, sotto il
patrocinio e il controllo, diretto o indiretto, del potere politico ed economico.
Quanto al teatro esso fu gestito direttamente dallo Stato: spettava
infatti ai magistrati che organizzavano le feste, nel cui ambito si
svolgeva la rappresentazione di commedie e tragedie, la decisione se
un'opera dovesse o potesse essere messa in scena. Questo controllo,
questa sorta di censura preventiva da parte dell'autorità statale, è la ragione
principale per cui anche in Plauto, che pure utilizza le forme più svariate di
comicità, la satira politica è assente.
Tra i generi della prosa fiorenti in Grecia e importati a Roma manca quasi del
tutto, nell'età arcaica, la letteratura filosofica, rappresentata soltanto dal
trattatelo Evemero, opera di Ennio. La filosofia poteva trovare applicazioni
vantaggiose in campo morale e politico, poteva aiutare a risolvere problemi
concreti e fornire regole di comportamento utili per la vita individuale e
collettiva. Ma proprio questo ripugnava ai Romani tradizionalisti: cercare
modelli di comportamenti fuori dalla tradizione, mettere in discussione
gli schemi concettuali e i valori morali comunemente accettati,
trasmessi di padre in figlio e considerati perenni.
I provvedimenti di espulsione dei filosofi, furono la manifestazione "ufficiale"
di tale diffidenza verso la filosofia.