Marx 1. Vita e opere Il marxismo rappresenta una delle componenti intellettuali e politiche più importanti dell'età moderna. E Marx, oltre che essere stato «il filosofo del comunismo», è anche un «classico» della cultura, il cui pensiero riveste quindi una portata universale. Marx nasce a Treviri nel 1818 da una famiglia ebrea, la quale, benché convertitasi al protestantesimo per ragioni di opportunità politica, era di fatto su posizioni agnostiche. Per mezzo del padre, avvocato brillante e colto, Marx riceve un'educazione di stampo razionalistico e liberale. Nel 1835-1836 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza a Bonn e, successivamente, a Berlino. Entrato in contatto con il club dei giovani hegeliani, studia a fondo la filosofia di Hegel. Passato da Giurisprudenza a Filosofia, si laurea all'Università di Jena con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Abbandonati i progetti di carriera universitaria, in seguito alla politica sempre più reazionaria del governo prussiano, si dedica al giornalismo politico. Divenuto caporedattore della «Gazzetta renana», è costretto a trasferirsi a Parigi in seguito all'interdizione del giornale da parte del governo (1843). Nel frattempo si è sposato con Jenny von Westphalen, una giovane appartenente all'antica aristocrazia renana, che sarà la compagna preziosa della sua vita travagliata. Sempre nel 1843 termina la stesura della Critica della filosofia del diritto di Hegel, in cui comincia a misurarsi polemicamente con i problemi della filosofia politica moderna. Nel 1844 esce a Parigi, sotto la direzione di Ruge e di Marx, il primo ed unico numero degli Annali franco-tedeschi, sui quali appaiono due importanti saggi, che testimoniano l'esplicito passaggio di Marx al comunismo: La questione ebraica e Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione. A Parigi stringe con Engels un'amicizia che durerà tutta la vita e che gli sarà di conforto intellettuale, morale e materiale. Nel corso dell'anno, Marx, che ha cominciato ad approfondire gli studi economici, stende i Manoscritti economico-filosofici. Espulso dalla Francia, su insistenza del governo prussiano, si trasferisce a Bruxelles, dove in collaborazione con Engels scrive la Sacra famiglia, contro Bauer e seguaci. Intanto matura il distacco polemico dall'intera filosofia tedesca, che si concretizza nelle Tesi su Feuerbach, e, soprattutto, in L'ideologia tedesca (1845- 1840, scritta in collaborazione con Engels e rimasta inedita, in cui vengono poste le basi della concezione materialistica della storia. Nel 1847 si tiene a Londra il primo Congresso della 'Lega dei Comunisti» e Marx, che non può parteciparvi, viene rappresentato da Engels. In questo periodo pubblica la Miseria della filosofia, che rappresenta il polemico e totale distacco da Proudhon. Sempre nel 1847, Marx viene incaricato dalla Lega di elaborare un documento teoricoprogrammatico, che viene pubblicato a Londra in collaborazione con Engels, con il titolo di Manifesto del partito comunista (1848). Nel 1849 la vittoria della controrivoluzione tedesca provoca l'espulsione di Marx dalla Germania, che intanto, a Colonia, aveva fondato la «Nuova gazzetta renana». Rifugiatosi a Parigi, in seguito a difficoltà sorte con il governo francese, che vorrebbe concedergli asilo solo a patto del suo trasferimento a Morbihan, una zona paludosa della Bretagna, emigra a Londra. Nel 1850 scrive degli articoli sulla rivoluzione quarantottesca, che in seguito saranno ripubblicati da Engels con il titolo Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Dopo un tentativo di riorganizzazione della Lega, che si conclude però con il suo scioglimento, nel 1851 Marx si ritira dalla politica attiva ed inizia a lavorare al British Museum. Per lui e la sua ormai numerosa famiglia sono anni difficili, tormentati da problemi economici, cui Marx sopperisce in parte con i compensi tratti dalla collaborazione al «New York Tribune» e con i benevoli aiuti di Engels. La sua produzione scientifica è però feconda. Nel 1852 pubblica a New York una serie di articoli dal titolo Il diciotto brumaio di Luigi Buonaparte, dedicati al colpo di Stato francese dell'anno precedente. Sempre più «sprofondato» in studi economici, nel 1857-1859 stende i Lineamenti fondamentali della Critica dell'economia politica. Nel 1859 pubblica Per la Critica dell'economia politica. Nel 1864 viene fondata l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, nella quale Marx è figura dominante. Nel 1866 inizia il primo libro del Capitale, che viene pubblicato ad Amburgo nel 1867 (il 1 secondo ed il terzo volume, grazie al lavoro di Engels, che ne «decifrerà» i manoscritti, appariranno postumi nel 1885 e nel 1894). Nel 1870, a nome del Consiglio generale dell'Internazionale, scrive due Indirizzi sulla guerra franco-prussiana. Il terzo indirizzo, del 1871 e dal titolo La guerra civile in Francia, contiene le importanti osservazioni di Marx sulla Comune parigina. Nel 1875 scrive gli Appunti sul libro di Bakunin «Stato e anarchia» e la Critica del programma di Gotha (in occasione dell'unificazione dei socialisti tedeschi a Gotha, all'insegna di una strategia politica che a Marx sembrava poco rivoluzionaria). Nel 1881 muore Jenny, e a distanza di due anni, nel 1883, anche Marx la segue nella tomba, compianto da Engels e dal movimento operaio internazionale. Una delle tante corone di fiori, inviata da studenti moscoviti, reca l'emblematica scritta: «A colui che ha difeso i diritti dei lavoratori nella teoria e li ha fatti valere nella pratica». 2. Caratteristiche del marxismo Il primo contrassegno del pensiero di Marx è la sua irriducibilità alla dimensione puramente filosofica, sociologica o economica ed il suo porsi come analisi globale della società e della storia, in grado di investire l'intero assetto strutturale e sovrastrutturale del capitalismo, ossia il mondo borghese nella molteplicità delle sue espressioni. Infatti «il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare appositamente per esso... un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti gli altri. "Economia", "filosofia", "storia", "teoria del diritto e dello Stato", nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro». Di conseguenza, il pensiero di Marx appare pervaso da una «energia totalistica» che investe i diversi settori dello scibile, facendo sì che per esso appaia decisiva quella che Lukàcs ha chiamato appunto «la considerazione dialettica della totalità», ossia la tendenza ad indagare il fatto sociale non a compartimenti-stagni, ma nell'unità organica delle sue manifestazioni. Un secondo contrassegno del marxismo è il suo legame con la prassi, ovvero la tendenza a fornire un' interpretazione dell'uomo e del suo mondo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria. Nel discorso pronunciato sulla tomba dell'amico, Engels afferma che «lo scienziato non era neppure la meta di Marx... Perché Marx era prima di tutto un rivoluzionario». E infatti, nonostante la sua spiccata predisposizione per il pensiero e la scienza, Marx ha perseguito per tutta la sua vita l'ideale dell'unione fra teoria e prassi. Questa predisposizione appare evidente sin dalla tesi di laurea sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro (1841). In essa Marx esalta Epicuro come «il più grande illuminista greco», sottolineando il suo tentativo di liberare l'uomo dalla servitù degli dèi e preferendolo a Democrito, per aver giustificato, al di là della necessità meccanica, l'azione dell'uomo. Nello stesso tempo egli paragona le filosofie post-aristoteliche a quelle post-hegeliane, impegnate entrambe, dopo il trionfo dei grandi sistemi, a portare la filosofia nella realtà. Da ciò il giovanile «programma prometeico» di Marx: come l'eroe greco ha trasportato il fuoco sulla terra, così il filosofo post-hegeliano deve condurre il sapere acquisito nella città degli uomini, favorendo in tal maniera il «divenire mondo» della filosofia e il «divenire filosofia» del mondo. Siamo qui ad un punto-chiave del marxismo, che sta alla base della scelta rivoluzionaria che lo contraddistingue: l'ideale di tradurre in atto quell'incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato e che Marx si propone invece di attuare con la prassi, mediante l'edificazione di una nuova società. Come scrive Engels, le influenze culturali che stanno alla base del marxismo sono essenzialmente tre: la filosofia classica tedesca da Hegel a Feuerbach; l'economia politica borghese da Smith a Ricardo; il pensiero socialista da Saint-Simon ad Owen. Come vedremo, queste tre esperienze intellettuali, che fungono da coordinate teoriche della genesi del marxismo, vengono ripensate da Marx alla luce di una sintesi creativa che, pur muovendo da esse, procede criticamente oltre i loro risultati, mettendo capo ad una nuova visione del mondo. 2 3. La critica al «misticismo logico» di Hegel Il rapporto Hegel-Marx risulta assai complesso e oggetto di divergenti interpretazioni critiche, poiché mentre alcuni studiosi (ad esempio Lukàcs) hanno sottolineato soprattutto le relazioni di continuità fra i due pensatori, altri (ad esempio Althusser), hanno insistito soprattutto sui nessi di rottura. Al di là della diatriba critica, è innegabile che l'hegelismo abbia esercitato su Marx, per affinità o per opposizione, un notevole influsso, che gli studiosi attuali tendono a precisare sempre meglio. In un epigramma giovanile dedicato a Hegel, Marx scrive: «sono tronfio come un dio, mi ammanto nelle tenebre come lui. A lungo ricercai e mi affaticai sul mare agitato del pensiero ed ecco trovai il Verbo, cui mi tengo solidamente aggrappato» (Scritti politici giovanili, p. 489). L'enfasi romantico-adolescenziale di queste parole non costituisce una ragione per sottovalutarle. Infatti, come vedremo, anche quando Marx si allontanerà maggiormente da Hegel, qualcosa del «verbo» dell'antico maestro resterà sempre. Anzi, nel marxismo, un certo «sfondo hegeliano» generale non verrà mai meno. Per cui «Il pensiero di Marx deve essere compreso a partire da quello di Hegel. Senza comprensione filosofica — e non soltanto storica o sistematica — della filosofia di Hegel non vi è profonda comprensione di Marx e del marxismo». Il primo testo in cui Marx si misura con il maestro è la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1843). Poco conosciuta per lungo tempo, oggi è stata completamente rivalutata dagli studiosi, finalmente d'accordo con Marx stesso nel ritenerla un documento-chiave della formazione del suo pensiero. Lo scritto è filosofico-politico al tempo stesso, anche se, per ragioni di funzionalità espositiva, possiamo distinguere, in esso, un momento più propriamente filosofico-metodologico, che trattiamo ora, ed un momento più specificamente storico-politico, che analizzeremo nel prossimo paragrafo. Il primo momento colpisce al cuore il metodo di Hegel, cioè il suo modo stesso di filosofare. Secondo Marx lo «stratagemma» di Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie dello Spirito. Questo significa che invece di limitarsi a constatare, ad esempio, che in certi ordinamenti storici esiste la monarchia, Hegel afferma che lo Stato presuppone per forza una sovranità, la quale si incarna necessariamente nel monarca, che è la sovranità statale personificata. Inoltre, poiché ciò che è necessario, per Hegel, è anche razionale, egli deduce la piena «logicità» della monarchia, identificandola con la razionalità politica in atto. Marx definisce questo procedimento «misticismo logico», poiché in virtù di esso le istituzioni, anziché comparire per ciò che di fatto sono, finiscono per essere «allegorie» o personificazioni di una realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di essi. Esaminando il «mistero» di questa «costruzione speculativa», Marx, sulla scia di Feuerbach, arriva alla conclusione che essa è il risultato del capovolgimento idealistico fra soggetto e predicato, concreto ed astratto. Un esempio che illustra in modo semplice e scherzoso questo aspetto chiave della critica marxista lo troviamo nella Sacra famiglia. Mentre l'uomo comune ed il filosofo realista pensano che prima esistano le mele, le pere, le fragole e le mandorle reali e poi il concetto «di frutto», il pensatore idealista ritiene che prima esista «il frutto» e poi, in seguito, a titolo di sue manifestazioni necessarie e derivate, la mela, la pera ecc. Ovviamente, in tal modo, l'idealista «stravolge» l'ordine delle cose, poiché egli, anziché considerare come soggetto ciò che nella realtà è soggetto (la mela, la pera...) e anziché considerare come predicato, o manifestazione derivata, ciò che nella realtà è predicato (la nozione astratta «il frutto»), trasforma il predicato in soggetto e viceversa, affermando appunto che prima esiste «il frutto», che poi si specifica nelle frutta (mele, pere ecc.). L'idealismo fa dunque del concreto la manifestazione dell'astratto, e di ciò che vien prima la manifestazione di ciò che viene dopo. Ecco in che senso Hegel, dopo essersi costruito il concetto astratto di Spirito partendo dalla realtà, finisce per fare della realtà la manifestazione dello Spirito. Al metodo «mistico» di Hegel, Marx, ispirandosi alle feuerbachiane Tesi provvisorie per una riforma della filosofia (1842), oppone polemicamente il metodo trasformativo, che consiste nel ri-capovolgere ciò che l'idealismo ha capovolto, ossia nel riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e veramente predicato. Oltre che essere fallace sul piano filosofico, il metodo «mistico» di Hegel è anche conservatore sul piano politico, poiché porta a «canonizzare» o a «santificare» la realtà esistente, ossia a «razionalizzare» i dati di 3 fatto, trasformandoli in manifestazioni razionali e necessarie dello Spirito. Per cui l'esito del giustificazionismo speculativo di Hegel (secondo il quale ciò che è reale è razionale) è un giustificazionismo politico, che, facendo la corte ai fatti (Marx parla di «crasso positivismo»), conduce all'accettazione delle istituzioni statali vigenti, puntellando ideologicamente la reazione. La «demistificazione» dell'hegelismo non toglie che Marx riconosca ad esso dei meriti notevoli, che si assommano nella sua visuale «dialettica», ossia nella concezione generale della realtà come totalità storico-processuale, costituita di elementi concatenati fra di loro e mossa dalle opposizioni. Marx, per ora, sottolinea soprattutto questo ultimo aspetto, riconoscendo ad Hegel il merito di «cominciare ovunque con l'opposizione delle determinazioni», anche se gli muove l'appunto di aver giocato troppo sulle opposizioni «concettuali», anziché su quelle «reali» e di aver cercato una troppo facile mediazione e sintesi fra gli opposti, dimenticando che nella realtà gli opposti stanno invece come «due armate nemiche», fra cui non c'è sintesi, ma solo lotta od esclusione (schema che in seguito Marx applicherà al rapporto proletariato-borghesia). Nei prossimi paragrafi vedremo gli sviluppi di questo confronto con la «dialettica». 4. La critica della civiltà moderna e del liberalismo: emancipazione «politica» e «umana» Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al comunismo, esplicitata nel 1844, vi è una critica globale della civiltà moderna e dello Stato liberale, che rappresenta uno dei nuclei teorici più importanti del marxismo. Il punto di partenza del discorso di Marx — iniziato nella Critica e sviluppato in modo rigoroso negli Annali franco-tedeschi del '44 — è la convinzione, mutuata da Hegel, che la categoria del moderno si identifichi con quella della «scissione», che prende corpo, innanzitutto, nella frattura fra società civile e Stato. Mentre nella polis greca l'individuo si trovava in un'«unità sostanziale» con la comunità di cui faceva parte, e non conosceva antitesi fra ego pubblico ed ego privato, fra sfera individuale e sfera sociale, fra società e Stato, nel mondo moderno l'uomo è costretto a vivere come due vite: una «in terra» come «borghese, cioè nell'ambito dell'egoismo e degli interessi particolari della società civile, e l'altra «in cielo» come «cittadino», ovvero nella sfera superiore dello Stato e dell'interesse comune. Tuttavia il «cielo» dello Stato, secondo Marx, è puramente illusorio, poiché la sua pretesa di porsi come organo che persegue l'interesse comune, ossia come universale che media gli interessi particolari della società, è verificabilmente falsa. Infatti, anziché essere lo Stato che imbriglia la società civile, «innalzandola» al bene comune, è piuttosto la società civile che imbriglia lo Stato, «abbassandolo» a semplice strumento degli interessi particolari delle classi più forti. In altre parole, lo Stato, ben lontano dal perseguire mete generali, non fa che riflettere e sanzionare gli interessi particolari dei gruppi e delle classi. Tant'è vero che la stessa proclamazione dell'uguaglianza «formale» dei cittadini di fronte alla legge, che è la grande conquista della Rivoluzione francese, non fa che presupporre e ratificare la loro disuguaglianza «sostanziale». In sintesi, la civiltà moderna rappresenta, al tempo stesso, la società dell'egoismo e delle particolarità «reali e della fratellanza e delle universalità ‹,illusorie». Di conseguenza, commenta ironicamente Marx, come i cristiani, pur essendo tutti diseguali in terra, si consolano di essere tutti eguali in cielo, così gli individui dell'epoca borghese, pur essendo tutti diseguali nella società civile, si consolano di essere tutti eguali di fronte allo Stato, il quale, nel capitalismo, non può che assumere le sembianze di una evanescente democrazia «cristiana». Secondo Marx la falsa universalità dello Stato deriva dunque dal tipo di società che si è formata nel mondo moderno. Rifacendosi ancora una volta ad Hegel, che aveva descritto il sistema borghese come la società del bellum omnium contra omnes, Marx scorge i tratti essenziali della civiltà moderna nell'«individualismo» e nell'«atomismo», ossia nella «separazione» del singolo dal tessuto comunitario. E siccome lo Stato post-rivoluzionario legalizza questa situazione, riconoscendo, quali «diritti dell'uomo», la libertà individuale (che nella Costituzione del '93 viene intesa come l'esercizio di tutto ciò che non nuoce ad altri) e la proprietà privata (che nella Costituzione del '93 si identifica con il diritto di godere arbitrariamente dei propri beni), esso non è altro che la proiezione politica di una società strutturalmente a-sociale o contro-sociale. Questa critica filosofico-politica allo Stato è così radicale, in Marx, da far sì che 4 egli rifiuti in blocco la civiltà liberale, comprese quelle che vengono comunemente ritenute le due conquiste più preziose della rivoluzione anti-feudale ed anti-assolutistica: il principio della «rappresentanza» (che presuppone già, per definizione, la «scissione» fra individuo e Stato) e quello della libertà individuale (espressione, come si è visto, dell'«atomismo» borghese). Queste critiche allo Stato moderno, che scavano un abisso fra marxismo ortodosso e liberalismo, si comprendono adeguatamente solo in rapporto all' ideale di società che Marx ha in mente, che si identifica con un modello di democrazia sostanziale o totale, in cui esiste una sorta di compenetrazione perfetta fra singolo e genere, individuo e comunità, e nella quale «ciascuno è realmente solo un momento dell'intero demo», che rappresenta, insieme agli altri, se stesso e la società. Mentre Hegel pensava che tale società organica, simile alla polis greca, si potesse ottenere con una serie di strumenti politici quali la corporazione, la burocrazia e lo Stato, Marx, denunciando tutto ciò come «mistificazione» (come si può pensare, ad esempio, che la burocrazia, essendo espressione dei particolarismi della società civile, persegua veramente fini universali?), ritiene che l'unico modo per realizzare tale modello di comunità solidale sia l'eliminazione delle diseguaglianze reali fra gli uomini, ed in particolare del principio stesso di ogni diseguaglianza: la proprietà privata. Ma come tradurre concretamente in atto questa «vera» democrazia, che coincide con il comunismo stesso? Mentre nella Critica del 1843 lo strumento cui ricorre Marx è il «suffragio universale», negli Annali franco-tedeschi e nei Manoscritti economico filosofici del 1844, l'arma cui egli fa appello è la rivoluzione sociale, di cui Marx ha ormai individuato anche il soggetto esecutore: il proletariato. Infatti per il giovane Marx è proprio la classe priva di proprietà, ovvero la classe che soffre maggiormente dell'«alienazione» prodotta dalla società borghese (v. par. 5), quella destinata ad eseguire la condanna storica della civiltà proprietaria ed egoistica, e a realizzare la democrazia comunista. Di conseguenza, all'ideale dell'emancipazione politica, che mira alla democrazia e all'uguaglianza formale, Marx contrappone l'ideale di una emancipazione umana che mira alla democrazia e all'uguaglianza sostanziale, ovvero al recupero autentico dell'«essenza sociale dell'uomo» (das Kommunistische Wesen des Menschen). 5. La critica dell'economia borghese e la problematica dell'«alienazione» I Manoscritti economico-filosofici, composti a Parigi nel 1844, segnano il primo decisivo approccio di Marx all'economia politica e rappresentano l'applicazione, in sede economica, degli schemi critico-dialettici applicati precedentemente al campo politico. Nei confronti dell'economia «borghese» l'atteggiamento di Marx è duplice, poiché da un lato egli la considera come un'espressione teorica della società capitalistica, e quindi come una valida «anatomia» di essa, e dall'altro le muove l'accusa di fornire un'immagine globalmente mistificata, cioè falsa, del mondo borghese. Ciò è dovuto principalmente, secondo Marx, alla sua incapacità di pensare in modo «dialettico». Infatti, anziché collocarsi in una prospettiva storicoprocessuale, essa «eternizza» il sistema capitalistico, considerandolo non come un sistema economico fra i tanti della storia, ma come il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e di distribuire la ricchezza. Tant'è vero che la stessa proprietà privata appare come un «fatto» da cui muovere, cioè come un dato metastorico che funge da postulato di ogni ricerca di economia «scientifica». Inoltre l'economia politica non scorge la struttura contraddittoria del proprio oggetto, ossia la conflittualità che caratterizza il sistema capitalistico e che si incarna soprattutto nell' opposizione reale fra capitale e lavoro salariato, fra borghesia e proletariato. Nei Manoscritti tale contraddizione viene espressa mediante il concetto di «alienazione». Questo concetto affonda le sue radici nella filosofia tedesca precedente. Per Hegel l'alienazione è il movimento stesso dello Spirito, che si fa altro da sé, nella natura e nell'oggetto, per potersi riappropriare di sé in modo arricchito. Come tale l'alienazione riveste, in Hegel, un significato negativo e positivo al tempo stesso. In Feuerbach l'alienazione è qualcosa di puramente negativo, poiché si identifica con la situazione dell'uomo religioso, che, «scindendosi», si sottomette ad una potenza estranea (Dio) che lui stesso ha posto, «estraniandosi» in tal modo dalla propria realtà. Marx si rifà soprattutto a Feuerbach, da cui accetta la struttura formale del meccanismo dell'alienazione, intesa appunto come una condizione patologica di «scissione», di «dipendenza» e di «autoestraniazione». Tuttavia, a differenza di Feuerbach, per il quale 5 l'alienazione è ancora un fatto prevalentemente coscienziale, derivante da un'errata interpretazione di sé, in Marx essa diviene un fatto reale, di natura socio-economica, in quanto si identifica con la condizione storica del salariato nell'ambito della società capitalistica. L'alienazione dell'operaio viene descritta da Marx sotto quattro aspetti fondamentali, strettamente connessi fra di loro: a) Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, in quanto egli, in virtù della sua forzalavoro, produce un oggetto (il capitale), che non gli appartiene e che si costituisce come una potenza dominatrice nei suoi confronti. b) Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività, la quale prende la forma di un «lavoro forzato» o «costrittivo», in cui egli è strumento di fini estranei (il profitto del capitalista), con la grave conseguenza che l'uomo si sente «bestia» quando dovrebbe sentirsi veramente «uomo», cioè nel lavoro sociale, e si sente uomo quando fa la bestia, cioè si «stordisce» nel mangiare, nel bere e nel procreare. Infatti sebbene queste ultime, puntualizza Marx, siano «anche funzioni schiettamente umane», esse, in quell'astrazione che le separa dalla restante cerchia dell'attività umana e le fa diventare scopi ultimi e unici, sono funzioni animali. c) Il lavoratore è alienato rispetto al suo stesso Wesen, ossia alla sua «essenza» o «genere». Infatti la prerogativa dell'uomo nei confronti dell'animale è il lavoro libero, creativo e universale (in quanto egli «sa produrre secondo la misura di ogni specie»), mentre nella società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato, ripetitivo e unilaterale. d) Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo, perché «l'altro», per lui, è soprattutto il capitalista, ossia un individuo che lo tratta come un mezzo e lo espropria del frutto della sua fatica, facendo sì che il suo rapporto con lui, e con l'umanità in genere, sia per forza conflittuale. La causa del meccanismo globale dell'alienazione, la quale fa sì che l'operaio sia ridotto a strumento per produrre una ricchezza che non gli appartiene e che si erge di fronte a lui come potenza estranea, risiede dunque nella proprietà privata dei mezzi di produzione, in virtù della quale il possessore della fabbrica (= il capitalista) può utilizzare il lavoro di una certa categoria di individui (= i salariati) per accrescere la propria ricchezza, secondo una dinamica che Marx, nel Capitale, descriverà in termini di «sfruttamento» e «logica del profitto». La dis-alienazione dell'uomo si identifica dunque, secondo Marx, con il superamento del regime della proprietà privata e con l'avvento del comunismo. Di conseguenza, per il Marx dei Manoscritti, la storia si configura come il luogo della perdita e della riconquista, da parte dell'uomo, della propria essenza e il comunismo diviene «la soluzione dell'enigma della storia». Questa dialettizzazione del corso storico rivela un evidente influsso della hegeliana Fenomenologia dello Spirito. Infatti, come per Hegel la coscienza, dopo essersi «perduta» in tante figure, «ritrova» finalmente se stessa nell'eticità e nello spirito assoluto, così, per Marx, l'uomo, dopo aver smarrito se stesso nella civiltà di classe, ritrova finalmente se medesimo nella società assoluta del comunismo. Ancora una volta, il rapporto Marx-Hegel, nelle analogie e nelle diversità, si rivela decisivo. Infatti nel capitolo finale dei Manoscritti Marx fa ancora una volta i conti col vecchio maestro. Egli riconosce ad Hegel una serie di meriti: 1) per aver concepito l'uomo in un'ottica storica e come risultato della 6 propria attività, ossia come «processo di autogenerazione»; 2) per aver sottolineato in tale processo auto-formativo l'importanza del lavoro; 3) per aver inteso tale processo in termini di alienazione e soppressione dell'alienazione; 4) per aver evidenziato «la dialettica della negatività come principio motore e generatore», ossia per aver intuito che la liberazione scaturisce dialetticamente dall'oppressione, in quanto l'unico modo di realizzarsi, per l'uomo, consiste nel negare le condizioni che negano il proprio essere. Tuttavia, sebbene Hegel, in tal modo, abbia colto «l'espressione astratta, logica, speculativa per il movimento della storia», i suoi limiti consistono sostanzialmente: 1) nell'aver ridotto l'individuo ad «autocoscienza» o «spirito», mettendo quindi, al posto dell'uomo reale, l'essenza astratta di esso; 2) nell'aver considerato soprattutto il lavoro spirituale e «speculativo», quale si incarna nella figura del filosofo; 3) nell'aver inteso l'alienazione e la disalienazione come delle operazioni ideali, che si consumano a livello coscienziale e filosofico e non sul piano pratica, 4) nell'aver identificato l'alienazione con l'oggettivazione del soggetto, non rendendosi conto che ciò che aliena l'individuo non è l'oggettivazione in quanto tale, attuata tramite il lavoro, ma quell'oggettivazione negativa e disumanizzante che è propria del lavoro operaio nella società capitalistica. In sintesi, Hegel non ha fotografato la storia vera ed il suo processo concreto di alienazione e disalienazione, poiché si è limitato a descrivere una storia ideale ed astratta, che si svolge tutta nel cerchio del puro pensiero e che non presuppone degli interventi pratici sul mondo. Di conseguenza, la teoria di Hegel non ha niente a che fare coll'alienazione e la disalienazione effettiva, essendo piuttosto lo specchio mistificato di essa. Ma se l'alienazione economica è un fatto reale, che sta alla base di tutte le altre alienazioni, soprattutto di quella politica e di quella religiosa, l'unico modo per abbatterla, secondo Marx, è l'atto reale, e non puramente pensato, della rivoluzione e dell'instaurazione del socialismo, inteso come umanismo giunto al proprio compimento». 6. Il distacco da Feuerbach e l'interpretazione della religione in chiave «sociale» Analogamente ad Hegel, anche Feuerbach ha giocato, nel pensiero del giovane Marx, un ruolo di primo piano. Infatti nei Manoscritti del 1844 Marx afferma che Feuerbach «è il solo che si trovi in un rapporto serio, in un rapporto critico, con la dialettica hegeliana, ed abbia fatto in questo campo delle autentiche scoperte». Tant'è vero che egli appare a Marx «il vero superatore della vecchia filosofia». Tuttavia, nelle Tesi su Feuerbach (1845) e nella successiva Ideologia tedesca (1846), il rapporto con il maestro di un tempo appare definitivamente consumato. Vediamo schematicamente i vari momenti concettuali di tale processo. La principale «rivoluzione teoretica» di Feuerbach consiste, agli occhi di Marx, nella rivendicazione della naturalità e concretezza degli «individui umani viventi» e nel rifiuto dell'idealismo teologizzante di Hegel, che ha ridotto l'uomo ad autocoscienza e a manifestazione di un soggetto spirituale infinito. In particolare, Feuerbach ha avuto il merito di teorizzare il «rovesciamento materialistico» di soggetto-predicato, concreto-astratto, che ha permesso la «demistificazione» della dialettica hegeliana. Pur avendo sottolineato la naturalità dell'uomo (e questo è il passo in avanti rispetto ad Hegel), Feuerbach (e questo è il passo indietro rispetto a lui) ha perso di vista la sua storicità, non rendendosi debitamente conto che l'uomo, più che natura è società, e quindi storia, in quanto «l'essere umano non è un'astrazione immanente all'individuo singolo» bensì «l'insieme dei rapporti sociali» (VI tesi). Rompendo con Feuerbach e con l'antropologia filosofica tradizionale, che parlava dell'uomo come di un'essenza atemporale fornita di certe proprietà immutabili, Marx sostiene che l'individuo è reso tale dalla società storica in cui egli vive, per cui non esiste l'«Uomo» in astratto, ma l'uomo figlio e prodotto di una determinata società e di uno specifico mondo storico. In tal modo, Marx corregge Hegel con Feuerbach e Feuerbach con Hegel, poiché, contro l'uno, può difendere la naturalità vivente dell'uomo, e, contro l'altro, la sua costitutiva socialità e storicità. Nello stesso tempo, egli può sostenere che ogni discorso sull'uomo si risolve inevitabilmente in un discorso sulla società e sulla storia, preparando così il passaggio dalla problematica antropologica all'indagine storica e socioeconomica, secondo un processo che Althusser ha descritto come transizione dalla filosofia alla scienza. 7 Un secondo punto che unisce e divide Marx da Feuerbach è l'interpretazione della religione. Pur avendo «scoperto» il meccanismo generale dell'alienazione religiosa - per cui non è Dio a creare l'uomo, ma l'uomo a «proiettare» Dio sulla base dei propri bisogni - Feuerbach, in virtù della sua concezione prevalentemente «naturalistica» dell'uomo, non è stato in grado, secondo Marx, di cogliere le cause reali del fenomeno religioso, né di offrire dei validi mezzi per il suo superamento. Infatti all'autore dell'Essenza del Cristianesimo è sfuggito che chi produce la religione non è un soggetto astratto, avulso dalla storia ed immutabilmente uguale a se stesso, ma un individuo che è «un prodotto sociale» (VII tesi). Ma se «l'uomo non è altro che il mondo dell'uomo, lo Stato la società», risulta ovvio, per Marx, che le radici del fenomeno religioso non vanno cercate nell'uomo in quanto tale, ma in un tipo storico di società. Infatti, sin dagli Annali franco-tedeschi, Marx è andato elaborando la sua nota teoria della religione come Opium des Volks (= oppio dei popoli). Secondo questa dottrina, la religione, in sostanza, è un «sospiro della creatura oppressa», ossia il prodotto di un'umanità alienata e sofferente per causa delle ingiustizie sociali, che cerca illusoriamente nell'aldilà ciò che le è negato di fatto nell'aldiqua. Ma se la religione, in quanto narcotico delle masse, è il sintomo di una condizione umana e sociale alienata, l'unico modo per eliminarla non è la critica filosofica (come pensava ancora Feuerbach, nella sua astrattezza di intellettuale), ma la trasformazione rivoluzionaria della società. In altri termini, se la religione è il frutto malato di una società malata, l'unico modo per sradicarla è quello di distruggere le strutture sociali che la producono. La disalienazione religiosa ha dunque, come suo presupposto, la disalienazione economica, ossia l'abbattimento della società di classe. Secondo Marx, un altro limite di fondo del pensiero di Feuerbach, che lo accomuna alla tradizione, risiede nel tendenziale contemplativismo e teoreticismo. Infatti egli, a giudizio di Marx, ha ignorato l'aspetto attivo e pratico della natura umana e ha cercato la soluzione dei problemi reali nella dimensione della teoria, trascurando completamente l'aspetto della praxis rivoluzionaria. Di conseguenza, al vecchio materialismo speculativo e contemplante, di cui Feuerbach è l'ultima incarnazione, Marx oppone un nuovo materialismo, che considera l'uomo soprattutto come prassi, ritenendo che la soluzione dei problemi non sia da ricercarsi nella speculazione, ma nell'azione: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo» (XI tesi). 8