LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER

annuncio pubblicitario
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
I – NIETZSCHE E SCHELER
[Titolo originale:"Nietzsche i Scheler", in Revista de
Psicología i Pedagogía, 3 (1935). È la trascrizione di un
redattore della rivista, in lingua catalana, di una conferenza
tenuta da Landsberg in tedesco a Barcellona nel gennaio
1935. Come si noterà, il lavoro resta incompiuto e costituisce
come un abbozzo d’introduzione ad un’opera organica su
Nietzsche e Scheler mai portata a termine, della quale ci sono
rimasti alcuni frammenti, come gli altri scritti pubblicati in
questa sezione.].
Definizione di filosofia e osservazione sul suo stato attuale
L’intenzione di questo saggio è comprendere meglio, insieme,
due figure importanti della filosofia tedesca d’oggi: Nietzsche e
Scheler. A voi risulterà un po’ strano che dica “d’oggi”, ricordando che uno dei due muore come filosofo nel 1889 e fisicamente
nel 1900, e l’altro muore nel 1928. L’ho detto, in effetti, in un
senso particolare. “L’oggi” nella storia della filosofia può durare
per un lungo tempo. L’unità della situazione filosofica di un’epoca è ciò che costituisce questo “oggi” e, come vedremo, la situazione filosofica di questi due pensatori è ancora la nostra.
L’intenzione finale della nostra ricerca è anche di rischiarare questa situazione filosofica, che è la situazione storica dell’uomo in
un momento dato, scoperta nel suo senso per la persona umana.
278
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
Nietzsche, estraneo alla sua epoca, anticipa la nostra che ha potuto perfino arrivare a comprendere. Allo stesso modo Scheler,
come vedremo, è il filosofo dell’esperienza che abbiamo vissuto
e che tutti viviamo; è il filosofo del dopoguerra mondiale, considerando che nel corso del tempo le origini della sua filosofia precedettero gli avvenimenti storici che hanno sconvolto il mondo.
Ciò che si manifesta nella storia pubblica preesiste segretamente
nello spirito e nell’anima degli uomini, e il filosofo può rendersene conto prima che si siano rese palesi le conseguenze ultime.
Evidentemente questo è certo solo in parte, giacché il filosofo
non è né un mago né un profeta nel senso proprio della parola.
Ho scelto queste due figure, di cui parleremo, perché sono due
filosofi autentici, a mio avviso tra i più autentici della nostra
epoca. Per comprendere quello che voglio dire, desidero fornire
alcune definizioni preliminari della filosofia, dei filosofi e della
vita filosofica.
Gli antichi si sono occupati molto più di definire chi è il filosofo e cosa sia la vera vita filosofica, anziché di definire la filosofia come dottrina in sé, o meglio, la stessa definizione di filosofia era compresa tra “filosofo” e “vita filosofica”; vale a dire,
nella sua origine, la definizione di una certa forma di vita, che
significa amore o amicizia per la sapienza. Il filosofo, per gli antichi, è colui che tende all’amicizia della sapienza e la filosofia,
come dottrina, non è che il prodotto di questo movimento d’amore, prodotto destinato a mettere in cammino altri uomini nella
stessa direzione di ricerca. Per gli antichi, la filosofia è ciò che fa
il filosofo. Questo è certo soprattutto per Socrate, per Platone e in
tempi cristiani, per sant’Agostino: «Verus philosophus est amator
Dei». L’autentico filosofo è amico della sapienza che è in Dio e
che è Dio, come ciascuno dei suoi attributi è identico a Dio stesso. Anche noi riteniamo che la definizione di filosofia come dottrina dipende dalla definizione di cosa sia il filosofo e non viceversa, poiché la persona precede essenzialmente tutte le sue attività, le sue amicizie e le sue opere. Proseguire in quest’ordine ci
sembra anche l’unica possibilità per evitare il caos derivante dalle
discussioni sul tema: la filosofia è una scienza o no? / è possibile una filosofia cristiana?, ecc. Discussioni che ci sembrano mantenersi in una certa semioscurità carica di equivoci e malintesi,
che non arrivano mai ad una definitiva conclusione.
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
279
Ci avventureremo, successivamente, in una definizione di
filosofia la più semplice e chiara possibile. Il filosofo è un uomo
che per amore alla verità trasforma la sua vita in una serie di
esperienze e si dedica con il pensiero alla ricerca del senso e dell’unità di queste esperienze. In seguito, la filosofia come prodotto dello spirito – cioè in primo luogo come parola – non è
altro che la forma necessaria della manifestazione di quest’attività interiore. La filosofia infine, come dottrina e scienza, è lo
scheletro di questa parola filosofica. Questa parola viva, scritta
e soprattutto detta, si trova ora trasformata e fissata in segni
astratti. Quest’ultima trasformazione è inevitabile e molto utile
per la formazione di una tradizione scolastica; però contiene un
grave rischio per la vera esistenza della stessa filosofia se si colgono le dottrine solo nelle loro forme astratte. Le definizioni che
abbiamo appena dato hanno bisogno di un commento che in
fondo non potrebbe esser minore di tutta una filosofia. Ci limiteremo, pertanto, a dare le indicazioni ora più necessarie, senza
dimenticare il fine determinato che ci siamo proposti. Notiamo,
in primo luogo, che la nozione di “esperienza”, ha qui il suo
significato più ampio possibile. Non esiste nella vita degli uomini un solo evento dove non si ami un’esperienza. Frequentemente, molto tempo dopo, isoliamo l’esperienza dagli avvenimenti stessi che la contengono: così i popoli si stanno confrontando oggi con l’esperienza profonda della guerra mondiale,
cercando di coglierne il senso e lo spirito. La maggior parte
delle nostre esperienze avvengono impercettibilmente. Questo è
già sicuro per quelle sensibili, però lo è ancor di più per quelle
dello spirito e dell’anima. Diamo un esempio di questo tipo di
esperienze.
Nel libro di Proust, il narratore – che in questo caso è lo stesso autore – ha perso suo nonno, la persona che più amava. In
quel momento si stupì di non poter provare una tristezza che corrispondesse all’importanza della sua perdita. Alcune settimane
dopo, trovandosi in una stanza d’albergo, al momento di coricarsi è violentemente colto da tristezza. L’evento era già accaduto, ma l’esperienza di ciò che era successo arriva, preparata
durante questo tempo, da uno sforzo incosciente ed impercettibile. Migliaia di altri eventi ci sfuggono, senza convertirsi mai in
esperienza. Il filosofo è colui che insiste, che non vuole lasciar
280
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
passare né fuggire gli eventi senza che questi gli parlino. Anche
in questo caso filosofare è ricordare; è cercare il tempo perduto.
Poniamo un altro esempio: esistono frasi che abbiamo letto o
sentito in una certa epoca della nostra vita, le abbiamo intese nel
loro significato logico, però sono rimaste morte per noi e quasi le
abbiamo dimenticate. Così, per esempio, le parole d’amore di una
poesia di Goethe che abbiamo letto a scuola, prima di sperimentare noi stessi l’amore. Molti mesi dopo appare l’amore nella
nostra vita, e quando si manifesta in una delle sue molteplici sfumature rapidamente queste parole appaiono come un’eco lontana
di una presenza, e quindi diciamo che le comprendiamo “per
esperienza”. Ciò significa che quelle stesse parole aiutano la
nostra vita attuale a trasformare in esperienza l’avvenimento
attuale anche attraverso il ritrovarci con le parole della poesia.
Un terzo esempio. La mia vita attuale consiste in gran parte
nello sforzo di trasformare in esperienza l’attuale condizione dell’esilio, cercando di cogliere il suo senso segreto, per leggere nella
sua essenza una pagina del gran libro della vita e della verità. Mi
sembra ogni giorno di più che questo esilio dalla patria manifesti
una parte essenziale della vita dell’uomo in generale, dell’uomo
che vive sulla terra e della terra, e che resta tuttavia uno straniero
e un pellegrino che non sa dove va e che va verso una meta occulta, verso una fine che tuttavia non è certamente terrena, perché qui
esiste la morte. L’esilio è una sofferenza carica d’esperienza che
appartiene fondamentalmente all’uomo come tale.
Qual è, pertanto, la differenza tra un evento ed un’esperienza?
L’evento è esclusivamente se stesso, l’esperienza è sempre «se
stessa e un’altra cosa allo stesso tempo». Quest’altra cosa costituisce il suo contenuto. L’evento accade in un tempo determinato, l’esperienza dura e ha una profondità illimitata. La nostra
definizione di filosofo non è, pertanto, in nessun modo soggettiva. In ogni esperienza l’uomo si trascende verso un mistero.
L’esperienza ha la sua trama che costituisce il percorso della sua
interpretazione, l’interpretazione sfocia sempre nel mistero e la
parola nel silenzio. L’esperienza è sempre un atto, più o meno
produttivo o recettivo, nel quale ci trascendiamo; nell’esperienza
una cosa ci si manifesta nella sua propria verità. Forse ci sarà
detto che esiste un’esperienza di se stessi. È vero. Direi, in più,
che ogni esperienza è allo stesso tempo un’esperienza di noi stes-
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
281
si e l’esperienza di una cosa che noi non siamo. La più semplice
visione realizzata dai nostri occhi, in quanto diviene esperienza e
non resta come semplice evento, ci può insegnare qualcosa su noi
stessi. Vedo, in questo momento, attraverso la finestra, il cielo
azzurro e questa visione ha valore come esperienza di me stesso;
il fatto, ad esempio, che la mia anima ha una determinata corrispondenza con il cielo fisico, che tende a rattristarsi quando è
scuro e a rallegrarsi quando è azzurro; perfino il linguaggio popolare prende in considerazione quest’esperienza quando parla di
un “cielo allegro”. Quando il cielo è azzurro, il mondo terrestre è
aperto; le sue porte si chiudono con le nuvole. D’altra parte, un’esperienza che sembra appartenere esclusivamente a me stesso, mi
comunica anche sempre qualcosa degli altri. È molto frequente
che io intenda le mie proprie esperienze come essenziali per la
comprensione delle esperienze degli altri, e l’esperienza degli
altri per le mie proprie esperienze. La mia tristezza, dovuta frequentemente a piccole cose, mi fa comprendere tutta una parte
della fugacità del cuore umano, in generale, e della fugacità del
cuore altrui. Ad esempio, la tristezza di Amleto sulla scena di un
teatro mi ha fatto comprendere, molti anni dopo, il turbamento
del mio cuore.
Tuttavia, sarebbe anche falso dire che l’esperienza ha un
aspetto trascendente e uno riflessivo, giacché l’aspetto riflessivo
è anche trascendente. L’esperienza è trascendente, interamente e
radicalmente. Man mano che, come contenuto della mia esperienza, incontro “me stesso”, non incontro il medesimo “io stesso” che vive gli eventi della vita quotidiana. In ogni esperienza ci
superiamo in due direzioni: verso noi stessi e verso l’essenza
delle cose. E questo movimento bilaterale è presente nel medesimo atto. È caratteristico dell’uomo il fatto che egli possa trascendere anche se stesso. Ci sono filosofi nei quali questa direzione
della trascendenza è dominante: filosofi “introversi” (Jung).
Nietzsche appartiene a questo tipo, così come sant’Agostino.
Esistono altri filosofi per i quali l’altra direzione della trascendenza è dominante: gli “estroversi” (Jung). Scheler è uno di questi, come san Tommaso. I primi vivono, soprattutto, addentrandosi ogni volta più profondamente nella propria interiorità e cercando di diventare se stessi, raggiungere la verità nella profondità della propria anima e realizzarla con questa profondità. Gli altri
282
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
vivono, soprattutto, aprendosi all’incontro con le cose, con gli
uomini, con libri, con idee e cercando di trovarvi la parola segreta. I primi cercano Dio soprattutto nel centro più intimo del loro
cuore, mentre gli altri lo cercano nel centro del mondo, con il
quale si sentono in contatto. I primi sono sempre solitari per
essenza. Nietzsche lo è divenuto man mano, nel suo processo di
personalizzazione, nel divenire se stesso.
Se questi uomini (introversi) vivono nella società degli uomini – come ad esempio sant’Agostino, sacerdote e vescovo, che si
rende conto di doverlo fare per obbedienza – al fondo ne soffrono. Così, la vocazione di costoro quasi esclude il matrimonio. Gli
altri, i filosofi più estroversi, cercano sempre la società degli
uomini, la natura e i libri. Scheler, ad esempio, guardava con un
amore incessante la società degli uomini; ogni uomo e quasi ogni
libro lo interessavano, costituendo esperienze che divorava.
Quando era forzato a restare da solo, anche per pochi giorni, ciò
gli provocava grande noia. Con quale contentezza ci accoglieva
quando lo visitavamo nella sua villetta di Lindau dopo essere
rimasto una settimana in solitudine! Era come se non avesse
avuto nessun alimento spirituale durante quel tempo. In effetti, il
suo spirito viveva soprattutto del contatto e la sua curiosità era
tanto immensa come quella di Nietzsche, che andava però totalmente verso la direzione opposta. Scheler voleva strappare le
maschere del mondo, come Nietzsche voleva strappare le
maschere sterminate della propria anima. Scheler viveva in una
serie di contatti ricchi d’esperienze, si sposò tre volte e viveva
circondato da amici; secondo le apparenze non esisteva solitudine nella vita di quest’autentico filosofo. Non scordiamoci, però,
che questa tipizzazione antitetica implica necessariamente un’esagerazione, giacché nessuna personalità è di tipo puro. Tipizzare
è accentuare ed esagerare per vedere chiaramente, è un metodo
dello spirito euristico: i “tipi” non esistono nella realtà. Non si
dimentichi, soprattutto, che dietro quest’antitesi esiste un’identità fondata precisamente nell’unità della vita filosofica. Chi cerca
di comprendersi cerca anche di comprendere il mondo. Chi cerca
di comprendere il mondo vuole nel mondo comprendere anche se
stesso. Le grandi teorie storiche di Nietzsche – ad esempio sull’opposizione tra “apollineo” e “dionisiaco” nell’anima greca,
sulle origini della tragedia o della morale – nascono in ultima
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
283
analisi dalla conoscenza del proprio cuore. Le interpretazioni profonde della propria vita, che Scheler amava dare, erano sempre in
un certo senso frutto della conoscenza degli altri.
Il metodo usato da Scheler per scoprirsi a se stesso era il paragone. Per esempio: mi parlava un giorno di un suo collega, celebre sociologo e ultimo teorico importante del liberalismo tedesco.
Costui, che proveniva da nobili militari prussiani, era stato educato in un’accademia militare; l’avversione contro il regime
estremamente severo e antindividualista della sua famiglia, e specialmente di questa scuola, aveva determinato la linea di condotta della sua vita e del suo pensiero. Pur essendo un noto studioso,
era molto bohémien e posseduto teoricamente e praticamente dall’idea della libertà assoluta dell’individuo. Scheler mi diceva di
lui: «Il signor X si trova in ogni istante della sua vita impegnato
inconsciamente a liberarsi di qualcosa. Io, al contrario, proprio
perché i miei genitori mi lasciarono crescere nella libertà di un
buon selvaggio, sto cercando in ogni momento della mia vita un
valore oggettivo che mi avvinca per se stesso». Forse non sono le
parole testuali, ma questo era il loro senso e il metodo che Scheler
perseguiva in maniera talmente forte che non lo potrò mai dimenticare. È quindi la necessità di un’interpretazione profonda della
sua esistenza la vera chiave dell’intenzione, per esempio, della
sua assiologia e della sua filosofia religiosa. Tuttavia, questa
comprensione di sé è ottenuta attraverso il paragone con l’esistenza dell’altro. Che cosa è in fondo questo metodo, questo paragone se non una modalità per oggettivarsi, trasportando se stessi
sul piano dell’altro? Un filosofo di questo tipo arriva alla conoscenza di se stesso come se fosse un altro. Il filosofo del tipo di
Nietzsche, al contrario, arriva alla conoscenza dell’altro come se
fosse una parte di se stesso. Non diamo a nessuna di queste classi di filosofi una maggiore considerazione sull’altra in quanto
classi. Se lo facciamo, esprimiamo semplicemente, senza una critica generalizzante, la nostra prossimità o partecipazione ad un
filosofo di una o dell’altra di queste classi. Da una parte abbiamo
sant’Agostino, dall’altra Goethe.
Goethe ha un tipo particolarmente marcato di estroversione,
che gli permette di conoscersi bene proprio in quanto possiede
un’esperienza profondissima del mondo percepito come totalità.
Aveva bisogno d’andare in Italia e verso molte cose e luoghi per
284
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
scoprire lì se stesso. Nietzsche, in Italia, è circondato dalla sua
solitudine; Scheler da un gruppo d’amici. Goethe, spirito estroverso, realizza la Dichtung und Wahrheit, come ha notato scrupolosamente Charles Du Bos, il modello paradossale di una “autobiografia oggettiva”. La grandezza di spirito d’un uomo non dipende
dalla direzione dominante della sua esperienza, ma dall’energia di
seguirla in profondità. In quella profondità per cui sant’Agostino è
rimasto in silenzio davanti al Dio del suo cuore; Goethe di fronte
ai fenomeni primordiali della natura (Urphänomene); Nietzsche di
fronte al mistero dell’identità tra Dioniso e Cristo, il vertice della
vita e il vertice del sacrificio; Scheler di fronte al mistero della sofferenza inaudita degli uomini sotto gli occhi di Dio, di fronte al
mistero che il male sia permesso.
Torniamo dunque ad affrontare la nostra definizione di vita
filosofica, giacché finora Nietzsche e Scheler sono stati solo
esempi di quest’esperienza che appartiene all’essenza della filosofia, esempi che evidentemente non solo per caso sono stati citati. Poiché sono due filosofi autentici, che più sentiamo vicini a noi
riguardo al tempo e alla situazione che viviamo, è quasi necessario parlare di loro volendo parlare concretamente e semplicemente circa ciò che intendiamo per la bella e venerabile parola “filosofia”. Scacciamo ancora un malinteso!
Dando una tale importanza all’esperienza non si cade nell’empirismo assoluto. Ciò che chiamiamo “esperienza” è essenzialmente cosa diversa dall’esperienza degli empiristi, che è solo un accadere meccanico e un’eccitazione degli organi di senso. Inoltre non
esiste forse nessuna dottrina filosofica che segua, come l’empirismo del XIX secolo, una concezione di così astratto intellettualismo, lontanissima dalla concreta esperienza. Se in effetti la fenomenologia ha chiuso definitivamente con l’empirismo, di fatto è
stato però trasformandolo radicalmente. Si può anche dire, e
Husserl lo ha detto, che rappresenta, nel senso originale della parola, l’unico vero empirismo che possa esistere. Perciò non sottovalutiamo assolutamente l’importanza del pensiero, ma non ammettiamo che la sua dignità consista in un dibattito con il nulla. Il sottofondo di questo monologo interiore realizzato attraverso il linguaggio che chiamiamo “pensiero”, è approfondire le nostre esperienze integrate con le esperienze di altri. Approfondire ed integrare sono qui inseparabili in quanto le nostre esperienze si possono
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
285
interpretare solo attraverso il loro confronto. Senza il pensiero ordinato dalla logica, non esiste nessuna vita dello spirito e a fortiori
nessuna filosofia degna di questo nome. L’impressionista che considera di non pensare se non con i suoi propri occhi, afferma in
realtà che non pensa in questa maniera.
In fondo si può avere un sensualismo filosofico come quello di
Epicuro, ma non una filosofia sensualista come filosofia autentica. La sensualità deve arrivare a essere veramente esperienza per
trasformarsi in filosofia. Così, il filosofo del tipo estroverso riapprofondisce la sua esperienza in un monologo interiore. La differenza tra lui e l’altro tipo di filosofo si trova in particolare nell’obiettivo predominante di questo monologo interiore e, in seguito,
in una tendenza differente a esteriorizzare questo monologo parlando o scrivendo. Quando Scheler era solo, quasi sempre scriveva. Per lui era naturale pensare con il lapis in mano; solo ciò può
spiegare l’immensa massa di carte che ha lasciato. Scriveva per
una necessità naturale, come noi passeggiamo. In questo senso gli
piaceva appassionatamente parlare e molto spesso io lo ho sentito conversare per lungo tempo con donne e uomini incontrati per
caso, di qualunque livello sociale, su magnifiche idee delle quali
loro evidentemente non comprendevano nulla. Sembrava una
specie di Don Quijote, tuttavia per lui, nel fondo, questo dialogo
era la continuazione ricercata ed insistente del monologo interiore del pensiero. Rispetto al dialogo fittizio con queste persone,
esisteva ciò che Miguel de Unamuno in maniera giustissima
denominava “monodialogo” e tutto ciò in un filosofo molto estroverso che rimaneva quasi assorbito nello stare a parlare con voi,
senza accorgersene; un filosofo che poteva non osservarvi, ma
che era in grado di comprendervi meglio di quanto vi comprendiate da soli. Un filosofo estroverso è tanto lontano dall’impressionismo come lo è il filosofo introverso. Sia che cerchi il contatto con la natura come faceva Goethe, sia che cerchi soprattutto il contatto con gli uomini come Scheler, sia che segua il suo
pensiero prediligendo il dialogo con gli altri (ma con il lapis in
mano), sempre raggiunge la profondità delle sue esperienze
entrando nel proprio pensiero vivo. Non siamo noi che svalutiamo la razionalità del pensiero, è il razionalismo astratto, al contrario, che coglie qui, anche dalla vita stessa del pensiero concreto, solo lo scheletro logico, l’utilità e la necessità del quale è per
286
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
noi pacifica.
Credo di aver chiarito sufficientemente, rispetto all’obiettivo
delle nostre ricerche, come la nozione centrale della mia definizione di filosofo sia legata a quella di esperienza. Esistono ancora, in questa definizione, altre nozioni che devono essere chiarite
meglio, se vogliamo arrivare ad una comprensione adeguata della
vita filosofica. Ad esempio la nozione di vita, benché sia più chiara di quanto sembri, se non si creano delle difficoltà artificiali.
Parlo qui non della vita nel suo senso biologico, o in quello mistico, bensì di questa vita umana, la quale e nella quale viviamo tutti
i giorni. È la cosa più conosciuta, malgrado sia difficile da definire: è la vita delle necessità e delle soddisfazioni. Qui è sufficiente dire, anche, che è la vita dove accadono gli avvenimenti:
guerre, rivoluzioni, viaggi, passeggiate…; è la vita dove assistiamo anche a degli spettacoli: lo spettacolo del mare, lo spettacolo
di una città o del muoversi degli uomini nella società. È la vita
dove ogni avvenimento può diventare uno spettacolo e ogni spettacolo un avvenimento, dove tutti gli avvenimenti possono diventare esperienze e queste avvicinarsi finalmente ai misteri. È la
vita generale nella quale si muove tutti i giorni anche il filosofo e
nella quale egli può filosofare man mano che diventano esperienze gli avvenimenti che sperimenta, dopo aver trasformato in
avvenimenti gli spettacoli ai quali ha assistito. Non aggiungiamo
altro in merito a questa nozione di vita, giacché è la potenza multiforme che ognuno crede di conoscere e in effetti conosce alla
sua maniera, sia essa superficiale o profonda.
Ho parlato poi nella mia definizione del senso delle esperienze, come fine della ricerca filosofica. Qual è questo senso? Il
senso di un’esperienza è la sua relazione con le esperienze, l’unità concreta di tutte le esperienze. È per questa ragione che il ruolo
del pensiero, l’approfondimento e l’integrazione delle esperienze,
si realizza in un solo atto. Si tratta adesso della seconda dimensione della trascendenza. La prima consisteva nel fatto che in
ogni esperienza ci trascendiamo verso il suo contenuto. La seconda consiste nel fatto che questo contenuto tende sempre verso
altro, ovvero verso la verità di se stesso, e che il movimento dello
spirito filosofico lo segue in questa direzione. Diversamente si
arriverebbe a quella che Scheler denominava Bilderbuch
Phänomenologie (“fenomenologia del libro illustrato”). Tutte le
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
287
esperienze tendono all’unità, tendono a riunificarsi nella loro
essenza più intima e noi presagiamo quest’unità finale in ognuna
di esse. Possedere quest’unità, conoscerla, significherebbe essere
arrivati all’oggetto della filosofia. L’uomo, però, non vi arriva
mai, nonostante che non presentirla e non camminare anche a tentoni verso di lei, significherebbe non camminare verso la filosofia. La parola più nascosta è quella che si scopre come un segreto che si ritrova identico in tutte le esperienze umane. Noi non la
conosciamo, almeno non la possiamo conoscere attraverso la filosofia, tuttavia il valore di questa parola e il valore delle parole che
ci esprimono la nostra esperienza, e che abbiamo denominato suo
“senso”, dipendono totalmente dalla sua relazione con questo termine d’unità che non conosciamo. Forse ci sarà detto al momento della morte. Intanto la ricerca dell’unità è qui come se fosse un
compito e un sogno della filosofia. È quella che l’impazienza
filosofica ha voluto raggiungere nella costruzione dei grandi
sistemi. Tuttavia, non si è fatto altro che sostituire lo stupore di
fronte ad un mistero con alcune nozioni. Se un filosofo parla dell’
“io”, dello “spirito del mondo” o della “volontà”, resta sempre
nell’ambito di quella esigenza dell’unità in profondità di tutte le
esperienze, l’unità superficiale che pretende affermare in un sistema concettuale e di nozioni ben organizzato.
I sistemi chiusi dell’idealismo tedesco di Fichte, Hegel e
Schopenhauer, erano anticipazioni impazienti, illegittime e splendide allo stesso tempo, dell’oggetto medesimo della filosofia,
meta che la filosofia non raggiungerà mai, ma verso la quale tenderà sempre. Sono come voli di Icaro per raggiungere immediatamente l’obiettivo del nostro compito. Nonostante che le ali
siano spezzate. La vita non entrava in questi sistemi troppo stretti che di straforo, e l’esperienza restava in gran parte fuori di essi.
Schopenhauer, ad esempio, il cui sistema è abbastanza ricco di
esperienze e che era un filosofo autentico, aveva costruito il “suo
sistema” all’età di 23 anni; lo aveva fondato principalmente sulla
base di alcune esperienze di questa inquietudine degli impulsi che
lui denominava “la volontà” e dell’augurabile tranquillità dello
spirito teoretico, cioè sui dati primari della sua natura, perfino
sulle esperienze della sua pubertà. Più tardi, questo grande uomo
è diventato prigioniero del suo sistema, che amava con la medesima voluttà con la quale un borghese può amare la sua proprie-
288
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
tà. Ammiriamo la sua forza filosofica nei momenti in cui si libera, ad esempio, nel II volume dell’opera Die Welt als Wille und
Vorstellung e in Parerga und Paralipomena; tuttavia sentiamo
chiaramente che tante altre cose sarebbero accadute se il sistema
non lo avesse bloccato, impedendogli di trarre le conseguenze dei
suoi punti di vista, ad esempio: sulla teleologia apparente nella
biografia dell’individuo, sulla metafisica del sonno, sulla morte e
su tante altre questioni. Alla base d’ogni sistema chiuso esiste una
volontà di “sistemare le cose”. È la volontà di fermarsi, di procurarsi l’illusione d’aver realizzato l’irrealizzabile e d’aver nelle
mani la pietra della sapienza o almeno la chiave magica che permetta di aprire tutte le porte. Nietzsche lo ha detto in maniera
molto radicale: «la volontà di sistema è una volontà menzognera». Pensa qui a Schopenhauer che lo ha influenzato tanto nella
sua gioventù e pensa ai sistemi chiusi dell’idealismo tedesco in
generale. È come un epilogo triste e sommario; una necrologia
della grande epoca delle illusioni.
Arriviamo ad un punto decisivo della situazione filosofica propriamente attuale, che condividiamo ancora con Nietzsche e con
Scheler, e che entrambi hanno in comune nelle linee fondamentali. È proprio di questa situazione vedere la filosofia come una
ricerca continua. Non accettiamo più ormai sistemi chiusi, né il
metodo universale di stile cartesiano. Husserl, che crede d’aver
trovato un metodo come questo, resta tragicamente isolato e deve
tristemente vedere come nessuno riesca realmente a utilizzarlo.
Nietzsche e Scheler hanno in comune realmente questo cammino
nella ricerca verso un oggetto che non possono compiutamente
definire. Ciò non implica che il loro pensiero non abbia la tendenza a darsi un carattere sistematico. Se le esperienze si unificano nel loro senso, la filosofia deve tendere alla sua comprensione
e seguire le tracce di quest’unione. Pertanto deve protendersi
verso una forma sistematica. Il sistema è il risultato di una comprensione profonda. Sono però pochissime, tra le infinite esperienze possibili della vita, quelle che si riescono a riunificare.
A margine della “fenomenologia del libro illustrato”, a margine dell’illusione del sistema chiuso e del metodo universale per il
quale un uomo crede di poter abbracciare la totalità delle esperienze, esiste una terza possibilità: che l’unità e l’universalità
restino come idee regolatrici; proprio per questo, l’espressione
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
289
sincera della vita filosofica è il sistema aperto, il sistema coscientemente frammentario. Vediamo come interpretare in questa
maniera la tendenza del sistema aperto. Nietzsche, andando oltre
il suo stile aforistico, si spinge verso una certa sistematizzazione,
soprattutto in La volontà di potenza. Vediamo come interpretare
in maniera analoga i tentativi sistematici di Scheler, ad esempio
in Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori1. Chi dice
filosofia, deve dire anche pensiero e sistema. Tuttavia non possiamo condividere le speranze, troppo temerarie per essere profondamente sincere, che in modo diverso animarono, ad esempio,
Fitchte e Descartes. Preferiamo una rassegnazione che possa
essere feconda, giacché ci obbliga a camminare invece di volare,
assicurandoci, però, che avanzeremo veramente. Malgrado ciò, in
questo carattere indefinito dell’orizzonte della nostra filosofia
attuale esiste un pericolo molto grave: il pericolo che i nostri tentativi sistematici, consapevolmente parziali, si urtino e si distruggano tra di loro. Una nuova scoperta mette in crisi quello che
abbiamo acquisito. Un punto di vista generale e limitato del
campo della conoscenza ci proteggerebbe da questo pericolo, così
come ne erano protetti i filosofi di altre epoche. Attraverso il
nostro stesso avanzare verso un orizzonte infinito, attraverso il
genere stesso del nostro atto filosofico, siamo condotti in una
situazione d’instabilità e di pericolo che non può essere sopportata senza un certo eroismo.
Troviamo questo tipo d’instabilità in Nietzsche e in Scheler,
filosofi in marcia verso un obiettivo sempre sconosciuto, nascosto sotto la pluralità delle esperienze reali e possibili. Filosofi che
non sono diventati traditori della diversità della vita e dell’anima,
nonostante si siano sobbarcati il rischio di arrivare ad un’isola
sconosciuta e di trovarsi lì di fronte ad una bestia selvaggia: un’esperienza inaspettata che divorerà i risultati sistematici del loro
pensiero. In nessun’epoca come in quella attuale – l’epoca di
Nietzsche e Scheler – la dignità della filosofia è consistita esclusivamente nella sua sincerità. I dottrinari convinti non avevano
1
M. Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik. Neuer
Versuch der Grundlegung eines ethisches Personalismus, Verlag Hans Niemeyer,
Halle 1927 [tr. it. Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, cur. G.
Caronello, San Paolo, Cinisello B. (Mi) 1996].
290
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
mai giocato un ruolo così ridicolo. Devo menzionare, in questa
circostanza, che i due iniziatori principali della filosofia spagnola di questa medesima epoca, Unamuno e Ortega y Gasset, attuano questa ricerca indefessa in un modo particolarmente significativo. Neanche in essi il pensiero è strutturato in un sistema chiuso come in Hegel, né in un metodo universale alla maniera di
Comte; anche per loro la filosofia assomiglia ad una marcia,
attraverso esperienze sempre nuove, verso un’unità presentita
che, spesso, sembra sparire di nuovo nell’istante in cui sembra
essere colta. In entrambi, ritroviamo certi aspetti sistematici, ma
aperti e frammentari, come nella Filosofia della ragione vitale di
Ortega e come nella filosofia esistenziale che viene riproposta da
Unamuno. Tuttavia, la “ragione vitale” e la “speranza” sono giustamente forze in movimento verso l’indefinito, e le sistematizzazioni, nelle vie di questo tipo di filosofi, non possono essere
altro che segni nel cammino.
Questa considerazione sulla filosofia spagnola ci prova, per
una parte, che la situazione filosofica di cui parliamo non ha nulla
di specificamente tedesco: fatto egualmente provato dal pensiero
filosofico di Bergson, di Gabriele Marcel e di altri pensatori francesi contemporanei. È interessante notare, infine, come in
Unamuno e Ortega si ritrovino i due tipi opposti di filosofo che
abbiamo menzionato all’inizio. Unamuno è un filosofo introverso
come Nietzsche, Pascal e Kierkegaard. Per fornire un elemento di
prova, posso rimandare ad un criterio letterario convincente: leggete di Kierkegaard, Nietzsche e Unamuno gli interminabili prefazi, prologhi, nonché gli epiloghi delle loro opere, che offrono
una specie d’estratto, di essenza concreta del loro pensiero; vi si
trovano le relazioni del loro pensiero con la vita delle loro persone. Ci si può facilmente accorgere che questi frammenti di autobiografia spirituale sono spesso più caratteristici che non le opere
stesse e ci offrono il vero motivo di questi pensatori, poeti lirici
allo stesso tempo, che hanno cercato sempre se stessi in ogni cosa
e Dio nella profondità delle loro anime. Per contro, né Scheler né
Ortega ci hanno lasciato autobiografie, come invece Nietzsche
con Ecce Homo; come Unamuno nei Recuerdos de infancia e
quasi ovunque nelle sue novelle. Ortega appartiene alla stessa
classe di filosofi di Scheler. Gli somiglia perfino fisicamente e stilisticamente, e vediamo Ortega cercare con una curiosità istintiva
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
291
il senso della nostra esistenza nelle mille e una forma della vita
umana, sociale e individuale. Presenta alcuni caratteri impressionistici, così come Goethe e Scheler; come loro ha la necessità del
contatto, la necessità d’incominciare un’esperienza sempre di
nuovo, di accostarsi alla vita da un lato sempre diverso.
Quanto alla filosofia spagnola, ho perfino l’idea, senza esserne sicuro, che vi si trovi una corrispondenza naturale con la situazione filosofica della nostra epoca. Ho notato che i filosofi francesi tendono istintivamente a un metodo universale nel senso cartesiano, che cercano sempre istintivamente la sicurezza all’interno di un metodo di questo genere. Lo stesso Bergson lottava contro questo istinto che in lui era forte, per non fare dell’intuizione,
che è un tipo d’avvicinamento al mistero (avvicinamento che
resta necessariamente imperfetto), uno strumento di tale sicurezza. Il pericolo dei filosofi tedeschi è di cercare a tutti i costi di
“chiudere” il sistema; questo sistema chiuso ha la sua consistenza nella capacità d’illusione, nella facoltà di far passare delle
astrazioni per realtà della vita. Questa tendenza non è aliena agli
stessi Nietzsche e Scheler. Forse la filosofia spagnola ha un legame naturale con la nostra situazione attuale. Lo penso, ad esempio, quando trovo in un giovane pensatore spagnolo questo pensiero: «Un’intelligenza limitata è un’intelligenza senza trascendenza mistica». Ciò mi risulta molto spagnolo, molto contemporaneo e molto filosofico allo stesso tempo, come constatazione e
come giudizio di valore.
Spero d’aver chiarito un po’ quello che volevo dire riferendomi nella mia definizione iniziale di vita filosofica, al fatto che il
filosofo si dedica alla ricerca del senso delle sue esperienze. Avrei
potuto anche dire che si dedica alla ricerca della sua unità.
Comprendo adesso cosa significa in questa definizione “serie di
esperienze”. Parlo di una tale serie quando varie esperienze
vanno verso il medesimo fine, riunendosi, illuminandosi e approfondendosi reciprocamente. In questo senso, ad esempio, si
potrebbe trovare caratterizzata una certa epoca della vita di
Scheler, per una serie di esperienze d’inquietudine e di sofferenza umana. Dopo tutto esiste in noi l’idea presentita che tutte le
esperienze sono un insieme collegato del quale non conosciamo
né l’inizio né la fine.
Il filosofo è, pertanto, un uomo che trasforma, in una certa
292
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
maniera, la sua vita in una serie di esperienze, delle quali cerca il
senso. È evidente che ogni uomo degno di questo nome fa in
certo modo così. Un essere per il quale non esiste altro se non le
necessità della vita e le sue soddisfazioni, gli spettacoli e i meri
accadimenti, non sarebbe un uomo. La filosofia, in questo senso,
è un elemento generale, una possibilità essenziale della vita
umana come tale. La differenza tra il filosofo e gli uomini non è,
pertanto, d’ordine essenziale o qualitativo. Altrimenti questo filosofo non potrebbe filosofare per gli altri uomini e nemmeno
potrebbe parlar loro della sua filosofia più che alle bestie o alla
“massa” come tale. La filosofia sarebbe, dunque, una cosa realmente esoterica e non lo è. Dovendo escludere per necessità la
“massa” si dirige però ad ognuno, ad ogni individuo umano e
serio. La differenza tra i filosofi e gli altri è costituita, soprattutto, dalla quantità di presa di coscienza. Egli sa quello che fa quando studia il contenuto della vita.
Esiste una seconda differenza, dovuta proprio a questa maggiore intensità di presa di coscienza della situazione. Il filosofo
tenta intenzionalmente e sistematicamente la trasformazione
della vita in esperienza, attraverso un impegno continuo; cerca
anche di esprimere in maniera ordinata e disciplinata i risultati
acquisiti con questo sforzo. Insomma, esistono naturalmente differenze di grado. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare mai che
come filosofi non abbiamo nessun altro privilegio se non quello
di rappresentare in maniera un po’ più cosciente, continua e
dominante, però non necessariamente più profonda, una possibilità immanente a tutti i nostri simili. È anche per loro e con loro
che interessa filosofare. Il resto è orgoglio. Questo appartiene alla
tragedia di Nietzsche, che ha voluto opporre il filosofo al resto
dell’umanità. Almeno come possibilità, la filosofia è per tutti,
universale. Così come universale è la sua ragion d’essere: l’amore per la verità. Cos’è l’amore alla verità? Che cos’è la verità?
Non possiamo evitare la domanda di Pilato, se vogliamo considerare la filosofia e soprattutto il filosofo. Che cosa apprezza
l’uomo quando stima la verità, e attraverso quale amore è solito
apprezzarla?
L’idea che l’uomo si fa della verità, in generale è molto insufficiente. Si accetta come un fatto che certi uomini vogliono sapere mille cose e si considera questa curiosità sublimata come l’es-
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
293
senziale della ricerca della verità. Esistono spiriti curiosi per natura, che s’interessano di tutto e di tutte le scienze. Sono al corrente
delle ultime scoperte della fisica o della biologia, come sono al
corrente degli ultimi avvenimenti politici o economici. Vanno a
teatro, divorano giornali, sembra che soffrano una sete ardente
d’informarsi su ogni cosa. Mi sembra innegabile che un uomo
così, forse unico nel suo genere, forse completamente preso dalla
noia, non operi per amore della conoscenza degli avvenimenti;
mentre abbiamo visto che la verità, nel senso filosofico della parola, germoglia solamente man mano che si trasformano in esperienze gli avvenimenti. Quest’uomo è forse l’uomo meno filosofico che possa esistere, giacché egli trasformerà, all’inverso, gli
avvenimenti della sua vita in spettacoli. L’amore all’informazione
non ha nulla a che vedere con l’amore alla verità. Tale atteggiamento è identico alla passione per le scienze? Vediamo uomini di
scienza che si sono sacrificati eroicamente per una scoperta.
L’uomo di scienza può avere, in effetti, un aspetto esistenzialmente filosofico, come Keplero o Einstein, peró non è questo ciò che
costituisce il suo carattere di uomo di scienza. Galileo e Darwin,
ad esempio, non erano in nessun modo filosofi. Le scienze come
tali cercano le verità, cercano certe verità. La persona che se ne
occupa può cercare in queste verità e attraverso di esse la verità,
o può accontentarsi limitandosi alla ricerca di queste verità. Ciò è
molto importante per la definizione del carattere dell’individuo
scienziato, ma non lo è per le scienze in se stesse. Non è questa
l’occasione di menzionare le ragioni specifiche che hanno le
scienze per cercare giustamente alcune verità e non altre. Tutto ciò
non ci avvicinerebbe ad una risposta alla nostra domanda e allontanerebbe solamente le risposte più semplici.
L’idea che la filosofia sia soprattutto l’amore alla verità è un’idea molto antica, nonostante ciò molto poco compresa. Come
sapete, fu espressa da Platone. Per lui l’eros filosofico è una forza
intermedia tra l’esistenza e la non esistenza: un figlio dell’ essere
e del non-essere, della ricchezza e della povertà, che tende verso
l’essere. L’uomo che partecipa della temporalità e della mutabilità del mondo, tende all’eros e in lui a partecipare dell’esistenza
vera, stabile ed eterna del mondo delle idee. Per Platone la conoscenza è partecipazione ed è, nell’atto stesso del conoscere,
immedesimazione del nostro essere nell’essenza dell’oggetto di
294
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
conoscenza. Aristotele formula ancora meglio questa concezione
quando dice che nella conoscenza l’essenza dell’oggetto passa
dalla potenza all’atto, alla sensualità o allo spirito dell’uomo. È il
vero senso della vecchia definizione della verità: adaequatio
intellectus et rei. L’uomo contemporaneo la interpreta in maniera
erronea se lo fa secondo la teoria delle immagini. Per Platone la
conoscenza dell’essere divino – che implica anche partecipazione, trasformazione e adeguazione – divinizza l’essere umano e gli
dona l’eternità che appartiene alla divinità platonica. La verità per
Platone non sta nel mondo che vediamo, ma costituisce il mondo
delle idee. Il mondo terreno partecipa in quanto è, e non partecipa in quanto non è: cioé, in quanto sfugge nel tempo e non è eternamente presente. È l’antitesi tra il mhon e l’ontoson. Superando
le idee, emerge ancora il mistero presentito dell’unità. Per Platone
la verità esiste, tendere verso di essa è tendere verso l’esistenza.
L’amore alla verità è, pertanto, l’amore alla nostra esistenza vera,
il desiderio del divino, dell’eternità, e la filosofia è il movimento
di questa corrispondenza con Dio.
Una struttura per alcuni aspetti analoga si trova nella filosofia
cristiana, specialmente nell’agostinismo. Tuttavia si può fare
almeno astrazione dalle nozioni che appartengono allo specifico
del pensiero di Platone e accorgersi che ci si riferisce, in questa
forma, al nucleo dell’amore filosofico per la verità, come è esistito in tutte le epoche ed esiste anche nella nostra. Quest’amore
che mette in movimento la filosofia, ha cercato l’unità della vita
nell’unità delle esperienze. Nel filosofo è il desiderio di affermarsi, il desiderio di esistere. Quest’impulso verso l’essere, verso
la speranza, verso l’affermazione di se stesso, si ritrova nel fondo
dell’esistenza umana. È un ultimo elemento di carattere ontologico e non si può oltrepassare. La filosofia è una forma di questa
tendenza; l’amore a questa esistenza, che è la verità, l’amore alle
idee in Platone, l’amore a Dio in sant’Agostino, l’amore al fondo
della propria personalità in Nietzsche. Vedremo più avanti come
sia stata perseguita da Nietzsche e come l’abbia perseguita
Scheler. In un’altra occasione ho cercato di spiegare come
sant’Agostino abbia ottenuto ciò per cui il suo cuore era fatto.
Esistono, in ogni caso, alcuni aspetti comuni a tutti questi filosofi autentici.
Tutto ciò appare fin dall’inizio chiaro nel sentimento che la
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
295
vita di tutti i giorni non è la piena esistenza che cerchiamo, e che
è necessaria, attraverso un dono speciale, la ricerca dell’essere.
Inoltre, quest’atteggiamento comune a tutti i filosofi autentici si
manifesta nella convinzione che l’esistenza che l’uomo cerca è la
verità, e che esserne partecipi fa divenire veri e permette di conoscere realmente. In terzo luogo, quest’unità si manifesta nel fatto
che tale ricerca coinvolge l’uomo nella sua interezza, che né il
sentimento né l’intelligenza possono arrivare a qualsiasi risultato
senza un’integrazione viva, in un movimento appassionato dell’uomo intero. Infine, la conoscenza della verità trasforma il
nostro essere ed è un nucleo della nostra vita personale: l’interpretazione esistenziale della conoscenza e della filosofia stessa.
L’uomo si trova disperso nella molteplicità del mondo, e tuttavia
la tendenza verso l’unità gli appartiene inevitabilmente. Dalla
dispersione in una non-esistenza, si tende verso la concentrazione in una vera esistenza, nella verità. È l’uomo filosofico che
nella pienezza delle esperienze cerca l’unità del mistero.
Tornando al tema che si voleva esporre, ripetiamo la definizione di filosofo. Il filosofo è un uomo che per amore alla verità trasforma la sua vita in una serie di esperienze e si dedica, attraverso
il pensiero, alla ricerca del senso e dell’unità delle sue esperienze.
296
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
297
II – TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE
NIETZSCHE
DELLA MALATTIA MENTALE DI
[Titolo originale: «Essai d’interprétation de la maladie mentale de Nietzsche», in Revue Philosophique de la France et de
l’Etranger, settembre-ottobre 1934.].
Occorre anzitutto indagare sulle ragioni che determinano l’interprete del pensiero di Nietzsche a occuparsi della sua malattia finale.
Perché lo riguarda? Essa è interessante nella misura in cui la vita interiore di Nietzsche è decisiva per la sua interpretazione e in quanto la
malattia stessa rivela alcune caratteristiche di quella vita interiore.
Non è vero in egual misura per tutti i filosofi che la spiegazione della loro opera comporti uno sforzo di comprensione psicologica. Per il genere di filosofia di cui parleremo, la verità importante, la sola che conti, è nascosta nel più profondo della coscienza e non nelle profondità o nei rapporti della natura. Il ricercatore riconosce questa verità mediante una progressiva introspezione: cerca di togliere uno strato dopo l’altro, di distruggere tutte le
maschere sociali, al fine di raggiungere il centro della sua personalità. Lo sforzo psicologico degli intuitivi di questo genere serve
dunque a progredire verso uno scopo, sempre remoto ma sempre
presentito, che le loro parole non riescono mai a racchiudere
completamente. Se si rappresentano le caratteristiche tipiche di
2
Tutti sono d’accordo sulla necessità di una ricerca psicologica per la comprensione di Nietzsche. Cfr. ad es. Henri Lichtenberger, La philosophie de Nietzsche,
Paris, 1898, p. I; Lou Andreas-Salomé, Friedrich Nietzsche in seinem Werk, tr. fr. J.
Benoist-Méchin, Paris 1932, 5ss [tr. it. Vita di Nietzsche, Editori Riuniti, Roma
1998]. Da questo punto di vista si è perfino esagerato. A proposito dell’opera di E.
Bertram si veda la ricerca di Ch. Andler, Nietzsche, t. VI, e La dernière philosophie
de Nietzsche. Nietzsche comme introverti, Paris 1920, p. V; Lou Andreas-Salomé, loc.
cit., tr. fr. 15ss. – Il suo sguardo era rivolto verso l’interno, ma allo stesso tempo,
superando gli oggetti familiari, sembrava errare all’infinito; o più esattamente, i suoi
occhi osservavano la sua vita interiore come si contempla l’infinito. Poiché la sua
attività era soltanto un’esplorazione dell’animo umano alla ricerca di nuovi mondi.
298
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
questo modo di filosofare, si è condotti a capire meglio ogni
“filosofia dell’esistenza” e soprattutto quella di Nietzsche2.
Il pensiero e l’espressione sono concepibili solo se considerati all’interno del campo di oggetti nel quale si muovono. Ora, il
campo di esperienze di un uomo come Nietzsche è anzitutto la
sua propria vita interiore, assolutamente individuale. Per lui la
realtà psichica non è un punto d’incontro di leggi generali; essa
rappresenta quella stessa essenza dell’assoluto che non è ancora
scissa in mondo interiore e mondo esteriore, che è l’oggetto ultimo di ogni metafisica. Come un cieco è escluso dal mondo dei
colori, allo stesso modo non potremmo comprendere Nietzsche
facendo astrazione da quel mondo interiore proprio a lui solo.
Dovremmo a nostra volta proseguire il suo sforzo di autocomprensione, che ha trovato la sua principale espressione nelle sue
innumerevoli prefazioni, negli aforismi auto-psicologici e
nell’Ecce Homo.
Poiché l’esame preciso della malattia di Nietzsche ci offre un
mezzo di penetrare la sua vita psichica, si vedrà che non è una
semplice curiosità a spingere a queste analisi. D’altra parte, il
nostro interesse alla questione è limitato dalla sua stessa origine:
nella malattia di Nietzsche c’interessano soltanto gli elementi che
permettono di trarre delle conclusioni sulla struttura d’insieme
dell’avvenimento psichico che si è compiuto in lui e che cerca di
tradursi nella sua filosofia, cioè i fenomeni comprensibili della
malattia. “Comprendere” (verstehen) vuol dire in questo caso:
dare un posto ben determinato nella struttura generale della personalità. Dunque ciò che ci interessa non è il caso esogeno che fa
irruzione nella personalità, ma ciò che riguarda la fatalità endoRicorrendo alla tipologia di Jung si può parlare di un “tipo introverso intuitivo”
(introvertierter Ahnungstypus). Agli otto tipi fondamentali di Jung, che ovviamente
non indicano immediatamente delle realtà, ma piuttosto delle prospettive sulla complessità della vita psichica, corrispondono diverse direzioni della ricerca filosofica e
diverse nozioni della verità. C. G. Jung, Psychologische Typen. Seelenprobleme der
Gegenwart, Zürich 1931 [tr. it. in Opere, vol. 6: Tipi psicologici, Bollati Boringhieri,
Torino 1996].
3
Per queste nozioni cfr. M. Scheler, Wesen und Formen der Sympathie, Bonn
19232, 226ss, e il libro del dottor R. Allendy, Le problème de la destinée, Paris 1927.
È un primo tentativo d’identificare le conseguenze della psicologia moderna per
quanto riguarda il problema filosofico del destino. Semplicemente un preludio.
LEZIONI E STUDI SU NIETZSCHE E SCHELER
299
gena, l’anima stessa come fatalità3; in altri termini, ciò che non
avviene, o non soltanto, per una legge generale della natura, ma
perché un uomo in quanto personalità d’insieme è fatto così e non
altrimenti. I fattori accidentali esogeni e i fattori che risultano
dalla fatalità endogena possono agire gli uni sugli altri in maniera molto complessa; anche in caso di malattia mentale grave pare
che ci si debba attendere una complicazione del genere.
Prima di continuare è indispensabile indicare la diagnosi della
malattia del filosofo. È stato Paul Julius Möbius a rendere pubblica la diagnosi di paralisi progressiva, corredata dalla sua più
che dubbia motivazione4. Tuttavia essa proviene dalle testimonianze concordanti dei “bollettini sanitari” delle cliniche di Jena
e di Bâle pubblicati integralmente per la prima volta da Erich
Podach5. Contengono delle constatazioni fisiche significative
come l’assenza di reazione degli occhi alla luce con convergenza
non modificata (Myosis). La protesta morale della signora
Förster-Nietzsche e la sua tesi contraria, tanto curiosa: «Il caso
Wagner e il rimedio giavanese»6, sembrano mancare di argomenti. Chiunque legga le osservazioni mediche dovrà riconoscere
che, secondo ogni verosimiglianza, si trattava di una malattia a
carattere paralizzante. Tuttavia si dovrà confessare con Ziehen
che il processo della malattia mostra segni fortemente «atipici»7.
D’altra parte, secondo Emil Kräpelin8, i casi di paralisi «stazionaria o a progressione lenta» non sono tanto rari come talvolta si
pensa. Quanto all’idea di una schizofrenia a riapparizioni costanti, mi sia permesso di ricordare la constatazione di K. Schneider9,
secondo cui la paralisi nelle famiglie schizoidi mostra delle affi-
P. J. Möbius, Über das Pathologische Nietzsche, Wiesbaden 1901.
E. Podach, Nietzsches Zusammenbruch, Heidelberg 1930, 134ss («Bâle» e
«Jena»). In virtù della sua documentazione è il libro più notevole di tutta la letteratura dedicata al problema nietzschiano che ora c’interessa. D’ora in poi citeremo
sempre la traduzione francese: L’effondrement de Nietzsche, Paris 1931, trad. di A.
Vaillant e J.R.Kuckenburg.
6
P. Cohen - F. Förster-Nietzsche, Um Nietzsche und seinem Untergang, Hannover
1932; F. Förster-Nietzsche, Der einsame Nietzsche, Leipzig 1914.
7
E. Podach, loc. cit.
8
Kräpelin - Lange, Psychiatrie, Leipzig 1927; per le “paralisi stazionarie” anche
E. Bleuler, La Schizophrénie, Paris 1926.
9
K. Schneider, in Aschaffenburgs Handbuch der Psychiatrie, Berlino 1927.
4
5
Scarica