NIETZSCHE : LAFILOSOFIA NELL’ EPOCA TRAGICA DEI GRECI
Il VI secolo a.C. rappresenta per Nietzsche l'apogeo della civiltà greca, la cui fioritura si
interrompe già con l'età periclea. L'esaltazione della civiltà presocratica e degli uomini
che la animarono permette al filosofo tedesco di aprire e approfondire la polemica
culturale che induce a pensare l'età contemporanea come età senza cultura, in cui il
filosofo non trova un humus, un terreno culturale in cui riflettere; è per questo che è
recepito come un distruttore, il cui contributo è critico-negativo.
Nietzsche sostiene, infatti, che la filosofia è solitaria e un filosofo inattuale laddove non
esistano più per lui le radici che lo tengono saldamente ancorato all'humus di una cultura.
Viene meno l'antica solidarietà tra il filosofo e la città di cui appunto i presocratici erano
stati campioni: quella solidarietà che sola poteva offrire alla filosofia la legittimazione di
cui essa necessitava, perché la filosofia non trova legittimazione in sé medesima, ma
deve cercarla nel rapporto intrattenuto con la società. Per i Greci dell'età tragica (VII-VI
sec. A.C.) la filosofia trovò la propria legittimazione in quanto immediata espressione
dell'anima di un popolo che aveva imparato a filosofare nella gioia. Nell'Ottocento,
appunto, il filosofo si arroccava invece nella propria solitudine:
Un'età che soffre della cosiddetta educazione collettiva, ma che non ha cultura e nessuna
unità di stile nella sua vita, non saprà venire a capo di nulla con la filosofia, anche
quando essa venisse conclamata su strade e mercati dal genio stesso della verità. In
un'epoca siffatta essa resta piuttosto un dotto monologo del viandante solitario, preda
occasionale del singolo, occulto segreto da studiolo o innocuo chiacchiericcio tra
accademici vegliardi e fanciulli.
Così la inattualità nietzscheana si impone originariamente nel recupero di ciò che noi
sempre dobbiamo amare e venerare e ciò che non ci può essere defraudato da alcuna
conoscenza ulteriore: l'uomo grande. Compito che il filosofo si prefigge a partire dalla
restituzione di tutta la risonanza che le è propria alla polifonia dell'indole greca, che si era
manifestata nelle monolitiche personalità dei filosofi arcaici. La convinzione di fondo
che orienta il progetto è che il loro giudizio sulla vita e sull'esistenza fosse più
significativo di un giudizio moderno, dal momento che essi avevano avuto di fronte a sé
la vita in pieno rigoglio. Solo all'interno di una cultura come quella greca, plasmatasi
secondo uno stile unitario, si poteva in generale giustificare la filosofia; solo in essa il
filosofo non si ridusse a casuale viandante:
Per questo i Greci giustificano il filosofo, perché soltanto accanto a loro non è una
cometa.
Tre, in particolare, i perni della lettura nietzscheana del filosofare tragico dei sapienti
greci:

ANASSIMANDRO. Scorgendo nella molteplicità delle cose giunte a nascimento
una somma di ingiustizie da espiare, egli avrebbe afferrato il nodo più profondo del
problema etico: come può finire qualcosa che ha diritto a essere? La sua filosofia
avrebbe rappresentato, dunque, una presa di posizione rispetto alla maledizione del


divenire, del continuo, insensato riedificarsi del mondo della caducità. L'eterno
divenire non poteva che scaturire dall'eterno essere, mentre le condizioni della
caduta da quell'essere in un divenire nell'ingiustizia, dall'unità dell'indeterminato
nella colpa dell'individuazione, dovevano essere sempre le stesse. Quell'eterno
essere poteva poi definirsi solo in via negativa, analogamente alla cosa in sé
kantiana, come unità nell'indeterminato (apeiron) di tutte le cose.
ERACLITO. Anassimandro avrebbe, quindi, a suo modo contrapposto un mondo
fisico, molteplice, al mondo metafisico dell'apeiron. Il filosofo di Efeso avrebbe
invece negato tale dualismo, per arrivare addirittura alla negazione dell'essere in
generale. Il divenire nascerebbe dalla guerra dei contrari: la contesa manifesterebbe
l'eterna giustizia. Nel mondo vi è colpa, ingiustizia, contraddizione solo per
l'uomo, limitato, che vede per frammenti, parti staccate; non, invece, per il dio
contuitivo: per lui ogni contraddizione concorre a un'unica armonia invisibile. Così
il filosofo contemplativo poteva affermare l'innocenza di un divenire che è
trapassare e distruggere senza alcuna imputazione morale, fissando la realtà
(l'eone) come gioco dell'artista e del fanciullo (il fanciullo dei mondi Zeus in D.K.
B 52), come intreccio di gioco (caso) e necessità, registrandone la gioiosa, feconda,
inesauribile, spontanea insensatezza. Soprattutto in Eraclito Nietzsche trova la
natura più profonda del tragico, del puro divenire che eternamente produce nuova
vita distruggendo quella vecchia. Nietzsche torna su Eraclito ancora nei tardi scritti
(Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo) per ribadirne la superiorità su tutti gli altri
pensatori antichi e moderni, come il solo che abbia tematizzato correttamente il
divenire cosmico, e come il teorico della sensibilità dionisiaca contrapposta al
vuoto filosofare razionalistico identificato ora con Parmenide.
ANASSAGORA. Il terzo autore privilegiato nella ricostruzione della filosofia
tragica è il pensatore di Clazomene, di cui Nietzsche rileva unilateralmente
l'aspetto del Nous, interpretato, diversamente dalla tradizione, non come mente o
intelligenza ordinatrice ma come originario motore autocinetico, caratterizzato dal
privilegio dell'arbitrio. L'ordine e il finalismo delle cose non sono altro, allora, che
il casuale risultato diretto di un moto ciecamente meccanico: anche in questo
contesto, dunque, il divenire non è un fenomeno morale, ma solo un fenomeno
artistico, prodotto del gioco di un arbitrio unicamente dipendente da sé, senza guida
di causa e finalità.
1. esponi l’ idea che Nietzsche ha in generale della filosofia con particolare riguardo
al suo aspetto inattuale
2. sviluppa il confronto tra età classica dei Greci ed età moderna dal punto di vista del
filosofo.
3. individua e chiarisci gli elementi di estetica (arte, musica etc.) presenti in queste
teorie
4. Per ognuno dei 3 filosofi presocratici (Anassimandro, Eraclito, Anassagora)
riassumi in breve il giudizio di Nietzsche, indicando in che cosa questo giudizio si
discosta da quello abitualmente diffuso (analogamente al giudizio di Nietzsche su
Socrate)