Filosofia e Politica - Liceo Lombardo Radice

FILOSOFIA E POLITICA
Il problema della politica ha la sua radice nella cultura e nella civiltà greca delle
origini. Anche oggi il tema della politica è oggetto di dibattito e di discussioni infinite
perché, bene o male, sappiamo che dalle scelte politiche dipende la vita dei cittadini
di una comunità o di uno stato. Possiamo anzi dire che dalla condizione politica
dipende in ultima analisi la vita quotidiana dell'individuo: ad esempio il prezzo dei
generi alimentari, del vestiario o degli strumenti elettronici come i telefonini, dei
libri, delle tasse scolastiche etc. Ma dalla politica derivano anche le relazioni sociali
attraverso la struttura delle leggi che incidono sui nostri comportamenti individuali e
collettivi. Così ad esempio possiamo essere multati perché guidiamo il motorino
senza casco oppure perché guidiamo la macchina senza cinture di sicurezza!?
Se non si fossero fatte le leggi sul casco per i motociclisti, sull'obbligo delle cinture
di sicurezza per gli automobilisti, oppure sull'obbligo di andare a scuola fino ai sedici
anni, potremmo agire in modo diverso da come siamo obbligati a fare.
Dunque la politica incide sia sui problemi economici (es: dobbiamo comprare il
casco) sia sui nostri comportamenti pubblici e privati ( fino a sedici anni dobbiamo
frequentare la scuola). Non è allora vero che la politica non sia importante per
l'individuo proprio perché da essa dipende anche la nostra vita quotidiana.
Ebbene quando e come è nato questo modo di gestire i gruppi umani, i loro
rapporti, l'ordine che garantisce la convivenza sociale? A questa domanda dobbiamo
cercare una risposta sia sul piano storico sia sul modo con cui il problema si pose.
Alle origini della nostra civiltà occidentale si definisce il fenomeno della “politica”
come sistema di gestione della collettività secondo modalità specifiche e particolari
che andremo a rintracciare.
E' comunque chiaro che fino a quando ci troviamo in presenza di uno stato assoluto
di carattere teocratico, ma anche laico, il ruolo della politica come gestione della
società è meno evidente e percettibile; invece in presenza di una qualche forma di
democrazia la funzione della politica è più evidente.
Ma in cosa consiste essenzialmente il fenomeno politico?
Le società umane si sono evolute attraverso quella che possiamo definire come una
crescente complessità. Quella che chiamiamo complessità è la specializzazione
nell'ambito delle funzioni sociali: così nella società compare chi prepara soltanto il
pane; chi alleva animali da carne; chi produce scarpe; chi lavora la terra e produce
grano o frutta etc. Questi meccanismi di specializzazione si dicono di
“specializzazione del lavoro”. Nelle società primitive, o in quelle che oggi si dicono
arretrate, il lavoro non è differenziato e le funzioni sociali sono anche queste poco
differenziate: l'agricoltore si produce anche le scarpe. L'aumento della complessità
sociale semplifica le relazioni: andiamo al supermercato e compriamo diversi cibi per
diversi giorni perché alcuni li “surgeliamo” e li useremo in seguito. Ma a certe
condizioni di semplificazione della vita corrisponde un insieme di problemi che
devono essere risolti: più una società è complessa più sono i problemi che occorre
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risolvere perché le relazioni sociali si moltiplicano ed i meccanismi economici si
complicano. Per portare la merce al supermercato occorre organizzare una serie di
trasporti che, dal pescato nel mare Mediterraneo, facciano arrivare il pesce nel nostro
congelatore! Non è una cosa facile e semplice perché implica una forte
organizzazione sociale ed economica.
Così ad esempio sempre meno persone si adattano al disaggio di avere poco
denaro da spendere e/o un lavoro precario che non permette il consumo degli oggetti
gratificanti che offre la sociocultura di appartenenza. Insomma la nostra civiltà
attuale è teoricamente molto più complessa di quella di cento o duecento anni
addietro! Alla complessità si associano infatti più problemi da risolvere e ai quali dare
risposta. Si è fatto notare infatti che una società più complessa produce più
informazioni da inserire nel sistema e con le quali risolvere appunto i problemi della
complessità. Se duecento anni fà la società era più semplice è anche vero che non
esisteva l'energia elettrica con la quale possiamo fare muovere una lavatrice ,
conservare i cibi in frigorifero oppure fare funzionare il computer per scrivere queste
note o per circolare in internet. Le società molto complesse producono molti problemi
ma anche molte risposte! Producono un patrimonio scientifico-tecnico capace di
fronteggiare la stessa complessità.
Tuttavia i rapporti umani delle società più semplici o più complesse devono
sempre essere gestiti: la non gestione provoca l'entropia (la decadenza) della società
stessa che si determina come lo scontro tra quegli interessi che la divisione del
lavoro e della ricchezza ha prodotto. Orbene la politica è la forma della mediazione
sociale, del ripristino di rapporti non conflittuali tra i gruppi degli individui che
costituiscono una società: la politica introduce elementi ( scelte, informazioni,
riforme economiche e della legislazione) che permettono ad una società storicamente
determinata di non finire nel disastro dell'entropia, di non ricorrere allo scontro fisico
dei componenti della stessa società.
Ebbene quando si è cominciato a ricorrere alla mediazione sociale in modo
consapevole e programmato e che rapporto esiste con la nascita del pensiero
filosofico. Possiamo subito rispondere alla seconda domanda dicendo che la politica
come scelta consapevole della mediazione sociale è un atto di riflessione. Così come i
primi filosofi, riflettendo sul principio (archè) che regge e governa tutte le cose e da
cui gli elementi molteplici derivano, mettevano in atto il tentativo di organizzare ed
ordinare la realtà per renderla più dominabile, nello stesso modo la politica nasce
come necessità di organizzare la società in modo gestibile e governabile. Esiste allora
un principio, una modalità, che permette di governare in modo ordinato una società?
Solone viene nominato arconte nel 594a.C. ed assume il titolo di mediatore, di
riconciliatore, indicando così la sua funzione particolare che è appunto quella di
mediare gli interessi contrapposti che si erano venuti determinando in Atene e che
stavano per degenerare in una guerra civile. Così come abbiamo fatto per l'origine del
pensiero filosofico occorre anche adesso ricostruire la concreta situazione storica per
comprendere l'avvento di questo nuovo modo di pensare la realtà. E' nostra
convinzione che le idee non nascono al mattino, improvvisamente e gratuitamente,
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ma che sorgono da concrete situazioni storiche che esigono una risposta a nuove
domande e a nuovi processi sociali. E siccome la via della politica si presenta in
modo piuttosto preciso in Atene dobbiamo osservarne la storia tra il VII ed il VI
secolo a.C.
E' altamente probabile che poco prima del 600 a.C. gli Ateniesi conquistassero
Salamina per estendere le loro attività commerciali e permettere alla città
l'importazione del grano dal Mar Nero.
All'inizio del VI secolo a.C. Atene cominciava ad avere un peso sui traffici
commerciali della Grecia ed i suoi mercanti si spingevano in paesi lontani come
Cipro e l'Egitto. Tuttavia questo periodo di guerre di espansione e consolidamento
contrastavano contro una crisi economica strisciante. I contadini ateniesi che
prendevano le armi ed andavano a combattere volentieri contro i loro aggressivi
vicini si cominciavano a risentire di dovere abbandonare i loro campi per andare a
combattere in terre lontane al solo scopo di facilitare l'importazione di grano straniero
in concorrenza con quello che loro stessi coltivavano. Contemporaneamente si era
andato diffondendo un nuovo sistema economico piuttosto rivoluzionario: la
monetazione!
Il baratto permetteva ai contadini il controllo diretto dei loro prodotti di cui
fissavano il valore: ad es. cento chili di grano in cambio di un somaro e mezza
pecora. Se la produzione di grano era stata scarsa si poteva scambiare il somaro per
settanta chili di grano: si trattava di transazioni che si potevano stabilire di volta in
volta. Era comunque il contadino che fissava il valore dei prodotti per il baratto con
altre merci. Con la monetazione tutto diventa più complicato perché il valore di una
merce veniva fissata “altrove” ed il contadino doveva acquistare la merce-denaro
secondo valori definiti fuori dalla sua volontà e dalla sua capacità produttiva.
I nobili proprietari terrieri ed i mercanti potevano appropriarsi con una certa
facilità della nuova merce di scambio; ma per i contadini il problema era molto più
difficile e dovevano ricorrere spesso a prestiti delle nobili famiglie ed incappando in
debiti onerosi. Inoltre la società ateniese, ma anche quella di tutta l'Attica, si stava
profondamente modificando.
Un certo livello di benessere si andava diffondendo presso i nobili ed i
commercianti arricchiti: il mercante si andava ad acquistare il proprio ingresso nella
nobiltà e gli aristocratici avevano a propria disposizione il lusso come le ceramiche
pregiate di Corinto, i mantelli e le vesti raffinate di Mileto, la porpora della Laconia e
gli oggetti in metallo della Calcide, la città del bronzo. L'Attica era in una condizione
sfavorevole perché la terra da produzione delle granaglie era poca e poco fertile; la
produzione dell'olio era ancora bassa, così come quella del vino e della ceramica.
Anche la produzione dei cereali non eccedeva i consumi locali! Da ultimo lo
sfruttamento delle miniere del monte Laurion non era forse neppure cominciato.
Insomma i bisogni della popolazione dell'Attica aumentavano mentre le risorse
erano scarse. Una frase rende il clima di desiderio, di ricchezza e di benessere che
contraddistinguono questo periodo: “il denaro fa l'uomo”. Tale frase sottolinea
l'importanza delle ricchezze, dei beni, nella valutazione di un individuo: un uomo che
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non riesce ad arricchire e che non può spendere molto denaro per oggetti di lusso è un
uomo di poco valore materiale e morale. Stiamo proprio parlando di un clima
economico e psicologico non dei nostri giorni ma di duemilaseicento anni addietro:
pare proprio di essere ai nostri giorni proprio perché il denaro appare come la
discriminante del valore dell'individuo. Chi ha più denaro domina l'ambiente perché
può possedere più oggetti gratificanti della sociocultura di appartenenza e consuma di
più partecipando ed incrementando il benessere della collettività.
Dicevamo che il clima psicologico dell'importanza dei consumi per il benessere
individuale e sociale assomiglia molto a quello dei nostri giorni contraddistinti dal
valore che si attribuisce al consumo per la valutazione dell'individuo nelle sue
capacità. Anche l'attuale crisi economica, globale nella sua estensione, potrebbe
comportare crisi sociali sul piano nazionale o internazionale se non si cercasse
una................. “mediazione” fra interessi differenziati...................................................
Comunque sia la monetazione quanto il desiderio dei consumi di lusso per le
classi aristocratiche dell'Attica crearono un forte indebitamento del ceto contadino di
Atene. Teniamo presente che il malcontento dei contadini era un fatto grave perché
questi erano il nucleo dell'esercito ateniese e se combattevano male e con poco
interesse le conseguenze erano molto gravi; in secondo luogo in una società arretrata
e prevalentemente agricola occorrevano leggi protettive e rigide nei confronti dei
creditori. Era dunque della massima importanza difendere fino in fondo i diritti del
creditore verso il debitore.
Ebbene il povero contadino, nel momento in cui andava male un raccolto, aveva
pochissime garanzie da offrire se chiedeva un prestito in sementi, animali per il
lavoro oppure soldi liquidi: poteva offrire in garanzia la propria terra, se stesso o la
propria famiglia! Poteva essere adoperata anche la garanzia di un amico o congiunto
ma i Greci avevano coniato un adagio che ben rifletteva il problema delle garanzie da
terzi: “presta garanzia e la rovina è vicina”.
Ebbene il podere che veniva impegnato veniva contrassegnato con “cippi” di
confine e questi cippi di confine venivano comunemente chiamati “pietre di ipoteca”.
Ad un certo momento della storia di questo periodo le pietre di ipoteca erano
diventate moltissime ed il territorio ne era pieno perché i ricchi aristocratici avevano
molte terre che avevano sequestrate ai contadini insolventi. Verso la fine del sesto
secolo a.C. la parola “ipoteca” potrebbe risultare piuttosto inesatta perché la forma di
pegno prevista dalla legge era “la vendita con stipulazione di riscatto”. La proprietà
passava infatti subito al creditore e i cippi marcavano tale condizione fermo restando
la possibilità, all'atto della restituzione del debito, del diritto di riscatto da parte del
debitore. Dunque i cippi identificavano l'estensione della proprietà al creditore.
Quanto tempo dovesse trascorrere per saldare il debito era certamente oggetto di
contrattazione tra debitore e creditore.
E' altamente probabile che le avverse condizioni che avevano determinato
l'insorgere del debito non fossero facilmente estinguibili e che i cippi denotassero nel
paesaggio fisico la tristezza psicologica e la demoralizzazione della perdita del potere
agricolo di tanti poveri contadini.
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Anche ai nostri giorni capita spesso che delle persone in difficoltà economiche
chiedano dei prestiti alle banche: ma la vera difficoltà è nella restituzione di tali
prestiti che aggiungono oneri ad oneri.
Esisteva comunque una seconda forma di garanzia che il contadino poteva offrire
al creditore: essa consisteva nell'impegnare il proprio lavoro o il prodotto di tale
lavoro! Questa condizione veniva espressa dal termine greco hektemoroi che
significava “partecipi per un sesto” e che indicava il contadino che lavorava in un
podere altrui e che pagava il proprietario con un sesto del prodotto ricavato; il
rimanente restava per se stesso. Tale condizione appare comunque più onerosa di
quella degli attuali mezzadri o degli affittuari. Sembrerebbe infatti che al tempo di
Solone questi hektemoroi fossero più simili ai servi della gleba oppure agli Iloti della
Laconia. Quando gli hektemoroi non saldavano il debito cadevano in una vera e
propria schiavitù insieme alle mogli ed ai loro figli. Poteva dunque accadere ai
contadini ateniesi di dovere cedere prima una parte del prodotto del loro lavoro e poi
di essere fatti schiavi con le loro famiglie e di essere venduti schiavi fuori di Atene.
Tali durissime condizioni, rese ancora più drammatiche in un periodo di crisi
economica, crearono in Atene non solo molto malcontento ma anche progetti di
rivolta sociale. Aristotele così descrive lo stato d'animo dei contadini ateniesi: “il
rancore più crudele ed amaro di molti contro l'ordine esistente era la loro schiavitù.
Ma essi erano inoltre scontenti di ogni altra cosa perché in verità non partecipavano a
nulla.”
L'aristocrazia si era troppo arroccata nei suoi privilegi e si era allontanata, in nome
del denaro e del benessere, dal popolo. La soluzione prevedibile era una insurrezione
armata oppure una tirannide! Occorreva che emergesse una figura capace di
affrontare il problema dei debiti e della conseguente schiavitù con leggi eque e
soprattutto leali sollevando contemporaneamente l'Attica dalla crisi economica che
aveva scatenato quell'entropia sociale. Occorreva un patto di stabilità sociale per il
quale tutti i cittadini di Atene e dell'Attica ritrovassero l'interesse a restare insieme.
Si trattava di trovare una mediazione tra il giusto scontento dei molti ed il
privilegio dei pochi. Quando diciamo “mediazione” si indica una operazione che, non
sconvolgendo le strutture fondamentali della società, abbassa i meccanismi di
diversità sociale, soprattutto economica, attraverso una riforma dell'apparato
economico-giuridico. Si potrebbe dire che occorreva una mediazione capace di
accontentare tutti e di non lasciare pienamente soddisfatto nessuno!
Può sembrare una strana definizione ma la politica fatta veramente bene è capace
di accontentare la maggioranza dei cittadini ma di non soddisfare pienamente
nessuno. L'adagio che recita “ tutti si lamentano è quindi è una buona legge” la dice
lunga sul significato della politica e della sua capacità di mediare tra interessi diversi
e talvolta contrapposti.
Un tale uomo capace di questa mediazione appare in Atene in questo periodo: si
chiamava Solone. Egli viene eletto “arconte” e si proclama “mediatore” nell'anno
594 a. C.
Come Tirteo, il poeta zoppo, Solone aveva scritto dei versi nei quali aveva cantato
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le lodi di Eumonia, il regno della legge! Sulle buone leggi osservate con lealtà dai
cittadini consiste la felicità ed il benessere degli stati e dei popoli. Emanare buone
leggi e farle rispettare è il dovere, secondo Solone, di chi vuole servire politicamente
il proprio stato ed i propri concittadini. Se si vuole operare al meglio occorre sapere
rinnovare il patrimonio delle leggi per adeguarle alle nuove situazioni che
coinvolgono la società. La buona politica consiste anche nel rinnovare il patrimonio
delle istituzioni civili quando le condizioni storico-economiche lo richiedono.
Solone è il primo uomo politico greco di cui abbiamo notizie precise e del quale si
può tracciare un profilo storico e soprattutto psicologico. Egli appartiene alla “schiera
degli uomini nuovi” che appaiono in Grecia a partire dal sesto secolo a.C. La data di
nascita di Solone si accredita verso il 630 a.C. Ed è pertanto coetaneo di Talete, il
fondatore del pensiero filosofico, di Anassimandro, di Pitagora e di quei nuovi
intellettuali che caratterizzano il secolo in questione anche sotto il profilo legislativo.
E' opportuno ricordare che a molti dei primi filosofi si attribuiscono “costituzioni” di
varie città a legare le nuove forme di pensiero filosofico alle riforme etico-politiche.
Nello stesso periodo infatti a Katana (Catania) Caronda imponeva la scrittura delle
leggi dando così certezza e conoscenza della legge che prima si tramandava solo
oralmente agli aristocratici: senza la legge scritta nessuno ha certezza dei propri diritti
e dei propri obblighi.
Solone era un uomo di agiata condizione economica che aveva viaggiato molto e
che possedeva una vasta cultura, che aveva una innata simpatia per gli oppressi ed i
diseredati ma che comunque conservava un freddo distacco di fronte alla faziosità
della politica attica. Non aveva ambizioni personali né il culto della personalità pur
avendo grande consapevolezza delle proprie capacità di statista e di riformatore. Il
movente fondamentale delle sue azioni sembra essere il desiderio etico di instaurare
rapporti di assoluta lealtà tra deboli e forti, fra ricchi e poveri. L'orizzonte dei suoi
ideali era una società solidale attraverso leggi eque e l'impiego della giustizia. Ecco
perché egli si fa nominare arconte ma anche “mediatore”. La figura dell'uomo
politico si declina con l'aspetto etico e riformatore. Egli infatti dirà: “ Al popolo ho
data tanta dignità quanto ne basta senza regalargli o togliere diritti; mi sono anche
adoperato affinché coloro che avevano potenza e si imponevano per le ricchezze non
subissero alcun torto. Mi sono fermato nella mia opera riformatrice solo dopo avere
data valida difesa ad entrambi (le due classi sociali) ma non ho permesso né agli uni
né agli altri di avere un ingiusto predominio.”
In questo frammento, scritto in poesia, Solone sottolinea che le sue leggi danno al
popolo una grande dignità morale e legislativa ma non concedono diritti gratuiti a
nessuno. Anzi egli sottolinea che i potenti (nobili) ed i ricchi sono stati tutelati
affinché non subissero nessun torto per la loro posizione sociale od economica. Egli
afferma che si è fermato nella sua opera di riforma etico-politica solo dopo avere
tutelato gli interessi di tutte le classi sociali e di avere impedito il prevalere degli
interessi di una classe sulle altre.
Dunque una operazione legislativa che dà dignità alle classi popolari, che tutela la
condizione dei nobili e dei ricchi, che pone le basi per un equilibrio razionale degli
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interessi delle varie stratigrafie sociali e definisca la tutela di tutti: una scelta di
mediazione e di integrazione di opposti interessi all'interno della società. Insomma
una scelta veramente politica!
Per comprendere fino in fondo l'atteggiamento di Solone nei confronti del popolo
leggiamo un altro suo frammento: “ il popolo potrà seguire i capi nel modo migliore
se non si allentano eccessivamente le briglie né si tirano con troppa forza. Infatti
quando una grande fortuna tocca a uomini che non hanno una mente equilibrata essa
genera tracotanza ed insofferenza”. Da questa frase riportata è facile evincere che
Solone ha una concezione aristocratica della realtà sociale: egli infatti sottolinea che
al popolo non bisogna lasciare troppa libertà né stringere troppo la corda dei suoi
diritti perché menti poco adattate alla razionalità possono degenerare nelle loro
reazioni. Infatti le eccessiva vessazioni e ingiustizie verso il popolo possono
degenerare in forti esasperazioni e violenze rivoluzionarie; ma quando gli si concede
troppo il popolo diventa tracotante e non si accontenta più di nulla perché esso è
costituito da individui che non hanno una mente equilibrata e serena. La visione di
Solone è aristocratica perché presuppone che il popolo non possieda la kalokagatia, la
bellezza e la virtù, quella nobiltà di animo e quell'equilibrio interiore che gli permette
di apprezzare la misura di ciò che gli viene dato. Dunque occorre mostrare verso il
popolo equilibrio e fermezza perché non si scatenino la cupidigia e non si sfrenino le
pretese.
Nel discorso di insediamento come arconte egli non promette di volere mantenere
i diritti di proprietà sulle terre e cosi afferma: “ degli scopi per cui radunai il popolo
quale non ho raggiunto prima di fermarmi? Potrebbe testimoniarlo più di tutti al
tribunale del tempo la madre grandissima degli dei olimpici, la madre terra, dalla
quale un giorno io rimossi i segni dell'ipoteca disseminati qua e la; la terra che
prima era schiava adesso è libera!”
Era consuetudine da parte degli arconti all'atto del loro insediamento di dichiarare
il mantenimento dei diritti di proprietà sulle terre possedute. Solone non segue questa
prassi e per prima cosa annulla tutti i pegni sulle proprietà rimuovendo i cippi che
segnavano l'ipoteca sulle terre dei contadini insolventi. Così facendo egli rende libera
la terra! Questo gesto di libertà verso la terra è una metafora sulla libertà che ritorna
verso quegli uomini che avevano perso il diritto di proprietà per insolvenza per i
debiti contratti. Tutti i debiti che implicavano forme di servitù personale furono
cancellati e si dichiarò illegale accettare come garanzia di un prestito la persona del
debitore. Le forme giuridiche si adeguavano al nuovo indirizzo politico. Ma anche
coloro che erano fuggiti dall'Attica o erano stati venduti come schiavi fuori dall'Attica
furono riscattati dallo stato ateniese e rimpatriati.
Così si esprime Solone: “ E molti ricondussi ad Atene, la patria fondata dagli
dei, dal momento che erano stati venduti come schiavi o giustamente o
ingiustamente; e anche molti altri che, per la dura necessità di sfuggire alla
schiavitù, erano andati in volontario esilio e non parlavano più la lingua attica
perché si erano allontanati dalla madrepatria per tanto tempo e avevano vagato
tanto da ogni parte!”
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Con evidente orgoglio Solone rivendica a se stesso il fatto di avere reso liberi
coloro che risiedevano nell'Attica ma anche coloro che si erano dovuti allontanare
dalla madrepatria perché venduti all'estero o fuggiti in volontario esilio per timore di
essere fatti schiavi. Si tratta di gente che da molto tempo si era allontanata dalle
madrepatria tanto da non parlare più la stessa lingua greca. Per tutti costoro si era
provveduto al loro rimpatrio.
Ed ancora afferma Solone: “ Ho fatto liberi tutti quelli che qui soffrivano la
disonorante schiavitù e temevano i capricci dei padroni. Ho compiuto queste
cose con l'autorità della legge, unendo forza e giustizia, e ne sono venuto a capo
così come avevo promesso. E scrissi leggi uguali per il plebeo e per il nobile
usando ugualmente per ciascuno retta giustizia”.
Tutto ciò che egli ha fatto non è stato compiuto ricorrendo all'arbitrio ma
attraverso l'autorità della legge e la legge la giustizia è stata imposta mediante
l'autorità della legge. Insomma il progetto politico è stato fondato sulla forza della
giustizia e la legge. La giustizia delle legge si fonda sul fatto che essa è posta per
iscritto, come per Caronda a Catania, tale cioè da garantire tutti: plebei e nobili.
Dunque ciò che Solone ha promesso ha mantenuto: una società rinnovata fondata
sulla mediazione e sulla certezza della legge!
Ma quando una parte del popolo pretese una vera e propria “redistribuzione” delle
terre, sia del demanio o dei latifondi dei nobili, Solone si oppone in modo assoluto e
così si esprime: “ Essi (i popolani) venivano per rubare ed avevano la speranza di
arricchirsi e ciascuno credeva che avrebbe trovato una grande ricchezza e che io,
attraverso l'inganno di belle parole, manifestassi poi uno spirito crudele: vane
cose allora pensavano e adesso irati contro di me mi guardavano tutti con occhi
torvi, quasi fossi un nemico. E questo non è giusto: ho realizzato con l'aiuto degli
dei quello che ho promesso ed il resto non lo ho fatto a caso ne mi piace compiere
alcunchè con violenza tirannica, né dare ai nobili come ai non nobili una uguale
parte della fertile terra della patria.” Dunque Solone ha voluto lo sgravio delle
ipoteche, ha impedito la schiavitù di cittadini ateniesi per insolvenza dei debiti, ha
richiamato coloro che erano stati venduti all'estero o erano fuggiti per sottrarsi alla
schiavitù, ma ha rifiutato categoricamente una redistribuzione delle terre. Solone
infatti non aveva promesso nessuna redistribuzione delle terre: il suo operato non era
rivolto ad ottenere il consenso clientelare della popolazione o di una parte di questa.
Egli non amava né la violenza tirannica né gli atteggiamenti populistici. La sua idea
fondamentale era quella di una mediazione, di un equilibrio, tra interessi contrapposti
delle varie classi sociali. La politica gli appare come la tecnica non del cambiamento
sociale radicale ma come la “tecnica” di smussare gli opposti interessi tra i
componenti di una comunità complessa come uno stato.
Solone rifiuta la demagogia: distribuire le terre dello stato a tutti significava avere
consensi da tutti! Ma egli non vuole questa soluzione come non accetta l'uso della
forza per risolvere gli attriti all'interno della società: vuole coniugare la giustizia con
l'equità sociale. La politica come tecnica della mediazione deve essere fornita di un
apparato giuridico che deve essere condiviso evitando così che dei cittadini si sentano
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discriminati rispetto ad altri, trattati in modo diverso dagli altri. Fermo restando
comunque che all'interno della società organizzata la condizione economica, del
possesso dei beni da parte dei vari soggetti, possa essere diverso.
Dunque leggi oggettive, scritte, tutelano tutti i cittadini in eguale modo: ma tali
leggi non significano eguaglianza economica! La politica è la possibilità di fare
coesistere interessi economici diversi attraverso un apparato di leggi che garantiscano
ogni cittadino, ogni appartenente alla società, di diritti fondamentali comuni.
Si tratta di una operazione certamente difficile se non addirittura difficilissima:
tuttavia il tentativo è sempre meglio dello scontro sociale e del caos che ne
seguirebbe per tutti i membri della comunità. Ecco cosa intende dire Solone quando
afferma di avere “fatto liberi” coloro i quali ha liberato dalla schiavitù per insolvenza
dei debiti o che ha ricondotto in patria per essere stati venduti come schiavi.
La libertà è l'essere uguali di fronte ad una legge giusta che tutela la dignità di
ogni appartenente alla polis, allo stato: il suo ideale è eunomia, il regno della legge: in
tale regno ciascun individuo apparterà ad una classe determinata dalla capacità di
creare reddito. Nelle buone leggi osservate con lealtà consiste la felicità (benessere)
degli stati e dei popoli. Emanare buone leggi è il dovere di chi vuole servire e
prendersi cura della propria città, di chi vuole fare attività politica. L'equilibrio delle
leggi, la loro capacità di rappresentare tutto il contesto sociale organizzato, è il
contributo maggiore della politica.
Le riforme di Solone non vennero ostacolate né dall'aristocrazia terriera né dai
contadini o dagli artigiani. Questi ultimi anzi ottennero un grosso beneficio da una
legge che accordava la cittadinanza agli stranieri a condizione che si stabilissero in
modo permanente nell'Attica per esercitare un mestiere pratico. Con tale legge Solone
mostra la sua lungimiranza in fatto di creazione della ricchezza: assieme a quella che
riconosceva la validità di regole stabilite da associazioni sociali o mercantili che non
siano contrarie agli interessi della città questa legge che concedeva la cittadinanza
agli stranieri permetteva un nuovo potente sviluppo dell'Attica e della città di Atene.
Aristocrazia terriera, contadini ed artigiani si trovarono a condividere queste
iniziative atte a favorire l'integrazione delle varie classi sociali nello Stato. Bisogno
dunque di una maggiore coesione sociale che aveva nella “mediazione” tra interessi
contrapposti il suo fulcro portante. Effettivamente Solone appare come il vero e
proprio creatore di quel fattore di gestione sociale che chiamiamo politica, cioè
quell'attività sociale che gestisce i problemi della comunità facendo in modo che
interessi, prevalentemente economici, contrapposti siano armonizzati e non
costituiscano scissioni e lotte sociali. Anche l'integrazione degli “stranieri” che
svolgevano attività artigiane appare come un momento di alta politica al fine di
migliorare l'assetto economico di Atene. Insomma Solone riteneva la politica come il
meccanismo sociale che si oppone all'entropia dello Stato e al disfacimento dello
stesso dovuto alla frammentazione delle classi sociali in una lotta di tutti contro tutti.
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CONCLUSIONE
Se riflettiamo sul fatto che la convivenza di poche persone, ad esempio una classe
scolastica, o addirittura un nucleo familiare, non è un fatto né semplice né scontato,
possiamo renderci conto della grandissima importanza che ha la politica per uno
Stato. I fratelli spesso litigano tra loro o con i loro genitori; molto spesso all'interno di
una classe si formano dei gruppi e dei sottogruppi in competizione fra loro; anche tra
professori avvengono i medesimi problemi di attrito e di competizione per i motivi
più vari etc. ebbene questo significa che non è assolutamente facile mettere in
accordo le persone ed armonizzarle nei loro comportamenti e nei fini delle loro
azioni. Molto semplicemente il problema è che ciascun individuo ha un suo
complesso di valori e di atteggiamenti verso il mondo e verso gli altri. Possono essere
motivi psicologici legati all'esperienza di ciascuna soggettività, oppure sociologici
(provenienza da determinati ambienti), fatto è che ogni individuo tende ad avere una
propria “visione del mondo” legata a dei personali valori o a personali interessi
economici. La maggiore parte di tali valori od interessi sono mutuati dall'ambiente
sociale e dai suoi condizionamenti.
Così ad esempio un individuo che vive facendo “l'artigiano” (meccanico,
carrozziere, parrucchiere, sarto etc) è condizionato nel suo lavoro dalla discontinuità
del guadagno: se ha molti clienti guadagna molto! Ma se ne ha pochi, oppure è un
momento di crisi economica, oppure in certi periodi dell'anno, guadagna poco e
comunque in modo discontinuo. Insomma vive la propria esistenza in modo
“precario” perché non ha mai certezza sull'ammontare del proprio guadagno. Questa
indeterminazione economica lo costringe a lavorare il maggiore numero di ore
possibili; ad evitare di chiedere prestiti alle banche perché non sa se può pagare le
rate di rientro; a cercare di pagare le tasse nel modo più elusivo
possibile........................insomma l'artigiano ha un suo modo di vivere che è
funzionale al modo con cui produce la ricchezza!
Viceversa chi vive con un lavoro subordinato è a conoscenza di quanto
guadagnerà alla fine del mese: può programmare le spese del mese e quelle per cui
può chiedere un eventuale prestito. Insomma la sua vita è più stabile: non può
arricchire improvvisamente ma ha delle certezze. Le tasse gli vengono sottratte dalla
busta paga e non può né evaderle né eluderle; lavora per un certo numero di ore
stabilite da un contratto nazionale e questo gli permette di gestire meglio il tempo
libero etc. Non parliamo poi dell'imprenditore che rischia continuamente il proprio
capitale nell'impresa, nei prodotti di questa e nell'andamento del mercato. Insomma è
chiaro che la classe sociale di appartenenza condiziona il modo di vivere
dell'individuo ed il suo modo di progettarsi l'esistenza. Le visioni del mondo di
ciascuno di noi sono in gran parte correlate al modo con cui produciamo la ricchezza
e i modi di produrre la ricchezza determinano la classe sociale di appartenenza di
ciascuno di noi.
Nelle società organizzate esistono dunque interessi contrapposti, o comunque
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differenti, tra individui che producono la ricchezza in modo diverso: sono tali
interessi contrapposti e/o diversificati che vengono “mediati” dal fattore politico. Tale
mediazione può avvenire con modalità diverse, con “sistemi politici” differenti. Tali
diversità si sono presentate effettivamente nel corso della storia.
Un filosofo dell'antichità, Aristotele, definisce la società come “la forma”
dell'uomo proprio perché l'essere umano si realizza pienamente nella società! Infatti
l'individuo isolato che non appartiene ad un contesto sociale non realizza la sua
condizione (forma) umana: se viviamo isolati dentro una grotta non avremmo luce
elettrica, il televisore, il computer, il motorino etc.................... e quando abbiamo
fame non sapremmo dove comprare il pane, la frutta, i dolci etc. Dunque fuori da un
contesto sociale l'uomo è assolutamente incapace di svolgere una vita autonoma:
dovrebbe perdere troppo tempo a procurarsi il cibo, le scarpe, la poca energia che
illumina le sue notti e le serate nelle quali si deve studiare per non prendere due in
filosofia. Si afferma da parte di molti studiosi di diverse scienze umane che la
socialità dell'essere umano è stata l'elemento fondamentale del suo sviluppo
culturale, del fatto cioè di avere prodotto una civiltà superiore a tutte le altre. La
socialità significa la specializzazione del lavoro e l'accrescersi del benessere
collettivo, significa che ciascuno di noi può dedicarsi al proprio lavoro perché altri
producono altre cose: per questo motivo, essenziale alla formazione di una civiltà,
Aristotele ha definito l'uomo come “animale sociale”.
Ma gli uomini, proprio a causa della divisione del lavoro, hanno maturato interessi
diversi e la possibilità di vivere insieme è una scelta, una comune volontà! Insomma
marito e moglie, genitori e figli, nonni e nipoti oppure un gruppo di amici stanno
insieme perché lo desiderano, perché lo vogliono e perché scelgono di farlo; non
esiste nessuna legge che ci obbliga a sposarci o ad uscire con quel gruppo di amici;
così come non esiste nessuna legge per la quale un figlio\a, raggiunta la maggiore età,
sia obbligato a convivere con i genitori, con gli zii, con i nonni etc.... E viceversa!
La legge permette di regolare la volontà di convivere: ma come risolvere i
problemi della collettività, le priorità a cui dare soluzione, questo è il compito della
politica. Certamente tale compito può essere risolto in modo diverso: certe priorità
sono scelte in modo diverso. Solone, come abbiamo visto, sceglie di liberare dalla
schiavitù i debitori insolventi! Tale scelta venne condivisa dagli aristocratici e dai
contadini e non viene imposta con la forza. L'opera di mediazione è condivisa da tutta
la società.
Un filosofo che operò in Atene alcuni secoli dopo Solone, Aristotele, affermò che
la struttura sociale può essere gestita da forme diverse di organizzazione: dalla
monarchia o governo di uno solo; dall'oligarchia o governo dei pochi migliori; dalla
democrazia o governo di tutti! La scelta del tipo di reggimento dipende dalla
popolazione ma anche dal periodo storico. Comunque Aristotele, in modo non troppo
velato, mostra una maggiore simpatia verso la monarchia illuminata, il governo di un
solo uomo preparato a tale compito ed illuminato culturalmente.
E' poco favorevole invece alla democrazia perché lo ritiene un sistema “debole”. Il
popolo infatti è facilmente influenzabile e di umore mutevole per cui è difficile
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governare in modo stabile una società attraverso le scelte del popolo. La razionalità
alla quale deve essere improntata l'azione politica è di difficile attuazione quando
molti debbono decidere ed i loro umori sono cangianti. Tuttavia anche la monarchia
può degenerare nella tirannide. Insomma ogni sistema politico ha il suo punto debole.
La democrazia, nelle sue forme più o meno dirette, è un sistema che permette la
mediazione in modo più generale: tuttavia l'eccesso di frammentazione della
rappresentanza provoca dei problemi non piccoli per la gestione sociale. Accontentare
tutti non è possibile e di conseguenza vi sarà una minoranza, o più minoranze, che
resteranno escluse dalla mediazione stessa. Insomma le forme di democrazia
rappresentativa lasciano fuori delle minoranze che non vengono rappresentate e
restano escluse.
Dunque anche la democrazia, o governo del popolo, non permette a tutti di potere
partecipare alla conduzione della società secondo una propria ottica di interessi e di
sviluppo sociale. In ogni caso le buone leggi ed il loro rispetto garantiscono il buon
governo della società, cioè un buon livello di mediazione nel quale tutti, o quasi tutti,
possono esprimere il consenso. Forse il segreto della politica è quello di accontentare
le esigenze di tutte le categorie dei cittadini. E fu quello che cercò di fare Solone
assumendo il titolo di “mediatore” accanto a quello di “arconte”. Buone leggi, tutela
per i vari e diversi gruppi sociali, sono il senso finale di ogni sistema politico!
Dobbiamo comunque considerare che in tale operazione alcuni resteranno esclusi e
non tutte le rivendicazioni soggettive potranno essere accettate. L'importante è non
creare delle separazioni molto nette che darebbero origine a fenomeni di
frammentazione e di entropia del tessuto sociale.
Come abbiamo già sottolineato gli uomini stanno insieme se lo vogliono e lo
desiderano, cioè se vedono tutelati i propri interessi e se hanno interessi comuni e
traggono beneficio dal loro stare insieme. Diversamente nessuno può obbligarli a
stare insieme. La politica in ultima analisi è tale tecnica per tenere insieme persone
diverse tra loro ed aiutarle a trovare interessi e convenienze comuni. Per la capacità di
creare questa volontà comune la politica è importante e dobbiamo prendercene cura.
Come fece per primo Solone.
Serafino Busacca
insegnante di Filosofia e Scienze dell'Educazione
nell'Istituto Lombardo Radice di Catania.
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