La Rivoluzione russa La Russia zarista Testo 1. Un impero multinazionale sterminato; una popolazione contadina molto povera. Foto 1: Contadini russi L'impero russo era lo stato più vasto del mondo. Si estendeva dalle coste del mar Baltico fino all'oceano Pacifico e comprendeva popoli appartenenti a più di cento nazionalità diverse, con differenti lingue e culture. Il paese era quasi totalmente agricolo. La terra apparteneva agli zar e a un piccolo numero di nobili proprietari; milioni (i nove decimi della popolazione) erano i contadini che la coltivavano. Per gran parte del XIX secolo i contadini russi furono servi della gleba, legati come proprietà (allo stesso modo degli altri elementi della proprietà, casa, attrezzi e animali) alla terra e al padrone per tutta la vita, privi di diritti e costretti a un'esistenza miserabile. Neppure l'abolizione della servitù della gleba, la riforma agraria fatta dallo zar Alessandro II nel 1861 riuscì a migliorarne le condizioni. I contadini ottennero nel 1861 la libertà, ma la terra loro assegnata fu scarsa e sterile o costava troppo cara, perché potessero acquistarla. Solo i contadini più agiati (i kulaki) che erano riusciti a mettere da parte qualche risparmio, trassero vantaggio dalla riforma. Ma i kulaki erano una minoranza. Gli altri contadini, ridotti al rango di lavoratori a giornata e spesso disoccupati, nella maggior parte furono più oppressi e più miseri di prima. La Rivoluzione russa Testo 2. L’autocrazia dello Zar Nicola II La Russia era un'autocrazia, cioè una monarchia assoluta il cui sovrano aveva un potere senza limiti. Non esistevano né costituzione, né parlamento, né partiti politici. Nella seconda metà del XIX secolo si formarono, fra gli studenti e gli intellettuali delle città, gruppi di opposizione al regime zarista, come i populisti, che si misero al servizio delle masse contadine, per soccorrerle e istruirle. Più tardi, quando il movimento acquistò un carattere rivoluzionario, le incitarono alla rivolta. Gruppi clandestini di populisti e di anarchici organizzarono attentati e azioni terroristiche, con lo scopo di abbattere l'autocrazia zarista. Di un attentato fu vittima, nel 1881, lo stesso zar Alessandro Il. Figura 2: L'assassinio di Alessandro II La Rivoluzione russa I successori di Alessandro II, gli zar Alessandro III e Nicola II, furono di tendenze reazionarie: si opposero, cioè, a qualunque concessione di maggiori diritti alle classi popolari. Temendo nuovi attentati terroristici, essi tentarono di indirizzare il malcontento popolare contro gli ebrei, accusati di essere la causa prima della miseria del paese. Fu quello il periodo dei pogrom, le sommosse antisemite tollerate o assecondate dalle autorità. La Russia, intanto, cominciò a muovere i primi passi sulla via dei l'industrializzazione. Sorsero, infatti, a Mosca, a San Pietroburgo, a Baku sul mar Nero, industrie che sfruttavano la grande disponibilità di manodopera e le abbondanti risorse di ferro, carbone, petrolio del territorio. Ma nel complesso l'industrializzazione rimase limitata. Mancavano, infatti, i capitali e fu necessario ricorrere ad investimenti stranieri (francesi e belgi soprattutto) per costruire fabbriche e ferrovie. Proprio per raccogliere capitali il governo russo decise di vendere agli Stati Uniti nel 1867 la penisola dell'Alaska. Inoltre, il mercato interno russo fu sempre debole: a causa della povertà della popolazione i compratori erano pochi e avevano poco denaro da spendere. Perciò, fin dall'inizio, la Russia puntò sull'espansione coloniale, che, con la conquista, apriva l'accesso a più vasti mercati. La Rivoluzione russa La guerra russo-giapponese e la rivoluzione del 1905 Testo 1. L’espansione coloniale russa. Già da tempo gli zar si erano impadroniti dei vasti e spopolati territori della Siberia, che erano divenuti mèta, nella seconda metà dell'Ottocento, di ripetute ondate di emigrazione contadina (dalla Russia, dall'Ucraina e dalla Bielorussia), spinte dalla miseria e dalle carestie. Fra il 1860 e il 1870 l'impero russo si era esteso a sud, annettendosi le regioni di Taskent, Bukhara e Samarcanda. Le grandi distese di campi coltivati a cotone di quelle regioni asiatiche da allora in poi rifornirono le industrie tessili della Russia europea di abbondante materia prima venduta a buon prezzo. Nel 1860 fu fondata, sul Pacifico, una città dal nome significativo di Vladivostok («dominatrice dell'Oriente»), che nel 1903, quando fu inaugurata la ferrovia transiberiana, ne diventò il capolinea estremo orientale. Nel 1898 fu occupato Port Arthur, in territorio cinese, poi tutta la Manciuria. L'espansione verso l'oceano Pacifico portò la Russia allo scontro con il Giappone (Guerra russo-giapponese del 1904-1905). La guerra si risolse in un disastro per la Russia, clamorosamente sconfitta dai Giapponesi per terra (a Port Arthur) e per mare (battaglia delle isole Tsushima). Fu la prima guerra vinta da uno stato asiatico contro uno stato europeo: essa rivelò al mondo la debolezza dell'impero russo, vero «gigante dai piedi d'argilla». Nello stesso tempo il Giappone si affermò come una nuova grande potenza militare. Testo 2. La domenica di sangue e la rivoluzione del 1905. Lo scoppio nel 1904 della guerra col Giappone, provocò fra l’altro un brusco aumento dei prezzi che fece immediatamente salire la tensione sociale. In una domenica di gennaio del 1905, a Pietroburgo, un corteo di 150.000 persone che si dirigeva verso il Palazzo d’Inverno, residenza dello zar, per presentare al sovrano una petizione ( vi si chiedeva maggiori libertà politiche e interventi atti ad alleviare il disagio delle classo popolari) fu accolto a fucilate dall’esercito: i morti furono più di cento e oltre duemila feriti. La brutale repressione della “domenica di sangue” scatenò in tutto il paese delle vere e proprie sommosse. Fra la primavera e l’autunno del 1905, la Russia visse in uno stato di semianarchia. Di fronte alla crisi dei poteri costituiti – incapaci di riportare l’ordine, anche perché il grosso dell’esercito era impegnato in Estremo Oriente, a migliaia di chilometri del territorio russo – sorsero spontaneamente in molti centri nuovi organismi rivoluzionari, i soviet (termine russo che significa “consigli”), cioè rappresentanze popolari elette sui luoghi di lavoro. Il più importante di questi soviet, quello di Pietroburgo esercitò un notevole potere in tutta la Russia. In ottobre lo zar parve cedere e promise libertà politiche e istituzioni rappresentative. Ma con la fine della guerra con il Giappone e il rientro delle truppe del fronte, lo zar fece arrestare quasi tutti i membri del soviet di Pietroburgo e schiacciò con durezza le rivolte successivamente scoppiate nella capitale e a Mosca. Una volta ristabilito l’ordine restava come unico risultato del moto rivoluzionario, l’impegno dello zar di convocare un’assemblea rappresentativa , la Duma. La Rivoluzione russa Eletta nel 1906, a suffragio universale ma con un complicato sistema che privilegiava i proprietari terrieri, la prima Duma risultò ugualmente un ostacolo sulla via della restaurazione assolutista e fu sciolta dallo zar Nicola II dopo poche settimane. Il governo modificò la legge elettorale in senso classista (il voto di un grande proprietario contava cinquecento volte quello di un operaio) e poté finalmente disporre di un’assemblea più docile, composta in gran parte da aristocratici. Con questo colpo di mano, gli strascichi della rivoluzione del 1905 potevano considerarsi liquidati e la Russia tornava ad essere un regime sostanzialmente assolutista. Figura 3: La repressione del 1905 Figura 4: La convocazione di un Soviet in una fabbrica La Rivoluzione russa LE RIVOLUZIONI DI FEBBRAIO E DI OTTOBRE 1917 Vladimir Lenin Trotzkij Testo1. La rivoluzione di febbraio 1917 Quando nel febbraio 1917 il regime zarista fu abbattuto dalla rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado (vedi dispensa 1° Guerra Mondiale), si formò un governo provvisorio di orientamento liberale guidato da Aleksandr Karenskij. Facevano parte del governo i gruppi liberal-moderati, i cosiddetti cadetti, vi erano poi i menscevichi che si ispiravano ai modelli della socialdemocrazia europea e i socialisti rivoluzionari. Gli unici a rifiutare ogni partecipazione al potere furono i bolscevichi convinti che solo la classe operaia, alleata agli strati più poveri della masse rurali, avrebbero potuto assumere la guida della trasformazione del paese. Al potere “legale” del governo si era subito affiancato il potere di fatto dei soviet, soprattutto di quello della capitale, che agiva come una specie di parlamento proletario, emanando ordini spesso in contrasto con le disposizioni governative. Questa era la situazione nell’aprile del ’17, quando Lenin, leader dei bolscevichi, rientrò in Russia dalla Svizzera. Non appena giunto a Pietrogrado, Lenin diffuse un documento in dieci punti - le cosiddette “tesi di aprile” – in cui rovesciava la teoria marxista, secondo cui la rivoluzione proletaria sarebbe scoppiata prima nei paesi più sviluppati. Secondo Lenin era invece la Russia in quanto <anello più debole> della catena imperialista, a offrire le condizioni più favorevoli per la messa in crisi del sistema. L’obiettivo era quello di conquistare la maggioranza nei soviet e di lanciare le parole d’ordine della pace, della terra ai contadini poveri, del controllo sociale della produzione da parte dei consigli operai. Testo 2 La rivoluzione d’ottobre 1917 La decisione di rovesciare con forza il governo Karenskij fu presa dai bolscevichi il 23 ottobre 1917, in una drammatica riunione di partito nella quale Lenin dovette superare forti opposizioni fra i suoi stessi compagni. In questo progetto Lenin fu comunque appoggiato da un altro leader politico, Trotzkij che fu il vero organizzatore e mente militare dell’insurrezione. Il 25 ottobre 1917 soldati rivoluzionari e guardi rosse (ossia milizie operaie armate), circondarono e isolarono il Palazzo d’Inverno, già residenza dello zar, e ora sede del governo provvisorio, e se ne impadronirono la sera stessa dando vita a un governo rivoluzionario, composto esclusivamente da bolscevichi e di cui Lenin era presidente. La Rivoluzione russa Testo 3 Dittatura e guerra civile Se era stato relativamente facile per i bolscevichi impadronirsi del potere, molto più difficile era gestire questo potere, di amministrare un paese immenso. Un compito reso più difficile dal fatto che i bolscevichi non potevano contare né sull’appoggio delle altre forze politiche né sulla collaborazione degli strati sociali più elevati: ufficiali, tecnici, imprenditori e intellettuali abbandonarono il paese, assieme a numerosi esponenti dell’aristocrazia, dando vita al più imponente fenomeno di emigrazione politica mai verificatosi fin allora. Convinti di poter conquistare in tempi brevi l’appoggio delle masse popolari, i leader bolscevichi speravano di poter procedere rapidamente alla costruzione di un nuovo Stato proletario. Secondo Lenin nella società socialista non vi sarebbe stato bisogno di parlamenti e di magistratura, di eserciti e di burocrazia ma le masse stesse si sarebbero autogovernate secondo i principi di democrazia diretta sperimentati dai soviet. Per quanto concerne il conflitto mondiale in corso, Lenin decise di firmare una pace separata con la Germania il 3 marzo 1918. Gravissime furono le conseguenze del trattato a livello dei rapporti internazionali. Le potenze dell’Intesa, considerarono la pace di Brest-Litovsk come un tradimento e in risposta cominciarono ad appoggiare le forze antibolsceviche. Fra la primavera e l’estate del 1918 si ebbero sbarchi di truppe anglo-francesi nel nord della Russia e sul mar Nero mentre reparti statunitensi e giapponesi penetravano nella Siberia orientale. L’arrivo dei contingenti stranieri servì a rafforzare l’opposizione al governo bolscevico – soprattutto quella dei monarchico-conservatori, i cosiddetti bianchi – e ad alimentare la guerra civile in diverse zone del paese. Fu in questo contesto che lo zar e tutta la sua famiglia, prigionieri nella città di Ekaterinenburg, furono giustiziati per ordine del soviet locale nel timore che fossero liberati dai controrivoluzionari. La gravità della situazione spinse i bolscevichi ad instaurare una vera e propria dittatura. Nel 1918 tutti i partiti d’opposizione vennero messi fuori legge e fu reintrodotta la pena di morte che era stata abolita subito dopo la rivoluzione d’ottobre. Lo zar Nicola II e la sua famiglia La Rivoluzione russa POLITICA ECONOMICA Testo1. Il comunismo di guerra Il governo bolscevico cercò di attuare in campo economico una politica autoritaria, che fu poi definita con il termine di comunismo di guerra. Si cercò innanzitutto di risolvere il problema più urgente cioè quello degli approvvigionamenti alle città, dove la fame si faceva sentire in modo sempre più drammatico. Per questo furono istituiti in tutti i centri rurali dei comitati col compito di provvedere all’ammasso e alla distribuzione delle derrate. Fu incoraggiata, senza molto successo, la formazione delle cosiddette “fattorie collettive” (kolchoz) e furono anche istituite le “fattorie sovietiche” (sovchoz) gestite direttamente dallo Stato. In campo industriale il comunismo di guerra portò alla statizzazione dell’industria. Il comunismo di guerra fu un vero e proprio fallimento. Alla fine del 1920 il volume della produzione industriale era ben sette volte inferiore a quello del 1913. Per tale motivo si scelse di mettere da parte l’economia di guerra e si preferì una parziale liberalizzazione nella produzione e negli scambi. Testo 2. La nuova politica economica, NEP La nuova politica economica, NEP, aveva come obiettivo principale quello di stimolare la produzione agricola e di favorire l’afflusso dei generi alimentari verso le città. Ai contadini si permetteva di vendere sul mercato le eventuali eccedenze, una volta che avessero consegnato agli organi statali una quota fissa dei raccolta. La liberalizzazione si estese anche al commercio e alla piccola industria produttrice di beni di consumo. La NEP ebbe conseguenze benefiche sull’economia ma produsse effetti sociali non previsti né desiderati dai suoi promotori. Nelle campagne riemerse il ceto dei contadini ricchi (i Kulaki), che giunsero in breve tempo a controllare il mercato agricolo. La liberalizzazione del commercio provocò la comparsa di una nuova classe di trafficanti la cui ricchezza contrastava col basso tenore di vita della maggioranza della popolazione. La grande industria di Stato però stentava a riprendersi e non era in grado di dare lavoro a tutti quelli che ne avevano bisogno. Nelle città cresceva il numero dei disoccupati. Ma anche per i lavoratori occupai la vita non era facile. I salari erano in genere piuttosto bassi. Proprio la classe operaia, protagonista della rivoluzione e principale sostegno del regime comunista, risultò così la maggiore sacrificata dalle scelte della NEP.