Molto si è scritto sui momenti di panico e di isteria

Molto si è scritto sui momenti di panico e di isteria
collettiva….ma una cosa è certa, che in particolari
momenti una quantità di gente stupida dispone di stupido
denaro in quantità…. Di tanto in tanto…il denaro di queste
persone….cerca qualcuno da divorare, ed è “pletora”; ne
trova alcuni, ed è la “speculazione”; viene divorato ed è “panico”
Walter Bagehot, 1873
1
Introduzione
In questa trattazione si intendono analizzare le valutazioni delle economie
dei paesi da parte delle agenzie di rating. In altre parole, si cerca di individuare i
criteri fattuali per la stima del cosiddetto “rischio paese”. Più specificatamente,
l’obiettivo di questa trattazione è di individuare se quella stima fa riferimento a
tutti gli elementi che sono considerati “fondamentali” nella valutazione del
sistema economico, quali, ad esempio, la crescita del prodotto interno lordo, la
disoccupazione, il tasso di inflazione, o se invece si enfatizzano gli elementi che
più possono incentivare comportamenti speculativi.
Nel primo capitolo vengono illustrati gli aspetti teorici riguardanti le
agenzie di rating per la valutazione del rischio obbligazionario. In questa parte
viene illustrata l'origine di dette agenzie che nascono nei primi anni del 1900 per
far fronte all'accumulazione di capitale per investimenti in infrastrutture negli
USA. La ragione di fondo consiste nella riduzione delle consistenti asimmetrie
informative a sfavore dei potenziali investitori. Ogni giudizio dell’agenzia
rappresenta una misura relativa del rischio di default (insolvenza), inteso come
incapacità tecnica di un'emittente di rispettare le clausole contrattuali previste dal
regolamento del finanziamento. Nella storia secolo del secolo appena scorso, è
stato centrale il contributo delle agenzie per incentivare gli investitori a
sottoscrivere le azioni di aziende e i titoli di stato.
All'interno di questa prima parte viene descritta, inoltre, l'evoluzione
storica e normativa delle agenzie e il determinarsi dell'oligopolio di Standard &
Poor's, Moody's e Fitch nel mercato del rating. Ciò che emerge dalla trattazione è
un forte collegamento storico tra lo sviluppo del fenomeno rating e le crisi
finanziarie che hanno colpito le economie occidentali durante il periodo che va
dagli anni successivi alla Grande Crisi del 1929 fino all'attuale crisi dei debiti
sovrani nell'Unione Europea. E' possibile notare, infatti, che i regolatori hanno
sentito l'esigenza di riformare la disciplina ogni qual volta le economie occidentali
sono state colpite da crisi: ciò è successo successivamente sia alle crisi del '29, sia
degli anni Settanta, ed ai fallimenti di Enron e Wordcom agli inizi del nuovo
millennio e, ancora, recentemente, dopo la crisi dei mutui sub-prime.
All'interno del primo capitolo ci si soffermati più in specifico sulla recente
crisi dei mutui che ha colpito gli Stati Uniti d’America nel 2008 e che ha avuto tra
gli attori protagonisti le agenzie di rating. La classe politica statunitense si è
2
trovata costretta, a fronte della crisi, a istituire la Financial Crisis Inquiry
Commission, una specifica commissione di inchiesta per esaminare le cause della
crisi finanziaria. Il report della Commissione ha al suo interno una approfondita
sezione sul ruolo che le agenzie di rating hanno avuto durante la crisi: nel
documento finale l'azione delle agenzie viene considerata concausa dello scoppio
della bolla immobiliare. L'ultima parte del capitolo mostra la struttura delle tre
agenzie: ciò che emerge è una forte presenza dei fondi di investimento che hanno
quote di azioni molto rilevanti all'interno di S&P e Moody's (agenzie quotate);
Fich non è quotata ma appartiene per il 60% ad una società specializzata nel
campo finanziario e immobiliare e per il 40% ad un importante gruppo editoriale
americano.
Nella seconda parte della trattazione viene illustrata la relazione che
intercorre tra la valutazione delle agenzie di rating e le variabili macroeconomiche
e ci si sofferma più in specifico sul “rischio paese”.
Dopo aver definito di “rischio paese” e le sue implicazioni reali sulle
economie degli stati, vengono illustrate le modalità di elaborazione del Country
Credit Rating : le agenzie descrivono in grandi linee il processo di elaborazione
del rating, ma non sono noti né i modelli matematici utilizzati per combinare le
variabili né i pesi attribuiti alle stesse. Il lavoro prova, quindi, ad estrapolare ex
post, attraverso l'utilizzo della regressione semplice, il modello di elaborazione
adottato da Moody's. Si è scelto quindi di analizzare il peso, a posteriori, che
assumono alcune variabili (debito/pil, tasso di disoccupazione, livello di
esportazioni in relazione al pil, tasso di crescita del pil, deficit/pil e la dummy
relativa alle elezioni) sulla variabile dipendente “rating”. Si è deciso di osservare
anche la variabile ELECTIONS poiché sono le stesse agenzie a ritenere
importante, per la valutazione del rischio di insolvenza dei titoli sovrani, la
stabilità politica. Nonostante il secondo capitolo affronti la dinamica dell'attuale
crisi dei debiti sovrani in UE, si è preferito analizzare un periodo differente, non
caratterizzato da turbolenze finanziarie così rilevanti come quelle successive alla
crisi del 2008. E' stato, quindi, analizzato il peso che le diverse variabili hanno sul
rating emesso da Moody's per il periodo 1995-2001 rispetto a questi paesi: Belgio,
Danimarca, Spagna, Finlandia, Irlanda, Italia, Portogallo, Slovenia e Svezia.
Bisogna sottolineare la difficoltà incontrata nella raccolta dei dati relativi al credit
rating, visto che le agenzie non sono solite renderli pubblici. La scelta dei paesi
analizzati ha a che fare infatti anche con questo limite incontrato.
3
Sono stati effettuati due diversi schemi: il primo con 56 osservazioni panel
ad effetti fissi osservando, oltre alle altre, la variabile debito/pil e il secondo con
54 osservazioni panel ad effetti fissi sostituendo la variabile debito con la
variabile deficit/pil. La non simultanea considerazione delle due variabili è dovuta
alla loro multicollinearità.
Successivamente all'analisi dei dati ci si è soffermati sulla relazione
esistente tra il credit risk, lo spread e le variabili macroeconomiche. Prendendo
spunto da un recente studio della Banca d'Italia 1 si è notato come, specie durante
la fase attuale, la determinazione dei tassi di rendimento dei titoli di stato ha a che
fare con la percezione degli investitori rispetto al futuro dell'area euro più che il
risultato di una analisi razionale sulle variabili macroeconomiche degli stati.
L'aumento dello spread dei paesi definiti PIIGS è infatti spiegato in questa
trattazione come un fenomeno che riguarda l'avversione al rischio da parte degli
investitori e, quindi dal ruolo di safe haven acquisito dalla Germania. Un
elemento, che è stato inoltre rimarcato, riguarda gli effetti che l'avversione al
rischio produce sulle stesse variabili macroeconomiche degli stati colpiti dalla
crisi dei debiti sovrani. La crisi del debito, scoppiata in Grecia nel 2009, risulta
essere una crisi reale, mentre le turbolenze sul mercato dei titoli dei debiti sovrani
che stanno colpendo Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia sono il frutto dell'effetto
contagio scaturito da una sorta di panico degli investitori. Ciò ha fatto si che gli
stati, per assicurarsi l’allocazione del proprio titolo sovrano, hanno dovuto
promettere rendimenti che coprissero il crescente rischio avvertito dagli investitori
e segnalato dalle agenzie di rating. Ne discende un aumento della spesa per
interessi (servizio del debito) che i PIIGS si sono trovati a dover sopportare. Tutto
ciò ha comportato un peggioramento reale delle finanze pubbliche degli stati
cosiddetti periferici. Elemento che gioca, inoltre, un ruolo importante nella
determinazione dei tassi di rendimento e, quindi, nell'aumento dello spread tra i
titoli dei PIIGS e i bund tedeschi, è l'effetto negativo ulteriore provocato
dall'annuncio di downgrade da parte delle agenzie.
La tesi si conclude con un doveroso richiamo a tre studiosi della crisi
finanziaria, poichè le loro analisi, come è noto, hanno ben descritto il
collegamento tra le crisi finanziarie e il comportamento degli operatori nel sistema
capitalistico. Si tratta, in ordine cronologico, degli studi di Merton, Keynes e
1 A. Di Cesare, G. Grande, M. Manna e M. Taboga, Recent estimates of sovereign risk premia
for euro-area countries, in Questioni di Economia e Finanza (Occasional Paper), number 128,
Banca d'Italia, september 2012
4
Minsky.
Secondo noi, da questi tre autori, discende l’osservazione della necessità di
ridisegnare le regole dei mercati finanziari in ambito globale. In altre parole,
anche nella attuale crisi, forse più che nelle passate, si osserva, con Keynes, che
“se piove a New York, qualcuno apre l’ombrello a Londra”e bisogna fare in modo
che le regole di protezione dai temporali siano generali e, quindi, da tutti
condivise.
5
Capitolo 1. Il fenomeno rating
1. L'origine del fenomeno
La storia delle agenzie di rating inizia durante i primi anni del Novecento
con lo svilupparsi del mercato finanziario moderno negli Stati Uniti. Come è noto,
con l'avanzata dello sviluppo industriale la priorità diviene recuperare capitali per
la costruzione delle infrastrutture necessarie a supportare tale processo. L'ingente
fabbisogno di capitali da parte delle aziende, tuttavia, superava nettamente la
capacità di finanziamento di azionisti e banche. Tale necessità venne soddisfatta
con l'emissione di obbligazioni private. L'ostacolo principale incontrato dalla
diffusione di queste obbligazioni era, ed è, rappresentato dalle asimmetrie
informative, le quali rendono difficoltosa l'acquisizione della fiducia degli
investitori riguardo alla sicurezza e alla redditività dei progetti di investimento.
E' proprio la transizione da un sistema finanziario basato sulle banche ad uno
basato sui mercati finanziari che alimentò l'esigenza di ottenere informazioni sugli
operatori del mercato.
Queste esigenze vennero soddisfatte inizialmente attraverso tre modi:
−
le credit reporting agencies: la prima di queste agenzie
nasce nel 1841 (la Mercantile Agency) con lo scopo di raccogliere e
vendere informazioni commerciali ai sottoscrittori. Questa agenzia verrà
incorporata poi da Moody's Investors Service nel 1962;
−
la stampa specializzata economico – finanziaria: già nel
1832 tutte le informazioni relative al settore ferroviario venivano
pubblicate sulla rivista specializzata “The American Railroad Journal”.
Successivamente Henry Varnum Poor e suo figlio cominciarono a
pubblicare il Poor's Manual of the Railroad of the United States che per
decenni è stata riconosciuta come pubblicazione autorevole e affidabile
fino a quando l'impresa di Poor, nel 1916, pubblicò il suo primo rating .
2
−
Prima del 1909, data in cui Moody's pubblicò il primo
rating della storia, gli investitori ottenevano informazioni sulle
2 Nel 1941 l'impresa si fonde con Standard Statistics e nasce Standard & Poor's. S&P viene
rilevata, durante gli anni Settanda, dal gruppo editoriale McGraw-Hill.
6
obbligazioni da acquistare direttamente presso le banche d'investimento.
Difatti questi soggetti, sottoscrivendo, acquistando e distribuendo titoli,
avevano interesse a mantenere la loro credibilità e reputazione.
L'ascesa delle agenzie di rating ha luogo durante i primi anni del
Novecento. John Moody nel 1900 pubblica, con la sua società John Moody &
Company, The Manual of industrial securities: il manuale forniva informazioni e
statistiche su titoli obbligazionari e imprese. Ma è nel 1909 che Moody presenta al
mercato finanziario una idea innovativa: anziché raccogliere semplicemente
informazioni sulla proprietà, la capitalizzazione e la gestione delle imprese,
inventa il rating, inteso come giudizio sintetico sulla sicurezza dei titoli azionari. I
primi lavori riguardano le emissioni obbligazionarie e i profili delle società
ferroviarie negli Stati Uniti. Nel 1916 si aggiunse la Poor's Publishing Company,
seguita dalla Standard Statistic Company nel 1922 e dalla Fitch Publishing
Company nel 1924. Poor's e Standards si fusero nel 1941 per poi essere
incorporate nella McGraw-Hill nel 1966.
2. Valutazione degli investimenti e asimmetrie informative
La valutazione corretta delle attività finanziarie, com'è noto, è
rappresentata dal valore attuale scontato del flusso di profitti futuri attesi, tenendo
conto delle informazioni disponibili; in un mercato efficiente il prezzo di mercato
di ciascuna attività dovrebbe eguagliare tale valore . Il mercato di capitali è
teoricamente efficiente se i prezzi e i rendimenti sono il risultato della legge della
domanda e dell'offerta in un mercato competitivo in cui agiscono operatori
razionali.
3
Nella realtà gli operatori finanziari non posseggono tutte le informazioni: il
più delle volte, infatti, gli emittenti dispongono di un vantaggio informativo.
Esistono due tipi di asimmetria informativa4: la selezione avversa e il rischio
morale. La selezione avversa si verifica prima che si instauri il rapporto tra
3
4
G. Ferri, P. Lucitignola, Le agenzie di rating. 2009. Il Mulino (pag. 75)
G. A. Akerlof, The Market for "Lemons": Quality Uncertainty and the Market Mechanis, The
Quarterly Journal of Economics, Vol. 84, No. 3. (Aug., 1970)
7
emittente ed investitore, per cui quest'ultimo non è in grado di conoscere la
solvibilità del primo prima che si ponga in essere la relazione di credito. La
conseguenza è che il tasso di interesse che si determina risulta essere molto alto,
per cui, nel breve periodo, riescono a rimanere nel mercato solo quegli emittenti
ad alta probabilità di insolvenza. Nel lungo periodo può verificarsi un
deterioramento dello standard qualitativo del mercato. Il moral hazard, invece, si
verifica successivamente all'instaurarsi del rapporto emittente-investitore:
l'emittente, sfruttando il vantaggio informativo, può comportarsi diversamente da
quanto pattuito precedentemente (bisogna infatti considerare che il merito di
credito non è facilmente monitorabile in maniera continuativa da parte
dell'investitore).
Il ruolo delle agenzie di rating è quello di eliminare, o almeno attenuare, le
asimmetrie informative riguardanti il valore dei flussi di reddito derivanti dalle
attività finanziare e di disincentivare, con il loro giudizio, i comportamenti
opportunistici degli emittenti.
3. Definizione di rating
Il rating, secondo la definizione di Standard & Poor's, è <<un'opinione sul
merito di credito complessivo del debitore (issuer rating) oppure sul merito di
credito del debitore con riferimento ad una particolare obbligazione finanziaria
(issue rating)>>. Questa è invece la definizione data da Moody's: il rating è
<<un'opinione sulla capacità futura di un emittente di adempiere alle scadenze
prestabilite al pagamento del capitale e degli interessi relativi alla specifica
obbligazione>>.
Il rating sintetizza una vasta quantità di informazioni quantitative e
qualitative sul profilo di rischio in un valore alfanumerico. Le agenzie di rating
utilizzano scale differenti per il loro giudizi.
8
Tabella: Scale di rating utilizzate dalle agenzie di rating Standard & Poor's,
Moody's e Fitch. Fonte: Wikipedia
Ogni giudizio rappresenta una misura relativa del rischio di default
(insolvenza), inteso come incapacità tecnica di un'emittente di rispettare le
clausole contrattuali previste dal regolamento del finanziamento. In tutte le tre
scale i rating diversi dalla A vengono classificati come speculative grade mentre i
vari gradi di A vengono classificati come investment grade. A tali rating
corrispondono tassi di interesse diversi: più bassi per le obbligazioni considerate
investment grade e più elevati per i titoli speculative grade.
Secondo la definizione della Commissione Europea5, le agenzie di rating
sono imprese specializzate nella valutazione del rischio di credito. Esse esprimono
5 Comunicazione della Commissione europea 2006/C 59/02; Credit Rating Agency Act, 2006;
Amtenbrink e De Haan, 2009.
9
opinioni sul merito creditizio di emittenti, privati e pubblici, e di loro specifici
strumenti finanziari, manifestando così il proprio parere sull’eventualità che
l’emittente possa fallire o che non sia in grado – integralmente e puntualmente –
di pagare gli interessi e rimborsare i debiti contratti sotto forma di mutui,
obbligazioni e strumenti finanziari complessi (titoli strutturati).
La valutazione dell’affidabilità creditizia può riferirsi a differenti orizzonti
temporali. Oltre al giudizio emesso dall'agenzia successivamente alla richiesta
dell'emittente, quest'ultimo o il prodotto finanziario in questione continuano ad
essere monitorati dall'agenzia. Le agenzie possono avviare azioni di sorveglianza
a fronte di eventi significativi6 che possono migliorare o peggiorare il merito di
credito. Durante questo stato di riesame il rating è definito come in stato di watch
(sorveglianza) o di outlook (prospettiva). La differenza consiste nell'orizzonte
temporale in cui l'agenzia suppone possa verificarsi l'upgrade o il downgrade: se
l'ipotesi riguarda il breve periodo vi è lo stato di watch, altrimenti se si immagina
un cambiamento nel medio periodo il rating si trasforma in outlook.
4. Ascesa delle “three big”: Standard & Poor's, Moody's, Fitch
Standard's & Poor's, Moody's e Fitch rappresentano il 95% del mercato
della valutazione del rischio dei prodotti finanziari 7. Per capire l'esistenza di
questo oligopolio è necessario ripercorrere gli interventi legislativi riguardanti il
mercato finanziario degli USA.
Agli inizi del secolo scorso il modello di valutazione è del tipo investor
pays: gli investitori acquistano i manuali dalla agenzie di rating per valutare più
adeguatamente il livello di rischio del proprio investimento e il grado di solvibilità
delle società emittenti. Inizialmente l'utilizzo di questo servizio è limitato a
ristretti ambiti della finanza. E' solo con la crisi del 1929 e con la Grande
Depressione che diventa più urgente e sentita la necessità di saper valutare in
maniera equilibrata l'allocazione degli investimenti. E' proprio in questo periodo
che si sviluppa l'attività di rating vista la necessità, subito dopo lo scoppio della
6 Eventi imprevisti (ad esempio: fusione, ricapitalizzazione, privatizzazione di una impresa
pubblica) o variazioni significative della performance dell'emittente o del titolo valutato.
7 P. Gila, M. Miscali (2012), I signori del rating, Conflitti di interesse e relazioni pericolose
delle tre agenzie più temute dalla finanza globale. Pag 27 Bollati Boringhieri.
10
crisi del 29, di limitare gli investimenti rischiosi e a fini speculativi. Nel 1936 la
Security and Exchange Commission vieta alle banche di effettuare investimenti di
tipo “speculativo”: vengono così posti limiti all'acquisto di titoli non investment
grade secondo il giudizio emesso da parte di almeno due agenzie di rating. Le
banche sono tenute a seguire le indicazioni contenute nei recognized rating
manuals e non possono fare analisi in proprio da utilizzare per i loro investimenti.
Questo ha comportato che i giudizi delle agenzie di rating sono divenuti punti di
riferimento indispensabili per l'intero sistema finanziario e che il legislatore ha
legittimato il lavoro e l'ascesa delle agenzie. Per circa quarant'anni l'impostazione
legislativa è rimasta immutata e la conseguenza è stata che, successivamente
all'intervento della Sec, circa la metà delle emissioni obbligazionarie negli USA
non hanno raggiunto gli indispensabili parametri di classificazione nella categoria
di investment security. Come sottolineato da P. Gila e M. Miscali, questa
normativa è risultata non completa su molti ambiti, non definendo in maniera
chiara il concetto di rating e i suoi criteri di elaborazione e diffusione; la legge,
inoltre, non precisava le regole riguardanti l'organizzazione delle agenzie di
rating, la loro struttura e la loro attività.
La prima vera riforma arriva all'indomani delle crisi degli anni Settanta.
Legittimate ad emettere rating ritenuti validi dalle autorità divengono soltanto le
agenzie che rientrano nella definizione di Nationally Recognized Statistical
rating Organization (Nrsro) da parte della Sec8. I criteri riguardano la struttura
organizzativa delle agenzie, le loro risorse finanziarie, il grado di indipendenza
rispetto ai clienti e la reputazione di cui godono in ambito nazionale ed
internazionale. Anche questa riforma non è risultata completa, essendo imprecisa
e soggetta ad interpretazione. Proprio il criterio della good reputation ha
legittimato la presenza e il lavoro delle società già presenti sul mercato. Questo
criterio, unito a quello molto stringente delle risorse finanziarie possedute dalle
agenzie candidate ad essere Nrsro, hanno reso troppo oneroso l'ingresso di nuovi
soggetti rafforzando ulteriormente l'oligopolio esistente prima dell'intervento del
legislatore.
8 "Adoption of Amendments to Rule 15c3-1 and Adoption of Alternative Net Capital
Requirement for Certain Brokers and Dealers", Exchange Act Release 34-11497 of June 26,
1975; 40 FR 29795 of July 16, 1975
11
<<The United States can destroy you by dropping bombs, and
Moody's can destroy you by downgrading your bonds. And believe
me, it's no clear sometimes who's more powerful>>9.
Quattro sono gli aspetti che risultano decisivi per comprendere il ruolo indiscusso
conquistato dalle agenzie di rating nel mercato finanziario: lo status di Nrsro;
l'obbligo in capo agli intermediari di possedere un capitale minimo di vigilanza;
l'attribuzione del rating investment grade esclusivamente per quei titoli che
ricevono la valutazione da due agenzie individuate come Nrsro dalla Sec; il
passaggio da un modello di remunerazione investors-paid a un modello issuerspaid. Nel modello issuer-pay l’emittente (issuer) si rivolge ad una o più agenzie di
rating per ottenere la valutazione della propria affidabilità complessiva come
prenditore di fondi (rating dell’emittente), o della rischiosità di uno specifico
strumento finanziario che ha collocato o che intende collocare sul mercato (rating
dello strumento finanziario). L'emittente, quindi, paga un compenso all’agenzia di
rating (solitamente su base annuale) per il servizio offerto: in questo caso, quindi,
i ricavi dell’agenzia sono originati dalla cessione dei rating ai soggetti valutati.
Il modello di business issuer-pay si basa sul concorso dell'emittente durante il
lavoro di analisi dell'agenzia di rating.
<<Tale rapporto costituisce il punto di forza del modello, se
questo è applicato secondo correttezza e responsabilità, ma al tempo
stesso rischia di trasformarsi in un fattore di debolezza qualora
prevalgano pratiche collusive per effetto delle quali l’agenzia di rating
diffonde pareri eccessivamente positivi sul soggetto valutato, a fronte
di compensi diretti o indiretti (ad esempio, giustificati da attività di
consulenza) pagati da quest’ultimo.10>>
Il modello iusser-pay è stato spesso criticato dai regolatori vista la possibilità, da
parte dell'emittente richiedente il servizio, di nascondere informazioni che
potrebbero influenzare negativamente il giudizio finale espresso nel rating. Molti
osservatori si sono focalizzati sulla remunerazione dei servizi collaterali (quelli di
9 Thomas L. Freedman
10 F. Gennari, L. Bosetti, La governance delle agenzie di rating: prime considerazioni alla luce
delle riforme (pag.3). Dipartimento di economia aziendale, Università degli Studi di Brescia,
Paper n°111, dicembre 2010
12
consulenza): secondo alcuni potrebbe esistere un collegamento tra le grandi cifre
investite dagli emittenti per questi servizi e i giudizi positivi delle agenzie.
Col passare del tempo e a seguito della crescita economica delle tre agenzie di
rating è cresciuto il loro potere reputazionale: legislatori, operatori finanziari,
authority, investitori attribuiscono “fiducia” ai rating, considerati indici affidabili
di valutazione sulla solvibilità di stati sovrani, emittenti e prodotti finanziari.
Le agenzie di rating iniziano ad essere messe in discussione dopo gli scandali
Enron11 e Worldcom12: queste, infatti, hanno mantenuto inalterato il loro giudizio
fino a poche ore prima della dichiarazione di insolvenza.13
11 <<La Enron Corporation è stata una delle più grandi multinazionali statunitensi, operanti nel
campo dell’energia.>> (Fonte: Wikipedia) Enron, che dalla nascita nel 1985 con la fusione di
Houston Natural Gas ed Internorth, aveva conosciuto un’ascesa inarrestabile combinò allo
sviluppo produttivo svariate operazioni di stampo finanziario, transazioni che vedevano Enron
investire ingenti capitali nel mercato dei derivati (Enron aveva creato centinaia di societàveicolo: grazie al Gramm–Leach–Bliley Act del 1999 che permetteva, negli USA, di trattare le
operazioni di tali Special Purpose Entities come off-balance activities finché almeno il 3% del
capitale netto della SPE fosse detenuto da una società indipendente, Enron poteva escludere tali
società dal bilancio consolidato del gruppo); inoltre, la creazione di EnronOnline (commodity
trading platform) la compravendita di commodities, di contratti futures e forwards.
<<Nel 2001 la Enron improvvisamente fallisce. L’avvenimento giungeva del tutto inaspettato
poiché ufficialmente l’azienda negli ultimi 10 anni aveva avuto una crescita molto rapida,
decuplicando il proprio valore e raggiungendo il 7º posto nella classifica delle più importanti
multinazionali degli USA. Tuttavia nel giro di pochissimo tempo le azioni Enron, da tutti
considerate solidissime, hanno perso tutto il loro valore, passando dalla quotazione di 86
dollari a 26 centesimi, bruciando così circa 60 miliardi di dollari nel giro di tre mesi. >>
(Fonte: Wikipedia). I dirigenti della Enron sono stati condannati per falso in bilancio e frode
ficale.
12 Worldcom è una società di telecomunicazioni che nasce nel 1970, con sede nel Mississippi.
L’offerta di servizi Worldcom nel comparto Internet si estende in 65 paesi sparsi in sei continenti.
la societa’ ha incrementato le attivita’ Internet nel 2001, con l’acquisizione del provider telecom
Intermedia e Digex. Il 26 giugno 2002 il gruppo Worldcom ha ammesso di aver falsificato i propri
bilanci per un ammontare complessivo di 3,8 miliardi di dollari. La falsificazione dei bilanci aveva
come scopo quello di sotenere le quotazioni del titolo Worldcom. Dalle indagini è emersa
l'esistenza di 41 miliardi di dollari di debiti. <<Le irregolarità contabili sono emerse durante
un'ispezione interna. Scott Sullivan, il Direttore Finanziario, è stato licenziato. La SEC ha
contestato
formalmente alla WorldCom il reato di frode.>> (Corso di Sistemi e Controllo di
Gestione, prof. Lucio Cassia, Università degli Studi di Bergamo)
13 Il 9 novembre 2001 Standard & Poor's, nonostante le perdite continue cominciate nell'agosto
2000, mantiene il titolo Enron a livello BBB (il 3 dicembre Enron dichiara fallimento).
Moody's and Standard & Poor's mantengonbo inalterato il rating di Worldcom fino a 4 mesi
prima del fallimento.
13
5. Errori di valutazione delle agenzie di rating
Dall'inizio del nuovo millennio vari e importanti sono stati gli errori di
valutazione delle “three big14”, tra questi: Parmalat15 (2003), Lehman Brothers16 e
(2008), Fannie Mae17 (2008). In tutti questi casi le agenzie non hanno previsto e
saputo valutare la reale situazione di queste società e hanno emesso un rating che
ha portato gli investitori a continuare a investire su quei titoli. Dopo poco queste
società hanno dichiarato fallimento.
14 Le tre agenzie di rating in possesso del 95% del mercato della valutazione del rischio: Standard
& Poor's, Moody's, Fitch. (G. Pila, M.Miscali)
15 <<Il crac Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio
perpetrato da una società privata in Europa, la Parmalat. Fu scoperto solo verso la fine del
2003, nonostante successivamente sia stato dimostrato che le difficoltà finanziarie dell'azienda
fossero rilevabili già agli inizi degli anni novanta.
Il buco lasciato dalla società (...) mascherato dal falso in bilancio, si aggirava sui quattordici
miliardi di euro; al momento della scoperta se ne stimavano la metà. Con l'accusa di bancarotta
fraudolenta, è stato rinviato a giudizio e in seguito condannato a diciotto anni di reclusione il
proprietario della Parmalat, Calisto Tanzi, nonché numerosi suoi collaboratori tra dirigenti,
revisori dei conti e sindaci. >> (Wikipedia)
Durante le indagini sul caso Parmalat, i magistrati hanno messo in luce che il 15 novembre
2000 i due analisti di Standard & Poor's, De La Presle, e Dubois Pelerin, <<attraverso il
comunicato modificato su pressione di Barclays, disattendendo così il codice professionale di
S&P, fornivano al mercato informazioni non veritiere e comunque equivoche>> (G. Iozzi,
Crack Parmalat: storia di una truffa colossale, 24 aprile 2012, http://it.ibtimes.com/).
16 <<Lehman Brothers Holdings Inc., fondata nel 1850, era una società attiva nei servizi
finanziari a livello globale. La sua attività si concretizzava nell'investment banking, nell'equity
e fixed-income sales, nelle ricerche di mercato e nel trading, nell'investment management, nel
private equity e nel private banking. Era uno dei primari operatori del mercato dei titoli di stato
statunitense. (…) Nel 2008 Lehman ha affrontato una perdita senza precedenti per la
persistente crisi dei mutui subprime. Il 15 settembre 2008 l'indice Dow Jones ha chiuso in
ribasso di 500 punti.
(…) Il fallimento di Lehman è il più grande nella storia delle bancarotte mondiali. Lehman ha
superato infatti il crac di WorldCom. (...) Lehman ha un debito pari a circa 613 miliardi di
dollari.>>. (Wikipedia)
17 <<La Federal National Mortgage Association, nota comunemente come Fannie Mae, è una
government-sponsored enterprise (GSE) statunitense, impresa privata (ha lo status di public
company fin dal 1968) con supporto governativo.
L'azienda è specializzata nell'emissione di mutui ed è la prima entità per la loro rivendita nel
mercato secondario degli stessi. Fu fondata nel 1938 durante la Grande Depressione, come
parte del cosiddetto New Deal.>> (Wikipedia). <<Fannie e Freddie i mutui li comperano, li
assicurano, li impacchettano e li cartolarizzano, per poi rivenderli agli investitori sotto forma di
titoli: sono quindi al centro del meccanismo di credit crunch che ha messo in ginocchio i
mercati finanziari a partire dal mattine.>> (SCHEDA / Fannie Mae e Freddie Mac. Cosa sono?
www.ilsole24ore.com, 8 settembre 2008)
. Fannie Mae (insieme a Freddie Mac) vengono salvate dal governo americano nazionalizzate
nel 2008.
14
Dopo gli scandali Enron e Worldcom, nel 2006, durante la presidenza
Bush, viene emanato il Credit Rating Agency Reform Act (Crara). Il
provvedimento introduce una serie di innovazioni rispetto al Security and
Exchange Act del 1934: la definizione di credit rating, di credit rating agency e di
Nrsro nonché relativi poteri di controllo da parte della Sec. L'obiettivo della
riforma risiede nel rendere più trasparente, competitivo e meno soggetto a conflitti
di interesse il settore del rating. P. Gila e M. Miscali sottolineano i limiti di questa
riforma che non è riuscita a delimitare i poteri delle agenzie e a trovare un
meccanismo di responsabilità rispetto ai giudizi emessi: infatti, uno dei problemi
del provvedimento riguarda il potere di controllo Sec a cui è stato vietata
l'intromissione rispetto alle modalità di lavoro delle agenzie (divieto riguardante,
quindi, le procedure e i criteri di valutazione del rischio). Altro errore, secondo gli
autori, è stato quello di ritenere deterrente il concetto di reputazione: il legislatore
ha ritenuto che il valore reputazionale motivasse le agenzie ad agire con
efficienza, professionalità ed efficienza. Proprio il modello issuers-paid ha
accresciuto enormemente il potere economico delle tre agenzie di rating: nel caso
dei mutui sub-prime più i giudizi delle agenzie erano “elastici” più le società
emittenti erano spinte a pagare e richiedere maggiori servizi dalle “Three Big” per
ottenere una valutazione di affidabilità dei propri prodotti finanziari.
Successivamente allo scoppio della bolla immobiliare negli USA i dirigenti delle
agenzie di rating sono stati chiamati a spiegare davanti al Congresso americano le
motivazioni che risiedevano dietro ai giudizi investment grade dati a Lehman
Brothers, Freddie Mac, Fannie Mae e ai titoli riguardanti i mutui subprime. La
risposta degli esponenti delle tre agenzie fu la stessa: il rating è una “opinione”
autonoma sul rischio di default di emittenti e titoli. Qui emerge, come fanno
notare Gila e Miscali, uno dei più grandi problemi relativi al giudizio emesso dalle
agenzie: trattandosi di semplici “opinioni” le agenzie non sono responsabili
davanti alla legge degli errori di valutazione.
<<i loro (delle agenzie di rating) giudizi erano sempre stati
assimilati a “semplici opinioni” (…). Grazie a questa prerogativa i
giudizi, di fatto, non potevano incorrere in alcun tipo di attività
sanzionatoria, dal momento che il Primo Emendamento della
Costituzione americana garantisce – in maniera assoluta – la libertà di
opinione. Questo cavilloso paravento legale ha reso drammaticamente
15
impunibili le agenzie anche nel caso in cui le loro analisi fossero state
condotte senza la giusta diligenza e al di fuori del rispetto di regole
operative e deontologiche18>>.
Mancando una precisa formalizzazione/standardizzazione del concetto di
rating, dei criteri e delle modalità di generazione delle valutazioni sui prodotti
finanziari e non sussistendo, quindi, le basi per una azione giudiziaria, la norma
non ha potere deterrente rispetto ad analisi poco accurate o a eventuali conflitti di
interesse.
Nel 2008 lo scoppio della bolla immobiliare negli Usa è stato giudicato da
molti come un evento imprevisto ed imprevedibile19 nonostante l'esistenza della
complessa ingegneria finanziaria e il diffondersi capillare delle cartolarizzazioni.
Le agenzie di rating prima, dello scoppio della bolla, mentre i titoli (definiti solo
successivamente titoli tossici) venivano collocati in tutto il mondo da banche e
fondi di investimento, hanno dato alle obbligazioni della filiera dei sub-prime
giudizi da primato (AAA). In “I signori del rating” P. Gila e M. Miscali si
chiedono: <<Come è possibile che da “prestiti discutibili” si possa arrivare a
“obbligazioni massimamente affidabili”?>>. Bisogna, infatti, ricordare che il
fenomeno dei mutui sub-prime nasce proprio dalla facile elargizione di mutui a
soggetti rischiosi (NINJA: no income, no job, no assets).
6. Agenzie di rating e crisi dei mutui-subprime
L'evoluzione dei mercati finanziari e la conseguente crisi dei mutui subprime scoppiata negli USA nel 2008 mettono in luce non soltanto la fragilità
sistemica provocata dalla deregolamentazione finanziaria, ma anche il ruolo
centrale assunto dalle agenzie di rating nell'influenzare gli andamenti
macroeconomici. E' indispensabile, quindi, ripercorrere gli eventi che hanno
portato alla crisi del 2008 che ancora oggi, dopo quattro anni, manifesta le sue
conseguenze.
18 P. Gila, M. Miscali (2012), op. cit.
19 N. Nassim Taleb, Il cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita. 2008, Il Saggiatore
16
Nei primi anni del nuovo millennio i tassi di interesse erano molto bassi,
cosa che ha provocato un massiccio investimento privato nell’acquisto di
abitazioni. L’eccessiva domanda di case ha provocato l’aumento dei loro prezzi.
La bolla immobiliare ha avuto origine da due fenomeni in particolare: quello che
Krugman definisce <<esuberanza irrazionale20>> delle famiglie che hanno deciso
di investire nel mercato immobiliare senza preoccuparsi della loro capacità di
ripagare i mutui contratti e le nuove modalità di finanziamento dei mutui stessi. In
un momento in cui i prezzi delle abitazioni continuavano a salire, gli istituti
finanziari attivi nel settore immobiliare decisero di allargare il loro giro di affari
creando nuove modalità di concessione dei prestiti, offrendoli anche a mutuatari a
rischio (i cosiddetti prestiti ninja – no income, no job no assets, offerti a mutuatari
senza garanzie). Questi mutui erano stati concessi a tasso variabile: quando, tra la
fine del 2006 e l’inizio del 2007, i tassi d’interesse sono cresciuti, le rate dei mutui
si sono adattate a questo andamento ed è, così, salito il grado di morosità di chi
aveva contratto i debiti. Nel frattempo il numero dei nuovi mutui è sceso ed
essendo, quindi, diminuita la domanda nel mercato immobiliare, i prezzi delle
case hanno iniziato a scendere.
Il fenomeno dei mutui sub-prime è complesso: alle sue spalle vi è
l'esistenza di una architettura finanziaria che vede protagonisti vari soggetti, molto
spesso creati ad hoc. Uno di questi è rappresentato dalle SIV (special investment
vehicles), società appositamente costituite dagli istituti di credito specializzati
nella concessione di mutui e tenute, da questi, fuori bilancio. Alle SIV venivano
trasferiti pacchetti di mutui21. Questi ultimi rappresentavano l’attivo patrimoniale
delle SIV. Le SIV si sono poi indebitate emettendo titoli obbligazionari, i CDO 22 e
hanno utilizzato i soldi raccolti attraverso la vendita di questi titoli per pagare gli
istituti di credito, come controvalore dei mutui stessi. Per rendere più sicura
l’operazione, il prestito obbligazionario veniva diviso in più tranches: la parte
senior con la priorità nel diritto di rimborso e di pagamento delle cedole, altre con
diritto di rimborso subordinato alla prima. Le tranches senior ottenevano dalle
20 P. R. Krugman, Il ritorno dell'economia della depressione e la crisi del 2008. 2009. Garzanti
21 tecniche di bundling: impacchettamento di mutui diversi, venivano messi insieme mutui sicuri
insieme a mutui a rischio e questi pacchetti venivano trattati come un unico mutuo
22 CDO: innovazione finanziaria che ha reso possibile la cartolarizzazione dei mutui subprime. I
CDO offrivano quote di pagamenti di un pool di mutui. Non tutte le quote nascevano uguali:
c’erano infatti quelle “senior” che godevano del privilegio della precedenza nel pagamento dei
mutui (solo dopo la soddisfazione dei crediti privilegiati, venivano liquidati crediti di secondo e
terzo grado). A queste quote “sicure” le agenzie di rating davano un giudizio massimo (AAA).
17
agenzie di rating giudizi molto elevati (AAA); le tranches subordinate, essendo
più rischiose, avevano un rendimento molto più alto e venivano assorbite
soprattutto da fondi speculativi e dagli hedge funds. A volte le operazioni di
impacchettamento venivano ripetute creando CDO che contenevano più CDO.
Su questa base si era poi creata una complessa struttura di prodotti della
finanza derivata. Si diffondono specialmente i CDS (credit default swaps)23,
contratti di assicurazione sul rischio del mancato rimborso dei mutui, considerati
come contratti derivati e gestiti da società non sottoposte al vincolo di accantonare
riserve per la copertura del rischio. Molte di queste società (non avendo riserve)
sono fallite appena il rischio si è concretizzato: non hanno assolto, quindi, al loro
ruolo di “assicurazione”.
I finanziatori si sono lanciati senza troppe preoccupazioni nell’acquisto dei
titoli sub-prime basandosi sulla convinzione che i prezzi delle case avrebbero
continuato a lievitare e si sentivano rassicurati vedendo nelle eventuali ipoteche la
loro garanzia. I finanziatori, inoltre, non si preoccupavano della “qualità” di questi
mutui, non avendoli in portafoglio. Infatti le banche e il sistema di “banche
ombra”24 li vendevano ad investitori sotto forma di pacchetti azionari.
Ciò che ha trasmesso la “febbre” dalle società finanziarie a quelle non
finanziarie è stata la diffusione dell’opinione che le prime fossero in difficoltà:
una perdita di fiducia degli investitori ha fatto crollare la borsa, colpendo non
soltanto i titoli a fini speculativi ma anche le azioni di imprese produttive. Quella
che è iniziata come crisi di un comparto – la crisi dei mutui sub-prime – e che
molti ottimisticamente avevano giudicato come un problema circoscritto, in
pochissimo tempo si è diffusa, inquinando prima tutto il comparto del credito, poi
tutta la Borsa, riuscendo a travalicare il mondo della finanza e abbattendosi
23 Nati come strumenti di copertura del rischio di credito, i derivati hanno conosciuto una
espansione imponente negli ultimi anni, arrivando ad un valore equivalente a 4 volte il PIL USA.
24 “Nella relazione l’FSB definisce il sistema bancario ombra come il sistema di intermediazione
creditizia costituito da entità ed attività operanti al di fuori del normale sistema bancario. Questa
definizione implica che il sistema bancario ombra si basa su due pilastri strettamente correlati. In
primo luogo, le entità che operano al di fuori del normale sistema bancario e si occupano di una
delle seguenti attività: raccogliere finanziamenti con caratteristiche analoghe ai depositi;realizzare
la trasformazione delle scadenze e/o della liquidità; consentire il trasferimento del rischio di
credito; usare, direttamente o indirettamente, la leva finanziaria. In secondo luogo, le attività che
potrebbero rappresentare importanti fonti di finanziamento per le entità non bancarie, tra cui
cartolarizzazione, concessione di titoli in prestito e operazioni pronti contro termine.” Libro verde
Sistema Bancario Ombra, Commissione Europea, Bruxelles, 19.03.2012, COM(2012) 102 final
18
sull'economia reale. L’economia tutta è stata colpita, con ripercussioni fortissime
sull’occupazione e sulla produzione. Questo è successo perché, allorquando
iniziarono a fallire le banche d’investimento (le quali avevano i pacchetti azionari
che hanno avuto dei bruschi cali nelle quotazioni oppure i titoli derivati), chi
operava nel settore finanziario è stato portato a pensare che stavano per andare in
crisi anche le altre istituzioni finanziarie: così il credito interbancario si è bloccato
e sulla sua scia tutti i flussi di prestiti. In una situazione del genere anche chi ha
attivi solidi ma è carico di debiti - a breve e brevissimo termine - può incappare in
una crisi di liquidità divenendo insolvente verso i propri creditori. E’ stato
l’intervento delle maggiori banche mondiali, attraverso interventi di iniezioni di
liquidità, ad evitare il collasso di tutto il sistema.
Nel 1994 la Lehman Brothers inventa le auction – rate security: i
risparmiatori prestavano soldi a lungo termine all’istituzione finanziatrice (soldi
che potevano essere vincolati fino a 30 anni). Ad intervalli frequenti, però,
l’istituzione teneva un’asta in cui potenziali nuovi investitori si contendevano il
diritto di sostituire gli investitori che volevano uscire. Questo strumento sembrava
offrire condizioni migliori rispetto a quelle offerti dalle banche tradizionali (chi
investiva otteneva tassi più alti e chi finanziava pagava tassi più bassi). Questo era
possibile perché i tassi di rendimento erano determinati tramite asta e, soprattutto,
perché questi strumenti finanziari non erano coperti dalla rete di sicurezza e
controllo delle normali banche.
Il sistema crolla ad inizio 2008 perché le aste iniziarono a fallire: gli
investitori hanno scoperto che i loro fondi erano immobilizzati in investimenti
pluridecennali. Questo ha causato un effetto domino: tutte le aste iniziarono a
fallire mettendo in moto una contagiosa corsa agli sportelli. Istituti come la
Lehman Brothers non avevano l’assicurazione dei debitori per far fronte a una
situazione di questo tipo.
7. La riforma delle agenzie di rating dopo la crisi dei mutui sub-prime
Bisogna sottolineare che i titoli emessi dalla Lehman Brothers hanno
ottenuto dalle agenzie di rating la tripla A fino alla vigilia dell'esplosione della
bolla e del “lunedì nero” a Wall Street, il 6 ottobre 2008. Il ruolo primario assunto
dalle agenzie di rating, che avevano sopravvalutato i titoli legati ai sub-prime, ha
19
scatenato la presa di coscienza da parte delle autorità sulla necessità di
regolamentare ulteriormente l'attività delle agenzie. Vanno citate da esempio le
iniziative di autoregolamentazione25 dell'Iosco (International Organization of
Security Commissions), che non hanno, però, forza cogente. La classe politica
statunitense si è trovata costretta, a fronte della crisi, a istituire la Financial Crisis
Inquiry Commission26, una specifica commissione di inchiesta per esaminare le
cause della crisi finanziaria. Il report della Commissione ha al suo interno una
approfondita sezione sul ruolo che le agenzie di rating hanno avuto durante la
crisi: nel documento finale l'azione delle agenzie viene considerata concausa dello
scoppio della bolla immobiliare. Le conclusioni a cui la commissione di inchiesta
è arrivata sono state lo spunto per la più grande riforma del sistema finanziario
statunitense dagli anni Trenta: il Dodd-Franck Act27.
Gli ambiti di intervento di questo provvedimento legislativo sono:
a) La corporate governance. Vengono imposte una serie di modalità di
controllo interno e l'obbligatorietà dell'elaborazione di un report annuale da
inviare alla Sec per valutare la conformità delle procedure di generazione del
rating;
b) Conflitto di interessi. Viene inibito l'accesso alla valutazione da parte di
professionisti del marketing se coinvolti nell'attribuzione del rating. La Sec può
inoltre imporre restrizioni alle agenzie attraverso la limitazione dei servizi
“ancillari”. Rispetto alla questione del conflitto di interessi la legge delega alla
Sec lo studio e l'elaborazione di un nuovo modello di retribuzione per il servizio
del rating: l'orientamento è quello di superare il modello issuer-pays.
c) Modifica e formalizzazione dei modelli di lavoro. L'indirizzo del DoddFrank Act è quello della standardizzazione del modello e della trasparenza: viene
richiesta la pubblicazione del modello e dei dati utilizzati per l'analisi dei prodotti
finanziari.
d) Responsabilità delle agenzie nei confronti di terzi. Novità assoluta della
riforma è la possibilità, negata finora grazie al paravento legale del Primo
25 The Statement of Pricipals Regarding the Achtivities of Credit Rating Agencies e il Code of
Conduct Fundamentals for Credit rating Agencies.
26 La Commissione è stata creata dalla sezione 5 del Fraud Enforcement and Recovery Act del
2009 (Public Law 111-21), durante la presidenza di Barack Obama.
27
P. L. 111 – 203 – Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act
20
Emendamento della Costituzione Americana, di agire in giudizio contro le agenzie
nei casi di errore nei giudizi.
La riforma ancora non è stata applicata e, come è stato sottolineato nel
report annuale della Sec, le agenzie di rating non hanno rispettato le indicazioni
del provvedimento legislativo continuando ad utilizzare le vecchie modalità di
lavoro.
8. Chi controlla le agenzie di rating
Standard & Poor's è quotata a Wall Street ed è una sussidiaria del gruppo
editoriale e di comunicazione McGraw-Hill, detenuto da Capital World Investor,
uno dei primi gestori indipendenti di fondi negli Usa, la società di asset
manegement State Corporation. Il nucleo rappresentativo dei soci di riferimento
di McGraw-Hill Companies ricalca fortemente la fisionomia dello stesso nucleo
che controlla Standard & Poor's. Come sottolineano P. Gila e M. Miscali esiste
“un sottile filo che lega i vertici delle società McGraw-Hill e dell'agenzia Standard
& Poor's a realtà bancarie come Citygroup e a compagnie multinazionali a loro
volta quotate e presenti sul mercato con forti brand commerciali28”.
Di seguito il grafico con le quotazioni azionarie di Standard & Poor's.
28 Alcune figure di rilievo in Standard & Poor's: Sir Winfriend Bishoff, ex presidente di
Citygroup Europe e in stretti rapporti con con la direzione strategica londinese della Henry
Schroeder Bank; Hilde Ochoa Brillenbourg, dirigente del Fondo Monetario Internazionale e
della Banca Mondiale; james H. Ross, alto dirigente della British Petroleum; Douglas Daft, ex
presidente della Coca Cola; Sidney Taurel, presidente del colosso farmaceutico Eli Lilly e già
direttore centrale di IBM; Edward Ruts, presidente del gruppo assicurativo State Farm
Insurance Company, con forti interessi per le politiche educative statunitensi e membro di
alcuni comitati strategici nell'amministrazione di george W. Bush.
21
Flottante
Capital World Investors
Black Rock
State Street
Vanguard Group
Fidelity
Oppenheimer Funds
T. Rowe Price Associates
Jana Partners
Ontario teachers Pension
Price
altri
Grafico: suddivisione delle quotazioni azionarie di Standard & Poor's. Fonte: P.
Gila e M. Miscali (2012), I signori del rating. Conflitti di interesse e relazioni
pericolose delle tre agenzie più temute dalla finanza globale. Bollati Boringhieri
L'agenzia di rating Moody's è anch'essa quotata in borsa. Il maggiore
azionista è il fondo Berkshire Hathway con il 12,47% delle quote: il fondo è la
holding di Warren Buffet, noto investitore-speculatore. La presenza ingombrante
di Buffet ha scatenato in molti analisti dubbi e riflessioni sulle relazioni tra le
agenzie di rating e il mondo degli investitori. “Mentre con una mano si analizzano
i dati delle società e degli Stati, con l'altra si investe – o disinveste – dagli stessi
mercati29”. Secondo Fabio Pavesi30 “Stare nel capitale di chi determina i destini di
una miriade di società magari è utile per avere accesso a informazioni privilegiate.
Se so che un'emissione verrà bocciata, la vendo prima che la notizia sia resa
pubblica.”
Se si guarda alla composizione delle azioni di Moody's si ritrova uno
stesso gruppo importante di investitori che controlla anche il 30% di Standard &
29 P. Gila, M. Miscali (2012), op. cit.
30 Fabio Pavesi è editorialista del Sole 24 Ore.
22
Poor's. Quelli che Gila e Miscali definiscono i veri signori del rating sono: Capital
Eorld Investor, BlackRock, State Street, Vanguard Group e T. Rowe Price
Associates.
Di seguito il grafico con le quotazioni di Moody's.
flottante
Capital World Investor
Black Rock
Vanguard Group
Fidelity
T. Rowe Price Associates
Fondo Berkshire Hathaway
Davis Selected Advisers
Capital Research Global
Valuect Holdings
altri
Grafico: suddivisione delle quotazioni azionarie di Moody's. Fonte: P. Gila e
M. Miscali (2012), I signori del rating. Conflitti di interesse e relazioni epricolose delle
tre agenzie più temute dalla finanza globale. Bollati Boringhieri
Per quanto riguarda Fitch si può dire che sia la società più piccola, anche perché
non quotata in borsa. E' controllata per il 60% da Fimalac (società quotata a Parigi
specializzata nel campo finanziario e immobiliare e controllata dal suo fondatore
Marc Ladreit de Lacharrière) e per il 40% da Hearst Corporation (importante
gruppo editoriale americano). Fitch ha strette relazioni negli ambienti industriali
(Nestlé, L'Oreal, Renault) e ha al suo interno personaggi di spicco della finanza,
tra cui Philippe Lagayatte, direttore esecutivo di JPMorgan. Il fatto che Fitch sia la
più piccola tra “le tre sorelle” non significa che questa pesi meno nello scenario
finanziario internazionale, anche perché diversamente da S&P e Moody's ha basi
23
più radicate in Europa, cosa che potrebbe avere un ruolo decisivo nel prossimo
futuro.
9. Il rating dei debiti sovrani
Il primo sovereign credit rating è stato emesso da Moody's nel 1919 ma è
dagli anni Novanta che si impone il giudizio delle agenzie di rating sul titoli del
debito pubblico, quando i governi hanno cercato di ottenere maggiori
finanziamenti attraverso l'emissione diffusa di titoli del debito pubblico.
Secondo la definizione di G. Ferri e P. Lacitignola <<il rating sovrano è
una stima della probabilità relativa che uno stato sovrano non sarà in grado di
adempiere, alla scadenza, alle sue obbligazioni>>; la richiesta di rating alle
agenzie è un modo per facilitare l'accesso ai mercati di capitali internazionali. Il
rating delle obbligazioni dello stato è il risultato dell'analisi di svariati dati, sia
quantitativi che qualitativi, difficilmente specificabili in un elenco. Difatti non si
conoscono precisamente le variabili prese in esame dalle agenzie ed il peso
relativo delle stesse nel calcolo finale della valutazione. Esistono vari studi
empirici a riguardo. Ad esempio Cantor e Packer 31 dimostrano l'esistenza di una
correlazione positiva tra il rating sovrano e il reddito pro capite, la crescita del
PIL, il basso indebitamento, lo sviluppo economico e la bassa inflazione e una
correlazione negativa con la storia del default. Queste variabili sono prese in
esame da più studiosi. La maggior parte delle analisi su questo recente fenomeno
specificano che spesso le variabili prese in esame dalle agenzie di rating
riguardano anche aspetti non prettamente economici, quali quelli politici. Altra
questione rilevante è l'effetto dei giudizi delle agenzie sui mercati finanziari: i
rating hanno una considerevole influenza nella determinazione del premio per il
rischio associato agli strumenti di debito emessi dagli stati.
31 R. Cantor e F. Packer, Sovereign Credit Ratings, in <<Current Issues in Economics and
Finance>>, 1, 3, pp. 1-6
24
Capitolo 2. Rischio Paese e Agenzie di Rating
1. Il rischio paese
La definizione “rischio paese” non è univoca ed esiste un'ampia letteratura
in merito. In sintesi, possiamo affermare che la letteratura economica è divisa in
due filoni. Durante il periodo 1960-1970 il rischio paese è stato definito come
sovereign interfernce32, poiché associato esclusivamente a discutibili politiche
assunte dalle istituzioni governative: in sostanza il rischio paese veniva
identificato esclusivamente con il rischio politico. Dagli anni 80 si è avuta una
nuova definizione: il rischio paese come environmental instability33. Tale
approccio, di natura quantitativa, ha l'intento di prevedere situazioni di default o di
crisi finanziarie degli stati presi in considerazione. Meldrum DH (2000) sintetizza
in maniera esauriente le fonti utilizzate per descrivere con questo approccio il
rischio paese: le analisi si focalizzano su rischi economici, rischi di trasferimento,
rischio derivante dalla fluttuazione dei tassi di cambio, rischio di localizzazione
geografica, rischio derivante dal merito creditizio governativo e rischio politico.
Mentre alcune società specializzate esaminano tutte le possibili cause di rischio
paese con l'obiettivo di realizzare un Global Country Risk Ranking, le Agenzie di
Rating si focalizzano esclusivamente sulla solvibilità degli stati nei confronti dei
loro creditori e determinano, con le loro valutazioni, il Country Credit Rating. Le
Agenzie di Rating <<si occupano di fornire agli investitori istituzionali, alle
banche commerciali e ai mutuatari sul mercato internazionale di capitali
indicazioni sulla solvibilità di un Paese attraverso il cd. Sovereign Rating: questo
esprime un giudizio sintetico sulla capacità dell'emittente (in questo caso lo Stato)
di rimborsare le sue obbligazioni34>>.
Per la generazione del Country Credit Rating le Agenzie valutano indicatori
politici, economici e finanziari, quindi indici sia qualitativi che quantitativi, cosa
che ha come conseguenza (per quelli qualitativi) una difficoltà nell'oggettività
dell'analisi.
32 Zenoff (1967), Aliber (1975), Baglini (1976), Feils e Sabac (2000).
33 Gabriel (1966), Stobaugh (1969), Robock (1971), Root (1972), Haendal et al. (1975), Rummel
e Heeanan (1978).
34 F. Bernè, V. Depiroda, Il Rischio Paese, determinazione, rilievo, applicazioni, Progetto di
ricerca “Complex System in Economics” - DETA – Facoltà di Economia e DIPENE – Facoltà
di Ingegneria, Università degli Studi di Trieste
25
Le tre agenzie di rating più importanti si differenziano rispetto alla scelta degli
indicatori da analizzare, al modello di valutazione e al processo di elaborazione
del rating.
Fitch Investor Sevice35 copre circa 80 sovereign ratings e si concentra
specialmente sulla posizione assunta dal debito estero. Il processo di elaborazione
del rating inizia con la compilazione da parte dell'emittente di un questionario
relativo a informazioni sull'indebitamento e sulla visione che l'emittente ha della
sua solvibilità. Dopo un paio di settimane due country analists dell'agenzia
effettuano una intervista presso l'emittente. I dati utilizzati per costruire il rating
non sono solo quelli forniti dallo stato, ma anche quelli ricavati da organismi
internazionali (come FAO, FMI, UNICEF, ecc.) e si riferiscono ad una serie
storica di cinque anni più due di previsione.
E' possibile individuare tre macro aree di interesse per Fitch Investor Service:
− dati di natura macroeconomica su popolazione, lavoro e commercio;
− dati sul settore bancario e finanziario;
− dati di politica necessari per valutare la stabilità del governo e
l'attendibilità del suo operato.
Standard & Poor's36 copre 90 sovereign ratings e utilizza dieci indicatori:
− rischio politico;
− struttura economica e del reddito;
− prospettive di crescita dell'economia;
− flessibilità fiscale;
− carico del debito pubblico;
− passività contingenti;
− passività fuori budget;
− stabilità monetaria;
− liquidità esterna;
− carico del debito estero del settore pubblico e di quello privato.
35 www.fitchratings.com, Sovereign Rating: rating Methodology” (2002); International
methodology for regional and local governments (2003)
36 www.standardpoors.com, Rating methodology for government – supported entities (2003);
Sovereign credit ratings: a primer, (2002); The Handbook of Country and Political risk
analysis, (2001).
26
Le tre macro aree analizzate sono, quindi:
1) sviluppo dell'economia, del mercato e del sistema sociale;
2) la modalità con cui uno stato può, direttamente o indirettamente,
influenzare il pagamento di un debito da parte di un ente nazionale;
3) i fattori che possono diminuire la probabilità di interventi statali.
Moody's Investor Service37, per effettuare l'analisi dei dati, si serve del contributo
di un Comitato di Valutazione. Infatti, è la stessa agenzia a specificare che la
generazione del rating non può essere esclusivamente il risultato della
combinazione di indici, perché questi riguardano il passato ed è necessario saper
valutare le tendenze future.
Gli indici utilizzati da Moody's possono essere suddivisi in cinque gruppi:
1) quadro istituzionale;
2) principali indicatori economici;
3) prestazioni relative al bilancio dello stato;
4) profilo del debito;
5) struttura del governo e andamento della politica.
2. Oggetto e obiettivo dell'analisi empirica, variabili utilizzate, intervallo di
tempo considerato.
Come accennato, le agenzie descrivono in grandi linee il processo di
elaborazione del rating, ma non sono noti né i modelli matematici utilizzati per
combinare le variabili né i pesi attribuiti alle stesse.
Alcune ricerche empiriche hanno provato a misurare la correlazione tra alcune
variabili economiche, sociali e politiche e la valutazione delle agenzie di rating.
Possiamo citare qualche esempio. R. Cantor e F. Packer scelgono per la loro
analisi quantitativa questi indici: reddito pro-capite, tasso di crescita del PIL,
inflazione, bilancia commerciale, debito esterno, sviluppo economico e storia del
default. Secondo questo studio Moody's pone più enfasi al debito esterno rispetto
alla storia del default e ancor meno peso al reddito pro-capite. Inoltre, Cantor e
Packer cercano di mostrare la relazione tra i giudizi delle agenzie e lo spread.
37 www.moodys.com Opening the black box: the rating committee process at Moddy's , (1999);
Moody's rating handbook – february 2004, inviato dal Direttore Commerciale di Moody's
Italia, sede di Milano, Dott. Michael Buneman
27
<<Our findings suggest that the ability of ratings to explain
relative spreads cannot be wholly attributed to a mutual correlation
with standard sovereign risk indicators.38>>.
J.C. Cosset e J.Roy in The Determinants of Country Risk Rating utilizzano, non
solo variabili economiche, ma anche l'indicatore “stabilità politica”, considerando
due tipi di instabilità: a) proteste politiche; b) elezioni anticipate dovute alla
caduta dell'esecutivo.
C. Caceres39 et al. utilizzano, oltre alle variabili macroeconomiche (rapporto
debito/pil e deficit) due indici: l'IGRA (Index Of Global Risk Aversion) e lo
Spillover Coefficient (SC). Il primo tiene in considerazione gli spread dei
sovereign CDS, come misura della probabilità di default. Infatti il prezzo di un
asset riflette sia le aspettative di rendimento sia il premio di rischio. Il secondo, lo
Spillover Coefficient, è un indice costruito per rappresentare l'effetto contagio da
un mercato “stressato” ad un altro. Rispetto alla solvibilità dei paesi dell'UE e,
quindi, della sostenibilità dei debiti pubblici, molti si soffermano sull'effetto
contagio dalla Grecia agli stati membri considerati periferici.
Molti sono i contributi scientifici40 che analizzano quale peso abbiano le diverse
variabili macroeconomiche nell'attribuzione del rating. L'obiettivo di questo
lavoro è quello di dare un contributo ulteriore estrapolando ex post, attraverso
l'analisi empirica, il modello utilizzato dalle agenzie per valutare il rischio legato
ai titoli del debito pubblico.
38 R. Cantor, F. Packer, Determinants and Impact of Sovereign Credit Rating, FRBNY Economic
Policy Review / October 1996
39 C. Caceres, V. Guzzo, M. Segoviano (2010), Sovereign spreads, Global Risk Aversion,
Contagion or Fundamentals?, IMF Working Paper 10/120
40 Ades et al. (2000); Afonso (2003); Afonso et al. (2007); Alexe et al. (2003); Alesina et al.
(1992); Bissoondoyal-Bheenick (2005); Bissoondoyal-Bheenick et al. (2004); Borio and Paker
(2004); Budina and Manchew (2000); Butler and Fauver (2006); Caceres et al. (2010); Cantor
and Packer (1996); Canuto et al. (2004); Catao and Sutton (2002); Cosset and Roy (1991);
Edwards (1983); Eichengreen and Mody (1998); Eliasson (2002); Ferri et al. (1999); Ferrucci
(2003); Gaillard (2009); Haque et al. (1996); Hill et al. (2010); Hu et al. (2002); Min (1998);
Monfort and Mulder (2000); Nogues and Grandes (2001); Oliveira et al. (2012); Reinhart et al.
(2001); Reisen and von Maltzan (1999); Remolona et al. (2007); Rojas and Jaque (2003);
Rowland and Torres (2004).
28
2.1. Oggetto dell'analisi.
Nel condurre questo studio si sono incontrate varie difficoltà nella raccolta
dei dati. Recentemente il rating relativo al rischio di insolvenza degli stati è
divenuto tema di grande attualità, per cui risulta più agevole l'accesso alle
valutazioni relative ad alcuni paesi, nonostante il rating riguardi specialmente quei
paesi il cui eventuale declassamento comporterebbe conseguenze sostanziali nelle
dinamiche economiche globali. Attualmente grande attenzione è rivolta in Europa
all'andamento del rischio paese degli stati definiti PIIGS e della Germania (la
quale ha subito un declassamento nell'outlook da parte di Moody's a luglio 2012)
poiché da una parte la possibilità di default dei PIIGS potrebbe mettere in
discussione la tenuta dell'area euro, mentre le prospettive di crescita della
Germania sono un indicatore abbastanza rappresentativo del futuro dell'Unione
Monetaria Europea. <<Our own quantitative analysis provides some indication
that sinse July 2011 euro break-up risks have been a main driver of the instability
of euro area government bond market41>>.
Per quanto riguarda gli anni precedenti alla crisi non è possibile ricavare i rating
di Moody's, Standard & Poor's e Fitch di tutti i ventisette paesi europei per il
periodo considerato. Infatti le agenzie di rating non sono solite pubblicare
annualmente i rating relativi agli stati, ma come spiegato nel primo capitolo,
questo è solitamente richiesto dai governi oppure può verificarsi che la società di
rating emetta la valutazione per propria autonoma decisione. Non è stato possibile,
quindi, prendere in esame per uno stesso periodo tutte e tre le agenzie ma ci si è
soffermati soltanto sulle valutazioni emesse da Moody's, agenzia di cui abbiamo i
rating per tutti gli anni considerati, che vanno dal 1995 al 2001. L'analisi, inoltre,
non considera tutti i ventisette paesi europei, ma, per gli stessi problemi sopra
descritti, analizza variabili legate a questo elenco di paesi: Belgio, Danimarca,
Spagna, Finlandia, Irlanda, Italia, Portogallo, Slovenia e Svezia.
2.2. L'intervallo temporale.
Nonostante nel primo capitolo ci si sia soffermati sul periodo più recente e,
quindi, sulla crisi dei mutui sub-prime, si ritiene necessario, in questa sede, non
41 A. Di Cesare, G. Grande, M. Manna and M. Taboga, Recent estimates of sovereign risk premia
for euro-area contries in Questioni di economia e finanza (Occasional Paper), Banca d'Italia,
Septempber 2012, Number 128, pag 27.
29
analizzare il periodo 2008 – 2011. E' abbastanza agevole capire le motivazioni di
questa scelta: la crisi finanziaria scoppiata nel 2008 negli USA e trasmessa in
Europa ha prodotto turbolenze sul mercato dei titoli sovrani ed è facile
immaginare come, in situazioni di crisi, l'avversione al rischio degli investitori
possa influenzare sostanzialmente l'andamento di tali titoli, con conseguenze
negative sulla crescita dei debiti pubblici. A dimostrazione di ciò, Ardegna, Caselli
e Lane (2007) argomentano con uno studio42, poi citato dalla Banca d'Italia43, che
il ricorso ai risparmi privati per finanziare il deficit ha come conseguenza
l'aumento dei tassi d'interesse e che il grande incremento del debito pubblico può
generare paura da parte degli investitori rispetto al possibile default dello stato
emittente, con conseguente aumento del premio di rischio richiesto per la
sottoscrizione dei titoli stessi. Inoltre, grandi deficit pubblici possono aumentare le
aspettative di inflazione o svalutazione del cambio, con ulteriori ripercussioni
negative sui tassi d'interesse.
Prendiamo, dunque, in considerazione il periodo 1995-2001, periodo non
caratterizzato da particolari turbolenze finanziarie e di cui è stata più agevole la
ricerca dei dati.
42 S. Ardegna, F. Caselli, T. Lane (2007), Fiscal discipline and the cost of public debt service:
Some estimates for OECD countries, The B.E. Journal of Macroeconomics, 7 (1), Article 28
43 A. Di Cesare, G. Grande, M. Manna and M. Taboga, (2012), op. cit.
30
2.3. Descrizione delle variabili indipendenti utilizzate
Si è deciso, per la costruzione dell'analisi, di utilizzare le variabili descritte
nella tabella44 sottostante.
TABELLA 1
Nome
variabile
Descrizione variabile
Unità di Fonte
misura
Debito
Il debito pubblico è definito come quel debito contratto %PIL
pubblico (DEB) dallo Stato nei confronti di altri soggetti i quali, su base
volontaria, hanno acquisito obbligazioni o titoli di stato,
destinate a coprire il disavanzo del fabbisogno finanziario
statale ovvero coprire l'eventuale deficit pubblico nel
bilancio dello Stato. Questa variabile è rapportata al PIL e
tale rapporto indica la capacità dello Stato di far fronte al
pagamento del prestito e degli interessi maturati
Eurosta
t
Deficit (DEF)
World
Bank
Deficit o disavanzo pubblico è l'ammontare della spesa %PIL
pubblica non coperta dalle entrate, ovvero quella situazione
economica dei conti pubblici in cui, in un dato periodo, le
uscite dello Stato superano le entrate. Il deficit è calcolato
al netto della spesa per interessi.
tasso di crescita E' stimato ai prezzi di mercato e rappresenta la misura della %
del PIL (GRO) crescita, in termini monetari, dell'economia di un paese.
World
Bank
tasso
d'inflazione
(INFL)
Indicatore della variazione nel tempo del livello generale %
dei prezzi che determina la variazione del potere d'acquisto
della moneta
World
Bank
Esportazioni
(EXP)
Il valore di tutti i beni e i servizi forniti al resto del mondo
World
Bank
% PIL
Disoccupazione Quota di forza lavoro inoccupata ma disponibile e in cerca % pop. Eurosta
(EMPL)
di lavoro
attiva
t
Elezioni
(ELEC)
Variabile qualitativa resa variabile quantitativa binaria. Variabile
Prendiamo in considerazione tale variabile per l'influenza dummy
che l'instabilità politica o l'incertezza rispetto ai risultati
elettorali possono avere sul comportamento degli operatori
finanziari.
Analizzando il periodo preso in considerazione è possibile effettuare una prima
analisi, con l'ausilio di grafici, delle variabili macroeconomiche scelte.
44 Fonti: World Bank statistics, Eurostat statistics.
31
GRAFICO 1
DEBT/GDP
140
120
BELGIO
DANIMARCA
SPAGNA
FINLANDIA
IRLANDA
ITALIA
PORTOGALLO
SLOVENIA
SVEZIA
100
80
60
40
20
Possiamo notare, nel GRAFICO 1, come quasi tutti gli stati considerati
mantengano un elevato livello del debito pubblico in relazione al pil. Se facciamo
riferimento ai parametri delle fiscal rules sancite dal Patto di Stabilità e Crescita
notiamo infatti come soltanto la Slovenia (dal 1995 al 2001), il Portogallo (nel
1995) e la Finlandia (dal 1995 al 1998) non superano la soglia del 60%. Durante
lo stesso periodo i paesi ad avere un elevatissimo livello di debito rispetto al pil
sono il Belgio (con un minimo di 130,2% nel 1995 ed un massimo di 136,2% nel
2001) e l'Italia (con un minimo di 120,9% nel 1995 e un massimo di 126,9 % nel
2001).
32
GRAFICO 2
DEBT/GDP
140
120
BELGIO
DANIMARCA
SPAGNA
FINLANDIA
IRLANDA
ITALIA
PORTOGALLO
SLOVENIA
SVEZIA
100
80
60
40
20
Dal GRAFICO 2 è evidente come ci sia stato, dal 1995 al 2001, un aumento
generalizzato del livello dei debiti pubblici in relazione ai pil e che questo
aumento sia per tutti i paesi di sei punti percentuali (tranne per la Slovenia, di cui
abbiamo i dati dal 1996 e che registra un aumento di 5 punti percentuali).
33
GRAFICO 3
INFLATION %
10
9
8
BELGIO
DANIMARCA
SPAGNA
FINLANDIA
IRLANDA
ITALIA
PORTOGALLO
SLOVENIA
SVEZIA
7
6
5
4
3
2
1
0
-1
Il GRAFICO 3 illustra l'andamento dell'inflazione. Osserviamo che il paese che
raggiunge il livello maggiore di inflazione è la Slovenia con il 9,8% nel 1996,
mentre il paese ad inflazione più contenuta è la Svezia che nel 1998 ha un tasso
negativo del – 0,13%. In generale i paesi con una minor crescita dei prezzi sono il
Belgio, la Danimarca, la Svezia e la Finlandia. Dal grafico si nota come gli
andamenti dei livelli di inflazione sono altalenanti per tutti i paesi tendendo, in
media, a diminuire nel 1999. Nel 2000 aumenta invece per tutti i paesi e nel 2001
continua ad aumentare per Spagna, Italia, Portogallo e Svezia e diminuisce per
Belgio, Danimarca, Finlandia, Irlanda, e Slovenia.
34
GRAFICO 4
GDP GROWTH %
12
11
10
BELGIO
DANIMARCA
SPAGNA
FINLANDIA
IRLANDA
ITALIA
PORTOGALLO
SLOVENIA
SVEZIA
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
Analizziamo ora il tasso di crescita del pil (GRAFICO 4). Similmente
all'inflazione tutti i paesi registrano movimenti altalenanti rispetto al tasso di
crescita del pil. L'Irlanda è il paese con il tasso di crescita più elevato,
raggiungendo, nel 1997 l'11,49%. Si nota, poi, che i tassi tendono a salire per tutti
i paesi nel 2000 e che allo stesso modo subiscono un brusco calo nel 2001, come
conseguenza della recessione che ha colpito gli Stati Uniti nei primi tre trimestri
dell'anno.
35
GRAFICO 5
CASH SURPLUS / DEFICIT
% of GDP
8
BELGIO
DANIMARCA
SPAGNA
FINLANDIA
IRLANDA
ITALIA
PORTOGALLO
SLOVENIA
SVEZIA
6
4
2
0
-2
-4
-6
-8
Il GRAFICO 5 spiega l'andamento dei surplus e dei deficit dei sette paesi
considerati in relazione al pil. Citando di nuovo i parametri di Maastricht
ricordiamo ricordiamo che le fiscal rules impongono agli stati membri dell'UE di
non superare il defict del 3% rispetto al pil. L'inizio dell'intervallo temporale
considerato (1995) è caratterizzato da disavanzi per tutti i sette paesi che superano
la soglia del 3%, ad eccezione dell'Irlanda (2,24%), con deficit più elevati per
Spagna (5,81%), Finlandia (7,45%), Italia (7,05%), Portogallo (5,1%) e Svezia
(6,97%). Man mano che ci si avvicina al 1999, con l'imminente entrata in vigore
delle fiscal rules, tutti i paesi attuano politiche di contenimento della spesa che
hanno come conseguenza una drastica diminuzione del deficit. In alcuni anni si
registrano addirittura avanzi nella bilancia dei pagamenti: Belgio, Danimarca e
Spagna durante gli anni successivi al 1999, la Finlandia e la Svezia dal 1998 e
l'Irlanda dal 1997, mentre Italia, Portogallo e Slovenia mantengono disavanzi
nella bilancia dei pagamenti, comunque contenuti, con soltanto il dato del
Portogallo che supera la soglia del 3% attestandosi a 3,92%.
36
GRAFICO 6
UNEMPLOYEMENT
20
18
16
BELGIO
DANIMARCA
SPAGNA
FINLANDIA
IRLANDA
ITALIA
PORTOGALLO
SLOVENIA
SVEZIA
14
12
10
8
6
4
2
0
Il GRAFICO 6 illustra i livelli di disoccupazione in relazione alla popolazione
attiva.
Dal 1995 al 2001 tutti i paesi considerati registrano una riduzione della
disoccupazione: 10% per la Slovenia, 19% per l'Italia, 31% per il Belgio, 32% per
la Danimarca, 34% per la Svezia, 36% per il Portogallo, 47 % per la Spagna e
68% per l'Irlanda. I livelli maggiori di disoccupazione si registrano nel 1995 per la
Spagna (20%), per la Finlandia (15,4%), per l'Irlanda (12,3 %) e per l'Italia
(11,2%). Alla fine del periodo considerato, l'unico dei tre paesi ad avere risultati
eccezionali è l'Irlanda, con una riduzione della disoccupazione del 68% e
raggiungendo il tasso del 3,9%, mentre gli altri tre paesi, nonostante sforzi più
(con una riduzione di quasi 50% per la Spagna e del 40% per la Finlandia) o meno
(con una riduzione del 19% per l'Italia) importanti per la risoluzione del problema,
continuano a rimanere su alti livelli: la Spagna col 10,5%, la Finlandia con il 9,1%
e l'Italia col 9% di popolazione attiva non occupata.
37
GRAFICO 7
Il GRAFICO 7 illustra il livello di esportazioni (in relazione al pil). Possiamo
dividere i paesi considerati in tre categorie: Portogallo, Spagna e Italia con un
minor grado di incidenza delle esportazioni sul pil (con un intervallo compresso
tra il 22 e il 29% in relazione al Pil); Danimarca, Finlandia Svezia e Slovenia
caratterizzati da valori medi (con un intervallo compreso tra il 26 e il 55%);
Belgio e Irlanda con valori elevati di esportazioni rispetto al Pil (con un intervallo
compreso tra il 65% e il 99%).
Inoltre possiamo notare che nell'intervallo di tempo considerato tutti i paesi
aumentano il loro livello di esportazioni rispetto al pil. L'incremento va da un
minimo di 0,9 punti percentuali (Portogallo) a 22,84 punti percentuali (Irlanda).
38
TABELLA 2
La TABELLA 2 mostra la variabile ELECTIONS che è una dummy inserita nello
studio di regressione per calcolare l'effetto di questa variabile qualitativa sul
valore medio assunto dalla variabile dipendente, che nel nostro caso è il rating. La
variabile assume valore 1 se nell'anno considerato si sono svolte le elezioni
politiche e valore 0 se queste non si sono svolte. La variabile non distingue tra
elezioni ordinarie ed elezioni anticipate. La variabile ELECTIONS, nonostante
possa essere ritenuta troppo sintetizzante, è utilizzata per calcolare l'incidenza
dell'instabilità politica sul giudizio delle agenzie di rating. Instabilità politica che,
nel nostro caso, non coincide per forza con il venir meno di maggioranze
parlamentari prima della scadenza del mandato degli eletti, ma rappresenta
l'incertezza che, in ogni caso, il possibile cambio di maggioranza può trasmettere
ai valutatori del rischio paese.
3. Il Credit Risk Rating
Nella TABELLA 3 vengono illustrate le valutazioni di Moody's relative al credit
rating di Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Irlanda, Italia, Portogallo,
Slovenia e Svezia dal 1995 al 2001. Solo per la Slovenia l'intervallo temporale
considerato inizia dall'anno 1996. Il credit rating rappresenta la variabile.
dipendente dell'analisi di regressione che verrà illustrata nel paragrafo successivo.
TABELLA 3
39
Nel GRAFICO 8 viene illustrato l'andamento del giudizio di Moody's per i paesi
che si è deciso di analizzare.
GRAFICO 8
SOVEREIGN CREDIT RATING
MOODY'S
105
100
BELGIO
DANIMARCA
SPAGNA
FINLANDIA
IRLANDA
ITALIA
PORTOGALLO
SLOVENIA
SVEZIA
95
90
85
80
75
70
65
4. Analisi del Credit Risk Rating
Sono stati effettuati due tipi di studi utilizzando la regressione semplice. La
differenza tra i due modelli riguarda le variabili utilizzate: infatti per il primo
studio si è scelto di osservare l'effetto del rapporto debito/pil sul giudizio delle
agenzie di rating, mentre nel secondo si è scelto il rapporto tra deficit e pil. Questa
scelta trova la sua motivazione nella multicollinearità tra debito e deficit.
I risultati della regressione che tengono in considerazione il rapporto debito / pil
sono illustrati nella tabella 4.
40
TABELLA 4: Country Risk Rating
const
ELECTIONS
DEBT
INFLATION
GROWTH_
EXP__GDP
UNEMPL
R-quadro
Coefficiente
206,732
-1,05905
-0,678387
-1,16388
-0,00103931
-1,05191
-1,40812
Errore Std.
39,7208
0,533875
0,230783
0,473577
0,27735
0,471918
0,324563
rapporto t
5,2046
-1,9837
-2,9395
-2,4576
-0,0037
-2,2290
-4,3385
p-value
<0,00001
0,05385
0,00532
0,01820
0,99703
0,03122
0,00009
0,770891
***
*
***
**
**
***
* significatività del 10%
** significatività del 5%
*** significatività dell' 1%
Per il primo studio si sono effettuate 56 osservazioni panel ad effetti fissi.
La TABELLA 4 mostra i sei report dei risultati calcolati. In questo caso il modello
ha un elevato potere esplicativo, come dimostrato dall' R-quadro stimato e
fornisce alcuni risultati efficaci.
Partendo con i risultati relativi alla variabile ELECTIONS osserviamo che questa
incide lievemente sulla variabile dipendente R e ha segno negativo. Ciò può
significare che il verificarsi delle elezioni politiche ha, all'interno della
valutazione di Moody's, una qualche influenza negativa sul giudizio perché il
cambio della maggioranza politica può creare incertezza sulle future politiche da
adottare. Come già detto, però, tale variabile, secondo i risultati del modello
utilizzato, non ha un grande peso e questo potrebbe essere spiegato in più modi.
Da una parte va sottolineato che la variabile ELECTIONS non distingue elezioni
avvenute per il termine naturale della legislazione ed elezioni sopravvenute in
maniera anticipata. Quindi è possibile che nelle sue valutazioni Moody's guardi
all'evento elezioni in maniera relativa rispetto alla fase politica attraversata dal
paese considerato. Non è affatto detto, pertanto, che il verificarsi delle elezioni a
causa del termine naturale della legislatura denoti instabilità politica e incertezza;
come allo stesso modo non è detto che un cambio di maggioranza parlamentare, in
un momento di difficoltà per il paese sotto esame, non possa rappresentare un
elemento guardato favorevolmente. Potremmo continuare queste osservazioni
aggiungendo che l'agenzia di rating potrebbe emettere un giudizio negativo o
positivo a seconda se ci si aspetti che il governo, espressione della nuova
maggioranza, aumenti o diminuisca la spesa pubblica, essendo il credit rating la
41
valutazione sulla capacità dello stato di essere solvente verso i propri creditori. Un
aumento della spesa pubblica potrebbe essere interpretato come causa di un futuro
aumento del debito pubblico ad un livello che potrebbe essere considerato
dall'agenzia stessa poco sostenibile.
Se invece ci si sofferma sulla variabile DEBT (rapporto debito/pil) il risultato che
viene fuori dal modello appare abbastanza ovvio. E' abbastanza intuitivo, infatti,
immaginarsi che un alto livello di debito pubblico rispetto al prodotto interno
lordo abbia un peso rilevante nel giudizio delle agenzie di rating che, come
ripetuto più volte, valutano la capacità di uno stato sovrano di essere solvente
rispetto ai sui creditori. Guardando ai risultati calcolati troviamo che il livello del
rapporto tra debito pubblico e il pil risulta essere, insieme alla disoccupazione
(che analizzeremo successivamente) la variabile che incide di più rispetto al
rating. Il credit rating è, in sintesi, la capacità dell'emittente di saper ripagare i
debiti contratti e gli interessi maturati e secondo il nostro modello un alto livello
della variabile DEBT incide negativamente (infatti ha segno meno) e in maniera
molto significativa sul giudizio che Moody's dà al paese sotto osservazione.
Variabile indipendente che incide mediamente sulla variabile rating è l'inflazione
(INFLATION), che secondo il modello utilizzato ha un coefficiente abbastanza
elevato (-1,16388). L'inflazione è una delle variabili, insieme al deficit e al debito,
che è ritenuta negativa se ha segno positivo. Sono le stesse fiscal rules dell'Unione
Europea a giudicare preoccupante per la stabilità dell'Unione Monetaria la crescita
dell'inflazione o, comunque, l'inflazione al di sopra di una certa soglia 45. La
letteratura economica è, su questo argomento divisa. Infatti se per i monetaristi
l'inflazione è in ogni caso problematica, perché, rischiando di diventare variabile,
accresce l'incertezza, distorce i segnali di prezzo ed altera, quindi, la risposta degli
agenti, per i keynesiani, in alcuni casi una inflazione moderata può rafforzare la
stabilità dell'economia a seguito di perturbazioni e avere effetti positivi di lungo
periodo su produzione e occupazione, oltre ad accrescere l'efficacia di
aggiustamenti intersettoriali – ad esempio nel mercato del lavoro – non
contemplabili dai monetaristi. La visione massimamente accettata attualmente è
quella che vede nell'inflazione un elemento di preoccupazione per la stabilità
economica del paese, per cui è immaginabile come questa visione sia simile
allorquando le agenzie si apprestano a valutare il rischio paese. Infatti l'unico tipo
45 Le fiscal rules sancite a Maastricht riguardano, oltre al debito e al deficit, il livello
dell'inflazione che non deve superare l'1,5% rispetto a quello dei tre paesi più virtuosi.
42
di inflazione che può essere in qualche modo ritenuta non preoccupante è quella
dovuta all'eccesso di domanda rispetto all'offerta: infatti un eccesso di domanda si
verifica allorquando l'economia è in crescita e i redditi sono elevati, con
conseguente crescita della disponibilità a pagare; in questo caso la crescita del
livello dei prezzi ha la funzione di riequilibrare l'eccesso di domanda. Il problema
si verifica quando l'inflazione è “da costi”: questa si verifica quando aumentano i
prezzi dei fattori di produzione (ad es. le materie prime).
Dato che lascia perplessi è quello sul tasso di crescita che secondo il modello ha
incidenza nulla rispetto al rating. Appare, poi, contraddittorio il segno del
coefficiente relativo a questa variabile che è negativo: qualora la crescita incidesse
sul rating avrebbe una incidenza negativa. Sembrerebbe che Moody's prestando
molta attenzione al livello del debito pubblico in rapporto al pil e pochissima al
livello di crescita di quest'ultimo dia tantissimo peso al numeratore della frazione
(il debito) e molto poco al denominatore (pil). Nonostante la variabile GROWTH
riguardi il tasso di crescita annuale del pil e non il pil in valore assoluto, è normale
aspettarsi una pari attenzione sia agli andamenti del debito pubblico sia a quelli
del pil, essendo il loro rapporto molto esplicativo rispetto alla capacità dello stato
di essere solvente.
Altro risultato che ad un primo sguardo può lasciare perplessi è il fatto che il
livello di esportazioni rispetto al pil sia mediamente significativo ma in maniera
inversa. Non è immediatamente comprensibile perché un paese che riesce ad
esportare e che quindi ha un certo livello di apertura dovrebbe essere valutato
negativamente. D'altronde è anche vero che in periodi di instabilità economica
globale i paesi esportatori verrebbero contagiati dalla crisi perché non potrebbero
allocare i propri prodotti a paesi in situazioni finanziarie difficoltose. La variabile
EXP_GDP può essere guardata come indice di indipendenza o meno rispetto agli
altri paesi. Ed è probabilmente questa la visione assunta da Moody's per cui,
secondo questo studio, incide abbastanza negativamente il livello di esportazioni
dello stato considerato.
Variabile dipendente che incide considerevolmente e in maniera negativa è la
disoccupazione (UNEMPL) per i suoi effetti sulla domanda interna. Se
confrontiamo i risultati sulla disoccupazione e quelli sul livello di esportazioni –
che, come è stato spiegato precedentemente, incide in maniera negativa – viene
confermata l'ipotesi secondo cui Moody's guarda complessivamente al livello di
indipendenza del paese sotto osservazione, poiché in periodi di crisi, risultano
43
essere più capaci di essere solventi verso i loro creditori gli stati che, a prescindere
dalla condizione economica esterna, riescono a mantenere un certo grado di
stabilità autonomamente. Ovviamente in questo tipo di interpretazione svolge un
ruolo importante la domanda interna e quindi la bassa disoccupazione.
Dall'analisi dei dati inseriti emerge, poi, che la costante della regressione ha un
coefficiente elevato pari a 206,732 e che questo ha una importante significatività:
ciò suggerisce che la variabile dipendente, il rating, è probabilmente influenzato in
maniera particolare da qualche altra variabile che non è stata presa in
considerazione e che quindi viene “assorbita” dall'intercetta delle rette di
regressione.
Se al posto del debito in relazione al pil utilizziamo la variabile DEFICIT, i
risultati schematizzati sono quelli elencati in TABELLA 5:
TABELLA 5
const
ELECTIONS
INFLATION
GROWTH
EXP
UNEMPL
DEFICIT
R quadro
Coefficiente
114,446
0,454497
-1,25813
-0,351412
-0,0282911
-1,77081
0,666564
Errore Std.
16,018
0,588605
0,495899
0,283626
0,216307
0,713134
0,432773
* significatività del 10%
** significatività del 5%
***
significatività
rapporto t
7,1448
0,7722
-2,5371
-1,2390
-0,1308
-2,4831
1,5402
dell'
p-value
<0,00001
0,44467
0,01529
0,22275
0,89661
0,01743
0,13158
0,889614
***
**
**
1%
Nel secondo modello sono state effettuate 54 osservazioni panel ad effetti fissi.
Il secondo modello (TABELLA 4) sembrerebbe avere un discreto potere
esplicativo, come dimostrato dall' R-quadro stimato (0,889614). Nel momento in
cui si va a sostituire la variabile DEBT con quella DEFICIT notiamo che
quest'ultima non ha alcuna incidenza sulla variabile dipendente (il credit rating) e
che le uniche variabili che incidono con segno negativo sono la disoccupazione
(UNEMPL e INFLATION). Secondo questo modello perdono completamente
incidenza le variabili ELECTIONS, GROWTH_ ed EXP__GDP. Ciò può essere
interpretato attraverso l'osservazione della costante, che è l'unica variabile ad
44
avere un coefficiente altamente credibile nella spiegazione e, che probabilmente,
assorbe gli effetti del rapporto tra debito e pil che non vengono analizzati in
questo modello in maniera esplicita. Possiamo,quindi, dedurre che il secondo
modello perde di capacità esplicativa rispetto al primo poiché l'unico parametro
davvero significativo appare la costante che va letta come l'insieme di tutte le
variabili indipendenti che non vengono considerate ma che comunque incidono
sul rating. Confrontando i due modelli, i risultati possono essere interpretati
affermando che la variabile DEBT è molto significativa rispetto al rating,
riuscendo a modificare in maniera accentuata i risultati del modello in cui non è
presente.
Tutto questo conferma in un certo senso la spiegazione che Moody's fornisce del
suo metodo di valutazione, che può essere scomposto in due momenti: quello
dell'analisi dei dati (in cui assumono importanza sia il quadro istituzionale, sia le
caratteristiche del debito e non soltanto il suo peso) e quello dell'analisi futura che
non può essere colta attraverso un modello matematico che guarda, appunto, alle
variabili passate e presenti.
45
5. Credit risk, spread e agenzie di rating
Il concetto di rischio paese si concretizza nel premio di rischio, che può essere
definito come la differenza tra il rendimento atteso di una determinata attività
finanziaria (in questo caso i titoli del debito pubblico) e il tasso di interesse privo
di rischio. Nel caso dei titoli relativi ai debiti sovrani questo è calcolato in base al
rischio di insolvenza da parte dello Stato emittente ed è noto come credit spread.
Naturalmente il premio di rischio, inteso come rendimento, aumenta all'aumentare
della probabilità di insolvenza dello Stato.
Lo spread relativo ai titoli di stato è il differenziale di rendimento tra il titolo di
riferimento, ritenuto meno rischioso (detto benchmark) e gli altri. Per l'Unione
Europea il titolo considerato benchmark è il bund tedesco, considerato come
l'emissione più solida dell'eurozona. Lo spread riflette gli interessi che lo Stato
dovrà pagare per il servizio del prestito e indica il rischio paese. Come affermato
precedentemente, uno spread troppo elevato fa lievitare gli interessi passivi, cosa
che può avere, inoltre, conseguenze negative sul rating, incrementando il peso del
debito pubblico.
Negli anni successivi alla crisi scoppiata negli USA nel 2007 si assiste ad una
impennata dei rendimenti relativi ai titoli sovrani dei paesi dell'Unione Europea.
Interessante, al riguardo, è il lavoro di Di Cesare et al. per la Banca d'Italia46, in
cui si approfondiscono le dinamiche che contribuiscono all'aumento degli spreads.
Le ricerche relative agli andamenti dei tassi di rendimento dei titoli di stato
precedenti alla crisi risultano pochi idonei per descrivere le recenti dinamiche del
mercato dei debiti pubblici poiché, analizzando esclusivamente le variabili
macroeconomiche dei paesi considerati, non riescono a cogliere le cause
dell'aumento vertiginoso verificatosi all'indomani della crisi dei debiti in Europa.
Il 5 novembre 2009, successivamente alla dichiarazione del primo ministro greco
Papandreou al parlamento rispetto al grave peggioramento della situazione fiscale
del paese, il governo rivelava che il deficit del paese era il doppio rispetto alle
stime precedenti. La conseguenza fu che gli spreads della maggior parte dei paesi
dell'area euro iniziarono a salire bruscamente.
46 A. Di Cesare, G. Grande, M. Manna e M. Taboga, op. cit.
46
Source: Bloumberg data, Banca d'Italia working paper 2012
Per il caso greco l'aumento dei rendimenti ha a che fare sia con il deterioramento
delle finanze pubbliche47, sia con l'impatto che la revisione dei dati sul bilancio
pubblico può aver avuto sugli investitori. Non è immediatamente riconoscibile,
invece, la causa dell'aumento dei rendimenti per paesi con finanze solide come
l'Austria, la Finlandia e i Paesi Bassi, se si utilizzano esclusivamente i classici
approcci di analisi delle variabili macroeconomiche. Di Cesare et al.
suggeriscono, citando recenti studi, un approccio complesso che tiene conto di
diversi fattori. Secondo questa impostazione bisogna considerare lo status di safe
haven posseduto dalla Germania: all'indomani dello scoppio della crisi dei debiti
pubblici, gli operatori finanziari hanno espresso una considerevole preferenza per
i titoli di stato tedeschi considerati come quelli più sicuri nell'area euro. Questo
spiega, ad esempio, l'aumento dei rendimenti dei titoli sovrani di paesi fiscalmente
forti. La crisi dei debiti ha colpito inizialmente la Grecia ma ha coinvolto, poi,
anche la Spagna, il Portogallo e l'Italia. Metiu (2012) 48 illustra come l'aumento
dello spread tra titoli italiani e bund tedeschi non è giustificato dalle condizioni
economiche dell'Italia ma frutto dell'effetto contagio.
47 Dati 2009: Debt/GDP: 129,4%; Defict/GDP: 15,75%. Fonte: World Bank Statistics
48 Metiu N., (2012), Sovereign risk contagion in eurozone, Economics Letters.
47
Source: Bloumberg data, Banca d'Italia woerking paper 2012
Difatti, secondo Metiu, l'Italia è stata contagiata dalla crisi dei debiti spagnoli e
portoghesi che a loro volta hanno importato la crisi dalla Grecia. Con l'avvento
della crisi greca e durante gli anni successivi, la possibile uscita della Grecia
dall'area euro ha provocato le preoccupazioni degli investitori sulle sorti
dell'Unione Monetaria. Ciò ha contribuito al rafforzamento della Germania,
considerata l'economia più stabile dell'area euro, che ha beneficiato dello status di
safe haven. Con l'acuirsi della crisi dei debiti nel 2011, e con il contagio degli stati
membri considerati “PIIGS49”, è cresciuta l'avversione al rischio da parte degli
investitori istituzionali, i quali hanno preferito tenere nel loro portafoglio titoli
“sicuri”. Ciò trova una sua possibile spiegazione nella crescente preoccupazione
degli operatori per il collasso della moneta unica: il valore dei titoli tedeschi
rimarrebbe in questo caso alto mentre quello dei titoli dei paesi ritenuti ad
economia fragile subirebbero le conseguenze della svalutazione monetaria.
49 PIIGS è l'acronimo dispregiativo riferito a Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna che
vengono accomunati per situazioni finanziarie non virtuose. Infatti tutti questi paesi hanno
valori negativi delle principali variabili macroeconomiche (debt/PIL, deficit/PIL, tasso di
crescita, debito estero e rendimento dei titoli di stato. <<La connotazione spregiativa è evidente
dal fatto che pigs in inglese significa maiali, a suggerire il cattivo stato delle economie di tali
paesi; l'espressione si presta inoltre a giochi di parole riferiti allo stereotipo del flying pig, ossia
"maiale che vola", che indica una situazione impossibile a realizzarsi. Viene usata anche la
locuzione porcine economy ("economia suina")>>. Fonte: Wikipedia
48
Ovviamente questo processo di larga acquisizione di bund tedeschi, aumentando i
rendimenti dei titoli degli altri stati membri, ha come effetto il peggioramento
ulteriore della situazione finanziaria degli stati cd. periferici per via del peso
crescente dei tassi di interesse sui debiti pubblici. L'attenzione di Aizenman et al50.
è rivolta alle stime del credit risk dei PIIGS e conferma l'approccio seguito dal Di
Cesare: il rischio di credito è stato sottovalutato nel periodo pre-crisi e
sopravvalutato durante la crisi. All'interno della valutazione sul rischio di credito
di questi paesi è stata probabilmente incorporata l'aspettativa di un sensibile
deterioramento delle finanze pubbliche, suscitando la crescente preoccupazione
rispetto al rischio di default.
In Recent estimates of sovereign risk premia for euro-area countries, Di Cesare
et. al, affermano che l'aumento dello spread nell' eurozona probabilmente riflette
la spirale negativa innescata dall'intreccio di più fattori.
Come è stato già detto, la grande differenza tra i rendimenti dei titoli sovrani dei
paesi che rappresentano il centro produttivo e quelli considerati periferici può
avere la sua spiegazione nella preoccupazione da parte degli investitori rispetto ad
un possibile collasso della moneta unica. In più il differenziale tra i rendimenti dei
paesi UE colpiti dalla crisi dei debiti e il titolo benchmark (quello tedesco) è
emerso in una fase di estrema volatilità nei mercati finanziari. Altro elemento che
ha influenzato, secondo gli autori, l'andamento dei rendimenti sono state le
previsioni rispetto ad un peggioramento di medio periodo delle finanze dei paesi
economicamente più deboli. L'apprezzamento del rischio paese può essere
spiegato anche guardano la questione dal lato opposto: proprio l'aumento dei
rendimenti dei titoli sovrani ha avuto come conseguenza un rilevante
peggioramento delle finanze pubbliche dei paesi che stanno subendo la crisi dei
debiti. Elemento moltiplicatore di questa spirale è la difficoltà, da parte degli
investitori, di stimare il rischio paese, cosa che li ha indotti a trarre conclusioni
semplicistiche e a prendere in considerazione soltanto scenari pessimistici.
Potremmo affermare, partendo da queste considerazioni, che quello che sta
accadendo sul mercato dei titoli sovrani è un processo che si autoalimenta a causa
dell'incertezza degli operatori finanziari che, preoccupati per i loro capitali,
mettono in atto quelle scelte che fanno precipitare l'intera eurozona in una spirale
negativa.
50 Aizenman J., M. M. Hutchison and Y. Jinjarak (2011), What is the risk of European sovereign
debt defaults? Fiscal space, CDS spreads and market pricing of risk, NBER Working Papers,
No. 17407
49
Dal punto di vista di Di Cesare et al. fattori ulteriori influenzano l'aumento dei
rendimenti:
a) la volatilità dello spread, che scoraggia l'acquisto dei titoli di stato;
b) <<strains in domestic banking system>>, per cui gli operatori percepiscono
che alti spread possono facilmente riflettere la fragilità del sistema bancario;
c) il downgrade del credit rating da parte delle agenzie.
Questi tre fattori fanno emergere l'elemento del risk avversion che si riflette nella
progressiva perdita di fiducia nell'integrità dell'Unione Monetaria Europea.
Per concludere, dal punto di vista di Di Cesare et al. l'avversione al rischio è la
maggior fonte di incertezza e di rischio sistemico, con conseguenze rilevanti
sull'aumento dei debiti e dei deficit.
Roberto A. De Santis51 considera tre fattori come determinanti degli alti livelli dei
rendimenti dei titoli sovrani:
− Il rischio aggregato che si manifesta nei cambiamenti della politica
monetaria, nell'incertezza globale e nell'avversione al rischio;
− il country specific risk, correlato alla probabilità di default, alla capacità o
meno di recuperare fondi sul mercato primario e a fattori di liquidità sul
mercato secondario;
− il rischio di contagio.
6. Spread e agenzie di rating
Diversi studi hanno illustrato la relazione tra gli annunci delle agenzie di rating e
gli andamenti dello spread dei titoli sovrani.
Tra questi H. Reisen et al. (1999) studiano il caso dei paesi emergenti
nell'intervallo di tempo 1989-199752. In questo caso i titoli “risk-free” presi come
benchmark per la valutazione dello spread sono i titoli del tesoro USA a 10 anni.
Lo studio analizza le conseguenze, in termini di spread di: revisione del rating con
possibile downgrade, revisione del rating con possibile upgrade, downgrade e
upgrade.
Il modello utilizzato fa emergere chiaramente la situazione dei paesi nel momento
51 Roberto A. De Santis, The Euro area sovereign debt crisis safe haven, credit rating agencies
and the spread of the fever from Greece, Ireland and Portugal, Working Papers, no
1419/February 2012, European Central Bank
52 H. Reisen and J. Von Maltzan, (1999) Boom and Bust and sovereign ratings, OECD
Development Centre, Paris
50
in cui sono posti stato di revisione del rating. Durante i 29 giorni precedenti al
possibile downgrade lo spread aumenta, in media di 12 punti percentuali. Accade
il contrario se le agenzie di rating stanno per annunciare un possibile upgrade.
<<Implemented negative rating changes seem to exert a
sustained impact on bond yield spreads: the rating downgrade is
largely unanticipated. After a country’s rating has been downgraded,
the market appears to vindicate the agencies’ assessment over the next
30 trading days with an upward movement in relative yield
spreads53.>>
J. Hull et al. (2004) analizzano la correlazione esistente tra lo spread e i rating
events54. Per condurre lo studio utilizzano lo spread dei CDS piuttosto che quello
riferito ai rendimenti dei titoli sovrani. Secondo gli autori lo spread sui CDS
mantiene lo stesso grado di informazione dello spread sui rendimenti dei titoli di
stato. Va ricordato infatti che un credit default swap è un titolo derivato che
fornisce l'assicurazione contro il default del titolo a cui è riferito. Quindi è,
ovviamente dipendente, al titolo a cui è collegato. Secondo i risultati di questa
ricerca lo spread dei CDS aumenta approssimativamente, nei 90 giorni precedenti
il rating event:
− del 38% rispetto al downgrade;
− del 24% rispetto al review for downgrade;
− del 29% rispetto ad un outlook negativo.
Nei dieci giorni business successivi al rating event negativo non si riscontrano
significativi cambiamenti nei comportamenti degli operatori. Gli autori
concludono la loro ricerca affermando che è come se il mercato dei CDS
anticipasse il rating event e che quindi è utile guardare agli andamenti di questo
mercato per avere qualche parziale previsione rispetto al cambiamento di
valutazione da parte delle agenzie di rating.
Hand et al. (1992)55 dimostrano come l'annuncio di una possibile revisione del
rating in negativo o l'annuncio stesso del downgrade ha immediati effetti negativi
sul mercato dei titoli di stato, causando l'aumento dei rendimenti. Hand et al.
53 H. Reisen et al. (op.cit), p. 12
54 J. Hull, M. Predescu, A. White, (2004) The relationship between credit default swaps spreads,
bond yields, and credit rating announcements, Journal of Banking and Finance no. 28
55 Hand, J., Holthausen, R.W., Leftwich, R.W., (1992), The effect of bond rating agency
announcements on bond and stock prices. Journal of Finance 47 (June), 733–752.
51
rivelano, inoltre, che non si assiste alla diminuzione dei rendimenti allorquando le
agenzie annunciano il miglioramento dei titoli. Wansley et al. (1992)56 e Steiner
and Heinke (2001) 57confermano l'esistenza di effetti altamente rilevanti che
l'annuncio del downgrade ha sui rendimenti nel giorno dell'annuncio e nei trading
days successivi e confermano l'osservazione secondo cui i mercati non sono
reattivi nel caso dell'upgrade.
Dall'altro lato è la stessa Banca Centrale Europea58 a notare come il declassamento
del rating di Grecia, Irlanda e Portogallo, nel marzo 2011, da parte delle agenzie,
ha avuto, insieme alla preoccupazione degli investitori rispetto alla possibile
ristrutturazione del debito greco, conseguenze sullo spread degli stessi paesi,
causando l'allargamento della forbice tra i rendimenti dei titoli di stato decennali
dei tre paesi sopra menzionati e quelli tedeschi. Nello stesso documento, in cui si
comparano gli effetti della crisi dei debiti sovrani in UE e in USA, si ci sofferma
sulle stesse conseguenze negative sui rendimenti dei titoli americani a seguito del
downgrade avutosi ad agosto del 2011.
56 Wansley, J.W., Glascock, J.L., Clauretie, T.M., (1992). Institutional bond pricing and
information arrival: The case of bond rating changes. Journal of Business Finance and
Accounting 19 (5), 733–750.
57 Steiner, M., Heinke, V.G., (2001). Event study concerning international bond price effects of
credit rating actions. International Journal of Finance and Economics 6, 139–157.
58 Rapporto Annuale 2011 (2012), Banca Centrale Europea
52
Conclusioni
In questa trattazione si è voluto, da un lato, rintracciare e descrivere la
relazione tra le variabili macroeconomiche e il giudizio delle agenzie di rating, la
loro metodologia di lavoro e, dall’altro, la dinamica dei rendimenti dei titoli
sovrani durante il periodo successivo allo scoppio della crisi dei mutui sub-prime.
Riprendendo in sintesi il contenuto di ciò che è stato analizzato, è possibile
suddividerlo in due macro argomenti comunque tra loro collegati. Nella prima
parte si è scelto di analizzare il fenomeno rating, come uno degli elementi cruciali
per descrivere l'andamento dell'economia degli ultimi decenni. Nella seconda
parte si è sono osservate le dinamiche relative al determinarsi dei premio di
rischio e, conseguentemente si è provato a fornire una lettura degli andamenti
degli spread nell’attuale crisi dei cosiddetti debiti sovrani.
Abbiamo ritenuto opportuno descrivere l’origine e la storia delle agenzie
di rating. Questa storia inizia durante i primi anni del 1900 e trova la sua ragione
nell'esigenza negli Stati Uniti di incentivare gli investimenti in infrastrutture e,
quindi, creare le condizione logistico-tecnologiche necessarie per
l'implementazione dello sviluppo industriale. A quei tempi era evidente il
problema della raccolta di ingenti capitali in una situazione di totale asimmetria
informativa. Le agenzie di rating nascono proprio per colmare questo vuoto
informativo: hanno quindi storicamente svolto una funzione positiva nello
assicurare l'informazione sul grado di rischio dei titoli obbligazionari,
rassicurando gli investitori e spingendoli a diventare creditori.
Col passare del tempo il fenomeno rating si evolve, inizialmente con
l'acquisizione di un certo potere da parte di S&P, Moody's e Fitch a seguito della
depressione degli anni 30 che induce alla istituzionalizzazionwe del giudizio delle
agenzie, poiché arriva a vietare l'acquisizione, da parte delle banche, di titoli non
investment grade. Subito dopo la crisi degli anni Settanta, il legislatore ha provato
a creare una impalcatura giuridica meno incerta di quella costruita negli anni 30 su
input della Sec, legittimando soltanto quelle agenzie che rientrano nella
definizione di Nrsro. La definizione, molto stringente, non ha permesso l'ingresso
ad altre agenzie nel mercato del rating, fortificando la posizione di oligopolio
posseduta dalle tre agenzie americane sopracitate. Altro elemento che emerge in
quegli anni e che ha consolidato l'oligopolio è il modello di pagamento del
servizio del rating: durante gli anni Settanta si passa da un modello investors-paid
53
ad uno iusser-paid. Ciò è stato affrontato dalla letteratura accademica successiva
che ha sottolineato come il fatto che sia l'emittente a richiedere e pagare il servizio
del rating può generare pratiche collusive per le quali l'emittente può nascondere
informazioni fondamentali per ricevere un giudizio migliore, e l'agenzia può
subire l'influenza del suo cliente ed emettere giudizi eccessivamente positivi a
fronte di compensi diretti e indiretti. Fino agli anni duemila, le agenzie di rating
hanno goduto di un importante potere reputazionale nei confronti di legislatori,
authority e investitori. Le cose sono iniziate a cambiare a seguito dei fallimenti,
all'inizio del nuovo millennio, di Enron, Worldcom e Parmalat, fallimenti
assolutamente non previsti dalle tre agenzie che hanno mantenuto il loro giudizio
investment grade fino a qualche giorno prima dei crack finanziari. Rispetto al caso
Parmalat, addirittura, le indagini della magistratura hanno fatto emergere
l'esistenza di comportamenti non proprio trasparenti da parte dei dirigenti di S&P
che hanno fornito informazioni non veritiere ai mercati, nonostante siano stati in
condizioni di agire diversamente. Recentemente, con lo scoppio della crisi dei
mutui sub-prime in USA, si è assistito nuovamente ad “errori di valutazione” da
parte delle agenzie, che hanno giudicato investment grade sia i prodotti della
finanza derivata che sono stati definiti, dopo lo scoppio della bolla, “tossici”, sia
la Lehman Brothers che Fannie Mae.
Uno dei problemi principali, che è stato riscontrato sia nella letteratura sul
tema, sia in questo studio, è la mancanza di una standardizzazione del concetto di
rating e del criterio di valutazione delle agenzie, per cui risulta poco agevole la
comprensione del modello utilizzato da queste per l'emissione del giudizio. Non è
conoscibile infatti il peso attribuito alle diverse variabili analizzate dalle stesse. Se
per i giudizi rispetto ad emittenti privati è più facile immaginare l'analisi effettuata
(anche se i casi Wordcom, Parmalat e dei mutui sub-prime suscitano perplessità),
risulta davvero poco chiara la metodologia utilizzata per l'emissione di giudizi sul
sovereign credit risk, perché sono proprio le agenzie ad affermare che tale
indicatore ha al suo interno variabili qualitative e difficilmente analizzabili
oggettivamente, quale risulta essere, ad esempio, la variabile “stabilità politica. Il
lavoro effettuato prova, come molti altri, ad estrapolare ex post il modello di
valutazione di Moody's attraverso una analisi di regressione che, come è noto,
individua sia l’incidenza di alcune variabili sia l’incidenza complessiva delle
variabili che possiamo definire non determinate.
Elemento che certamente può essere approfondito è l'effetto del rating, se
54
questo si concretizza in un downgrade, sulle variabili macroeconomiche dello
stato sotto esame. Infatti gli studi dimostrano come l'annuncio di una revisione in
negativo del rating ha effetti rilevanti sui rendimenti dei titoli di stato, con
conseguente aumento della spesa per interessi e, quindi, di un aumento del debito
pubblico. L'elemento che emerge chiaramente, e che rappresenta la seconda parte
di questo studio, riguarda i comportamenti degli operatori economici in situazioni
di incertezza. Lo studio effettuato richiama immediatamente a tre famosi e
autorevoli studiosi: Merton, Keynes e Minsky.
Se osserviamo la crisi dei debiti sovrani che sta scuotendo le economie
europee, lo studio della Banca d'Italia effettuato da Di Cesare et. al, mostra come
la percezione di una possibile crisi nelle fondamenta dell'eurozona e le aspettative
negative rispetto al futuro della moneta unica abbiano scatenato il verificarsi del
contagio della crisi dei debiti sovrani dalla Grecia agli altri paesi periferici
dell'Unione. Infatti, per dirla alla Merton, si è auto avverata la profezia: gli scenari
pessimistici degli investitori si sono concretizzati nello spostamento massiccio dei
capitali verso il mercato dei titoli sovrani ritenuto “rifugio”, generando il contagio
della crisi greca in Spagna, Portogallo e Italia per via dell'aumento vertiginoso dei
rendimenti richiesti per la sottoscrizione dei titoli sovrani. Ciò, a nostro avviso, è
direttamente collegabile all'idea che Keynes aveva del mercato, la cui essenza e il
cui funzionamento riflettono la natura umana ed è dunque influenzato da leggi
psicologiche. In un momento di crisi come quello attraversato dall'Europa
all'indomani dello scoppio della bolla dei sub-prime in Usa e che ancora oggi è in
pieno svolgimento, possiamo notare come leggi psicologiche stiano operando
all'interno dei mercati. Da una parte l'efficienza marginale del capitale e, quindi, la
misura potenziale percepita dagli investitori della redditività degli investimenti, fa
si che le aspettative negative rispetto al futuro dell'eurozona inibiscano nuovi
investimenti. Dall'altra parte elemento psicologico fortemente esplicativo è quello
che Keynes chiamama “preferenza per la liquidità”: come è noto, in periodi di
turbolenze finanziarie gli investitori preferiscono detenere moneta piuttosto che
concentrarsi su investimenti in obbligazioni; ciò ha come conseguenza che uno
stato sovrano per riuscire a convincere gli investitori a sottoscrivere i propri titoli
è costretto ad offrire rendimenti più elevati, con il conseguente peggioramento
delle finanze pubbliche a causa dell’incremento degli oneri del debito.
L'elemento psicologico è essenziale anche nell'analisi del sistema
capitalistico di Minsky il quale descrive lo stesso come un processo dinamico e
55
ciclico in cui ogni fase erige le condizioni per il passaggio alla fase successiva. In
questo modo di interpretare il sistema capitalistico, Minsky pone enfasi su due
aspetti fondamentali che hanno poi caratterizzato il periodo 2008-2012: la
centralità della dimensione finanziaria e la naturale incoerenza del sistema
capitalistico.
Affrontando il primo aspetto, la teoria della fragilità finanziaria si basa sul
presupposto che le relazione tra gli individui possono essere rappresentate come
relazioni di bilancio, per cui ad ogni posizione di credito corrisponde una
posizione di debito. Queste, nella descrizione di Minsky sono effettuate da unità
diverse che egli distingue in coperte, speculative e Ponzi e che corrispondono a tre
tipi di attività finanziarie che sono sicure, protette e rischiose. La prima unità
effettua un investimento e si indebita soltanto se attende un reddito, nella vita
economica del progetto, superiore alle rate di ammortamento del debito. L'unità
speculativa si indebita prevedendo invece la possibilità di un flusso di cassa non
sufficiente a ripagare il debito che eventualmente andrà rifinanziato ma che ha
come garanzia il valore delle attività già acquisite. In questo caso c'è una minore
avversione al rischio rispetto all'unità coperta, ma questo fa parte dell'essenza
stessa del capitalismo ed è fisiologico, nell'obiettivo di massimizzazione del
profitto. La terza unità, definita Ponzi, è quella che dall'inizio basa la sua
massimizzazione del profitto atteso nella speranza che il valore di mercato
dell'attività intrapresa cresca nel tempo in modo tale da ripagare il prezzo del
prestito. L'unità Ponzi è quella che effettua un investimento talmente rischioso che
dall'inizio è chiaro che il profitto generato non sarà sufficiente a ripagare gli
interessi sul debito contratto. La situazione di Ponzi Finance è, per Minsky,
l'essenza della fragilità del sistema capitalistico. Questa fragilità è tanto più
probabile quanto più il comportamento Ponzi passa da singoli investitori ad
atteggiamenti delle istituzioni finanziarie con l’ausilio di compiacenti agezie di
valutazione non sufficientemente ostacolate da efficienti leggi di controllo delle
proprietà e dei possessi. Quanto detto appare del tutto coerente con il sistema che
ha generato la crisi dei mutui sub-prime. Infatti, ad esempio. in una situazione in
cui i tassi di interesse erano molto bassi e i prezzi delle abitazioni continuavano a
crescere, si è creata la bolla dei mutui, una bolla speculativa caratterizzata non
solo dalla compravendita continua di abitazioni, ma anche dalle caratteristiche di
questi mutui, figli delle cartolarizzazioni degli anni Settanta e della creazione
della finanza strutturata. Infatti, come riportato nel primo capitolo, durante il
56
nuovo millennio quando il mercato immobiliare ha iniziato a generare discreti
profitti, gli istituti finanziari hanno deciso di moltiplicare la redditività dei loro
investimenti attraverso “l'impacchettamento” continuo di mutui rischiosi e mutui
sicuri in titoli obbligazionari, i CDO. La bolla è cresciuta perché fin quando
l'”euforia” degli investitori si è manifestata nell'acquisto di derivati, il debito
privato è cresciuto enormemente ed è bastato che i tassi d'interesse crescessero per
far aumentare rapidamente il grado di morosità dei mutuatari a rischio. Ciò ha
avuto due conseguenze: la riduzione dei prezzi delle abitazioni che ha portato alla
svalutazione delle attività tenute in portafoglio dagli operatori, e la conseguente
presa di coscienza rispetto al valore reale di titoli basati esclusivamente sulla
speculazione finanziaria. Possiamo spiegare con Minsky l'atteggiamento
avventato del sistema bancario che ha basato i suoi profitti su attività
completamente senza garanzie: il comportamento delle istituzioni finanziare
incorpora all'interno delle proprie aspettative due elementi; da una parte
l'avversione al rischio aumenta all'aumentare degli anni trascorsi dall'ultima crisi
finanziaria; dall'altro queste istituzioni, rappresentando la base del funzionamento
del sistema capitalistico, mettono in conto che in una situazione di crollo delle
attività le autorità politiche interverranno per frenare gli effetti negativi di una
crisi, attraverso il salvataggio dal fallimento degli istituti di credito. Questo
atteggiamento incentiva comportamenti moral hazard da parte delle istituzioni
finanziarie.
Secondo aspetto che suggerisce ancora un richiamo a Minsky riguarda
l'incoerenza del sistema capitalistico descritto come un ciclo continuo di fasi
normali (espansione – ripresa – recessione – depressione) e fasi patologiche
(euforia e panico). Minsky sottolinea come le fasi negative del ciclo economico
siano persistenti e non siano esclusivamente delle imperfezioni momentanee.
Infatti, secondo l'autore di What it happens again?, ogni fase pone le basi per le
fase successiva. Il sistema capitalistico si basa sugli investimenti e la disponibilità
di finanziamenti esterni dipende dalla fase che il ciclo economico si trova ad
attraversare: nelle fasi di boom cresce il livello di leverage e solitamente
l'indebitamento è di breve periodo. Secondo Minsky è proprio nei momenti di
“tranquilla crescita” che vengono poste le basi per la successiva inversione del
ciclo. Infatti le aspettative ottimistiche degli operatori tendono a spingere gli
operatori verso investimenti avversi al rischio nella convinzione che la fase di
boom continuerà. L'indebitamento a breve periodo consente infatti di ottenere
57
profitti maggiori. Lo stessa schema può essere applicato durante le fasi di
recessione, caratterizzati dalla seconda patologia: il panico. Lo scoppio di una
crisi può generare crisi sistemica a causa del panico degli investitori che,
scegliendo di detenere moneta e, quindi, di non concedere credito, fermano gli
investimenti con conseguenti ripercussioni negative sull'occupazione e sulla
domanda aggregata.
La teoria dell'instabilità finanziaria di Minsky e la teoria sulle profezie che
si auto adempiono di Merton ben si adattano, secondo noi, a descrivere il periodo
2008-2012: prima del 2008 l'euforia finanziaria ha fatto lievitare il livello di
leverage privato facendo gonfiare la bolla dei sub-prime. Quando questa è
scoppiata c'è stato un contagio dalle attività finanziarie a quelle produttive perché
la perdita di fiducia degli investitori ha fatto crollare la borsa, colpendo non solo i
titoli della finanza strutturata ma anche le azioni di imprese produttive. Tutta
questa situazione ha portato alla necessità di salvataggio di molti istituti finanziari
“To big to fail”, cosa che ha fatto lievitare il livello del debito pubblico americano.
La crisi in USA si è subito diffusa nell'Unione Europea, le cui banche detenevano
una discreta parte di titoli “tossici” di provenienza americana. Le crisi finanziaria
ha avuto come conseguenza l'attuazione delle politiche di rigore finanziario
attraverso il taglio della spesa pubblica nell' eurozona aggravando le condizioni
dell'economia reale. Altro elemento che riconduce sia a Merton che a Minsky è la
crisi dei debiti sovrani che, come afferma la stessa Banca d'Italia, è scoppiata a
causa dell'avversione al rischio dei sottoscrittori dei titoli sovrani i quali, in un
momento di panico e di convinzione di un collasso dell'area euro hanno voluto
proteggere i loro capitali scegliendo come unico mercato quello tedesco. Come
sappiamo questo ha peggiorato le finanze pubbliche di tutti i paesi europei, non
soltanto dei PIIGS. La prospettiva che si può facilmente immaginare, e che
Moody's ha in qualche modo segnalato, consiste un reale inasprimento delle
condizioni economiche degli stati membri dell'UE. Infatti il declassamento
dell'outlook della Germania ci parla dell'intera crisi dell'area euro: la caduta delle
esportazioni tedesche descrive un mercato europeo afflitto da recessione.
Per concludere, si può affermare che nelle dinamiche economiche,
elementi centrali sono l'incertezza, il rischio e le conseguenze che questi hanno
sulla psicologia degli operatori che, sempre riprendendo Minsky agiscono
razionalmente se la loro visione è quella individuale: in periodi di recessione
58
diminuisce la propensione marginale al consumo con ripercussioni sulla
produzione; lo spostamento di capitali nella fase di boom su rendimenti a breve
termine crea instabilità finanziaria; la preferenza per la liquidità degli operatori del
mercato finanziario deprime, nei momenti di recessione, gli investimenti con
pesanti conseguenze su produzione e occupazione. Se è vero quindi che
individualmente ogni operatore si comporta razionalmente difendendo il proprio
reddito e i propri profitti a seconda della fase del ciclo economico, dall'altro la
somma di questi comportamenti crea le premesse per situazioni collettive
incoerenti e instabili, generate, o almeno moltiplicate, dalla convinzione sulle
prospettive future degli operatori economici.
La nostra trattazione ha tentato, in questo schema, di ragionare intorno al
ruolo delle agenzie di rateng quali destabilizzatori del sistema economico, invece
che agenti che diminuiscono le condizioni di incertezza. L’aspetto cruciale che
abbiamo colto è relativo al mancato sostanziale rapporto tra le condizioni
dell’economia reale e il giudizio di dette agenzie. Ne è discesa, di conseguenza,
anche la non stretta dipendenza dai valori dello spread dalle medesimo condizioni
reali delle economie europee.
Non possiamo certamente affermare che vi sia una causalità stretta tra la
crisi dei debiti sovrani e la valutazione delle agenzie, ma possiamo certamente
affermare che la relazione appare empiricamente, e anche logicamente,
significativa e quindi tendente alla destabilizzazione.
Queste osservazioni conclusive ci consentono di richiamare l’essenza
politica dell’economia.
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