tesina AED - Associazione Europea Disgrafie

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CORSO EDUCAZIONE E RIEDUCAZIONE
DEL GESTO GRAFICO
Screening nella scuola dell’Infanzia:
la prevenzione e l’intervento psico-motorio
Caterina Agrò
Roma 2015/2016
1
PREMESSA
La normativa che negli ultimi anni è stata messa a punto in merito alla tutela del
diritto allo studio per i ragazzi con DSA affronta la questione seguendo una
prospettiva globale, senza fermarsi alla redazione del PDP e dei susseguenti
strumenti compensativi e misure dispensative, ma risalendo ad un concetto
anteriore e soggiacente: la prevenzione.
Sia le Linee guida allegate al d.m. 12/07/2011 che il d.m. del 17/04/2013 1 parlano
dell’importanza dello screening nella scuola dell’Infanzia, dal momento che,
sebbene non sia possibile rilasciare una certificazione diagnostica di disturbo
specifico dell’apprendimento prima dell’ingresso alla scuola primaria, è tuttavia
possibile individuare precocemente difficoltà diffuse e specifiche in ambiti che
sono rivelatori di eventuali futuri “disturbi”. Le capacità che dovranno essere
osservate dalle insegnanti saranno soprattutto quelle relative all’area percettiva,
motoria, linguistica, attentiva e mnemonica.
Per quanto riguarda nello specifico la disgrafia, lo screening da effettuare non è
particolarmente differenziato rispetto a quello inerente possibili difficoltà/disturbi
di lettura o calcolo poiché alcuni indicatori predittivi sono condivisi
(orientamento, organizzazione e integrazione spazio-temporale, memorizzazione,
coordinazione occhio-mano, autonomia…) e non è ancora possibile circoscrivere
la difficoltà identificandola come un determinato disturbo specifico
dell’apprendimento; tuttavia ci sono delle condizioni predisponenti e predittive di
un possibile futuro disturbo di scrittura. Qualora dunque si presentino difficoltà
evidenti sarà importante intervenire per ridurre il rischio dell’assunzione di
meccanismi errati e del consolidamento persistente delle difficoltà stesse.
1cfr.
d.m. 17/04/2013 p. 5: «L’inserimento nel piano dell’offerta formativa del progetto di
osservazione e di attività didattica mirata alla prevenzione potrà costituire un elemento di
qualità del servizio scolastico, nell’ottica di favorire il successo formativo secondo le
potenzialità di ciascuno».
2
CAPITOLO 1
1.1 Abilità e prerequisiti della scrittura: screening e prevenzione
«Era troppo bello che tutte quelle aste, quelle gambette, quei cerchi, quei piccoli
ponti messi insieme formassero delle lettere […]
Mamma, per esempio, mamma, tre piccoli ponti, un cerchio, una gambetta,
risultato: mamma. Come riaversi da un simile prodigio?
Bisogna cercare di immaginarsi la cosa.[…] tutti si sono ritrovati seduti dietro a
banchi lillipuziani, immobilità assoluta e silenzio, tutti i movimenti del corpo
irrigiditi nel tentativo di controllare lo spostamento della penna in quel corridoio
dal soffitto basso che è la riga! Lingua fuori, dita intorpidite e polso rigido…
piccoli ponti, aste, gambette, cerchi e piccoli ponti… […]
Insomma un bel mattino o un pomeriggio, con le orecchie ancora ronzanti del
frastuono della mensa, eccolo assistere al silenzioso sbocciare della parola sulla
pagina bianca, lì davanti a lui: mamma.
Certo, l'aveva già vista alla lavagna, l'aveva riconosciuta più volte, ma lì, sotto i
suoi occhi, scritta con le sue dita…
Con voce prima incerta, recita le due sillabe separatamente: "Mam-ma".
E d'un tratto: "Mamma!"
Questo grido di gioia celebra l'esito del più gigantesco viaggio intellettuale che si
possa immaginare, una sorta di primo passo sulla luna, il passaggio dall'assoluto
arbitrario grafico al significato più carico di emozione! Piccoli ponti, gambette,
cerchi… e… mamma! È scritto proprio lì davanti ai suoi occhi, ma è dentro di lui
che sboccia!» 2
Con la sua scrittura altamente evocativa Pennac descrive il momento in cui il
bambino conquista la capacità di scrivere, mettendo nero su bianco la parola per
lui più importante e significativa: mamma.
Questo brano rende chiaramente ma in maniera semplificata il concetto di prassia
che viene associato alla scrittura, intesa come l’atto di motricità fine più
complesso per l’uomo. Il gesto grafico infatti non è un’azione naturale e
2
D. Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli, Milano, 2000, p. 31 s.
3
spontanea, ma un atto altamente specializzato e complesso che richiede dei
prerequisiti e della abilità di base imprescindibili. Quando tali prerequisiti e abilità
sono carenti o compromessi si può andare incontro a difficoltà e disturbi di
scrittura.
La disgrafia è un disturbo specifico dell’apprendimento 3 che riguarda
essenzialmente un problema di natura grafo-motoria che si esplica in conseguenze
diversificate e interconnesse, come ad esempio disorganizzazione nella pagina,
maldestrezza, insieme sporco, lentezza …
Nel quadro diagnostico della disgrafia i prerequisiti da indagare sono:
• sviluppo del sistema nervoso
• livello intellettivo adeguato
• stabilità emotiva e maturazione affettiva
• motivazione ad apprendere
• dominanza laterale
Accanto ai prerequisiti sopra menzionati è necessaria la presenza di abilità di base
che possono garantire il raggiungimento di un buon livello di scrittura:
organizzazione temporale, orientamento e organizzazione spaziale, attenzione,
orientamento destra/sinistra, coordinazione motoria, percezione, schema corporeo,
memoria, ritmo, capacità linguistiche e capacità di astrazione.
L’acquisizione delle suddette abilità non avviene improvvisamente e in maniera
casuale, ma segue un lungo e lento processo di maturazione che ha origine già nel
grembo materno.
Le diverse fasi di sviluppo e di crescita del bambino sono fondamentali per i
processi cognitivi, psicologici e motori, pertanto devono essere accompagnate,
supportate e monitorate per poter facilitare una corretta maturazione.
Un campo d’indagine privilegiato è sicuramente la scuola dell’Infanzia: in questa
fase il disturbo specifico non è conclamato e non può essere nemmeno
diagnosticato in quanto è necessario attendere l’ingresso alla scuola primaria e
dare al bambino il tempo di confrontarsi con l’apprendimento della scrittura prima
Un concetto preliminare che soggiace la definizione di DSA è quello della “discrepanza”, così
come evidenziato nel documento della Consensus Conference (vd. Consensus Conference,
Roma, 6-7 Dicembre 2010, p.19 ss.), tra le abilità specifiche nel dominio interessato (deficitarie
rispetto alle attese per l’età e/o la classe frequentata) e l’intelligenza generale (adeguata per l’età
cronologica).
3
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di poter parlare di “disturbo”; tuttavia già nei primi anni di scolarizzazione è
possibile effettuare un monitoraggio funzionale alla rilevazione di dati inerenti
difficoltà o ritardi nelle abilità di base e nei prerequisiti. Quando si parla di
screening si fa riferimento ad una metodologia che è in grado di predire un
disturbo a partire da segni critici individuati in precedenza. La sua efficacia per i
soggetti a rischio non si limita solo all’individuazione delle abilità di base
eventualmente compromesse e alla promozione di un piano educativo di recupero,
ma ha degli effetti a lungo termine che si esplicano nella cura per il benessere
psicologico e il successo scolastico del soggetto preso in carico. Le difficoltà e i
disturbi specifici dell’apprendimento sono infatti spesso fonte di disagi psicologici
e sociali che si ripercuotono negativamente sul vissuto del bambino: prevenire
significa quindi dare la possibilità al bambino di non incorrere nell’abbandono
scolastico precoce, in un futuro professionale di basso livello, in difficoltà di
consolidamento della personalità e negli aspetti legati alla socialità.
L’indagine relativa alle abilità di base e ai prerequisiti è rivolta generalmente ai
bambini dell’ultimo anno della materna che sono quindi in procinto di iniziare la
scuola primaria e quindi l’apprendimento delle scrittura.
Le tappe da percorrere sono ben delineate e progressive: prima di tutto quando si
propone un percorso di screening nella scuola dell’Infanzia è importante effettuare
un incontro di presentazione del progetto ai genitori per sciogliere eventuali dubbi
e resistenze, per fornire indicazioni e informazioni relative al disturbo della
disgrafia che, come ben asserisce A. Venturelli 4, è la “cenerentola” dei disturbi
specifici dell’apprendimento, favorendo così una diffusa sensibilizzazione al
problema. Generalmente infatti il conseguimento di una buona scrittura manuale
non viene più considerato rilevante ai fini dell’apprendimento perché nella società
attuale l’alta tecnologia può venire facilmente in aiuto alle difficoltà di scrittura
che possono essere aggirate con strumenti compensativi funzionali, come ad
esempio l’uso del computer. La questione però non può essere ridotta e risolta con
cfr. A. Venturelli, Il corsivo: una scrittura per la vita. Prevenzione e recupero della disgrafia,
ed. Mursia, 2014, p.41. «Il fenomeno che sorprende di più è la discrepanza tra l’alta percentuale
statistica di bambini disgrafici in Italia e la limitata attenzione prestata a questo disturbo dalla
scuola e dai servizi sanitari. […] Da qui la constatazione di un fenomeno sommerso che viene
troppo spesso sottovalutato se non addirittura ignorato. Per di più, l’aspetto del gesto grafico
della scrittura manuale è stato considerato “ un aspetto marginale del vero processo della
scrittura […]».
4
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una semplice “compensazione” della difficoltà/disturbo che andrebbe solo ad
agire sulle conseguenze del problema senza affrontarne le cause profonde5. Inoltre
il mantenimento e l’esercizio del gesto grafico hanno ripercussioni generali e
diffuse nel vissuto del bambino, infatti diversi studi hanno dimostrato che il
consolidamento degli automatismi soggiacenti la scrittura manuale ne ineriscono
anche lo sviluppo neurologico nella specializzazione dell’emisfero sinistro,
favorendo così anche tutte le competenze e le abilità dipendenti da quello stesso
emisfero. Un altro fattore da tenere in considerazione è che la scrittura è un’abilità
trasversale a diverse materie scolastiche, pertanto una gesto fluido e scorrevole
favorisce e incrementa l’apprendimento generalizzato.
Il recupero delle difficoltà di scrittura si riflette con effetti positivi anche sulla
possibilità di favorire un ragionamento dinamico e “libero”; al contrario la fatica e
la concentrazione per realizzare una scrittura ortograficamente corretta e leggibile
possono inficiare l’organizzazione logica del pensiero sulla pagina, penalizzando
la qualità del discorso e impedendo al bambino di dedicarsi alla pianificazione del
pensiero. La difficoltà nel portare avanti contemporaneamente un doppio compito
(scrivere ed elaborare il pensiero) può avere ricadute importanti, qualora non si
siano automatizzati i processi di scrittura che permettono la scorrevolezza e la
fluidità del gesto. Queste considerazioni sono più di natura “filosofica” che
scientifica perché presuppongono un concetto di base fondamentale: la parola
scritta dà voce al pensiero, ma la parola scritta con la propria mano esprime il
proprio pensiero personale. In questo senso si capisce ancora meglio la
tripartizione che Olivaux individua nell’ambito della scrittura relativamente alle
sue funzioni: funzione strumentale, relazionale e di rappresentazione personale. Il
grafologo e rieducatore francese riconosce la funzione strumentale come
soggiacente e precedente le altre due ma allo stesso tempo le inserisce tutte e tre in
un sistema complesso e profondamente interrelato. Tralasciando la funzione
strumentale, nell’ambito della funzione relazionale la scrittura viene considerata il
mezzo che permette la comunicazione tra lo scrivente e il destinatario e in quanto
ibidem p. 42: «Il problema è che, generalizzando l’uso della tecnologia di assistenza per la
disgrafia, non solo si è rinunciato a intraprendere reali percorsi di recupero delle potenziali
abilità grafo-motorie ancora non utilizzate correttamente dal bambino disgrafico, ma si è anche
svilita la ricerca in questo campo, come se l’aspetto del gesto grafico fosse “marginale”,
scarsamente rilevante per l’apprendimento e per lo sviluppo generale del bambino».
5
6
tale diviene veicolo di informazioni che possono essere anche rivelatori di nondetti. In proposito Olivaux scrive: «la scrittura diventa spesso il porta-parola
dell’inconscio, il suo incaricato d’affari» 6.
Anche la terza funzione, quella di rappresentazione personale, rivela questo
profondo legame tra ciò che viene scritto di propria mano e lo scrivente stesso che
entra in simbiosi con la propria scrittura, vi cerca se stesso, vuole conferirle la
propria impronta, il proprio Io interiore e quando non si riconosce nel suo gesto
avviene una spaccatura tra sé e le parole sul foglio perché non si sente
“rappresentato” 7.
Il riferimento a Olivaux e alla sua teoria delle funzioni è utile per capire la
complessità dell’atto scrittorio anche nella sua dimensione psicologica e sociale e
come questo fatto possa comportare nel bambino che scrive male e giudica
negativamente la propria scrittura, perché non la sente rappresentativa della sua
personalità, molte implicazioni che vanno oltre la “brutta grafia”.
Pertanto la prevenzione della disgrafia rientra in un quadro di attenzione alla
persona in una visione olistica e onnicomprensiva di varie componenti di natura
psicologica, neurologica, psico-motoria e sociale e lo screening nella scuola
dell’Infanzia rientra perfettamente in questo programma di “aiuto”.
Dopo l’incontro di presentazione e sensibilizzazione circa l’importanza e
l’efficacia dello screening, si passa alla fase successiva consistente nella raccolta
dati relativa ad ogni singolo bambino intessendo una relazione di ascolto e di
collaborazione con le maestre che possono dare indicazioni e precisazioni
importanti sulla “storia” didattica, famigliare e, più in generale, evolutiva dei
bambini stessi.
L’anamnesi è un passaggio obbligato e fondamentale perché costituisce il primo
gradino su cui poggiare la relazione d’incontro e d’ascolto con il bambino e il suo
vissuto, favorendo così un approccio empatico.
Dopo questa primo momento di conoscenza teorica e mediata dei bambini si passa
agli incontri di osservazione diretta delle varie abilità da monitorare dove sarà
possibile entrare personalmente in contatto con loro e avere una visione globale
6
cfr. R. Olivaux, Pedagogia della scrittura e grafoterapia, Epsylon editrice, Roma 2015, p. 23.
«Si tratta di un dialogo, dove lo scrivente è veramente là, dentro e attraverso la sua scrittura»
cfr. R. Olivaux, Pedagogia della scrittura e grafoterapia, Epsylon editrice, Roma 2015, p. 25
7
7
delle loro capacità e difficoltà, tenendo sempre conto della dimensione ludica e di
gruppo relativa ai test da somministrare per garantire un clima sereno e di
collaborazione, cercando di non marcare la funzione esaminatrice dello screening.
I vari test che vengono sottoposti seguono un criterio di gradualità e hanno lo
scopo precipuo di rilevare non tanto i sintomi di una possibile disgrafia quanto le
carenze e le competenze in specifici ambiti per poter poi dare indicazioni e
suggerimenti utili alle insegnanti che a loro volta potranno improntare il piano
didattico-educativo alla luce dei risultati ottenuti.
Di seguito sono passate velocemente in rassegna alcune abilità che vengono prese
in esame in fase di screening e i possibili esercizi ad esse collegati:
• percezione: è un’abilità fondamentale per l’apprendimento della scrittura perché
la percezione sensoriale, in particolare visiva e tattile, è preliminare allo
sviluppo motorio e grafo-motorio; gli esercizi proposti possono basarsi ad
esempio sulla capacità di distinguere le figure, di allineare le figure sul rigo,
distinguere forme geometriche e forme simmetriche (percezione visiva) oppure
discriminare gli oggetti caldi e freddi, lisci e ruvidi, riconoscere le forme con gli
occhi bendati (percezione tattile). Quest’ultimo esercizio inoltre stimola
l’immaginazione del bambino che deve ricreare mentalmente l’oggetto per
poterlo riconoscere. Un procedimento analogo avviene quando il bambino deve
pianificare gli atti motori per realizzare graficamente una data lettera, ma per
farlo deve preliminarmente ricrearsi l’immagine mentale della lettera stessa.
• orientamento e organizzazione spaziale: il concetto di spazio e la comprensione
delle relazioni spaziali tra gli oggetti deve diventare una competenza salda
perché nella scrittura il filo grafico presenta ordini di proporzione e grandezza,
direzionalità in uno spazio limitato come la riga e la pagina. Le attività che
indagano questa abilità possono essere la riproduzione di segni nel rispetto delle
relazioni spaziali, completare un disegno con le indicazioni di organizzazione
spaziale, attività sensoriali con il corpo..
• organizzazione temporale: sapere distinguere il prima e il dopo, sapersi
orientare nel corso della giornata. Attività: riordinare cronologicamente le
sequenze di una storia, discriminare la prima e l’ultima parola di una frase…
• ritmo: l’integrazione tra lo spazio e il tempo dà vita al ritmo; la scrittura è ritmo
dato dall’alternanza di bianchi e neri, di pause e riprese. Attività: riprodurre
8
ritmi sul tavolo (anche ad occhi chiusi), movimento e respirazione in
abbinamento, concetto di “contrasto” (lentezza/velocità)
• coordinazione occhio-mano: nell’atto dello scrivere, l’occhio ha una funzione
anticipatoria rispetto alla mano, perché deve controllare il gesto e modificarlo in
base allo spazio grafico, ai margini, alla larghezza tra le righe, alla tenuta del
rigo. Attività: ritaglio con le forbici, labirinti, lancio e ripresa della palla.
• lateralità: è importante stabilire se il bambino ha raggiunto e consolidato la
propria lateralità, individuando quindi la mano abile 8 e quella d’uso. Attività:
azioni da mimare, prove pratiche con la mano (anche per l’occhio e per il
piede).
• schema corporeo: il grado di percezione del proprio corpo e dello schema
corporeo in generale è un’altra abilità fondamentale perché permette di
orientarsi nello spazio della pagina come su uno spazio proiettivo. Attività:
riconoscere e denominare i segmenti corporei, rappresentare la figura umana,
rappresentare la propria mano (il contorno, nominare le dita, disegnare le
unghie…)
• memoria e attenzione: Antoine de La Garanderie definisce le capacità
mnemoniche e attentive “gesti mentali” che vanno insegnati affinché diventino
intenzionali e in tal modo anche efficaci per l’apprendimento. La memoria a
breve e lungo termine è fondamentale per la tesaurizzazione degli
apprendimenti che vengono affrontati quotidianamente; l’attenzione è
indispensabile per mantenere la concentrazione durante l’apprendimento. Per
indagare queste abilità si possono svolgere esercizi come il collegamento dei
puntini numerati, il riempimento degli spazi col puntino, la ripetizione di
sequenze di nomi o numeri dopo l’insegnante.
• capacità linguistiche: il bambino deve raggiungere buone competenze
linguistiche a livello di funzionalità, produzione e comprensione. Attività:
ripetere correttamente parole e frasi, descrivere immagini, compiere azioni su
consegna verbale, comprendere una storia ascoltata.
cfr. A. Venturelli, Il corsivo: una scrittura per la vita. Prevenzione e recupero della disgrafia,
ed. Mursia, 2014, p. 59: «Bisogna inoltre che la laterali sia ben definita, perché l’esercizio
grafico consiste nell’allenamento della mano più abile che collabora attivamente con l’occhio
dominante, fino ad acquisire gradualmente gli automatismi grafo-motori».
8
9
• capacità di astrazione: la scrittura è un complesso sistema di segni (grafemi) che
traducono suoni (fonemi) secondo un principio di convenzionalità e
simbolizzazione. Per potere conseguire questa capacità è importante che il
bambino acquisisca il concetto di astrazione e concettualizzazione. Attività:
gioco simbolico e di finzione.
Una volta terminati i test e valutati i dati emergenti dall’assegnazione di un
punteggio specifico per ogni prova, è necessario un ulteriore incontro con le
insegnanti per comunicare l’esito dello screening e suggerire quali abilità e
competenze stimolare nei bambini per favorire uno sviluppo grafo-motorio, psicomotorio, percettivo e spazio-temporale il più possibile completo e propedeutico
all’apprendimento della scrittura in un quadro che si completerà con l’ingresso
alla scuola primaria.
1.2 L’intervento psicomotorio in ambito educativo-preventivo
L’impostazione di base che alimenta e configura l’attività di screening e la
didattica, in chiave educativa-preventiva, nella scuola dell’Infanzia affonda le sue
radici nella psicomotricità.
Questa scienza è da considerarsi “giovane” in quanto si è affermata e consolidata
in tempi relativamente recenti, a partire dal XIX sec. fino ad arrivare ad una
maturazione completa intorno alla metà del ‘900. Sono molti i nomi di coloro che
hanno dato contributi importanti alla psicomotricità: il neurologo francese Duprè,
che usò il termine all’inizio del ‘900 in un’accezione più specifica rispetto al
passato ed enunciò la legge di psicomotricità che prevedeva lo sviluppo parallelo
delle funzioni motorie, di quelle psichiche e della capacità di azione; Julien de
Ajuriaguerra che pubblicò il “Manuale di psichiatria del bambino” dando ulteriore
impulso alla metodologia psicocinetica soprattutto in ambito rieducativo; infine
Jean Le Boulch, considerato il fondatore della psicocinetica, che grazie alla sua
formazione eclettica (professore di educazione fisica, medico e specialista in
10
rieducazione) ha saputo strutturare la psicomotricità come una vera e propria
scienza del movimento umano.
La grande rivoluzione della psicomotricità trova la sua ragion d’essere in un
concetto di natura preminentemente “filosofica” che pone fine alla visione
dualistica dell’uomo, concezione di origine platonica, in cui il corpo e la mente
vivono in una costante dicotomia. In tal senso Le Boulch scrive:
«L’opzione dualista, che è l’essenza della nostra cultura occidentale, sfocia nella
concezione di un “corpo-strumento”. In una simile concezione, le preoccupazioni
educative fondamentali devono mirare all’essenziale, allo spirito; il corpo non ha
importanza che nella misura in cui esso permette l’espansione dello spirito»9.
Questa visione dualista pone necessariamente il corpo in un rapporto di inferiorità
e stretta dipendenza dallo spirito/mente; non a caso Le Boulch parla di corpostrumento quasi come se la dimensione corporale, materiale non avesse una
propria consistenza, un proprio essere ma vivesse solo in funzione dello spirito o
in totale abnegazione10.
Si oppone alla visione del corpo-strumento quella del “corpo proprio”, ovvero di
un “essere situato corporalmente nel mondo”; questa concezione considera
l’organismo umano soggetto ad un dialogo continuo con il mondo e l’ambiente
circostante che inevitabilmente lo condiziona e lo “forma”. La dicotomia corpomente quindi viene a cadere e si consolida la convinzione dell’unità inscindibile
tra queste due componenti dell’essere umano, ove l’una è strettamente collegata
all’altra in un rapporto paritario e di scambio biunivoco: l’esecuzione motoria è il
riflesso di condizionamenti emotivi, psicologici, relazionali e sociali; d’altra parte
l’area cognitiva, emotivo-affettiva, relazionale e sociale subisce influssi derivanti
dall’attività motoria.
cfr. J. Le Boulch, Verso una scienza del movimento umano, Armando editore, Roma 1999, p.
144.
9
cfr. J. Le Boulch, Verso una scienza del movimento umano, Armando editore, Roma 1999, p.
145. Nell’ottica del corpo-strumento in relazione alla formazione professionale, l’età industriale,
secondo il medico e rieducatore francese, non ha fatto altro che rivelare concretamente il
dualismo cartesiano con tutte le sue conseguenze. In una società che ha come unico scopo la
produzione, l’uomo diventa “l’homme-machine”, l’uomo robot che vive alienato nella fabbrica
con il compito esclusivo di ripetere gesti automatizzati e frammentari. Non sono necessarie
conoscenze teoriche, il corpo è solo un oggetto che produce. «La spersonalizzazione del lavoro
separava sempre più nettamente gli aspetti intellettuali da quelli manuali».
10
11
Queste considerazioni preliminari relative alla trasformazione che ha portato con
sé l’avvento della psicomotricità in ambito psicologico, neurologico, filosofico,
sociologico, antropologico portano anche a riflettere sull’evoluzione della
nozione di “apprendimento”. Il processo di apprendimento ha come finalità
l’acquisizione di nuove conoscenze che modificano necessariamente il
comportamento derivante dall’esperienza, dall’esercizio e dall’osservazione;
usando le parole di Le Boulch, così si può asserire: «consideriamo essenziale nel
rapporto educativo considerare la persona e il suo corpo come una unità
espressiva che deve risponder in maniera unificata lungo tutto il processo di
apprendimento»11. Tale processo consta, secondo il medico francese, di tre fasi:
• fase esploratoria
• fase di dissociazione
• fase di stabilizzazione
La motricità nel corso di questi passaggi si modifica e si accomoda alla realtà in
base alle risposte che riceve dall’ambiente circostante 12, tralasciando la
meccanizzazione e dando maggior rilievo al controllo sensoriale fino a
raggiungere un apprendimento stabile e solido.
La fase esploratoria consiste nel momento in cui il soggetto entra in contatto con
la situazione-problema e deve trovarvi una soluzione; in questo stadio vengono
realizzate consciamente e inconsciamente delle associazioni tra le nuove
informazioni acquisite e l’esperienza pregressa del soggetto, procedendo secondo
il principio del “tentativo sperimentale” per giungere in conclusione alla
comprensione della situazione stessa. Questo primo stadio è caratterizzato da una
goffaggine e tensione generalizzata.
La fase di dissociazione serve per affinare il movimento eliminando quelle azioni
e quelle contrazioni ritenute inefficaci e contraddittorie, quindi la risposta del
corpo si va perfezionando in base anche “all’attenzione interiorizzata”, che
avviene grazie alla percezione del proprio corpo. Per selezionare e attuare il
cfr. J. Le Boulch, Verso una scienza del movimento umano, Armando editore, Roma 1999, p.
248.
11
Anche lo psicologo statunitense Burrhus Skinner, appartenente al gruppo di studiosi
comportamentisti, condivide la medesima impostazione quando afferma che «apprendere non
equivale a fare; è un cambiare ciò che facciamo». Secondo la sua teoria, l’apprendimento
avviene per prove ed errori, finché il soggetto dopo ripetuti tentativi che consolidano le riposte
giuste, diminuendo contemporaneamente quelle errate, giunge alla soluzione finale.
12
12
programma motorio è necessario richiamarsi principalmente alla regolazione
propriocettiva e realizzare poi sulla base dello schema interiorizzato13 i gesti
motori finalizzati ad un dato scopo.
L’ultima fase è quella della stabilizzazione degli automatismi che, nel processo di
apprendimento, porta all’automatizzazione dell’atto, non più dipendente dalla
coscienza o dal controllo superiore in quanto l’abitudine motoria si è ormai fissata
e l’automatismo acquisito inconsciamente costituirà la base per nuovi
apprendimenti e altre attività.
In questa ottica la scrittura è definita come un atto psicomotorio complesso che
passa attraverso le fasi precedentemente esposte, perché, attraverso
l’interiorizzazione dello schema appreso e la pianificazione motoria, proietta
all’esterno la rappresentazione mentale elaborata dal cervello e finalizzata ad un
determinato scopo.
A questo punto è facile capire perché la psicomotricità sia parte integrante e
fondante del piano di prevenzione e rieducazione del gesto grafico: nel caso
specifico dello screening e del piano didattico nella scuola dell’Infanzia, il campo
d’azione è sicuramente quello legato all’ambito educativo- preventivo.
Come è stato già detto, uno dei prerequisiti necessari per l’apprendimento della
scrittura è l’acquisizione dello schema corporeo, inteso come coscienza del
proprio corpo in rapporto a se stessi, agli altri e al mondo circostante in una
dimensione spaziale e temporale, risultante dall’interiorizzazione che ne è stata
fatta. Questa immagine interiore deriva dall’esperienza concreta e personale
vissuta dal soggetto con il suo corpo a partire da attività ed esercizi motori che
hanno aperto l’accesso al piacere senso-motorio. Un’altra grande novità apportata
dalla psicomotricità risiede proprio nella scoperta del movimento come
espressione del mondo emotivo, affettivo e psicologico dell’uomo e non solo
come mera azione cinetica; in questo senso il corpo può diventare una porta
Le Boulch, parlando di “interiorizzazione”, intende quel processo che passa attraverso
l’elaborazione di una rappresentazione mentale con lo scopo di generare una risposta a partire
da un’esperienza vissuta dal soggetto. In particolare nelle prime due fasi, ma specialmente nello
stadio di dissociazione, l’interiorizzazione svolge un ruolo fondamentale per l’acquisizione
dell’apprendimento motorio: «quando l’adeguazione tra l’immagine del movimento e le
sensazioni cinestesiche , che provengono dalla sua esecuzione, si è realizzata, si può dire che il
modello è stato interiorizzato. In concreto l’immagine mentale si è inscritta nel corpo in
movimento esprimente l’unità dell’essere». Cfr. Le Boulch J., Verso una scienza del movimento
umano, Armando editore, Roma 1999, p. 258.
13
13
d’accesso privilegiata per osservare e comprendere il mondo psichico che lo
muove.
L’approccio psicomotorio ha lo scopo di prevenire le possibili difficoltà di
scrittura andando ad agire sulla capacità espressiva del bambino attraverso varie
attività, proposte dall’insegnante, come i giochi simbolici o di immaginazione
attraverso cui si fa esperienza del corpo “vissuto”; è importante dare al bambino la
possibilità di sperimentarsi senza indirizzare e canalizzare i suoi movimenti e le
sue azioni ma limitarsi a coordinare e osservare la scoperta del piacere sensomotorio; altri giochi tendenti al medesimo scopo possono avere in ausilio attrezzi
e strumenti come la palla, la corda, i birilli utili per sviluppare anche competenze
inerenti la coordinazione e la percezione; attività di conte tradizionali, filastrocche
e canzoncine « che contengono gli “elementi formali” (ritmo, assonanza, rime) e
un’associazione di azioni motorie predisposte, oltre che chiari riferimenti
percettivi che richiedono al bambino una serie di adattamenti ben precisi» 14.
L’attività psicomotoria per risultare efficace necessita della compresenza di tre
elementi fondamentali: cosa fare, come fare, come essere. Con la prima
espressione si intende la predisposizione e la puntualizzazione da parte
dell’insegnante degli obiettivi che si vogliono raggiungere, perché solo avendo un
programma chiaro e graduale è possibile lavorare in maniera funzionale con i
bambini. Il “come fare” sottintende i vari mezzi che si possono usare per il
raggiungimento dello scopo prefissato: si tratta di tutte le attività che sono state
menzionate in precedenza. Infine il “come essere” indica la relazione, l’approccio
e l’atteggiamento che l’insegnante manifesta nei confronti dei bambini,
consistente nella capacità di ascolto attivo, di adattamento e soprattutto di
flessibilità. Questo termine deve risultare sempre una costante in qualsiasi campo
di applicazione relativo all’educazione perché, nonostante sia importante e
imprescindibile organizzare un progetto che abbia obiettivi chiari e definiti, allo
stesso tempo è fondamentale mantenere uno sguardo attento sui reali bisogni e le
necessità emergenti dal feedback dei bambini stessi per sapere modificare in
itinere il percorso da portare avanti, a vantaggio di un’educazione reale e
http://www.comune.torino.it/centromultimediale/bambini/pdf/8701_dettori.pdf : “Educazione
psicomotoria nella materna: cosa fare, come fare”.
14
14
rispondente alla sua vera vocazione: tirare fuori (“educare”: dal latino e-ducere,
condurre fuori) il mondo vissuto dal bambino con tutte le sue capacità e difficoltà.
15
NOTE GIURIDICHE
• Legge 8 Ottobre 2010, n. 170 “Nuove norme in materia di disturbi specifici
dell’apprendimento in ambito scolastico”
• Decreto Ministeriale 12 Luglio 2011, n. 5669, “Linee guida per il diritto agli
studi degli alunni e degli studenti con DSA”, allegate al d.m. 12/07/2011
• Decreto Ministeriale 17 Aprile 2013, n. 297, “Linee guida per la
predisposizione dei protocolli regionali per le attività di individuazione precoce
dei casi sospetti di DSA”
BIBLIOGRAFIA
• Consensus Conference, Roma, 6-7 Dicembre 2010
• Le Boulch J., Verso una scienza del movimento umano, Armando editore, Roma 1999
• Olivaux R., Pedagogia della scrittura e grafoterapia, Epsylon editrice, Roma 2015
• Venturelli A., Il corsivo: una scrittura per la vita. Prevenzione e recupero della
disgrafia, ed. Mursia, 2014
SITOGRAFIA
• http://www.comune.torino.it/centromultimediale/bambini/pdf/8701_dettori.pdf:
“Educazione psicomotoria nella materna: cosa fare, come fare”
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