Il diritto amministrativo: nozioni e fonti 5 Capitolo Primo Il diritto amministrativo: nozioni e fonti I n questo capitolo si tratterà del diritto amministrativo in generale e delle sue caratteristiche; verranno analizzate, inoltre, le fonti del nostro ordinamento ed, in particolare, quelle del diritto amministrativo. Fonti Costituzione (principi costituzionali contenuti in norme precettive e norme programmatiche, leggi costituzionali e di revisione, Statuti delle Regioni ad autonomia speciale) Fonti comunitarie (regolamenti, direttive, decisioni) Legge ordinaria (dello Stato, delle Regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano) Altri atti legislativi (decreti legge, decreti legislativi) Fonti secondarie (regolamenti, ordinanze, Statuti di degli enti pubblici) Fonti non scritte (consuetudine) Norme interne regolamenti interni ordini circolari istruzioni Prassi amministrativa 1. Il diritto amministrativo Il diritto amministrativo è la disciplina giuridica che concerne l’organizzazione, i mezzi e le forme delle attività della P.A., nonché i rapporti tra la P.A. e gli altri soggetti dell’ordinamento, sia quando agisce con poteri autoritativi sia quando usa strumenti e forme del diritto privato (barile, casetta). La migliore dottrina ha abbandonato il criterio di definizione del diritto amministrativo basato sull’oggetto (la cura di interessi pubblici) ed ha ricostruito tale definizione riferendosi al soggetto: la pubblica amministrazione. Per pubblica amministrazione si intende: — in senso oggettivo, la funzione amministrativa, quale cura concreta degli interessi pubblici; — in senso soggettivo, la sede dell’attività amministrativa, ovvero il soggetto che quell’attività svolge. Capitolo Primo 6 Il diritto amministrativo presenta i seguenti caratteri: a) è diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui uno dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (cioè la P.A.) nell’esercizio di potestà amministrative; b) autonomo: in quanto, si giova di propri principi e proprie regole, diversi da quelli delle altre branche del diritto; c) comune: in quanto si riferisce a tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento e non soltanto a determinate categorie (ciò ha rilievo ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto); d) ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti, inglobando o escludendo alcuni settori dalla propria gestione. 2. Funzione politica e Funzione amministrativa L’individuazione e la scelta dei fini di interesse generale che lo Stato vuole perseguire in un determinato momento storico costituiscono, invece, oggetto della funzione politica, che incontra come unico limite le previsioni della Costituzione. Gli atti emanati dai soggetti pubblici, nell’esercizio di tale funzione, sono detti atti politici e sono caratterizzati da una particolare forza e da una particolare disciplina. Tipici esempi di atti politici sono gli atti con i quali il Presidente della Repubblica indice le elezioni e i referendum, gli atti di iniziativa legislativa, la scelta dei propri rappresentanti da parte del corpo elettorale. La funzione amministrativa consiste nella concreta realizzazione dei fini determinati dal potere politico ed è caratterizzata da una limitata discrezionalità, poiché deve essere svolta non solo nel rispetto dei principi costituzionali, ma anche in armonia con le leggi ordinarie e con gli atti ad esse equiparati (decreti legge, decreti legislativi). Nell’esercizio di tale funzione i soggetti pubblici emanano gli atti amministrativi, le cui caratteristiche saranno esaminate in seguito con maggiore attenzione. 3. Gli atti politici A)Concetto Gli atti attraverso i quali si esercita in concreto il potere politico sono definiti atti politici o di governo da intendersi, però, non come «atti di spettanza del Governo», bensì come «atti con cui viene esercitata l’attività di governare» e cioè, atti di suprema direzione dello Stato nonché di coordinamento e di controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca (SANDULLI). Secondo VIRGA, gli atti politici sono quelli individuati in base ad un criterio formale e, cioè, la loro provenienza dalle autorità di governo (Presidente della Repubblica, Consiglio dei Ministri, Presidente del Consiglio dei Ministri), nonché ad un criterio materiale, ossia la loro emanazione nell’esercizio del potere politico. B)Caratteri degli atti politici Gli atti politici presentano le seguenti caratteristiche: a) numerus clausus: non sono infatti ammissibili atti politici al di fuori di quelli previsti, esplicitamente o implicitamente, dalla Costituzione (SANDULLI); Il diritto amministrativo: nozioni e fonti b) libertà nel fine: in quanto essi stessi determinano gli scopi della loro sfera di azione. Su di essi, pertanto, è di regola impossibile un sindacato di legittimità proprio perché non esiste una legge che ne diriga la sfera d’azione. Si noti, comunque, che: — la libertà dei fini non può considerarsi assoluta, ma deve seguire lo spirito e la lettera dei principi costituzionali; — la libertà delle forme è limitata all’osservanza delle forme rituali (cd. procedimentalizzazione) previste dall’ordinamento; c) non assimilabilità alla categoria degli atti amministrativi: per tale motivo essi, non essendo amministrativi, non sono sindacabili dal giudice amministrativo. Questa conseguenza è il riflesso del fatto che gli atti politici si pongono al di fuori dell’area del principio di legalità. Tale regime non contrasta con l’art. 113 Cost. (il quale prevede che contro gli «atti della pubblica amministrazione» — e non contro gli «atti amministrativi» — sia sempre ammessa la tutela dei diritti e degli interessi legittimi) solo perché gli atti politici, data la loro lata discrezionalità e il carattere libero del loro fine, non ledono diritti soggettivi o interessi legittimi, le uniche situazioni alle quali l’ordinamento assicura tutela giurisdizionale (così CASETTA). A tale proposito, occorre richiamare quanto contenuto nell’art. 7 del Codice del processo amministrativo, recato dal D.Lgs. 104/2010, nel quale si legge che non sono impugnabili gli atti e i provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico. C)Criteri di classificazione Gli atti politici possono essere inquadrati sotto due distinti profili: 1) profilo soggettivo. Soggetti legittimati all’adozione di atti politici sono: Governo, Presidente della Repubblica, Parlamento, Corte costituzionale, Regioni e corpo elettorale. A seconda della fonte dalla quale promanano, è possibile poi operare un raggruppamento degli atti politici in due grandi categorie: — atti di indirizzo politico costituzionale, posti in essere da organi statali super partes (Presidente della Repubblica, Corte costituzionale), preposti a garantire l’osservanza della Costituzione. Rientrano in questa categoria, ad esempio, gli atti con i quali il Presidente della Repubblica indice le elezioni politiche ed i referendum, i suoi messaggi alle Camere, e le sentenze della Corte costituzionale; — atti politici di maggioranza, posti in essere da organismi statali (corpo elettorale, Parlamento e Governo) espressione della sovranità e chiamati a dare manifestazione giuridica alle forze di maggioranza della comunità nazionale. Sempre in via esemplificativa si devono ricordare, a tale proposito, la scelta dei propri rappresentanti da parte del corpo elettorale, l’elezione del Presidente della Repubblica e gli atti di iniziativa legislativa; 2) profilo oggettivo. Per SANDULLI, nel novero degli atti politici, sono riconducibili atti dotati di diversa forza giuridica: infatti, mentre taluni rientrano nell’ambito del potere legislativo o di quello giurisdizionale (gli atti di normazione primaria e le pronunce della Corte costituzionale sono, infatti, atti di suprema direzione della cosa pubblica), altri non sono inquadrabili nell’ambito dei poteri tradizionali e possono, perciò, essere qualificati come atti politici puri. Ciò posto, è possibile operare la seguente distinzione: — atti aventi forza di legge (leggi del Parlamento e delle Regioni, decreti-legge e decreti legislativi); — atti aventi forza giurisdizionale (sentenze della Corte costituzionale); — atti formalmente amministrativi privi di forza legislativa o giurisdizionale (proposta di nomina dei Ministri, nomina dei Sottosegretari, proposizione della questione di fiducia, elezione del Presidente della Repubblica, adesione dello Stato italiano ad un embargo deciso dagli organi internazionali, dichiarazione di pericolo pubblico o dello stato di guerra). 7 Capitolo Primo 8 4. Gli atti di alta amministrazione Gli atti di alta amministrazione sono quegli atti amministrativi che svolgono un raccordo fra la funzione politica e la funzione amministrativa; costituiscono, quindi, una manifestazione di impulso all’adozione di atti amministrativi, funzionali all’attuazione dei fini della legge. Essi, essendo formalmente e sostanzialmente atti amministrativi, sono in tutto e per tutto soggetti al loro regime giuridico, e non possono ritenersi liberi nei fini, come invece gli atti politici, ma sono vincolati ai fini ed alla funzione loro assegnati dalla legge (SANDULLI). In via esemplificativa, sono atti di alta amministrazione: — le decisioni dei Comitati interministeriali; — le deliberazioni di nomina e revoca dei più alti funzionari dello Stato; — le deliberazioni di nomina o trasferimento dei dirigenti dei maggiori enti statali strumentali (es.: Banca d’Italia); — le nomine degli organi di vertice delle pubbliche amministrazioni, in quanto espressione della potestà di indirizzo e di governo delle autorità preposte alle amministrazioni stesse; — le nomine dei direttori generali delle aziende Unità Sanitarie Locali (art. 3 D.Lgs. 502/1992). Essendo gli atti di alta amministrazione atti amministrativi sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, deve ritenersi sempre possibile la tutela giurisdizionale nei loro confronti, nel rispetto del dettato dell’art. 113 della Costituzione. La tutela giurisdizionale nei confronti di tali atti è normalmente quella azionabile davanti ai giudici amministrativi, trattandosi di atti altamente discrezionali nei cui confronti è difficilmente ipotizzabile la configurabilità di diritti soggettivi e, quindi, la possibilità di ricorrere alla tutela giurisdizionale ordinaria. 5. Concetto di fonte del diritto Fonti del diritto sono tutti gli atti o i fatti da cui traggono origine le norme giuridiche e che costituiscono l’ordinamento giuridico statale. Caratteristica fondamentale degli ordinamenti giuridici moderni è la pluralità di fonti del diritto e il diverso livello delle stesse, frutto anche del moltiplicarsi in questi anni dei centri di produzione di norme giuridiche (nazionali, sovranazionali e internazionali), tanto che si parla oggi di un sistema multilivello delle fonti stesse. Prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana era abbastanza agevole operare una classificazione delle fonti, potendo queste essere fondamentalmente ricondotte a poche tipologie, che, peraltro, trovano una esplicita elencazione nell’art. 1 delle «disposizioni sulla legge in generale», poste a premessa del nostro codice civile (che risale al 1942): le leggi (e tale era anche lo Statuto albertino, che poteva essere liberamente modificato da una legge ordinaria), i regolamenti, le norme corporative e gli usi. Il processo di integrazione europea, da un lato, e i processi devolutivi, dall’altro, hanno determinato una continua e dinamica ridistribuzione di poteri normativi, con l’effetto di moltiplicarli. Non solo. Si è osservato che sono «tendenzialmente mutati i tratti morfologici del prodotto normativo e in particolare dell’atto formale legge: infatti, non essendo più il procedimento legislativo gestito in massima parte da un unico livello istituzionale e presentando, invece, lo stesso procedimento legislativo una natura, per così dire, compartecipata da diversi soggetti istituzionali, ognuno dei quali ne possiede una quota, il prodotto normativo finisce per presentarsi con i caratteri propri di una legislazione intersettoriale o complessa, nella quale vi è una pluralità di atti, di varia origine e natura, fra loro collegati» (GAMBALE, SAVINO). Il diritto amministrativo: nozioni e fonti Alla stregua di quanto sin qui detto, le fonti dell’ordinamento nazionale sono così classificate: 1) fonti di rango costituzionale, ossia: — Costituzione: — leggi costituzionali; — consuetudini e convenzioni costituzionali; 2) fonti europee, ossia: — trattati istitutivi; — regolamenti; — direttive; — decisioni; 3) fonti primarie, suddivise in: — leggi ordinarie dello Stato; — atti aventi forza di legge (decreti-legge e decreti legislativi); — referendum abrogativo; —Statuti delle Regioni ordinarie approvati con legge della Repubblica; — leggi regionali e leggi provinciali di Trento e Bolzano; 4) fonti secondarie, ossia: — regolamenti (statali, comunali e provinciali); —Statuti degli enti locali; 5) consuetudine. Costituiscono atti non rientranti tra le fonti del diritto le norme interne, la cui categoria più importante è costituita dalle circolari. Rapporti tra le fonti I rapporti tra le fonti possono regolarsi secondo tre criteri: • cronologico, che si applica quando due norme confliggenti sono poste da fonti dello stesso tipo. In tal caso, alla norma precedente viene preferita quella successiva, secondo il principio lex posterior derogat legi priori; • gerarchico, quando le norme confliggenti provengono da fonti diverse. Nel nostro ordinamento, infatti, le fonti si collocano a livelli diversi, per cui le norme successive poste da fonti di rango inferiore, che siano in contrasto con norme provenienti da fonti di rango superiore, sono invalide e soggette ad annullamento (come è previsto per le leggi e gli atti ad esse equiparati dall’art. 136 Cost.) o a disapplicazione (come è tenuto a fare il giudice ordinario con i regolamenti governativi in contrasto con la legge); • di competenza, che può presentarsi in due forme diverse: — può verificarsi una separazione di competenza, fondata sulla diversità di oggetti regolabili o di ambito territoriale, oppure su entrambi gli elementi (un esempio è dato dai regolamenti parlamentari, cui la Costituzione riserva in via esclusiva la disciplina dell’organizzazione interna delle Camere); — in altri casi la Costituzione mostra di preferire, per la disciplina di una particolare natura, una fonte piuttosto che un’altra, senza impedire a quest’ultima di regolarla fino a quando la fonte preferita non abbia provveduto ad introdurre la propria disciplina. 6. La Costituzione È la legge fondamentale dello Stato; essa, racchiude le norme e i principi generali relativi all’organizzazione e al funzionamento, ed ai fini dello Stato. La Costituzione può essere: — ottriata: se concessa unilateralmente, per «grazia» del Sovrano; 9 Capitolo Primo 10 — votata: se adottata volontariamente e liberamente dal popolo, attraverso un apposito organo (assemblea costituente); — rigida: se modificabile solo a mezzo di leggi emanate con procedimenti particolari; — flessibile: se modificabile a mezzo degli ordinari strumenti legislativi; — breve: se si limita a stabilire e regolare l’organizzazione politica e amministrativa dello Stato; — lunga: se, oltre alle norme sull’organizzazione statale contempla anche i principi fondamentali dello Stato e i diritti fondamentali dei cittadini; — scritta: se è consacrata in un documento formale; — non scritta: se è fondata solo su principi tramandati consuetudinariamente (es.: la Costituzione inglese). La Costituzione italiana è: votata, rigida, lunga, scritta. La riserva di legge consiste in una espressa limitazione della potestà normativa spettante all’esecutivo, operata dalla Costituzione a favore del legislatore in determinate materie. La dottrina, avallata dalla Corte costituzionale, ha operato al suo interno una prima fondamentale distinzione fra riserve assolute e riserve relative. Si hanno le prime quando al legislatore è imposto di disciplinare la materia in modo tendenzialmente compiuto, per cui ai regolamenti può essere lasciata la sola disciplina di dettaglio, meramente esecutiva. Le riserve relative, invece, affidano al legislatore la disciplina degli aspetti fondamentali della materia, lasciando maggiore spazio al potere regolamentare e alla discrezionalità dei pubblici poteri. 7. Altre fonti di rango costituzionale A)Le leggi costituzionali In conseguenza del carattere rigido della nostra Costituzione, le modifiche delle norme in essa contenute possono essere effettuate solo con leggi di revisione della Costituzione, per le quali è richiesto uno speciale procedimento legislativo. L’art. 138 della Costituzione, che disciplina tale procedimento, prevede, accanto alle leggi di revisione, altre leggi costituzionali, vale a dire le leggi espressamente definite tali dalla Costituzione; le leggi che si limitano soltanto a derogare una norma costituzionale, senza modificarla in via definitiva; ogni altra legge che il Parlamento voglia approvare col procedimento aggravato. B)Consuetudini e convenzioni costituzionali La nostra Costituzione, pur essendo lunga, non disciplina dettagliatamente tutte le materie di rango costituzionale. In molti casi, quindi, gli organi costituzionali e i soggetti politici sono costretti ad assumere determinati comportamenti pur in assenza di regole scritte. Se tali comportamenti vengono ripetuti, seppure a distanza di tempo, possono dar vita a vere e proprie consuetudini costituzionali. I comportamenti che i titolari di organi costituzionali o le forze politiche tengono nei loro reciproci rapporti maturano, spesso, in particolari circostanze, nelle quali all’assunzione di poteri o di attribuzioni da parte di un soggetto corrisponde l’inerzia di chi avrebbe il potere, la competenza o semplicemente la forza di reagire. Se questa situazione si consolida, si può formare una vera e propria consuetudine; fino a quel momento, si suole parlare di convenzioni costituzionali quasi a suggerire la presenza di un accordo fra parti o interessi diversi. Costituiscono, invece, regole di correttezza costituzionale quelle norme di opportunità o di cortesia, spontaneamente osservate dagli organi costituzionali nell’ambito delle loro potestà discrezionali. 8. Le fonti del diritto dell’unione europea A)Nozione Le fonti del diritto europeo sono costituite dal diritto comunitario originario, che comprende i Trattati istitutivi, che hanno efficacia diretta all’interno degli Stti membri, e gli altri atti successivi che li hanno modificati ed integrati; nonchè dal diritto comunitario derivato, che comprende le norme emanate dalle istituzioni europee per il raggiungimento dei propri obiettivi, quali regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri. Il diritto amministrativo: nozioni e fonti Tali norme hanno valore primario alla stregua delle leggi in quanto si immettono automaticamente nel nostro ordinamento. Esse, inoltre, si sottraggono anche al sindacato della Corte costituzionale. Questa specialissima esenzione, per parte della dottrina, trova il suo fondamento nell’art. 11 Cost. secondo cui «l’Italia in condizioni di parità con gli altri Stati, consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». B)In particolare, il diritto comunitario derivato ➤➤Ha portata generale Regolamento ➤➤È obbligatorio in tutti i suoi elementi ➤➤È direttamente applicabile in ciascun Stato membro ➤➤Non ha portata generale Direttiva ➤➤Non è obbligatorio in tutti i suoi elementi ➤➤Non è direttamente applicabile nello Stato membro dovendo essere recepita da questi ultimi Direttiva self executing ➤➤Ha efficacia immediata, producendo effetti diretti negli ordinamenti interni se e nelle parti in cui imponga obblighi precisi ed incondizionati a carico dello Stato Decisione ➤➤Se indirizzata a particolari destinatari è obbligatoria solo nei confronti di questi Raccomandazione ➤➤Richiede al destinatario un determinato comportamento Parere ➤➤Esprime l’orientamento dell’Unione su una determinata questione ➤➤Se è di tipo indeterminato è obbligatoria in tutti i suoi elementi 9. Fonti primarie e subprimarie Sono fonti soggette soltanto alla Costituzione e per questo definite primarie: a) le leggi ordinarie del Parlamento: disciplinano le materie espressamente riservate allo Stato (art. 117 Cost.) e sono soggette alla Costituzione e ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) i decreti-legge del Governo: sono atti del potere esecutivo, i quali hanno «provvisoriamente» valore e forza di legge (60 giorni), a causa dell’urgenza e della necessità che li ha determinati: tale valore e forza sono loro eventualmente conservati se il Parlamento li converte in legge (entro 60 giorni). Essi decadono del tutto e l’atto è posto nel nulla, se non convertiti in legge dal Parlamento entro il termine prescritto; c) i decreti legislativi di attuazione degli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale: si tratta di decreti del Governo, ad esso delegati dalle leggi costituzionali dello Stato con cui sono adottati gli Statuti delle Regioni Speciali: per questo motivo sono inclusi tra le fonti primarie di 1° grado e non di 2° grado (come i decreti legislativi delegati da leggi ordinarie del Parlamento); d) gli Statuti delle Regioni ordinarie: a seguito delle modifiche introdotte dalla L. cost. 22 novembre 1999, n. 1 e della novella costituzionale ex L. cost. 3/2001, si tratta di leggi regionali approvate con un procedimento rafforzato, soggette solo alla Costituzione; e) le leggi regionali: sono le leggi emanate dalle Regioni, nell’esercizio della potestà legislativa riconosciuta loro dalla Costituzione (art. 117 Cost.) e soggette alla Costituzione e ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; f) le leggi delle Province di Trento e Bolzano: sono anch’esse leggi ordinarie emanate dalle Province suddette, nell’esercizio dell’autonomia legislativa loro riconosciuta dalla legge costituzionale di adozione dello Statuto della Regione Trentino Alto-Adige; g) i decreti legislativi del Governo: sono gli atti legislativi emanati dal Governo (nella forma del decreto, che è l’atto tipico del potere esecutivo) su leggi di delega del Parlamento; in quanto derivano la loro efficacia da una fonte primaria di 1° grado, si considerano fonti primarie di 2° grado. 11 Capitolo Primo 12 I testi unici e i codici I testi unici non rappresentano particolari fonti del diritto. Si tratta, infatti, di testi normativi finalizzati a raccogliere ed ordinare preesistenti norme giuridiche disciplinanti una determinata materia, emanate in tempi successivi. Nell’ambito dei testi unici sono individuabili tre categorie: • testi unici ricognitivi, finalizzati alla mera raccolta delle disposizioni vigenti in una determinata materia senza alcun carattere innovativo né forza vincolante. Essi si caratterizzano per il fatto di promanare da un organo sfornito di potestà normativa in materia e in assenza di una preventiva delega di poteri; • testi unici fonte: sono atti che hanno una forza uguale a quella degli atti cui risalgono le norme da unificare e coordinare (si pensi ai testi unici di norme di legge e di regolamento rispettivamente rivestiti della forma legislativa o regolamentare); l’autorità da cui promanano, pertanto, deve essere fornita di competenza normativa in materia; • testi unici compilativi, finalizzati alla raccolta delle disposizioni aventi forza di legge regolanti materie e settori omogenei (art. 17bis L. 400/1998). 10. Le fonti secondarie Le fonti secondarie sono atti o fatti normativi subordinati alle norme di grado primario. La categoria delle fonti secondarie comprende tutti gli atti espressione del potere normativo (o di autonomia normativa) della pubblica amministrazione statale (Governo, Ministri, Prefetti ecc.) o di altri enti pubblici (Comuni, Regioni, Province ed altri enti). Si tratta, quindi, di atti formalmente amministrativi, anche se sostanzialmente normativi, perché provvisti dei caratteri della generalità, innovatività ed astrattezza propri degli atti normativi. Le fonti secondarie si distinguono in regolamenti, ordinanze e statuti degli enti minori. Le fonti secondarie, in quanto atti amministrativi, sono soggetti alle leggi e a tutti gli atti di pari grado e forza. Quindi: • • non possono derogare né contrastare con le norme costituzionali; non possono derogare né contrastare con tutti gli atti legislativi ordinari (fonti primarie); perciò si dice che non hanno forza né valore di legge, ma solo forza normativa: cioè non possono equipararsi alle leggi ma, nei limiti di esse, hanno una loro forza giuridica quali fonti di diritto. 11. I regolamenti A)Nozione e fondamento I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, in quanto emanati da organi del potere esecutivo (cioè Governo, enti locali territoriali, enti autarchici, ed in certi casi anche da organi della P.A.), ed aventi forza normativa, in quanto contenenti norme idonee ad innovare l’ordinamento giuridico, con i caratteri di generalità ed astrattezza, quindi classificabili come fonti di produzione del diritto; in questo risiede la differenza tra tali regolamenti e quelli adottabili dagli enti di diritto privato, assimilabili ai regolamenti cd. interni. Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi amministrativi possono emanare regolamenti solo quando una legge attribuisca loro tale potere. Principale norma attributiva del potere regolamentare è data dall’art. 17 L. 400/1988 che, per l’appunto, funge da clausola generale. In assenza di una norma di così ampio respiro valevole per le amministrazioni statali, si impone l’accertamento del puntuale riferimento legislativo attributivo del potere. Il diritto amministrativo: nozioni e fonti B)Limiti alla potestà regolamentare I regolamenti non possono: a) derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti; b) derogare o contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere, in un determinato settore e per un determinato caso, di innovare anche nell’ordine legislativo (delegificando la materia); c) regolamentare le materie riservate dalla Costituzione alla legge ordinaria o costituzionale (riserva assoluta di legge); d) derogare al principio di irretroattività della legge (la legge, invece, può derogarvi, in quanto tale principio è sancito dall’art. 11 disp. prel. al codice civile e, dunque, da una fonte di pari efficacia); e) contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.); f) i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i regolamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori; g) regolamentare istituti fondamentali dell’ordinamento. C)Titolarità della potestà regolamentare I regolamenti possono essere emanati da organi: — statali e a loro volta si distinguono in: — governativi, se deliberati dal Governo; — ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo, o dal suo Presidente; — non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori (Prefetto, comandante di porto etc.). Tali regolamenti, a differenza di quelli governativi, hanno portata settoriale e la loro efficacia è limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l’autorità che li ha emanati; — non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Possono anche essere emanati da altri enti, quali Ordini e Collegi professionali, Camere di commercio, industria e artigianato. La potestà regolamentare è attribuita anche alle Autorità amministrative indipendenti, che sono enti od organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal Governo e caratterizzati da autonomia organizzativa, finanziaria e contabile. Tali autorità possono emanare regolamenti di organizzazione, espressione della potestà di auto-organizzazione della P.A. ex art. 97 Cost., nonché i regolamenti che contribuiscono a disciplinare le attività nei settori in cui le Autorità operano. A seconda che siano destinati ad operare nell’ordinamento generale o in un ambito ristretto, i regolamenti si distinguono in: • regolamenti esterni: sono espressione del potere di supremazia di cui l’esecutivo dispone verso tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel territorio dello Stato. Sono fonti del diritto, e la loro violazione costituisce violazione di legge; • regolamenti interni: regolano l’organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo coloro che fanno parte dell’ufficio, organo, od ente. Sono espressioni del potere di autoorganizzazione dell’ente o dell’organo stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro violazione non costituisce vizio dell’atto emanato dall’organo o ente, salvo casi eccezionali. 13 Capitolo Primo 14 Classificazione dei regolamenti Classificazione Regolamenti regionali Regolamenti statali Regolamenti comunali Regolamenti statali Regolamenti governativi Sono adottati con D.P.R. previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato, e sono sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella G.U. Regolamenti ministeriali Regolamenti esecutivi Sono esecutivi, ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. a), i regolamenti adottati per l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari”. Per la giurisprudenza questi regolamenti si limitano a specificare il contenuto della legge o a stabilirne le modalità attuative. Regolamenti attuativi ed integrativi Ai senti dell’art. 17, co. 1, lett. b), i regolamenti adottati per «l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale». Per la giurisprudenza questi regolamenti assicurano l’applicazione e l’integrazione delle leggi avendo forza innovativa, ancorché nel rispetto delle disposizioni di principio da attuare. Regolamenti indipendenti Ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. c), sono tali i regolamenti destinati ad intervenire in materie “in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge». Regolamenti di organizzazione Regolamenti di delegificazione Ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. c), sono quelli adottati per “l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge». Fonti secondarie autorizzate dalla previsione di rango primario a disciplinare ex novo materie già oggetto di legge ordinaria (non coperte da riserva assoluta di legge), dalla quale il Governo può discostarsi avendo la stessa legge indicato le norme generali regolatrici della materia e la disciplina legislativa da abrogare. Vi rientrano i Regolamenti di organizzazione ex art. 17, co. 4bis, l. 400/1988, i quali si distinguono dai regolamenti ex art. 17, co. 1, che presuppongono la sussistenza di una disposizione di legge cui il regolamento deve attenersi. da GAROFOLI, Manuale di diritto amministrativo, ed. Nel diritto 2009 Il diritto amministrativo: nozioni e fonti È importante ricordare che, con l’art. 5, comma 1, lett. a), L. 69/2009, il legislatore ha aggiunto il comma 4ter all’art. 17 della L. 400/1988, con il quale ha attribuito al Governo il potere di provvedere con regolamenti al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle divenute superflue. D)Impugnabilità dei regolamenti I regolamenti sono atti formalmente amministrativi e come tali possono essere impugnati innanzi al T.A.R. Ciò che, in concreto, ostacola la loro impugnabilità è il fatto che non ledono in via immediata la sfera giuridica di un soggetto e, quindi, non sussiste (di solito) un concreto interesse a ricorrere da parte del privato. Pertanto, colui che ha interesse alla eliminazione di un regolamento, o di una norma in esso contenuta, non può impugnare di per sé il regolamento, ma l’atto emanato dalla P.A. in esecuzione del regolamento, allorché tale atto venga a ledere direttamente la sua sfera giuridica. In tale occasione, potrà impugnare congiuntamente anche il regolamento di cui l’atto lesivo è applicazione (cd. doppia impugnativa). In quei casi, invece, in cui il regolamento disponga anche in concreto e sia, pertanto, immediatamente lesivo di una posizione soggettiva, la giurisprudenza amministrativa ha sempre ritenuto ammissibile l’impugnativa diretta ed immediata del regolamento. 12. Le ordinanze A)Concetto Per ordinanze si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza, quindi, impongono ordini. Le ordinanze, per essere fonti del diritto, devono avere carattere normativo, e cioè creare delle statuizioni precettive generali ed astratte. Esse non possono contrastare con la Costituzione, non possono mai contenere norme penali e non possono contrastare con la legge ordinaria. La dottrina prospetta la seguente classificazione: — ordinanze previste dalla legge per casi ordinari; — ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare gravità, in cui sarebbe impossibile l’utilizzazione e l’osservanza delle norme ordinarie (bandi militari, ordinanze del Prefetto, ordinanze eccezionali in caso di calamità pubbliche e catastrofi nazionali); — ordinanze di necessità o libere, emanate per far fronte a situazioni di urgente necessità. La legge attribuisce solo il potere, ma non prevede i casi concreti in cui esercitarlo né pone limiti precisi (salvo quelli risultanti dalle leggi costituzionali e dai principi generali dell’ordinamento) al contenuto di tali ordinanze. Le ordinanze di necessità presentano i seguenti caratteri: • • • • • sono atipiche, nel senso che per la loro emanazione la legge, che ne attribuisce il potere, fissa solo i presupposti, mentre lascia all’autorità amministrativa un’ampia sfera di discrezionalità circa il loro contenuto; presuppongono una necessità ed urgenza d’intervenire che costituisce presupposto di legittimità dell’ordinanza; sono straordinarie, nel senso che il ricorso ad esse è possibile solo ove la situazione di pericolo non possa essere fronteggiata con atti tipici; la loro efficacia nel tempo è limitata, in quanto esse possono avere efficacia solo fin quando perdura la necessità che ne ha legittimato l’emanazione; trovano fondamento esclusivamente nella legge; 15 Capitolo Primo 16 • non possono, in nessun caso, derogare a norme costituzionali o ai principi generali dell’ordinamento e disciplinare materie coperte da riserva assoluta di legge; • debbono essere adeguatamente motivate (Corte cost., 14-4-1995, n. 127) e vanno pubblicizzate con mezzi idonei laddove siano destinate ad avere efficacia nei confronti della generalità dei soggetti o di più soggetti determinati. B)Natura giuridica In dottrina e giurisprudenza si è molto discusso in proposito. Da un lato c’è chi propende per la natura normativa delle ordinanze, sottolineando il fatto che possono talvolta avere contenuto generale ed astratto e che possono derogare a norme di legge sia pure per periodi circoscritti nel tempo. Altri, invece, (tesi oggi dominante) optano per la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa delle ordinanze, proprio in virtù del fatto che essi presentano spesso il carattere della concretezza e per lo più disciplinano situazioni particolari, perdendo così il carattere della generalità. Di recente si è andato affermando un terzo orientamento secondo cui la natura delle ordinanze di necessità ed urgenza va desunta volta per volta dalle caratteristiche concrete dell’atto. 13. gli statuti degli enti pubblici Sono atti normativi esterni, espressione della potestà auto-organizzatoria dell’ente, cioè della potestà che l’ente ha di darsi regole sul proprio assetto strutturale. Essi contengono le norme fondamentali sull’organizzazione dell’ente, sui suoi fini, sui mezzi per conseguirli. Hanno autonomia statutaria innanzitutto le Regioni. In seguito alla riforma dell’art. 123 Cost., introdotta dalla L. cost. 22 novembre 1999 n. 1, gli Statuti delle Regioni ordinarie sono leggi regionali approvate con un procedimento rafforzato. Gli Statuti delle Regioni speciali sono, invece, rivestiti della forma della legge costituzionale. L’art. 6 del D.Lgs. 267/2000 ha espressamente previsto, in attuazione dell’art. 128 Cost., che i Comuni e le Province adottano il proprio Statuto. La L. cost. 18-10-2001, n. 3, di modifica del Titolo V, Parte II, Cost. ha, tra l’altro, abrogato il citato art. 128, ed, in materia, ha stabilito, con la nuova formulazione dell’art. 114 Cost., che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione» (comma 2). Il significato della novella costituzionale è duplice: l’affermazione della piena autonomia dei vari livelli territoriali di governo, peraltro non più subordinati e sottoposti al controllo dell’ente di dimensioni territoriali superiori (in tale nuovo sistema, difatti, cade il controllo regionale sugli atti degli enti infraregionali); ed inoltre, la sottolineatura della subordinazione dell’autonomia di tutti gli enti citati ai soli «principi fissati dalla Costituzione» (non più della legge statale, il che testimonia la pregnanza del ruolo istituzionale riconosciuto agli enti locali e alle Regioni). La legge di attuazione della riforma costituzionale, la L. 131/2003, definisce l’ambito in cui lo statuto degli enti locali può esplicarsi, precisando che esso stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica e nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale di definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali. Tale Statuto stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente ed in particolare determina: — le attribuzioni degli organi; Il diritto amministrativo: nozioni e fonti — le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze; — i criteri generali in materia di organizzazione dell’ente; — le forme della collaborazione fra Comuni e Province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell’accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi. Sia lo Statuto, sia le modifiche ad esso, sono deliberate dal Consiglio (comunale o provinciale). Hanno, infine, potestà statutaria altri enti pubblici i cui Statuti sono adottati dagli enti stessi ed approvati da un ente superiore (Stato o Regione). Tale approvazione ha funzione di atto di controllo e condiziona l’efficacia dello Statuto stesso. 14. La consuetudine La consuetudine è la tipica fonte del diritto non scritta: essa consiste nella ripetizione di un comportamento da parte di una generalità di persone, con la convinzione della giuridica necessità di esso. Essa, quindi, consta di due elementi essenziali: — un elemento oggettivo: il ripetersi di un comportamento costante ed uniforme per un certo periodo di tempo (cd. «diuturnitas» o «usus»); — un elemento soggettivo: la cd. opinio iuris ac necessitatis: cioè la convinzione della giuridica necessità del comportamento. Sulla necessità di questo secondo requisito non tutta la dottrina è concorde: molti autori, infatti, ritengono che il semplice «usus» sia condizione necessaria e sufficiente per il sorgere di una consuetudine. 15. Le norme interne della p.A. A)Concetto Tutte le pubbliche amministrazioni emanano norme relative al funzionamento dei loro uffici o alle modalità di svolgimento della loro attività. Queste norme hanno come destinatari soltanto coloro che fanno parte di una determinata amministrazione e sono qualificate dalla dottrina norme interne. Le norme interne: — non sono fonti del diritto; — non possono essere in contrasto con norme di legge, né con regolamenti o ordinanze; — la loro violazione da parte di un organo amministrativo può dar luogo al vizio di eccesso di potere (sui vizi dell’atto amministrativo v. amplius Capitolo Settimo): in tal caso le «norme interne» violate assumono indirettamente rilevanza esterna (per i terzi); — la loro inosservanza da parte di funzionari o impiegati della P.A. può dar luogo a seconda dei casi, a responsabilità civile, amministrativa (disciplinare), contabile, o anche penale, nonché a forme di controllo repressivo-sostitutivo. B)Le fonti delle norme interne Le norme interne della P.A. possono essere emanate attraverso diversi atti amministrativi: a) regolamenti: molte norme interne consistono in regolamenti interni, disciplinanti il funzionamento interno dell’ufficio; b) ordini: si tratta di atti amministrativi emanati da una autorità gerarchicamente superiore, nei confronti di una inferiore, e contenenti un comando ad agire in un dato modo; c) istruzioni: sono atti contenenti regole di comportamento di carattere tecnico, a chiarimento di altre norme (di legge) generali o (amministrative) particolari, ed inviati da uffici superiori ad uffici inferiori, o talvolta da uffici tecnici ad uffici amministrativi; 17 Capitolo Primo 18 d) circolari: secondo parte della dottrina, la circolare non è una figura autonoma di atto amministrativo, bensì un mezzo di notificazione o di comunicazione di un atto amministrativo avente la più disparata natura e contenuto. Tipologie La dottrina ha individuato i seguenti tipi di circolare: • • circolare organizzativa, contenente disposizioni sull’organizzazione degli uffici; circolare interpretativa, recante l’interpretazione di leggi e regolamenti al fine di assicurarne l’uniforme interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo; • circolare normativa, recante precetti (norme di azione) vincolanti per le azioni successive dell’amministrazione. Si tratta di norme interne, come tali non vincolanti all’esterno e quindi prive di efficacia lesiva all’esterno; • circolare di cortesia, contenente voti augurali, saluti, attestati di stima; • circolare informativa, tesa a informare su determinati atti o problemi, come la situazione normativa o l’orientamento della giurisprudenza. 16. La prassi amministrativa La prassi amministrativa si concreta in un comportamento costantemente tenuto da un’amministrazione nell’esercizio di un potere, ma in difetto della convinzione della sua obbligatorietà. Caratteri ➤➤Non costituisce fonte del diritto ➤➤Può essere utilizzata come referente indiretto per l’interpretazione dell’atto amministrativo ➤➤L’inosservanza di una prassi non configura una violazione di legge, ma può essere sintomo, se non sorretta da adeguata motivazione, di eccesso di potere. (V. in Appendice voce → Atti generali, Atti normativi)