I MOLTEPLICI ASPETTI DELLA MEMORIA
Giacomo Leopardi definiva la memoria “ una facoltà che l’intelletto ha di assuefarsi alle
concezioni, diversa dalla facoltà di concepire o d’intendere. Ed è tanto necessaria all’intelletto, ch’egli,
senza di essa, non è capace di verun’azione”. Una delle caratteristiche più affascinati del nostro cervello
è, quindi, la capacità di apprendere, conservare e richiamare alla coscienza elementi ed esperienze del
passato; come affascinante è il dimenticare tali esperienze. La memoria per il ruolo determinante che
riveste nella vita dell’uomo, ha suscitato sempre un grande interesse ed è stata argomento di riflessione
e discussione sin dai tempi più antichi. Mnemosine e Lete, due figure della mitologia greca
inestricabilmente intrecciate, caratterizzano fin dall’antichità il concetto di memoria: da una parte
Mnemosine, la madre delle muse, la dea da cui nascono la poesia, la musica e la danza; dall’altra, Lete, la
personificazione dell’oblio (Weinrich, 1997). E se da un lato la mente umana è capace di ricordare,
narrare e creare, dall’altro è anche destinata a dimenticare. Come superare i limiti della memoria? E’ un
problema profondamente sentito nel mondo classico e per tutto il medioevo. E’ il problema che ha
spinto allo sviluppo di tecnologie per conservare i ricordi, dapprima con l’invenzione della scrittura e
poi con l’invenzione della stampa. La specie umana si è quindi distaccata dalle specie animali vicine, gli
altri primati, quando ha cominciato a organizzare la propria memoria, dapprima in forme orali (come
accadde al tempo dei poemi omerici) e poi in forme scritte. Il passaggio dalla cultura orale alla cultura
scritta rivoluzionò lo stesso funzionamento della memoria. Fino al Quattrocento-Cinquecento fiorì una
vastissima letteratura sulle arti della memoria, sulle strategie da usare per ricordare, per non dimenticare.
La metafora della mente come un libro, un’espressione ricorrente in Dante, ci rinvia all’idea di
un’organizzazione dei ricordi in forma sistematica, dalla prima all’ultima pagina, con capitoli separati per
ciascun argomento. E poiché il numero dei ricordi e delle conoscenze cresce con il passare degli anni,
ogni individuo ha nella propria mente una specie di biblioteca con scaffali dedicati a settori diversi, dalle
conoscenze sul mondo ai vissuti più intimi e profondi. Tanto che a seconda della lesione svaniscono le
varie conoscenze delle cose, le esperienze, i vissuti e con essi si dissolve parte del nostro essere: dall’Io
individuale al nostro rapporto col mondo.
La memoria - se pur garante del tempo passato che come un filo invisibile tiene insieme i
frammenti delle nostre esperienze - è vulnerabile e fragile. Ma quali sono i meccanismi che permettono
di acquisire le informazioni e gestire i ricordi? Perché riusciamo a richiamare alla coscienza solo parte
delle conoscenze e delle esperienze che si sono verificate nel passato? La memoria è stata, da sempre,
oggetto di speculazione filosofica collocandosi al centro di un articolato discorso dialettico: da una parte
il fluire temporale del succedersi delle esperienze determina effetti che condizionano quello che “ha da
venire” come una ininterrotta narrazione di potenzialità future che originano da eventi passati; dall'altra
il passato è inesorabilmente "ricostruito" dal presente che gli dà forma interpretandone i lasciti
(Lowenthal, 1985). Nel panorama contemporaneo la memoria è oggi oggetto di un'attenzione
multidisciplinare. Sono particolarmente rilevanti, sia gli studi di stampo psicanalitico che privilegiano
soprattutto gli aspetti affettivi e dinamici dei processi mnestici dell'individuo, ponendo l’attenzione sui
meccanismi inconsci di difesa come la rimozione, la censura, ecc.; sia le ricerche condotte nell’ambito
della psicologia sperimentale e delle neuroscienze, che si focalizzano sui meccanismi sottostanti all’atto
del ricordare e del dimenticare, sulla verifica dell'attendibilità dei ricordi, sull'elaborazione di costrutti
teorici che sono alla base del funzionamento della memoria e sui rispettivi correlati neuroanatomici. In
linea generale possiamo dire che il pensiero scientifico contemporaneo pone l’accento sul carattere
selettivo e ricostruttivo dei processi mnestici; sebbene i modelli della memoria siano ancora permeati
dalla metafora agostiniana della memoria come "magazzino", prevale la tendenza a concepire la
memoria, non più come una facoltà monolitica, ma piuttosto come un insieme di complessi ed
interrelati processi che hanno luogo in diverse zone del cervello e la cui funzione è principalmente
quella di garantire l’acquisizione e il mantenimento delle informazioni nel tempo. Proprio la dimensione
temporale è una determinante fondamentale del processo mnestico che caratterizza il suo aspetto
multifattoriale. E’ infatti universalmente riconosciuta la distinzione tra una memoria a breve termine (detta
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anche memoria di lavoro) che ci consente di ricordare per pochi attimi nomi, cifre ecc.; e una a lungo termine
che conserva più stabilmente gli infiniti frammenti di esperienze e di vissuti che aspettano di essere
organizzati per formare un quadro coerente – in cui il passato e il presente sono aspetti di una stessa
scena – che andrà a configurare la narrazione del nostro Io.
La memoria a breve termine è associata alle prime fasi dell’apprendimento e presenta due
caratteristiche fondamentali. Una è la sua breve durata (da millesimi di secondo a secondi), l’altra è la
sua ridotta capacità. Questo tipo di memoria serve a mantenere temporaneamente attiva una
rappresentazione perché possa essere manipolata e utilizzata come, ad esempio, ricordare un numero di
telefono per qualche secondo (il tempo di trascriverlo o digitarlo dopo che è stato pronunciato); oppure
a comprendere una frase: gli elementi che compongono una frase vengono emessi in continuum
temporale. La percezione unitaria che abbiamo di essa deriva dalla capacità di mantenere in memoria
l’inizio della frase integrando le singole parole e connetterle poi con la sua parte finale. La capacità di
integrare nuove informazioni o di costruire nuove combinazioni richiede una forma di memoria
operativa legata alla coscienza di ciò che è qui e ora. In questo senso la memoria a breve termine (o più
appropriatamente, la memoria di lavoro) è considerata la sede del pensiero cosciente. Il contenuto della
memoria a breve termine può andare incontro all’oblio oppure, tramite processi di codificazione, può
essere trasferito a una memoria più durevole. Anche un numero di telefono, se ha una particolare
valenza emotiva e viene ripetuto molte volte, può depositarsi in modo permanente nella memoria a lungo
termine, un sistema più stabile con una capacità e una durata praticamente illimitate, che sottende a tutte
le conoscenze acquisite nel corso degli anni. L’ipotesi che il sistema di memoria a lungo termine sia
unitario non concorda con l'estrema eterogeneità delle conoscenze immagazzinate. Ricordiamo il
significato delle parole e degli oggetti; sappiamo che “Roma” è la capitale dell’Italia e che un “alano” è
un cane. Questo tipo di conoscenza è denominata memoria semantica; una conoscenza di tipo
“enciclopedico” sganciata da dimensioni spaziali e temporali e condivisa da gruppi - più o meno estesi di persone. Gli eventi biografici della nostra vita, come il ricordo del nostro diciottesimo compleanno o
il giorno dell’esame di maturità appartengono a un altro tipo di conoscenza denominata memoria episodica;
una conoscenza caratterizzata da connotazioni temporali (quando) e spaziali (dove) a cui si associa una
significativa componente di soggettività che trova la sua espressione più tipica nella memoria
autobiografica. Questo tipo di memoria per eventi passati si contrappone a un tipo di memoria per
eventi futuri denominata memoria prospettica: ricordarsi di compiere un’azione nel futuro come di fare una
telefonata programmata da tempo o prendere uno specifico farmaco all’ora stabilita. La memoria
prospettica rappresenta il sistema di memoria prevalente nella vita di tutti i giorni.
I sistemi di memoria menzionati finora rappresentano il tipo di conoscenza che siamo
consapevoli di possedere e che possiamo definire memoria esplicita . A questa si contrappone una
conoscenza i cui processi di acquisizione sono indipendenti dalla coscienza; e l’espressione
dell’avvenuto apprendimento si manifesta attraverso la modificazione del comportamento in assenza di
un richiamo consapevole di quanto precedentemente appreso; in altre parole, la memoria implicita è
costituita da ciò che non sappiamo di ricordare ma a cui facciamo inconsapevolmente ricorso (Schacter,
1987). Un esempio di memoria implicita è la padronanza di procedure utilizzate per svolgere un compito,
come ad esempio, guidare la macchina, un’abilità che sebbene appresa in modo consapevole, una volta
diventata automatica – grazie al pratica ripetuta - sfugge al controllo cosciente. Altre forme di memoria
implicita si realizzano in presenza di situazioni particolari in cui, ad esempio, un odore, un suono o
un’immagine scatenano reazioni emotive senza che la persona sappia deliberatamente attribuire
all'evento scatenante un significato ansiogeno. Inconfutabili prove sull’esistenza di questo tipo di
memoria, provengono dalla neuropsicologia. In presenza di danni cerebrali specifici, un paziente può
manifestare un disturbo della memoria esplicita in presenza di prestazioni preservate a livello di
memoria implicita. Una tipica situazione è la seguente: a un paziente amnesico vengono presentate le
foto di due persone, una delle quali viene descritta con aggettivi negativi (criminale, cattiva, ecc..); l’altra
è descritta con aggettivi positivi (buona, gentile, altruista, ecc..). A distanza di tempo vengono
ripresentate le foto e si chiede al paziente di scegliere con chi condividerebbe un pranzo. Il paziente,
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pur non ricordando di avere già visto le foto e di avere ascoltato la descrizione, sceglie la persona che
veniva presentata come buona. Il ricordo è presente in qualche forma, ma il paziente non è
consapevole. L’esistenza di simili discrasie rende particolarmente interessante il campo d’indagine
relativo alla memoria e solleva numerosi affascinanti quesiti. Ad esempio potremmo chiederci perché
alcune lesioni cerebrali alterano certe forme di memoria e non altre ? E dove abitano i nostri ricordi ?
La nostra memoria è affidata a una rete di neuroni e circuiti neurobiologici che si attivano ancora in
modo misterioso. Ciò che sappiamo per certo è che i vari sistemi di memoria finora discussi hanno sede
in aree e circuiti differenti del cervello. L’osservazione di pazienti con lesioni cerebrali e studi condotti
utilizzando avveniristiche tecniche d’indagine hanno contribuito a delineare l’impalcatura sottostante ai
processi mnestici. E’ emerso, ad esempio, che il lobo frontale è coinvolto nella memoria di lavoro e nel
gestire i ricordi prospettici; mentre i gangli della base sono responsabili dell’apprendimento di
procedure. Particolare rilevanza riveste il lobo temporale mediale. In particolare l’ippocampo, coinvolto
nella memoria esplicita, gioca un ruolo decisivo nella gestione dei ricordi di tipo episodico.
L’ippocampo raggiunge la “maturità” dopo i tre anni di vita. Questo spiegherebbe perché non abbiamo
ricordi espliciti dei nostri primi anni di vita. Si pensa che in queste regioni cerebrali si realizzi la
connessione delle esperienze: i brandelli di esperienze ed i relativi scorci di vissuti vengono messi
insieme per tracciare analogie e ristrutturare in termini di significati. Ricordare vuol dire ricostruire
dinamicamente un'esperienza, in cui gli elementi vengono costantemente rielaborati e filtrati anche alla
luce di schemi culturali acquisiti nel corso della vita (Bartlett, 1932) e di stati emotivi presenti al
momento della rievocazione. Una situazioni specifica, in cui l’alterazione dei ricordi è particolarmente
evidente, è la testimonianza oculare. In presenza di un evento significativo, come ad esempio la scena di
un delitto o un incidente automobilistico, vengono fornite versioni alterate rispetto a ciò che è
veramente successo. Di fronte ad una scena violenta, molti fattori impediscono una corretta e
dettagliata registrazione dell’evento: lo stato emotivo del soggetto che lo porta a selezionare gli elementi
ritenuti salienti in quel contesto, come la presenza di sangue o le urla del ferito; le convinzioni che si
acquisiscono in seguito su ciò che può essere successo; il desiderio di confermare un’ipotesi; il modo in
cui sono formulate le domande che possono in qualche modo indirizzare il ricordo; e in ultima analisi, il
filtro dei nostri schemi mentali attraverso i quali passa l’interpretazione dell’intera scena. Eventi
traumatici possono dare luogo ad un altro fenomeno che in letteratura è descritto come flashbulb memory.
Ci si riferisce a un meccanismo indicato come “now print” (istantanea) che come un flash fissa e
conserva con vividezza straordinaria lo scenario presente al momento dell’evento. Questo è un tipico
ricordo associato, ad esempio, all’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelli. Anche a distanza di
molti anni ricorderemo il momento in cui abbiamo appreso la notizia dell’attentato, cosa stavamo
facendo e forse anche come eravamo vestiti. Nella nostra mente c’è un flash dove vediamo noi stessi
immobili davanti alla televisione. Quando, invece, un evento traumatico riguarda la sfera dei nostri
affetti, si può verificare l’assenza totale di rievocazione; in questi casi l’intera scena va incontro all’oblio.
Perché si dimentica ? In situazioni estreme – come, ad esempio, assistere a un delitto di una persona
cara – l’oblio avrebbe una funzione di difesa e corrisponderebbe a quello che in psicanalisi viene
definito processo di rimozione. Si tratterebbe, secondo Freud del desiderio di evitare un ricordo che
potrebbe provocare sentimenti spiacevoli e dolorosi. Questo tipo di amnesia detta “psicogena” e che
Schacter e Kihlstrom (1989) definiscono come “una perdita di memoria attribuibile ad un evento o un
processo scatenante che non risulta in un danno o malattia cerebrale, ma che produce più oblio di
quello che si verificherebbe in assenza di quell’evento o processo” può essere alla base anche di disturbi
di personalità multipla in cui alla perdita della memoria si associa una perdita dell’identità.
L’oblio è un meccanismo che agisce anche in situazioni di normalità. Chi non si è trovato nella
situazione di non riuscire a ricordare un numero di telefono che pur ha composto tante volte o il luogo
dove ha parcheggiato la macchina. Queste temporanee “amnesie” non sono fonte di preoccupazione e
generalmente sono ascritte a vissuti emotivi contestuali, a un meccanismo di interferenza
(un’informazione viene confusa con un’altra) o all’”indebolimento” dei legami mnestici dovuto alla
vecchiaia. Rose (1994) attribuisce all’oblio una funzione di difesa dalle mole sterminata di informazioni
che inflazionano il cervello. Se ricordassimo tutto ci troveremo nella situazione di chi non ricorda nulla.
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Un esempio tipico è il caso “Shereshevskii” descritto da Luria (1968). Si tratta di un uomo dalla
memoria sconfinata che poteva ricordare in forma dettagliata una quantità incredibile di avvenimenti o
lunghissime sequenze di numeri che poteva ripetere anche a distanza di anni. Questo eccesso di
interminabili e incontrollati ricordi invasero tutto il suo mondo condizionandone l’intera vita. La sua
storia e la sua identità si confusero con gli irrefrenabili ricordi proposti a getto da una memoria definita
prodigiosa, fino a divenire un uomo senza identità e senza passato.
Una perdita della memoria più o meno duratura si osserva, invece, in presenza di danni organici
al cervello. Le persone affette da lesioni in aree specifiche possono sperimentare una perdita inesorabile
dei propri ricordi e del senso della propria identità che è il contrassegno di una mente cosciente
(Damasio, 2000). Una lesione può colpire, ad esempio, i ricordi più remoti relativi ad eventi accaduti
prima della lesione (amnesia retrograda); oppure può riguardare l’incapacità di formare nuove memorie
(amnesia anterograda). Uno dei casi clinici più famosi – descritto da Milner (1968) - è il paziente H.M.
(dalle iniziali del suo nome). In seguito all’asportazione parziale del lobo temporale mediale,
H.M.manifestò una chiara amnesia anterograda: incapacità di trasferire nuove informazioni dalla
memoria a breve termine a quella a lungo termine. H.M. non riusciva a ricordare una persona vista
pochi minuti prima, ricordare parole appena ascoltate o pagine di un libro appena lette. Sembrava che
insieme al lobo temporale i medici avessero rimosso anche la sua capacità di formare nuovi ricordi.
Se da una parte si possono dimenticare fatti realmente accaduti dall’altra si possono ricordare
esperienza mai vissute. Esistono, quindi, ricordi che sono veri, altri che sono un misto di realtà e di
fantasia, altri che sono fallaci. I falsi ricordi o pseudoricordi dipendono dalla natura ricostruttiva della
memoria che talvolta cede ad immaginari e creazioni fantastiche per completare il ricordo di
un’esperienza in una forma anche traumatica. Negli anni novanta, ebbe luogo un’accesa controversia
sull’attendibilità o meno di ricordi di abusi sessuali riportati da molte donne che ritenevano di aver
recuperato questi ricordi sepolti, grazie alla psicoterapia. Le donne dichiaravano di essere certe di aver
subito abusi sessuali in tenera età da parte di genitori, amici di famiglia, ecc. Alcune dichiarazioni hanno
in effetti trovato conferma, mentre per molte altre quegli eventi probabilmente non sono mai accaduti.
L’immaginazione non è, tuttavia, l’unica variabile in gioco nella creazione dei falsi ricordi. La
disinformazione può modificare i ricordi di una persona in un modo prevedibile. I ricordi distorti
possono essere il risultato della combinazione di ricordi veri e suggestioni indotte da altri (Loftus,
1997). In situazioni sperimentali è stato dimostrato come individui accusati di aver danneggiato un
computer premendo un tasto, interiorizzavano la propria colpa quando altre persone (complici
nell’esperimento) sostenevano di aver visto loro compiere l’atto. Una falsa prova incriminante può
indurre, quindi, non solo ad accettare la responsabilità di reati non compiuti, ma anche a sviluppare
falsi ricordi per confermare e sostenere la convinzione di colpevolezza. La memoria, dunque, è tutto
tranne che una fotografia fedele di eventi reali e, come sostengono Berliner e Briere (1999), è piuttosto
«un amalgama fra ciò che è stato codificato al momento dell'evento, le conoscenze di base all'interno
delle quali l'evento è stato integrato, l'interpretazione del significato dell'informazione, l'adeguatezza
delle strategie di recupero ed il contesto del recupero».
Ma la memoria non è solo un deposito di singoli eventi personali declinato in un ottica
individuale che scaturisce da esperienze dirette e ricordi soggettivi. Ogni popolo, ogni cultura ha una
sua memoria che coltiva, perfeziona e ridimensiona. Pensiamo ad esempio alla memoria per gli eventi
storici che trascende l’ambito del vissuto individuale e si realizza ed esprime come un patrimonio
condiviso e condivisibile. In tal senso, la memoria per gli eventi storici viene intesa e declinata secondo
due possibili accezioni con differenti sfumature di significato. La “memoria storica” si riferisce
all’insieme dei saperi generati attraverso un processo di acculturazione su larga scala delle informazioni
storiche generate dalla storiografia. Con il termine “memoria collettiva” viene invece indicato il
patrimonio naturale di conoscenze relative al passato che vengono condivise e comunicate all’interno
dei gruppi sociali. Seguendo la definizione di Pierre Nora, si può intendere la memoria collettiva come
“ciò che resta del passato nel vissuto dei gruppi, oppure ciò che i gruppi fanno del loro passato”. In
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modo simile a quanto accade per la memoria individuale la memoria collettiva seleziona e ricostruisce il
passato interpretandolo e riorganizzandolo continuamente. In altre parole la memoria collettiva è
l’insieme di tracce del passato che una società codifica, elabora e trasmette di generazione in
generazione coerentemente con la propria etica e le proprie tradizioni. In quanto patrimonio condiviso
delle rappresentazioni del passato e dei valori etici di una società, la “memoria collettiva” rappresenta la
coscienza che una società ha di se stessa. Per non smarrire la propri identità ed i propri fondamenti etici
le società rafforzano i ricordi collettivi di eventi storici significativi attraverso commemorazioni,
emblemi, monumenti, anniversari, ecc. Un esempio di questo può essere rintracciato nel “giorno della
memoria”, creato proprio affinché il ricordo degli orrori dell’olocausto si perpetui nelle nuove
generazioni e scongiuri il pericolo dell’oblio ed il conseguente riproporsi di eventi simili. Questa
riflessione ci porta a considerare l’altra possibile faccia della memoria collettiva, ossia l’oblio collettivo.
Nel caso della memoria collettiva si può parlare, più che di oblio nel senso classico di decadenza
dell’informazione, di una produzione (più o meno volontaria) dell’oblio, da parte della società, la quale
può operare verso determinati eventi storici, sia una censura esplicita sia forme più subdole di
manipolazione del ricordo. In ultima analisi, il fatto che una collettività selezioni alcuni eventi storici
come degni di commemorazione e ne escluda altri costituisce un meccanismo attivo di produzione
dell’oblio collettivo.
Prof.ssa Maria Pia Viggiano
Direttore del Dipartimento di Psicologia
Docente di Psicologia Cognitiva e Neuropsicologia
Università degli Studi di Firenze
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