03. ITER III_Romanorum mores_La religione e le

CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam
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ITER III
Romanorum mores La religione e le divinità
I romani subirono notevoli influssi religiosi da tutti i popoli con
cui entrarono in contatto, particolarmente dagli etruschi, dagli
altri popoli italici e dai greci.
La religione romana è, quindi, una fusione tra la religiosità
italica primitiva e le religioni importate.
I romani erano molto religiosi e ritenevano di operare sempre in rapporto con il mondo divino, vivendo con giustizia e
praticando la pietas, il sentimento religioso tipico del mondo
romano, che consisteva nell’onorare e venerare dovutamente
gli dèi, nello zelo per le cerimonie religiose, la preghiera e il
sacrificio.
Il pantheon romano
Intorno al VI secolo a.C., in seguito ai contatti con il mondo
etrusco e quello greco delle colonie dell’Italia meridionale, i
Romani iniziarono ad aggiungere alle loro divinità quelle dei
popoli conquistati. Lo storico Tito Livio racconta che, quando
l’esercito poneva l’assedio a una città, il comandante ordinava
al feziale, l’araldo sacro di invitare gli dèi del popolo nemico a
uscire e a passare dalla parte di Roma, dove avrebbero avuto
templi, culti e onori maggiori. Ritenevano, infatti, che sarebbe
stato un atto empio far prigionieri anche gli dèi.
Nella religione romana le divinità rimasero comunque distinte in due grandi categorie:
- di indigetes, le divinità più antiche, gli dèi originari dello
Stato romano, venerati con feste speciali. La tradizione ne ricorda circa settecento: Cerere, Fauno, Giano, Saturno, Silvano, Pomona, Conso, Egeria, Carmenta, Copia, Fama sono le
più note;
- di novensides, divinità straniere, i cui culti furono introdotti
a Roma in periodi storici successivi. Divinità di origine italica
sono Giove, Marte, Quirino; di origine etrusca Minerva e Venere; numerose quelle di origine greca identificate con nome romano.
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Gli dèi erano quindi molti e sovrintendevano ad ogni momento o azione. I più importanti erano tuttavia:
Giove, dio del fulmine e della pioggia, e re degli dèi.
Giunone, moglie di Giove e regina degli dèi, che sovrintendeva alle nascite e ai matrimoni.
Nettuno, dio del mare.
Venere, dea della bellezza.
Marte, dio della guerra.
Minerva, dea della guerra e della sapienza.
Vesta, dea del focolare. A lei erano consacrate le vestali,
sacerdotesse che curavano il fuoco sacro, che non si doveva
mai spegnere.
Mercurio, dio del commercio e del guadagno ed inoltre ambasciatore degli dèi.
Apollo, dio della poesia.
Diana, dea della caccia.
Cerere, dea della crescita e della fertilità del suolo.
Saturno, dio protettore del lavoro e dei campi.
Giano, rappresentato con due volti, era il dio delle porte e
dei cancelli e proteggeva le partenze e gli arrivi dei viaggi. I
cancelli del suo tempio, posto nel Foro, erano aperti in tempo
di guerra e chiusi in tempo di pace.
Accanto a questi dèi, considerati maggiori, vi erano anche
gli dèi familiari cui venivano rivolti riti privati: i Mani, che erano gli spiriti dei morti; i Lari, che proteggevano la famiglia; i
Penati, dèi del padre di famiglia e dei suoi parenti, che erano
trasmessi in eredità. Vi erano anche Lari e Penati pubblici, dello Stato romano, cui venivano offerti sacrifici.
Il culto e i luoghi religiosi
I Romani ritenevano che il modo più semplice con cui l’uomo
poteva entrare in contatto con gli dèi era la preghiera, che era
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recitata a capo coperto e che non doveva subire interruzioni.
Si facevano, inoltre, voti particolari per raggiungere determinati fini, promettendo sacrifici al dio nel caso questi avesse
esaudito le preghiere.
I sacrifici avevano la massima importanza, poiché garantivano i buoni rapporti tra gli dèi e gli uomini. Il sacrificio consisteva, di norma, in un’offerta di cibo: dolci di cereali, farina,
sale, miele, frutti, vino, formaggio o latte. In particolari occasioni si sacrificavano animali, bianchi per gli dèi celesti, neri
per quelli degli inferi. Prima di essere sacrificato, l’animale era
adornato con ghirlande e condotto in processione all’altare.
Quando il fedele ultimava le sue preghiere, i sacerdoti uccidevano l’animale; poi il corpo veniva fatto a pezzi e l’aruspice, un
particolare sacerdote, esaminava le interiora e dalla forma e
sistemazione delle viscere prediceva se la divinità avesse gradito il sacrificio. La carne poi era cotta e mangiata.
Dies fasti e dies nefasti
Gli antichi Romani distinguevano i giorni dell’anno in dies fasti e nefasti e la lista di tali giorni era compilata dal Pontifex
Maximus, la somma carica sacerdotale.
Nei giorni fasti il pretore poteva amministrare la giustizia, si
potevano trattare gli affari commerciali e celebrare le nozze.
Nei giorni nefasti non si poteva procedere ad azioni giudiziarie
di carattere civile e non si potevano celebrare matrimoni. Esistevano poi i dies intercisi nei quali la giustizia poteva essere
amministrata negli intervalli tra una cerimonia religiosa e
l’altra. Invece le feriae publicae, le pubbliche solennità celebrate nei giorni dispari dei mesi, considerati particolarmente
favorevoli, inibivano di fatto qualsiasi azione giuridica.
Oltre i dies nefasti, ancora più infausti erano ritenuti i quaranta dies atri, che erano tutti i giorni successivi alle idi, le
calende e le none, nonché tre giorni particolari quali il 24 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre, allorché cadevano le barriere
tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Atro, e particolarmente
temuto, era il 18 luglio che commemorava la strage dei Fabi e
la presa di Roma da parte dei Galli guidati da Brenno.
Le persone sacre
Mentre nel culto domestico il paterfamilias soprintendeva a
tutte le funzioni, nel culto pubblico c’erano i sacerdoti di professione. Al vertice c’era il pontefice massimo; poi c’erano i
flamini, che presiedevano al culto di un solo dio: I flamini i più
importanti erano tre: quello di Giove, quello di Marte e quello
di Quirino. C’erano poi le vestali, sette donne scelte quando
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erano bambine dal pontefice massimo, che dovevano avere
cura del fuoco sacro nel tempio di Vesta. Esse restavano in carica fino a trenta anni, poi potevano anche sposarsi, se lo desideravano.
I sacerdoti erano divisi in gruppi o collegi a seconda dei
compiti che svolgevano.
C’erano, infine, gli áuguri, che si occupavano della divinazione interpretando i segni, e gli aruspici, che cercavano di interpretare la volontà divina attraverso le visceri degli animali.