Alimenti di origine animale: nutrienti e salutari

di Giuseppe Pulina
Professore di Zootecnia speciale
all’Università di Sassari
scienza e vita
Alimenti di origine animale:
nutrienti e salutari
Carne, latte e latticini
sono spesso al centro
del dibattito. Fanno
bene, fanno male,
sono causa di malattie
gravi o la loro
assunzione è
consigliata? Ed entro
quali limiti?
Facciamo chiarezza sui
tanti interrogativi in
merito a questo
delicato argomento
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Il consumo di alimenti di origine animale è quasi sicuramente la base del nostro essere uomini
e rappresenta una scelta obbligata per vasti strati della popolazione umana di solito residenti in
territori difficili sotto l’aspetto ambientale. L’importanza e la necessità di questi alimenti è testimoniata dal fatto che all’aumento del reddito disponibile segue sempre un incremento dei loro
consumi, che è previsto raddoppieranno entro il
2050. Se da un lato è indubbio il beneficio nutrizionale degli alimenti di origine animale, in quanto apportatori di proteine di alto valore biologico,
di macro e micro elementi (Calcio, Ferro, Zinco,
Magnesio), di vitamine (Vit. B6, B12, D), di acidi
grassi essenziali (omega3-acidi grassi polinsaturi
quali ALA, DHA, EPA, etc.), dall’altro essi sono costantemente messi sotto accusa perché sospettati di aumentare i rischi di contrazione di malattie
croniche a elevato tasso di letalità quali il cancro e
i disordini cardiovascolari. Ne abbiamo parlato su
questa rivista nel numero di ottobre del 2010, ma
data l’entità del dibattito è meglio tornarvi sopra.
Poiché gli alimenti di origine animale rappresentano un ambito vastissimo di prodotti freschi,
trasformati e conservati, prenderemo in esame
soltanto le due classi di cibi più direttamente coinvolte nella polemica sulla salubrità: le carni cosiddette “rosse” (che comprendono le bovine – vitelli
inclusi –, le ovine e caprine, suine e equine. Al di là
del colore dovuto alla maggiore quantità di emoglobine presenti, questa distinzione non è corroborata da nessuna altra differenza di tipo qualitativo fra i vari tipi di carni, a eccezione del tacchino
che si allontana sostanzialmente da tutte la altre),
fresche e trasformate (i salumi, le carni affumicate, le carni in scatola, le carni salate), e il latte con
i sui prodotti, indagandone i pregi e i difetti.
Riguardo il valore della carne per il benessere nutrizionale essa ha il fondamentale ruolo nell’alimentazione umana di soddisfare le esigenze in
micronutrienti, soprattutto nella prima età. La
carenza nel primo anno di vita di vitamina B12,
praticamente assente nei prodotti vegetali, può
comportare sintomi neurologici, anemia megaloblastica, ritardi nella crescita fino a gravi danni cerebrali. I casi di carenza di vitamina B12 nei
bambini riguardano principalmente quelli allattati
esclusivamente al seno da madri vegane o vegetariane e la povertà di carne nelle diete infantili
comporta inoltre altre carenze nutrizionali, in particolare in Ferro e Zinco, correlate con ritardi nello sviluppo neuropsichico, motorio e cognitivo. La
carne rappresenta, infine, un’importante fonte di
acidi grassi, in particolare di alcuni polinsaturi a catena lunga, fondamentali per un ottimo accrescimento fetale e neonatale.
Una questione spinosa
Veniamo ora alla polemica su carne e cancro. Nel
2009 il World Cancer Research/AICR ha considerato il consumo di carni rosse e trasformate fra i
fattori di rischio legati all’insorgenza di cancro al
colon-retto (CCR) e ha raccomandato di limitarne il
consumo a 300 gr/settimana per le prime e di evitare le seconde. Tuttavia, lo stesso centro riconosce
che non ci sono evidenze certe sul legame fra consumo di carni rosse e altri tipi di cancro. Nonostante un’importante parte della letteratura scientifica
sembri concorde sul rapporto causale fra consumo
di carne e aumento del rischio di contrarre il CCR,
sussistono pesanti dubbi sulla corretta rimozione
dalle ricerche dei fattori di disturbo rappresentati dagli stili di vita (fumo, consumo di alcol, obesità, scarsa attività fisica, basso consumo di verdure
e frutta), ma, soprattutto, sulla confusione nella classificazione delle carni. Per quanto concerne
il consumo di carne e il rischio cardiovascolare, si
può dire che fin dallo studio sulle Seven Countries condotto da Keys nel 1953, il consumo di grassi animali e l’aumento del rischio cardiovascolare è
entrato solidamente nelle credenze comuni e nelle
prescrizioni dietetiche. Tuttavia, autorevoli ricercatori sostengono che tale associazione non è chiara
e che meriterebbe un maggiore approfondimento
per separare l’effetto del tipo di grasso da quello
della carne. Ancora una volta, se il rischio è legato
alla quantità e al tipo di lipidi (soprattutto ai saturi
C14 – C16 e trans), la migliore soluzione è quella
di disporre di carni magre, ricche in acidi grassi polinsaturi e bilanciate fra omega6/omega3.
Il ruolo del latte e dei suoi derivati
Vediamo ora il valore del latte e dei latticini per il
benessere nutrizionale. Il latte e i prodotti lattierocaseari sono una matrice alimentare assai complessa che oltre ad avere una composizione della
frazione lipidica tra le più eterogenee (più di 400
acidi grassi da 4 a più di 20 atomi di carbonio, fosflolipidi, sfingo-fosfolipidi, steroli, vitamine) contiene molte altre sostanze di natura azotata, glucidica e minerale che nel complesso rendono tali
alimenti una fonte molto importante di macro e
micro nutrienti in grado di svolgere fondamentali
funzioni per il metabolismo umano. Posto che latte
e latticini rappresentano una importante via di protezione contro il cancro, l’unico dubbio che resta
attiene all’assunzione del grasso quale fattore predisponente le malattie cardio-vascolari. L’eccessiva
riduzione del consumo di prodotti lattiero caseari (in particolare degli yogurt), tuttavia, ha conseguenze negative sull’equilibrio dei nutrienti presenti nella dieta e una azione addirittura deprottettiva
nei confronti del miocardio. La comprensione di
questi risultati deriva dalla rivisitazione della teoria
Due le principali classi di alimenti di origine
animale: le carni rosse (dalle quali sono escluse
solo quelle di tacchino) e il latte e i suoi derivati
Il consiglio?
Consumare
regolarmente
carni fresche
e magre (ottimi
i selvatici) cotte
in modo corretto,
come anche latte
(e suoi derivati)
da animali allevati
al pascolo,
in un contesto
di dieta equilibrata
e stile di vita sano
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scienza e vita
di carboidrati, con conseguente mancato beneficio
in termini di riduzioni del rischio di malattie cardiovascolari. Tra gli acidi grassi, i trans sono particolarmente sotto accusa in quanto si accumulano evidenze sperimentali di un loro impatto negativo sui
marker metabolici delle malattie cardio-vascolari:
l’aumento del colesterolo LDL, una contemporanea
diminuzione di quello HDL e un aumento dell’azione pro-infiammatorio sull’endotelio vascolare. Tale associazione negativa non riguarda quegli acidi
grassi trans; in particolare l’acido vaccenico, C18:1
trans11, il principale acido grasso trans presente nei
prodotti dei ruminanti somministrato a ratti affetti
da dislipidemia, ha comportato un positivo miglioramento dei principali parametri lipidici. D’altra parte gli effetti negativi sulle malattie cardio-vascolari
documentati per gli acidi grassi trans si riscontrano
solo a livelli elevati della loro concentrazione nella
dieta (più del 4-5% dell’energia totale ingerita), incompatibili con le limitate percentuali di questi riscontrate nel grasso dei prodotti di origine animale,
che consentono di assumerne, al massimo, 1-1,5%
del totale dell’energia ingerita.
sul ruolo degli acidi grassi saturi nella dieta. Infatti, contrariamente a quanto si è pensato per molto
tempo, diversi studi (di intervento, epidemiologici,
metabolici) hanno dimostrato che non ci sono evidenze che supportino un’associazione significativa
tra grassi saturi e malattie cardio-vascolari. Gli acidi
grassi a corta catena, ad esempio, non hanno alcun effetto né sulle frazioni del colesterolo né sul
rischio di malattie cardio-vascolari; l’acido stearico
ha un effetto neutro mentre il C14 (acido miristico) è quello che dimostra un’azione più marcata
sull’innalzamento di LDL e HDL. Tuttavia, in termini di raccomandazioni nutrizionali, non è praticamente possibile separare i singoli acidi grassi e,
pertanto, ciò che si osserva negli studi è l’effetto
dell’interazione fra le varie categorie di acidi grassi saturi contenute negli alimenti. Inoltre, se da un
lato la sostituzione degli acidi grassi saturi con una
pari quantità di grassi polinsaturi ottiene un sicuro
beneficio in termini di riduzione del rischio di malattie cardio-vascolari, dall’altro, la riduzione del
consumo di acidi grassi saturi sotto la soglia raccomandata del 10% del totale dell’energia ingerita,
ha comportato significativi incrementi nel consumo
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Pochi utili consigli
In conclusione, l’effetto di uno specifico alimento sul rischio di malattie cardio-vascolari non può
essere determinato semplicemente sulla base del
solo profilo degli acidi grassi: l’esatta conoscenza
della composizione del grasso di ogni alimento
che compone la dieta, può fornire utili indicazioni su quello che può essere l’effetto complessivo
sui marker delle malattie cardio-vascolari. Il consiglio che ci sforziamo di diffondere è che il consumo regolare di carni fresche e magre dal profilo
acidico il più vicino possibile a quello dei selvatici,
cucinate a temperature tali da non comportarne
il bruciamento, e di latte (e derivati) ottenuto da
animali allevati al pascolo alimentati correttamente, unitamente al regolare consumo di verdure e
frutta, all’esercizio fisico, a un responsabile consumo di alcol e all’interruzione del fumo, sono le
chiavi per un inserimento corretto di questi alimenti nella dieta corrente.
Il consumo di alimenti
di origine animale
cresce all’aumentare
del reddito, ed è
previsto che raddoppi
entro il 2050