INTRODUZIONE La depressione post partum è una condizione clinica comune, spesso trascurata. Studi recenti hanno dimostrato come essa possa avere ripercussioni negative non solo sulle stesse donne, ma su tutto il rinnovato contesto famigliare ed in particolare nella genesi del rapporto materno-filiale, i cui esiti sembrano avere ripercussioni a lungo termine. Inoltre un sempre maggior numero di ricerche mostra gli effetti avversi dati da stress, ansia e depressione non trattati, in gravidanza così come nel puerperio. [1] [2] [3] Da una revisione della letteratura si evince come negli ultimi anni ostetriche e ginecologi abbiano acquisito un ruolo primario nella prevenzione, senz’altro un traguardo professionale ma soprattutto un successo per i risvolti positivi sulla salute delle donne. L’attenzione al benessere globale è prosperata ed è diventata argomento di approfondimenti. Meno agevole è invece individuare chi sia il detentore di tale responsabilità, ossia chi abbia la prerogativa e le competenze per approfondire una situazione di difficoltà, malessere, disagio relazionale, quando presenti. Non essendo infatti manifesto e limpido di chi sia appannaggio tale incombenza, si tende ad esimersi da tale onere senza che nessuno di fatto supplisca a questa omissione. L’identificazione della depressione già in gravidanza e nel primo anno successivo al parto è reputata un traguardo notevole nell’attenzione al benessere femminile ma tuttavia di fatto poco concretizzata. Nell’ottica del miglioramento della qualità della vita delle donne e dei bambini, quale obiettivo sanitario mondiale proposto recentemente dall’OMS, il riconoscimento tempestivo di tale malessere e il suo trattamento sono auspicabili. Da queste considerazioni preliminari è germogliata l’idea di questo elaborato, con lo scopo di dare rilievo ad un tema ormai innegabile, senza dubbio ragguardevole e quanto mai attuale. L’ostetrica è la figura ideale per relazionarsi con la donna anche in tal senso, in quanto professionista in merito alla gravidanza e al puerperio fisiologici. Inoltre l’ostetrica conosce perfettamente i vantaggi dati da un vissuto sereno della gravidanza e sua finalità principe è la protezione del benessere globale della donna e la valorizzazione delle sue personali competenze endogene di madre. È altresì nella prospettiva di un’assistenza personalizzata e continuativa che il corso di accompagnamento alla nascita stabilisce l’ambiente ideale quale sede di condivisione, supporto, promozione della salute. Il problema è stato approfondito prima revisionando la letteratura recente connessa, poi mediante studio epidemiologico. I risultati mostrano come la gravidanza sia per le stesse donne incentivo di benessere e per le ostetriche e i clinici debba diventare radice di ancor più sollecita attenzione e comprensione dello stato emotivo oltre che fisico delle donne. 1 LA DEPRESSIONE POST PARTUM Inquadramento e storia Nel 1838 lo psichiatra Esquirol descrive per la prima volta la “follia puerperale”, evidenziando il collegamento temporale con il parto come peculiarità di alcune forme depressive. Ma è nel 1858 che Marcè conferisce autonomia alle psicosi puerperali, pubblicando il suo “Traité de la folie des femmes enceintes. Des nouvelles accouchées et des nourrices”. Successivamente a questa data, le donne colpite da tale disturbo sono state definite “maniaco-depresse”, affette da “demenza precoce” o da “confusione tossica”. Sono stati molteplici gli psichiatri che hanno sostenuto che la “psicosi nel post partum” non esistesse come sindrome slegata e autonoma. Il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) ha incluso, nella sua più recente classificazione, il termine “depressione del post partum” sotto la denominazione “Mood Disorders with a Post Partum Onset Specifier”. La maggior parte dei ricercatori oggi è concorde nel riconoscere l’esistenza e l’indipendenza del disturbo dell’umore nel post partum. Disturbi associati La depressione post partum o postnatale è una delle diverse configurazioni che assume la sofferenza psicologica della donna nel puerperio, a cui si affiancano il baby blues, la psicosi puerperale e la nevrosi traumatica del post partum. Tali quadri sintomatologici si distinguono per intensità, durata e gravità. Tutti indicano però la potenziale vulnerabilità della donna in un periodo di profonda ricostruzione e riorganizzazione psichica attorno ad un nuovo nato che dipende interamente da lei. Il baby (o maternity) blues, descritto per la prima volta da D. Winnicott (1965), rappresenta un disturbo dell’umore di lieve entità, non implicante conseguenze psicologiche a lungo termine ed in genere con una remissione completa e spontanea entro le prime due settimane dopo il parto. I sintomi si manifestano entro pochi giorni dopo la nascita del bambino: crisi di pianto, paure e preoccupazioni eccessive, tristezza, labilità dell’umore, stanchezza, disturbi del sonno e dell’appetito. L’incidenza di questo disturbo oscillerebbe tra il 30 e l’85 %. La notevole diffusione del baby blues suggerisce pertanto un adattamento psicofisico fisiologico agli importanti cambiamenti che intervengono nella vita di una donna quando diventa madre. Tuttavia sarebbe importante poter identificare le donne con baby blues poiché il 20% dei casi è a rischio di evolvere in un episodio depressivo maggiore nel primo anno dopo il parto. 2 La psicosi puerperale rappresenta il disturbo psicologico più grave del periodo del post partum ma fortunatamente anche il meno frequente (incidenza 1 - 2 casi ogni 1000 donne). L’insorgenza è generalmente rapida: solitamente nelle prime tre settimane dopo il parto e spesso nell’arco di pochi giorni. I sintomi includono deliri, allucinazioni, rapide oscillazioni del tono dell’umore dalla depressione, all’irritabilità e all’euforia, disturbi del sonno e rimuginazioni ossessive sul bambino. Il tasso di suicidio arriva al 5% e la quota di infanticidi corrisponde al 4%. La diagnosi di psicosi puerperale ha importanti implicazioni prognostiche, pertanto un’individuazione il più precoce possibile e un’ospedalizzazione sollecita sono auspicabili. La nevrosi traumatica del post partum è, infine, un disturbo psicologico conseguente alla percezione del parto come traumatico. I sintomi tipici in genere insorgono a breve distanza dal parto e sono rappresentati da persistenti riattualizzazioni dell’evento traumatico attraverso pensieri intrusivi, incubi e flashback, evitamento di ciò che rimanda all’evento traumatico, disturbi del sonno, di concentrazione e di memoria, ipervigilanza e irritabilità. La donna può arrivare a provare percezione di morte o grave minaccia fisica e intensi sentimenti di paura ed abbandono. Se non adeguatamente riconosciuto il disturbo può protrarsi anche per mesi, pertanto una diagnosi tempestiva è favorevole. Definizione e sintomi di DPP La depressione post partum è una condizione clinica comune che spesso viene trascurata. Essa insorge mediamente quattro/sei settimane dopo il parto, anche se può comparire nell’arco dei successivi sei/otto mesi. Si sviluppa gradualmente e può persistere per diversi mesi. La DPP è generalmente favorita da una storia personale o famigliare di depressione. Il fenomeno interessa il 15% delle puerpere circa. La sintomatologia della depressione post partum può instaurarsi in modo subdolo; la donna può infatti confondere i sintomi fisici quali la stanchezza o i disturbi del sonno e dell’appetito con l’assestamento fisiologico che avviene dopo il parto. Inoltre i sintomi della depressione post partum rischiano spesso di essere attribuiti ad una sola condizione di baby blues, appunto per il carattere diffuso del fenomeno. Secondo il DSM-IV-TR1 la diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore viene effettuata quando il paziente risponde a cinque o più dei successivi criteri. I sintomi, che devono sussistere per almeno due settimane sono: • Umore depresso per la maggior parte del giorno • Perdita di interesse o piacere per quasi tutte le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno 1 Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders/IV Text Revision, 2000 3 • Significativa perdita di peso (perdita > 5% del peso in un mese) o aumento ponderale • Insonnia o ipersonnia • Agitazione o rallentamento psicomotorio • • • • Facile affaticabilità o mancanza di energia quasi tutto il giorno Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi o indecisione Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria Effetti della DPP Altro elemento peculiare della manifestazione della depressione postnatale è il vissuto negativo concernente la nascita: la donna prova senso di inadeguatezza nell’accudimento del nuovo nato, sentimenti di sfiducia, risentimento, ostilità e colpevolizzazioni per la sua stessa malinconia. La depressione post partum è un disturbo psicologico caratterizzato da un’eziologia multifattoriale, che include il contributo di variabili biologiche, ambientali e psicosociali. Pertanto anche gli effetti della depressione post partum si rivelano molteplici, coinvolgendo non solo la donna ma anche tutto il nucleo famigliare. Essa si traduce pertanto in un’interferenza più o meno marcata con le normali occupazioni di madre e di donna. Alcuni sintomi infatti riguardano specificamente la relazione madre-bambino. In particolare è frequente che le madri non riescano a provare emozioni nei confronti del bambino, si ritengano incapaci, temano i momenti di solitudine insieme al piccolo nato. Talvolta l’ostilità si estende al compagno e ad eventuali altri figli. Ciò si ripercuote in modo più o meno marcato sul comportamento e lo sviluppo dei bambini. Le madri depresse non paiono in grado di prendersi cura del neonato in modo commisurato alle varie fasi del suo sviluppo. . I neonati di madri depresse inoltre sono a maggior rischio di essere abbandonati, possono avere temperamenti difficili e sono certamente meno attaccati alle loro madri. La compromissione della relazione madre-figlio renderebbe il bambino più vulnerabile al rischio di sviluppare futuri problemi emotivi. Infine avere una madre depressa raddoppia le possibilità che il figlio possa soffrire del medesimo disturbo Questo implica che le madri depresse abbiano una minore possibilità di sviluppare e godere di una relazione con i propri figli, rispetto alle madri non affette da depressione. [4] [5] [6] [7] [8] 4 I CORSI DI ACCOMPAGNAMENTO ALLA NASCITA Nel XVII secolo l’obiettivo prioritario dell’assistenza ostetrica era la salvaguardia della vita della donna, spesso a discapito di quella del nascituro. Contemporaneamente i chirurghi diventavano anche ostetrici e nascevano i modelli sociali di assistenza sanitaria. Nel 1777 Madame le Boursier Du Coundray tenne in Francia corsi gratuiti per donne in gravidanza sul modo migliore per prepararsi ad affrontare il parto. L’esperienza rimase tuttavia un evento isolato. Verso la metà del XIX secolo James Simpson sperimenta la sedazione cloroformica al parto, sulla scia della tendenza europea a cercare di raggiungere l’analgesia nel parto con mezzi psicologici. Sono dello stesso periodo le ricerche della scuola di Charchot a Parigi e di Bernheim a Nancy sull’ipnosi clinica, il cui uso verrà però progressivamente ridimensionato per evidenti effetti negativi. Nel 1922 Grantly D. Read propose ed impiegò la suggestione come metodo di preparazione al parto. Esso si rivelò però metodologicamente carente e si palesò l’impossibilità di riprodurre la tecnica in modo sistematico; perciò tale metodo ha avuto scarsa diffusione pratica. Il XX secolo è stato sipario di due cambiamenti radicali nell’assistenza alla nascita: il consolidamento del parto ospedaliero e la progressiva affermazione delle cure prenatali. Le tecnologie per l’assistenza alla nascita furono implementate ed i corsi pre-parto ne divennero parte integrante: talora come supporto, talora come alternativa. Alla luce di questo fenomeno, proliferarono numerose scuole di diversa matrice (biologica, psicologica, sociale) ma tutte con l’obiettivo principale di controllare l’evento parto e soprattutto il dolore. Durante la prima metà del ‘900 si sono diffuse in Europa diverse tecniche di condizionamento, impostate originariamente in Francia e Russia. Proprio dalle pratiche ostetriche russe fu influenzato negli anni ’40 il Dr. Lamaze, nell’elaborare la sua tecnica quale risposta alternativa alla medicalizzazione del parto. Fernand Lamaze ebbe l’intuizione e convinzione che la percezione del dolore avvenisse in buona parte per un condizionamento negativo, che accresceva la sensazione dolorosa stessa. Nel 1952 diffuse perciò un metodo di preparazione al parto che insegnava alle donne ad abbinare alla contrazione un atto volontario non doloroso quale la respirazione. Negli anni il Metodo Lamaze ha modificato le sue tecniche e propositi e attualmente costituisce piuttosto una filosofia di empowerment personale che di educazione al parto. Negli anni ’80, infine, l’organizzazione dei corsi pre-parto divenne sempre maggior appannaggio di modelli assistenziali orientati alla demedicalizzazione della nascita. In particolar modo essi divennero terreno di confronto tra diverse scuole di pensiero. In ogni caso, il primitivo obiettivo assistenziale si estese a più ampi e ricchi scopi come l’educazione a stili di vita più salutari, il miglioramento dei modelli genitoriali e il rafforzamento dei modelli di autostima e senso di sicurezza della donna gestante e partoriente. La proposta più diffusa, soprattutto nelle strutture sanitarie pubbliche, prevede che i corsi si articolino in più incontri di gruppo. Questi incontri sono comunemente orientati a 5 trasmettere informazioni sulla gravidanza e sul parto, chiarificazioni sulla terminologia utilizzata dagli operatori sanitari, generalità sui meccanismi biologici e psicologici correlati alla gravidanza, suggerimenti sulle cure al neonato. La più parte dei corsi di accompagnamento alla nascita offre anche tecniche di rilassamento, tecniche di respirazione, esercizi di ginnastica perineale, stretching, massaggio e visualizzazione. neonatologo allo psicologo. Si rammenti che il profilo professionale (D.M. 740/94) definisce l’ostetrica come “l’operatore sanitario che assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerperio” e cita esplicitamente la partecipazione alla “preparazione psicoprofilattica al parto” tra gli obiettivi e le competenze. È indubbio comunque che l’esistenza e l’attivazione dei corsi pre-parto sono un importante elemento del percorso nascita, riconosciuto a livello istituzionale. Il POMI2 evidenzia i corsi pre-parto inserendoli tra le azioni da eseguire per umanizzare il percorso nascita e promuovere l’allattamento al seno. I corsi di accompagnamento alla nascita potrebbero certamente rappresentare strumenti straordinari di prevenzione e promozione della salute oltre che di condivisione del percorso nascita. I corsi sono strumenti fondamentali per promuovere il ruolo attivo decisionale della donna, favoriscono scelte consapevoli e responsabili poiché informate. Nell’ambito del corso, dove l’ascolto e le relazioni personali sono privilegiati, il gruppo svolge inoltre un ruolo fondamentale di supporto e condivisione. Il corso rappresenta così un territorio sociale di condivisione e confronto che valorizza l’esperienza delle donne. L’ostetrica ha modo di promuovere il legame endogeno tra madre e bambino, orientare la coppia a una genitorialità attiva, offrire uno spazio adatto alla sperimentazione e all’empowerment, favorire la formazione della triade madre – bambino - padre. Questo consente di stimolare le competenze e risorse della donna, valorizzare e sostenere la futura madre nell’essere fino in fondo protagonista della sua gravidanza. Pertanto, alla luce di questo, si verifica l’ipotesi che i corsi di accompagnamento alla nascita possano essere un’ appropriata occasione di prevenzione delle patologie depressive da parte dell’ostetrica, in quanto convenienti ed idonei ambiti di possibile prevenzione secondaria. 2 Progetto Obiettivo Materno Infantile 6 STUDIO EPIDEMIOLOGICO Premessa Ancora oggi tra il 10 e il 15% delle donne incorre in manifestazioni di depressione nel post partum. Per di più solo una piccola quota di queste donne sono identificate come effettivamente depresse da operatori sanitari professionisti. Si rammenti che una puerpera su tre è a rischio di sviluppare baby blues. Il fenomeno in questione non è dunque inconsueto né sporadico come ci si può figurare. [9] [10] [11] Esistono strumenti convalidati per il riconoscimento della depressione post partum ma, nella realtà italiana, essi non sono frequentemente utilizzati. Inoltre, non vi è una competenza sufficiente circa il loro utilizzo da parte degli stessi operatori sanitari, né un background culturale incline alla rilevazione e rivelazione di tali disturbi. Tuttavia è comprovato come lo screening di routine per la depressione post partum si sia dimostrato valido e vantaggioso. Recenti indagini hanno dimostrato che l’ansia in gravidanza è un fattore di rischio di per sé di depressione post partum. Purtroppo la depressione, soprattutto quella insorta nell’arco della gravidanza, è spesso misconosciuta come conseguenza del fatto che i sintomi sono sovente erroneamente attribuiti a una “gravidanza normale”. All’attuale non esiste una scala clinicamente riconosciuta come specifica per l’accertamento della depressione già durante la gestazione. Si ritiene che l’ostetrica possa essere un valido punto di contatto, che sia ovvero la professionista ideale a rappresentare un primo filtro. Questo in quanto figura di riferimento per la gravida così come congiunzione per la donna al parto e ugualmente nel puerperio. Si identifica quindi nell’ostetrica la figura centrale per la prevenzione della depressione materna, risorsa nella quale investire perché sia resa maggiormente competente nell’identificazione e gestione di eventuali disturbi psicologici devianti la fisiologia della gravidanza e del puerperio. Non è sufficiente limitarsi alla sola ricerca di manifestazioni di disagio che incorrono nel postpartum. L’ideale è precorrere i tempi e individuare le avvisaglie di eccessiva ansia e/o i fattori favorenti la depressione già durante la gravidanza. È indispensabile accertare quali possano essere i fattori predittivi lo sviluppo di depressione post partum così come è essenziale sviluppare sistemi di screening efficaci. Scopo del lavoro Alla luce dei risultati ottenuti da studi recenti, questo studio intende verificare se già durante la gravidanza vi siano avvisaglie di ansia e di depressione. Scopo del presente lavoro è determinare pertanto eventuali sintomi predittori di depressione post partum. Non potendo realizzare una campagna di prevenzione primaria, l’identificazione precoce del disturbo ansioso e depressivo potrebbe potenzialmente rispondere alle necessità odierne 7 di prevenzione secondaria. Lo screening permette di vagliare una popolazione di donne gravide, selezionarne i soggetti suggestivi di approfondimento e instaurare un intervento tempestivo laddove necessario. Si vuole così arrivare a permettere alle donne di vivere una gravidanza il più serena possibile, favorire le loro personali competenze materne, proteggere il nuovo ruolo, facilitare l’adattamento necessario ad accogliere i cambiamenti inevitabili che un parto, un figlio, una maternità comportano. Questo studio intende approfondire i limiti e le difficoltà attuali circa l’identificazione della depressione materna, ipotizzare un approccio ostetrico e suggerire possibili tempi, strumenti e luoghi di intervento. [12] [13] [14] [15] Materiali e metodi Nello studio sono state incluse 102 donne di età superiore ai 18 anni in gravidanza. Queste donne sono state selezionate con campione di convenienza e la loro partecipazione è stata volontaria e spontanea. Tale popolazione di donne è stata scelta in quanto afferente alla Clinica Mangiagalli nel periodo compreso tra agosto e ottobre 2010 per partecipare ai corsi di accompagnamento alla nascita ivi organizzati. Gli incontri preparto si sono svolti presso l’Ambulatorio del Puerperio della Clinica stessa. Ci si attendeva pertanto che la gravidanza fosse giunta al suo terzo trimestre. Non sono stati inseriti ulteriori criteri di inclusione o di esclusione allo studio, al fine di rendere il contesto valutativo il più aderente possibile alla realtà clinica di riferimento. Tutte le donne disponevano di una padronanza della lingua italiana che permettesse loro di compilare i questionari in modo integrale e rispondente a una situazione personale attendibile. Tramite breve illustrazione orale introduttiva, le donne sono state informate circa lo scopo del progetto, le modalità di partecipazione e l’impegno richiesto. A ciascuna donna è stato quindi consegnato un fascicolo, richiedente notizie anamnestiche generali e due differenti questionari. Lo screening proposto si componeva di due modelli: • STAI - Y (State – Trate Anxiety Inventory sub scale) 20 + 20 items • BDI (Beck Depresison Inventory) 21 items. Le donne sono state invitate a compilare liberamente il questionario nel momento a loro più confacente, eventualmente anche al domicilio e riconsegnarlo (all’incontro di accompagnamento alla nascita successivo) laddove intendessero collaborare allo studio. STAI – Y Lo STAI forma Y è un questionario autosomministrato che richiede al soggetto di valutare su una scala da 1 a 4 (con 1 = per nulla e 4 = moltissimo) quanto diverse affermazioni si addicono al proprio comportamento. Lo STAI è composto da un totale di 40 domande, 20 riguardanti l’ansia di stato (Y1) e 20 l’ansia di tratto (Y2). 8 L’ansia di stato indica quanto la persona si percepisce in ansia “proprio in quel momento” ed esprime una sensazione soggettiva di tensione e preoccupazione, comportamenti relativi ad una situazione stimolo, quindi transitoria e di intensità variabile. L’ansia di tratto si riferisce a come il soggetto si sente abitualmente, ad una condizione più duratura e stabile della personalità che caratterizza l’individuo in modo continuativo, indipendentemente da una situazione particolare. Pertanto nella scala di Stato si chiede al soggetto di indicare come si sente “adesso”; nella scala di Tratto si chiede al soggetto di indicare come si sente “abitualmente”. Si ricavano quindi due punteggi: uno per l’ansia di tratto ed uno per l’ansia di stato. BDI Il Beck Depression Inventory è un questionario per la valutazione dei sintomi e degli atteggiamenti caratteristici della depressione. Il BDI è costituito da 21 items relativi a sintomi ed atteggiamenti tipici dei soggetti depressi. Il questionario è autosomministrato. Per ogni item vengono fornite 4 alternative di risposta che corrispondono alla gravità del sintomo da 0 = assente a 3 = grave. L’ipotesi di partenza dello studio è stata quella di individuare uno strumento semplice e funzionale che potesse in futuro rappresentare un modello di screening circa gli stati ansiosi e depressivi in gravidanza.È stato quindi necessario, dopo aver individuato e scelto le scale da utilizzare, stabilire dei validi cut-off. Il cut-off del presente studio è stato ugualmente fissato a 44 e la subscala adottata come riferimento è stata quella relativa all’ansia di stato. Questo perché si è ipotizzato che la gravidanza fosse appunto l’ambito di ricerca dei sintomi predittori di post partum. In ciò si assume che l’evento stimolo fosse per l’appunto lo stato di gravida della donna. Per quanto riguarda la scala di Beck il cut-off è stato posto al valore di 8. Alla luce delle suddette osservazioni, si è proposto un approfondimento alle donne che superassero la soglia di 8 per BDI o 44 per STAI (State). Queste stesse sono state quindi ricontattate in tempi brevi, successivamente alla somministrazione del test, ed è stato loro offerto un colloquio psicologico presso l’”Ambulatorio di Consulenza Psichiatrica e Psicoterapica in Gravidanza e Puerperio” della Fondazione Policlinico di Milano. In aggiunta si rende noto che tramite la scheda anamnestica introduttiva allegata ai questionari BDI e STAI si domandava alle donne se “desiderassero essere contattate per un colloquio psicologico inerente la gravidanza, indipendentemente dai risultati dei test”. Per confermare la relazione tra i test somministrati e le effettive condizioni psichiche delle donne si sono effettuate ulteriori valutazioni in corso di colloquio clinico, per le donne che superassero i cut-off, così come per le donne che si sono sottoposte a colloquio su richiesta personale. Risultati dello studio È emerso che l’età media delle donne che hanno compilato i questionari è pari a 33,8 anni (± 4.1 DS). 9 La quasi totalità delle donne, nello specifico il 95.1%, è di nazionalità italiana; il restante 4.9% di nazionalità straniera. Relativamente al titolo di studio, la più parte delle donne ha rivelato di avere un’alta scolarità. Il 66.7% è infatti in possesso di laurea o titolo superiore, il 26.4 % è dotata di diploma di scuola media superiore o affini, il restante 6.9% ha infine una licenza di scuola media inferiore. Per quanto riguarda invece la professione il 97% delle donne appartiene alla categoria di donne lavoratrici; il 3% non è impiegata in alcuna occupazione. Questo dato è da considerarsi soltanto a fini statistici, senza possibilità di trarne conclusioni particolarmente rilevanti, vista la variabilità di astensione in termini temporali da qualsivoglia occupazione come conseguenza dello stato di gravidanza. Se sondiamo lo stato civile otteniamo la seguente suddivisione: il 72.2% è coniugata, il 23.7% è nubile, l’1% separata e il 3.1% si definisce libera. Si rammenti, come premessa, che il campione è stato scelto in base al trimestre di gravidanza e criterio di inclusione era pertanto un’età gestazionale compresa tra 28 e 40 settimane. I questionari sono stati compilati quando le donne erano in media a circa 34 settimane (±2.8 DS) di età gestazionale. [valore statistico 33.7] Valutando l’anamnesi ostetrica il numero medio di gravidanze per donna è pari a un valore di 1.3% (± 0.6 DS). Nello specifico, l’81.4% è primigravida, il 10.8% ha una gravidanza in anamnesi, il 7.8% è alla terza gravidanza o più. Delle donne con precedenti gravidanze l’88.2% del campione non è incorso in complicazioni relative alla gestazione o al puerperio, l’11.8% riferisce invece di aver vissuto complicanze attinenti. In particolare le donne esplicitano 10 casi di aborto spontaneo, 1 caso di preeclampsia e 1 parto per via cesarea. Il concepimento è avvenuto naturalmente nell’80% dei casi e mediante l’ausilio di tecniche di procreazione medicalmente assistita nel restante 14% dei casi. Il 6% delle donne non risponde a questa domanda. Delle donne intervistate il 65% è non fumatrice, il 4% viceversa fuma, il 14% ha smesso in gravidanza, il 17 % non risponde. Circa il quesito posto sull’assunzione di sostanze stupefacenti, il 98% delle donne dichiara di non farne uso, il 2% non si esprime in merito. Il 91% del campione intervistato non fa uso di farmaci abitualmente, l’8% ne assume in modo usuale, l’1% non risponde. Coloro che necessitano di utilizzare farmaci in modo consueto dichiarano problemi di coagulazione, oppure legati alla funzionalità tiroidea o ancora alla funzionalità respiratoria. 10 In conclusione abbiamo domandato alle donne se desiderassero essere contattate per un colloquio psicologico inerente la gravidanza, indipendentemente dai risultati che avrebbero ottenuto nei test da noi somministrati. Il 46.4% di esse ha richiesto tale colloquio, contrariamente al 53.6% che non era interessata. Limitatamente alla forma STAI-Y sottoscala di Stato il campione si colloca in un range compreso tra 33 e 84, con un punteggio medio pari a 48.9 (± 7.8 DS). I punteggi minimi ottenuti invece dall’analisi dei questionari STAI-Y sottoscala di Tratto vanno da un minimo di 40 ad un massimo di 99. In questo caso il valore medio ottenuto corrisponde a 71.2 (± 9.0 DS). La totalità del campione ha compilato entrambe le sottoscale del questionario STAI-Y. In aggiunta il 100% di tali questionari rispondeva ai criteri di completezza perché fossero considerati validi. Per la valutazione della percezione degli stati depressivi ci siamo invece avvalsi del Beck Depression Inventory. In riferimento a questo possiamo dire che il risultato medio ottenuto è 6.6 (± 5.4 DS). Premettendo che il 15.7% dei questionari BDI non è stato compilato, si consideri altresì che una fetta pari al 4.9% è stata ugualmente esclusa dall’analisi statistica in quanto non valida. Il restante 79.3% dei questionari è stato invece preso in esame in quanto compilato in modo completo e valevole. Tale percentuale è da suddividersi nel seguente modo: • Il 55.9% ha ottenuto un punteggio compreso in una fascia tra 0 e 8 • Il 18.6% ha conseguito un risultato tra 8 e 16 • Il 2.9% ha realizzato un punteggio totale pari a un valore tra 16 e 24 • Il 2% si stabilisce infine in una fascia di valori tra 24 e 32 • Per nessuna donna è stato riportato un punteggio superiore a 32 Pertanto, se non si considerano i valori in modo assoluto, ma si relativizzano i risultati, il 70.5% delle donne che ha compilato in modo adeguato la scala BDI non ha superato il cut-off posizionato a 8. Il 23.5% dei BDI rientrano in una seconda fascia compresa tra 816, il 3.5% dei risultati dei questionari si colloca in un range di punteggio tra 16-24 e il restante 2.5% ha ottenuto un punteggio ancora più alto, ma senza superare il risultato di 32. Discussione dei risultati Analizzando i risultati precedentemente riportati si nota che le donne in possesso di laurea o riconoscimento superiore, tendono più facilmente a manifestazioni depressive. Le donne con più alta scolarità ottengono infatti risultati più alti alla valutazione mediante scala di Beck rispetto alle donne con titolo di studio di scuola media superiore o inferiore. 11 Lo stato civile non si è dimostrato essere fattore eloquente in alcun senso nell’accrescere ma nemmeno nel proteggere da stati ansiosi o depressivi della gravidanza. Abbiamo detto che il 18.6% delle donne non era alla sua prima gravidanza. Di queste, l’88.2% non ha riferito complicanze inerenti la gestazione o il puerperio. Prendiamo in considerazione questo aspetto e ci accorgiamo che le donne che hanno vissuto complicazioni nelle precedenti gravidanze, nonostante il campione esiguo, non hanno dimostrato di essere più ansiose nella gravidanza attuale. Infatti il punteggio medio ottenuto nella sottoscala di Stato dello STAI-Y è pari a 49.3 (±8.0 DS) nelle donne senza complicazioni in anamnesi e di 47.0 (±6.3 DS) nelle donne con complicanze. La differenza non è pertanto tale da far dedurre che un’esperienza negativa nelle precedenti gravidanze condizioni in modo significativo il vissuto relativo alla gravidanza attuale. Non possiamo esprimere particolari considerazioni circa le possibili correlazioni tra il fumo o l’assunzione di altre sostanze quali stupefacenti o farmaci visto e considerato che la gravidanza è da questo punto di vista fattore inibente. Questa affermazione è infatti validata dall’abitudine corrente dei clinici ad interrompere la somministrazione di quei farmaci che non siano strettamente necessari (anche) in gravidanza. Si ritiene comunque che il fatto che solo il 4% delle donne si dica fumatrice sia positivo; e rassicurante è anche una percentuale del 14% che dichiara di aver interrotto l’assunzione di tabacco proprio perché in stato di gravidanza. Dati sicuramente rilevanti e non solo legittimanti lo studio, ma particolarmente motivanti, sono quelli a proposito della domanda spontanea di poter avere un colloquio con le psichiatre da parte delle donne. Delle donne intervistate un inaspettato 46.4% ha fatto richiesta di essere ricontatta indipendentemente dai risultati dei questionari perché interessata ad un colloquio informativo. Di contro, il 53.6% non ha ritenuto necessario approfondire il tema della gravidanza e dei relativi stati emotivi in sede di incontro psicologico. Si può desumere che c’è un reale interesse da parte delle donne circa il tema in esame. Ugualmente si intuisce che queste percentuali danno voce a percezioni più o meno dichiarate di una reale necessità delle donne di approfondire un argomento non ancora così assodato. Se si fornisce alle donne la possibilità di accrescere la loro conoscenza in merito, esse sono le prime a mostrare partecipazione. L’adesione di quasi la metà del campione suggerisce che oltre ad un interesse vi sia un’esigenza. Nessuno offre questo servizio oggi, ma la sola proposta ha riscontrato un’adesione molto alta. La questione in esame assume caratteristiche ancora più interessanti qualora si approfondisca chi fa più specificatamente richiesta di colloquio. Rammentiamo che la totalità del campione in esame ha ottenuto all’analisi dei questionari STAI-Y State Subscale e BDI i valori medi rispettivamente di 48.9 (± 7.8 DS) e 6.6 (± 5.4 DS). Fatta questa osservazione preliminare mostriamo ora come il punteggio medio della sottoscala di Stato dello STAI-Y sia 51.0 (± 8.8 DS) nelle donne che hanno richiesto volontariamente un colloquio e 47.2 (± 6.0 DS) per chi non ne ha percepito invece la 12 necessità. Pertanto le donne che sono state portate a fare richiesta di colloquio si percepivano come più in ansia rispetto alle altre. Similmente il punteggio BDI medio delle donne che volevano sottoporsi liberamente ad un colloquio è stato di 8.1 (± 5.7 DS); pertanto più alto del BDI medio delle altre, pari invece a 5.0 (± 4.0 DS). Si può quindi ipotizzare una sorta di “autocriticità” da parte delle donne potenzialmente più ansiose in gravidanza, che le spinge a richiedere una consulenza in merito. Ugualmente le donne che hanno una tendenza maggiore a manifestare aspetti depressivi richiedono più frequentemente una consulenza spontanea. Da una parte questo è senz’altro rasserenante, da un altro punto di vista si tenga però presente che nessuno offre oggi questa opportunità alle donne in gravidanza. È altresì vero che probabilmente le donne che necessitano in modo indispensabile di intervento sono raggiunte da chi di competenza, ma è anche vero che una gran quota di donne resta però così esclusa da sostegni potenzialmente utili e non meno necessari soltanto perché senza sintomatologie conclamate o disturbi personologici gravi. Ogni donna ha ipoteticamente gli strumenti endogeni e le risorse anche emotive per far fronte alla gravidanza, ma vi è un limite nell’identificare quali che siano le donne che slatentizzano fragilità psichiche sommerse durante la gravidanza. Non è pensabile correre il rischio di abbandonare queste donne, che si ritroverebbero nella suddetta circostanza ad essere sole a fronteggiare un malessere che invece con l’aiuto di chi di competenza potrebbe essere affrontato e risolto. Questo studio voleva per l’appunto identificare potenziali fattori predittivi di depressione post partum. La consapevolezza delle donne di sapere di avere un servizio cui rivolgersi in caso di curiosità e/o necessità potrebbe rappresentare uno strumento valido. Questo anche perché un altro aspetto rilevante emerso dallo studio dei dati raccolti mostra che le donne con un punteggio della sottoscala di Tratto STAI-Y più alto ha anche punteggi più alti nel BDI. Quindi la tendenza caratteriale a sentirsi già abitualmente più in ansia si alimenta e rafforza con una maggior inclinazione ad estrinsecare atteggiamenti depressivi. Conclusioni In conclusione non possiamo che confermare che la gravidanza è uno scenario senza dubbio affascinante e denso di rinnovati stupori. Il contributo è senz’altro discreto ma suggestivo di approfondimento e consistente, valevole apporto a valutazioni più ampie. Ci si augura quantomeno di aver sensibilizzato la classe ostetrica, e la categoria sanitaria più in generale, nel non dimenticarsi di prestare premura agli stati emotivi delle donne. Si invita a non perdere di vista la globalità della persona e suggerire che un vissuto sereno possa essere determinante di benessere. Pertanto le ostetriche per prime dovrebbero mobilitarsi, interessarsi, rendersi sempre maggiormente competenti nell’ottica di un sostegno solidale alle donne e alle famiglie. Un’assistenza continuativa, che segua le donne anche nel puerperio, è la migliore circostanza auspicabile.La tempestività e la prevenzione sono le nostre più grandi forze, umanità e collaborazione ricchezze ineguagliabili. 13 Bibliografia [1] Dennis CL: “Can we identify mothers at risk for postpartum depression in the immediate postpartum period using the Edinburgh Postnatal Depression Scale?”. J. Affect. Disord. Feb; 78(2):163-9. 2004 [2] Moehler E, Brunner R, Wiebel A, Reck C, Resch F: “Maternal depressive symptoms in the postnatal period are associated with long-term impairment of mother-child bonding”. Arch Womens Ment. Health. Sep; 9(5):273-8. 2006 [3] Pearlstein T: “Perinatal depression: treatment options and dilemmas”. J. Psychiatry Neurosci. Jul; 33(4):302-18. 2008 [4] Condon JT, Watson TL: “The maternity blues: exploration of a psychological Hypothesis”. Acta Psychiatr Scand; 76:164-71. 1987 [5] Cogill SR, Caplan HL, Alexandra H, Robson KM, Kumar R: “Impact of maternal depression on cognitive development of young children”. Br Med J; 292:1165-7. 1986 [6] Cummings EM, Davies PT: “Maternal depression and child development”. J Child Psycholog Psychiatry; 35:73-112. 1994 [7] Field TM: “Infants of depressed mothers”. Child Dev; 4:49-66. 1992 [8] Hammen C, Brennan PA: “Severity, chronicity, and timong of maternal depression and risk for adolescent offspring diagnoses in a community sample”. Arch Gen Psychiatry; 60:253-8. 2003 [9] Peindl KS, Wisner KL, Hanusa BH: “Identifying depression in the first postpartum year: guidelines for office-based screening and referral„. J. Affect. Disord. May; 80(1):37-44. 2004 [10] Beck CT, Gable RK: “Postpartum Depression Screening Scale: development and psychometric testing”. Nurs. Res. Sep-Oct; 49(5): 272-82. 2000 [11] Kosinka-Kaczynska K, Horosz E, Wielgos M, Szymusik I: “Affective disorders in the first week after the delivery: prevalence and risk factors”. Ginekol Pol. Mar; 79(3):182-5. 2008 [12] Skouteris H, Wertheim EH, Rallis S, Milgrom J, Paxton SJ: “Depression and anxiety through pregnancy and the early postpartum: an examination of prospective relationships”. J. Affect. Disord.; 113: 303-308. 2008 [13] Austin M, Tully L, Parker G: “Examining the relationship between antenatal anxiety and postnatal depression”. J. Affect. Disord. 101, 169-174. 2007 [14] Hart R, McMahon CA: “Mood state and psychological adjustment to pregnancy”. Arch. Women Ment. Health 9, 329-337. 2006 [15] Holcomb WL, Stone LS, Lustman PJ, Gavard JA, Mostello DJ: “Screening for depression in pregnancy: characteristics of the Beck Depression Inventory”. Obstet Gynecol. Dec; 88(6):1021-5. 1996 14