A002216 Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/11/2008

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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/11/2008, pag 12, <<DEPRESSIONE
POST PARTUM>> di Nicola Lalli, (vedi nota a fine pezzo).
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato.
Nella definizione di “depressione post partum” sono spesso
erroneamente comprese tre sindromi che presentano notevoli
differenze tra di loro.
Il fenomeno più frequente, conosciuto fin dall’antichità come
“pianto del latte”, è un’alterazione del tono dell’umore che
compare subito dopo il parto e che attualmente viene definito come
maternity blues o baby blues.
Il maternity blues (o baby blues), in genere, non viene
considerato come un disturbo vero e proprio, soprattutto per la
sua rapida e spontanea risoluzione nell’arco di 7-14 giorni
dall’insorgenza.
Il maternity blues colpisce prevalentemente le primipare e si
manifesta con un vissuto di tristezza e spesso di nostalgia per la
precedente fase di gravidanza: il termine fu coniato da Donald W.
Winnicott proprio per evidenziare il tratto fondamentale della
tristezza.
Sono però presenti anche altri sintomi: ansia generalizzata,
astenia, insonnia, irritabilità, a volte un pianto ininterrotto e
un certo momentaneo distacco e disinteresse per il bambino.
Il maternity blues è provocato da vari fattori: da una parte è
sicuramente attribuibile agli intensi cambiamenti ormonali che
avvengono dopo il parto, non raramente è legato allo stress per,
un parto complicato o troppo prolungato, ma sicuramente è anche
collegato all’incombènte responsabilità per la gestione di un
bambino.
In genere, nell’arco di una-due settimane, soprattutto se le
partorienti possono contare su un valido aiuto psicologico, la
sintomatologia comincia a diminuire ed è sostituita da mia certa
soddisfazione e piacere per il nuovo compito.
Una seconda forma di disturbo è la “psicosi puerperale”,
espressione di una grave psicopatologia che non ha nulla a che
fare con le altre sintomatologie, anche se molto spesso è confusa
con esse.
Si tratta di una forma grave di psicosi che insorge subito
dopo il parto o nei primi giorni del puerperio e che mostra
soprattutto, come sintomo principale, uno stato confuso-onirico
con grave agitazione psicomotoria.
Sono presenti allucinazioni visive e uditive, a volte queste
ultime hanno carattere imperativo e incitano la madre ad uccidere
il bambino (sindrome di Medea) e/o ad uccidersi.
La prognosi è in genere sempre grave, spesso è necessaria
un’ospedalizzazione e sovente nell’anamnesi si riscontrano
precedenti episodi psicotici.
Fortunatamente l’incidenza è molto rara e si aggira intorno
all’1,5 per mille tra le puerpere, valore che rimane stabile nel
tempo e nelle diverse culture.
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Un dato interessante, invece, è che la depressione post partum
propriamente detta (il terzo tipo) ha avuto un netto incremento
negli ultimi venti anni raggiungendo circa il 15-18% delle
partorienti: aumento che è sicuramente attribuibile a fattori
socioculturali.
Essa può manifestarsi entro i 12 mesi successivi al parto,
anche se il picco compare in genere nel secondo-terzo mese.
La sintomatologia è piuttosto tipica.
Le madri cominciano ad
avvertire un’eccessiva preoccupazione e ansia per il loro compito,
ma soprattutto si sentono incapaci e insufficienti.
Compaiono ben presto irritabilità, astenia, difficoltà nel
prendere decisioni, tristezza profonda, perdita di interesse; nei
casi più gravi si arriva ad una vera e propria “scomparsa
dell’affettività”.
Sul piano somatico è sempre presente una diminuzione
dell’appetito e soprattutto non mancano disturbi del sonno.
I segni prognostici più preoccupanti sono un pianto inconsulto
e continuato, un disinteresse per il bambino, la comparsa di sensi
di colpa per i propri vissuti di insufficienza o perché la mamma
vive il figlio come un peso insopportabile, fino a giungere a vere
e proprie fobie di potergli far male, cosa che ovviamente
contribuisce ad accrescere lo stato depressivo.
È importante sottolineare che questo disturbo incide
profondamente sul rapporto con il piccolo che, spesso, proprio a
causa dell’insufficiente accudimento, avanza richieste sempre più
pressanti o con un pianto continuo associato a disturbi somatici
come coliche addominali continue e dolorose, o con disturbi del
sonno che ovviamente aggravano lo stress della madre.
CONDIZIONI PREDITTIVE.
Data la notevole incidenza della sindrome e soprattutto la
difficoltà ad instaurare una terapia durante la fase acuta, è
utile evidenziare alcune condizioni predittive che possono
comparire già durante il periodo della gravidanza.
I più importanti:
-- episodi ricorrenti di ansia e di depressione durante la
gravidanza;
-- eventuali episodi depressivi precedenti la gravidanza; -conflitti coniugali;
-- eventi traumatici nell’ultimo anno, in particolare lutti
importanti come il decesso di uno dei genitori della puerpera;
-- giovane età;
-- tendenza all’isolamento sociale ed incapacità a chiedere
aiuto;
-- tendenza alla negazione della gravidanza: si tratta di donne
che durante la gravidanza tendono a negare gli inevitabili
cambiamenti e le limitazioni e si comportano come se tutto fosse
simile a prima della gravidanza.
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L’IDENTIKIT DELLA MAMMA DEPRESSA.
Prima di esaminare la psicodinamica di questa sindrome, è
utile delineare l’identikit del tipo di donna che risulta esposta
in maggior misura a tale disturbo.
Il senso comune ritiene che le più soggette siano le donne di
basso ceto sociale ed economico, oppure quelle che non hanno
supporti affettivi come, ad esempio, le ragazze-madri.
In realtà l’identikit ci mostra una persona diversa.
Diversità dovuta a fattori culturali, a loro volta
strettamente legati ai cambiamenti socioeconomici che hanno
generato un nuovo stile di vita attualmente predominante.
Secondo il profilo attuale, la donna più a rischio ha un
lavoro stabile, un’età compresa fra i 32 e i 38 anni, un buon
livello di istruzione, una posizione economica valida e
consolidata e, soprattutto, vive nelle grandi città.
Tale stile di vita può far avvertire la nascita di un bambino
come una sorta di trauma, perché si pensa che potrebbe mettere a
rischio la stabilità economica e sociale raggiunta.
Il bambino e il suo accudimento vengono vissuti come
antagonisti alla realizzazione della madre, come una minaccia per
il lavoro e soprattutto per la carriera.
Questa donna, inoltre, è spesso sradicata dal contesto
socioculturale di origine e soprattutto non ha mai visto un
neonato o partecipato in qualche modo al suo accudimento,
diversamente dai contesti delle famiglie allargate nelle quali una
bambina può spesso prendersi cura di un fratello minore o comunque
di un nuovo nato nell’ambito familiare.
Oggi una donna che a 35 anni (questa è l’età media
dell’identikit della donna esposta al rischio di depressione post
partum) si trova improvvisamente, spesso senza alcun supporto
affettivo e operativo, a gestire la complessità dell’accudimento
di un bambino, può anche non sentirsi o non essere all’altezza del
compito, temere di non farcela, oltre che essere assalita da dubbi
circa il proprio futuro lavorativo e vivere la presenza del
bambino come perdita della libertà
REGRESSIONE EMPATICA O INSOFFERENZA?
Accudire un bambino vuol dire, sul piano psicologico, attivare
una “regressione” in grado di far emergere l’empatia che rende
possibile accettare la dipendenza del bambino e dal bambino, i
suoi capricci, saper decodificare i messaggi derivanti per esempio
dal pianto ed essere anche pronta ad accettare i momenti di
stanchezza e di disforia come eventi naturali e non come segno di
incapacità e disinteresse verso il neonato, cosa che a sua volta
conduce la donna a sentirsi da prima inadeguata e poi anche
cattiva, innescando un circolo di auto rimprovero che spesso è
l’inizio di una crisi depressiva.
Winnicott faceva notare che <<[…] ci sono persone che
rimangono colpite quando scoprono che un neonato non suscita in
loro solo sentimenti di amore>>.
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Invece, un momentaneo rifiuto, un momento di stizza o di
rabbia fa parte del normale vissuto di una puerpera, sempre che
questa non sia stata “acculturata” solamente dalla TV o da una
certa stampa specialistica ed edulcorata che mostra questo
mestiere in maniera falsa e idealizzata.
DAL BAMBINO FANTASTICATO AL BAMBINO REALE
Per comprendere la dinamica della depressione post partum
occorre però evidenziare altri importanti elementi.
Intanto bisogna tener presente che le moderne tecniche (come
l’ecografia) tendono a visualizzare e quindi ad alimentare le
fantasie circa il futuro nascituro, che sembra essere in qualche
modo già presente.
Quella che è una frequente dinamica di simbiosi, per cui il
bambino viene non solo fortemente idealizzato, ma anche vissuto
come parte integrante della madre, può indurre al momento del
parto vissuti di perdita e quindi di lutto.
Se la madre vive troppo narcisisticamente la gravidanza, vive
il parto come una ferita narcisistica; non riesce poi a spostare
l’investimento libidico dal bambino fantasticato al bambino reale
e non si attiva il processo di regressione e di empatia che le
permette di entrare in sintonia con il nuovo soggetto.
In questi casi la mamma può essere anche fisicamente presente,
ma è emotivamente assente.
Ovviamente, questa situazione non è senza conseguenze per il
bambino, dal momento che lo stato depressivo non solo rende la
madre priva di affettività e di competenza, ma la rende spesso
irritabile e distanziante.
È presente una distorsione relazionale che si manifesta nel
bambino con difficoltà dell’alimentazione e del sonno e presenza
di pianto continuo, nella madre con impossibilità di tener conto
adeguatamente dei suoi bisogni, intolleranza verso il pianto,
inadeguatezza nel tenerlo in braccio e soprattutto alterazione di
quella relazione empatica e verbale madre-bambino che è alla base
del sano sviluppo del figlio.
Si evidenziano anche interazioni patologiche, reciprocità
alterata, scambi di sguardi e sorrisi alterati o diminuiti
fortemente.
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COSA FARE.
Nel caso di forme molto gravi, è necessario un intervento terapeutico
specialistico che può anche in una psicoterapia integrata (con l’utilizzo quindi di
psicofarmaci: in questo caso bisogna valutare l’opportunità o meno di interrompere
l’allattamento al seno, inevitabile nel momento in cui si usano farmaci).
A volte possono essere di ausilio gruppi di auto-aiuto.
Comunque è opportuno tener presente che una persona responsabile e
volenterosa può già dare una mano alla neomamma se è in grado di attenersi ai
seguenti suggerimenti:
** Aiutare la neomamma a parlare soprattutto delle sue ambivalenze e dei
vissuti di aggressività che può vivere nei confronti del bambino.
** Rendere possibile l’esternalizzazione di sentimenti o pensieri anche
inaccettabili per la mamma.
** Aiutare a diminuire i sensi di colpa facendo presente che eventuali
sentimenti negativi sono normali per una madre, soprattutto in questo periodo.
** Aiutare a comprendere che diventare madre può richiedere tempo e che è
possibile errare, ma anche apprendere.
**Sostenere la madre nella sua funzione di caregiver, evitando tuttavia di
proporsi come “sostituta” della madre stessa nella cura del bambino.
INTERVENTI TERAPEUTICI.
A fronte di una situazione che mette a repentaglio lo sviluppo
psichico del bambino, oltre che essere origine di grave malessere
per la madre, è necessario un intervento terapeutico.
Nei casi meno gravi, e qualora la madre non voglia continuare
l’allattamento, bisogna basare intervento sull’aiuto psicologico
che può essere individuale o in gruppi di auto-aiuto.
Nei casi più gravi, invece, può essere necessario un precoce
intervento psicofarmacologico per attenuare la sintomatologia più
eclatante e passare poi alla psicoterapia.
Non è infrequente che la depressione post partum sia
sottovalutata e confusa con un banale stato di stress.
Questo errore diagnostico può aggravare la situazione, dal
momento che non si attua un’adeguata terapia.
Infatti, oltre alle distorsioni relazionali, la madre può
sviluppare una forte ambivalenza nei confronti del piccolo e
spesso una inconscia ostilità che può condurre ad una “ideazione
paranoicale” circa la salute fisica e mentale del neonato che
viene visto come portatore di handicap, o in certe culture,
addirittura come “posseduto”.
Nel corso del tempo, mentre la sintomatologia depressiva tende
a diminuire, l’ideazione può rimanere presente, anche se silente,
per anni, e può riemergere in seguito a fattori scatenanti come la
presenza di gravi conflitti coniugali, un nuovo stato depressivo,
ecc. , conducendo, anche se in casi rari, a vere e proprie azioni
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lesive nei confronti del piccolo: “acting out” assolutamente
imprevedibile e anche difficilmente comprensibile.
Non sono casi molto frequenti, ma alcuni figlicidi possono
essere la conseguenza di una dinamica di tal genere, nettamente
distinguibili quindi dai figlicidi avvenuti a causa di una psicosi
puerperale.
PADRI DEPRESSI O IN FUGA.
Se il 15-18% delle donne (secondo altre ricerche il dato
arriverebbe anche al 20%) soffre di una depressione post partum, è
interessante capire se anche i padri possono mostrare disturbi di
tipo depressivo che, benché collegati allo stesso evento,
ovviamente hanno motivazioni diverse.
Alcuni studi, condotti su un campione molto ampio (pubblicati
su JAMA e su Lancet), evidenziano che circa il 4% dei padri
presenta, in concomitanza con il parto e con il puerperio, un
quadro di tipo depressivo molto simile a quello descritto a
proposito della depressione post partum: vissuto di insufficienza,
scarso interesse per il bambino, astenia, tristezza, disturbi del
sonno. Questo stato depressivo può scomparire nell’arco di 4-8
mesi.
Questo è quanto ci dicono le statistiche; la clinica evidenzia
invece un fenomeno che non risulta essere presente nella
letteratura e che all’apparenza sembrerebbe essere molto diverso
dal quadro sopra descritto.
Non è infrequente che, già durante la gravidanza (soprattutto
se è la prima) o più spesso subito dopo la nascita, il partner
cominci ad avere altre relazioni sessuali quando addirittura non
arrivi a stabilire un nuovo legame stabile.
Nei primi tempi la razionalizzazione di tale comportamento è
attribuita a difficoltà sessuali con la moglie incinta o subito
dopo il parto.
In realtà si tratta di un fenomeno di tipo maniacale che nasce
dalla negazione della paternità.
Non ci si vuol assumere alcuna responsabilità, ma soprattutto
si tende a negare che la nascita di un figlio segnali anche il
passare del tempo: e non è un caso che molto spesso questi
soggetti, angosciati dalla vecchiaia e dalla morte, siano tra i
più strenui frequentatori delle palestre.
In altri casi meno patetici, il comportamento di fuga è legato
spesso ad un’inconscia gelosia di dover condividere la sposa-madre
con il nuovo arrivato.
Questo fenomeno è poco studiato e ancor meno descritto, che se
non infrequente.
Sul piano psicodinamico si tratta in genere di strutture di
personalità narcisistiche, scarsamente mature, figlie della
cultura del “mammismo” , incapaci di assumersi qualsiasi
responsabilità.
Potremmo pensare dunque che tra i padri, mentre un 4% rimane e
si deprime, forse una percentuale di poco inferiore tende invece a
“scappare”.
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Chi crea più danno delle due categorie è difficile stabilirlo.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
LALLI N. (2008), Dal mal di vivere alla depressione, Magi, Roma.
MARINOPOULOS S. (2006), Nell’intimo delle madri. Luci e ombre della maternità,
Feltrinelli, Milano.
SHIELDS B. (2005), E poi venne la pioggia, Tea, Milano.
L’AUTORE
NICOLA LALLI è stato Primario e Professore associato di Psichiatria e Psicoterapia presso
la Facoltà di Medicina della “Sapienza” di Roma.
Dal 1970 si è dedicato alla psicoterapia e alle sue integrazioni con la psichiatria, arrivando
alla formulazione di un articolato e originale modello psicodinamico descritto in oltre 150 lavori
presentati in congressi nazionali e internazionali e in 15 volumi tra i quali ricordiamo: Manuale di
psichiatria e psicoterapia (seconda ed., 2000), Lo spazio della mente: saggi di psicosomatica
(1.997). l’isola dei Feaci. Percorsi psicoanalitici nella storia, nella clinica e nell’arte (1998).
Attualmente è responsabile del Centro di Psicoterapia Dinamica di Roma.