Psichiatria e Psicologia clinica Dr. Pozzi 10-10-2007 h 11:30-12:30 Il professore inizia la lezione presentandosi come responsabile dell’ambulatorio dei disturbi d’ansia, che funziona ormai da tre anni e ci informa che faremo insieme a lui, oltre a questa, altre due lezioni (il 24 e il 25 ottobre). DISTURBI D’ANSIA EPIDEMIOLOGIA - sino a 1/4 della popolazione generale nella vita; - sottostima nell’epidemiologia e nella pratica clinica; - più comuni nel sesso femminile (2 o 3 volte); - problemi di criterio e fenomeni di comorbilità; - sintomi e disfunzione; - costo sociale. I disturbi d’ansia sono molto frequenti nella popolazione generale. Questo non ci deve stupire, perché siamo di fronte ad un continuum fra normalità e patologia. Quindi nell’arco della vita, secondo studi epidemiologici sulla popolazione generale, circa ¼ delle persone possono avere quello che viene definito un disturbo d’ansia secondo gli odierni sistemi classificativi. In più c’è un problema di sottostima, qualora non si faccia un campionamento diretto della popolazione, visto che spesso le persone non riportano tali disturbi, se non dopo anni e anni, quando non ce la fanno più e solo allora si presentano dal medico. Spesso è lo stesso medico di famiglia che non si rende conto che il proprio paziente potrebbe avere un disturbo d’ansia, proprio perché spesso è il paziente stesso a vergognarsi del proprio disturbo e a volerlo mascherare (la cosiddetta fobia sociale, o “timidezza patologica”); al contrario di quei pazienti che invece assillano il medico con la propria patologia (qui rientriamo di più nell’ambito dei disturbi di personalità). Molti pazienti con disturbi d’ansia vengono indirizzati su un versante non medico, di psicoterapia per intenderci. Non che ci sia niente di male in questo, ma il problema è che gli psicologi non hanno l’armamento concettuale per fare una buona diagnosi differenziale e magari sottostimano o escludono a priori la possibilità di curare efficacemente un disturbo d’ansia con metodi di tipo biologico, come usare un farmaco, semplicemente perché non è uno strumento in loro possesso. Dunque cercano comunque di supplire a ciò con un trattamento psicoterapeutico, quando invece ci sono dei disturbi d’ansia, che, se non bloccate un certo tipo di sintomatologia, non riuscite a gestirli. La maggiore prevalenza è nel sesso femminile, nell’ordine di due o tre volte a seconda dei disturbi. I problemi di criterio consistono nel fatto che, per fare una diagnosi secondo gli odierni criteri classificativi, bisogna soddisfare una serie di criteri diagnostici, delle soglie che in genere sono a volte di tipo qualitativo a volte di tipo qualitativo. La comorbilità è un fenomeno oggi piuttosto complesso che non possiamo affrontare oggi; per dirla in modo molto semplice, siccome il DSM (sistema degli odierni criteri classificativi dei disturbi d’ansia) identifica delle sindromi tipo, molto caratteristiche, con dei criteri abbastanza restrittivi, mentre nella realtà clinica spesso le persone con disturbi d’ansia hanno una sintomatologia più sfrangiata, può darsi che una persona soddisfi i criteri almeno parzialmente per più di un disturbo. Questo a dir la verità finisce con essere più la regola che l’eccezione e in questo dovremo recuperare il vecchio concetto di nevrosi, ma lo faremo alla fine della lezione. Il concetto importante da ricordare adesso è che spesso il paziente con disturbi d’ansia è polisintomatico, quindi un buon inquadramento clinico del paziente richiede una certa esperienza da parte del valutatore. Apparentemente sono delle patologie piuttosto banali, non sono pericolose della vita, però prestate attenzione, perchè non ci sono soltanto i sintomi, ma c’è anche la disfunzione: ci sono dei soggetti che riescono a sopportare i loro sintomi e non li estrinsecano, non dicono di avere degli attacchi di ansia, o il batticuore, o la timidezza patologica, però all’effettivo c’è tutta una serie di attività che non riescono a svolgere. E magari questa cosa si scopre solo quando, per una qualche ragione ambientale, vengono spostati di contesto. Faccio un esempio banale: immaginate la classica persona che fa un lavoro di tipo impiegatizio, che si organizza da sola le sue pratiche, le sue piccole cose; la sua azienda viene improvvisamente venduta, per cui a questo soggetto gli viene detto di andare a fare l’operatore di call center, che comunque è sempre un lavoro impiegatizio. Alcuni soggetti, a cui viene improvvisamente cambiata la mansione lavorativa, scoppiano, perché ovviamente tutta la loro organizzazione difensiva salta per aria. Per esempio a volte i pazienti con il disturbo di panico stringono i denti, non dicono nulla, si tengono i loro attacchetti, se non sono proprio fortissimi, però poi, nel loro meccanismo di condizionamento, si convincono che siano determinate situazioni ad innescare gli attacchi, cosa che non è sempre così, perché gli attacchi possono insorgere anche spontaneamente, e quindi cominciano ad evitare tutta una serie di situazioni. Questo talvolta determina anche un costo sociale non irrilevante, quando per esempio un soggetto non è in grado di entrare nelle gallerie o di prendere una metropolitana: può voler dire sprecare 2 o 3 ore al giorno, che, moltiplicate per un anno lavorativo, portano ad un non trascurabile costo sociale per un disturbo apparentemente banale. CONTINUUM FRA NORMALITA’ E PATOLOGIA - non solo soglie di frequenza e intensità; - adeguatezza adattativa e comprensibilità; - transitorietà e modificabilità; - interferenza con il funzionamento personale; - ruolo della cultura fra “protezione” e “patomorfosi”. Questo è un altro concetto molto importante. Freud fu il primo a pensarlo in un certo senso, ovvero il continuum fra normalità e patologia. Purtroppo un’elaborazione indebita di questo concetto ha condotto a quel fenomeno dell’antipsichiatria, secondo cui negli anni ’60 e ’70 si era iniziato a sostenere che il disturbo mentale in assoluto fosse un artefatto di modalità di gestione sociale del disturbo stesso, in pratica che la patologia veniva determinata dai manicomi o cose del genere. Questo chiaramente non è vero, soprattutto per i disturbi psicotici, in cui c’è uno iato fra normalità e patologia: sentire delle voci nella testa che ti parlano e che ti dicono di fare delle cose non ha un continuum con la normalità. Nel caso invece dei disturbi d’ansia siamo di fronte a una situazione molto più sfumata, quindi ciò che Freud mette giustamente in evidenza nel campo della nevrosi, non deve essere assolutamente usato nel campo delle psicosi maggiori. Come si fa a valutare se siamo ancora nel normale o nel patologico? Certamente noi abbiamo delle soglie di frequenza e di intensità in base alle quali formalmente poniamo dei confini, però spesso ci sono dei pazienti che sono sotto soglia per dei sintomi che però sono assolutamente degni di una valutazione clinica, quindi un conto è l’epidemiologo che fa il lavoro tipico degli epidemiologi, un conto è il clinico che deve curare le persone. Quindi accontentarsi semplicemente delle soglie di frequenza e intensità sarebbe comunque sbagliato. Rispetto all’ansia un criterio importante è quello dell’adeguatezza adattativa e della comprensibilità. Che cosa vuol dire? L’ansia è un derivato di un segnale fisiologico, quindi, se questo segnale viene emesso in maniera adeguata, anche se piuttosto intenso, diciamo che è normale. Ci sono persone con un’alta responsività neurovegetativa e psicofisiologica, che reagiscono molto più intensamente a situazioni di pericolo, ma se il pericolo è attendibilmente reale, non è patologia. L’altro aspetto è quello della comprensibilità, cioè la persona che sa contestualizzare il suo disagio, lo mette nei giusti binari. Un altro criterio è quello della transitorietà e della modificabilità: normalmente l’ansia come stato transitorio è l’ansia segnale, si presenta quando c’è bisogno e viene modificata a seconda delle richieste dell’ambiente anche del lavoro di comprensione che il soggetto fa da un punto di vista cognitivo. Quando un soggetto diventa stabile e insensibile al contesto ambientale, allora evidentemente questo è un criterio di patologia. L’ultima cosa da dire è sul ruolo della cultura: ci sono delle forme sindromiche che sono specifiche di determinate culture, le cosiddette sindromi etniche (l’isteria artica, che è una nevrosi d’angoscia in cui le persone hanno una serie di manifestazioni somatiche; il koro della zona del Pacifico - da non confondere con il kuru che è il tremore dovuto ai prioni - in cui i soggetti di sesso maschile temono di perdere la loro virilità e che i loro genitali vengano risucchiati nell’addome. Questa è un’interpretazione abbastanza fantasiosa di un fenomeno che parzialmente accade, perché, come voi sapete, noi abbiamo la muscolatura cremasterica responsabile di un riflesso che si innesca con lo sfregamento della faccia interna della coscia; tale riflesso è di tipo difensivo, dovuto al fatto che questi organi sono penduli e potenzialmente soggetti a danneggiamento. Nelle situazioni di pericolo, in tutte le specie animali, di meno nell’uomo, c’è una certa retrazione dei genitali, quindi si crea una sorta di circolo vizioso fra l’ansia e questo fenomeno, che viene culturalmente interpretato come il pericolo di perdere la propria virilità: è come se venisse confusa in qualche modo la causa con l’effetto, fenomeno che è comunque all’ordine del giorno nei pazienti ansiosi). La cultura da un certo punto di vista è un fattore protettivo e lo si vede anche da un punto di vista epidemiologico, perché siccome il problema generale dell’ansia è di dare peso a ciò che ci accade intorno, quando noi non riusciamo a dare senso a ciò che ci accade intorno, siamo fisiologicamente ansiosi, dato che siamo delle entità psicosomatiche. E comunque la cultura è responsabile di una diversa presentazione delle manifestazioni cliniche a seconda degli strati sociali. PSICOFISIOLOGIA - mente e corpo; - rapporto fra ansia, cognizione e prestazioni; - numerosi parametri funzionali e di laboratorio (cardiovascolari, ventilatori, elettrodinamici, elettromiografici, elettrocorticali,…). L’ansia è, come tutte le emozioni, a cavaliere fra il biologico e lo psichico, perché le emozioni nascono nel corpo, nascono nel cervello, esistono anche negli animali inferiori anche se loro non ce le verbalizzano, in particolar modo negli animali a sangue caldo. Non so se sapete che lo scatto evoluzionistico è fra rettili ed uccelli, cioè fra animali a sangue caldo, con grosso incremento delle funzioni ipotalamiche, fra cui anche una maggiore ricchezza dei correlati delle presentazioni somatiche. E quindi l’ansia è il segnale di allarme che si può innescare sia per pericoli esterni che interni (alterazioni biologiche). Se voi fate gli esami, sapete che una certa quantità di ansia migliora le prestazioni fino a un certo livello, oltre il quale non solo la curva non cresce più, ma diventa una curva a U rovesciata, dunque le prestazioni peggiorano. Gli ansiosi si trovano tutti dall’apice della curva in poi, dunque più sale l’ansia, più le prestazioni peggiorano. Questo si manifesta anche sull’attività cognitiva, cioè voi, sotto la pressione dell’ansia, magari vi applicate di più a una prestazione cognitiva, però commettete più errori e avete una maggiore difficoltà nella memorizzazione e nell’apprendimento. Questa è una delle disfunzioni più importanti che si registra nel mondo dei lavoratori. Infatti nei paesi sviluppati, il grosso della forza lavoro è impegnato in attività mentali, quindi, se una volta l’ansioso era comunque in grado di svolgere la sua attività lavorativa, in quanto prettamente manuale, oggi diventa un lavoratore scarsamente produttivo, che ha molta difficoltà a svolgere le mansioni a cui è normalmente addetto. L’ultimo punto ha un interesse ad oggi prevalentemente di ricerca, nel senso che, ricercare tutti questi correlati laboratoristici, ad oggi non ha particolare rilievo nella pratica clinica. Noi per esempio oggi stiamo lavorando con un derivato dell’elettrocardiografia holter, che è la Heart Rate Variability, ma lo stiamo utilizzando per valutare le modificazioni in psicoterapia. GENI E AMBIENTE - numerosi geni soggetti a polimorfismo; - caratteristiche cliniche manifeste e tratti endofenotipici; - esperienze precoci e ruolo dei “traumi”. Tutte le manifestazioni di tipo sindromico e comportamentale sono in genere regolate da gruppi di geni che collaborano fra di loro, non si tratta del classico mendelismo. Dal punto di vista clinico i disturbi d’ansia sono forse i meno soggetti ad un peso della genetica, o meglio lo sono, ma sono molto facilmente riparabili: immaginiamo di fare un esperimento su un topo con una vulnerabilità biologica ad un disturbo d’ansia; se voi supplite, soprattutto in fase precoce, con una buona pratica di accudimento della prole, con situazioni non stressanti finchè il topolino non è adolescente, diventa quasi indistinguibile da adulto dal topo che non ha il gene mutato. Ciò conferma il grande peso, che già supponevamo avere per lo sviluppo delle nevrosi, della buona qualità dello sviluppo psichico e dell’attaccamento. Infatti si parla spesso delle esperienze precoci e del ruolo dei traumi, che va inteso sempre in modo molto sofisticato, cioè, mentre nella medicina del corpo il trauma è un trasferimento di energia, invece in psichiatria è un’esperienza non elaborabile. Quindi il trauma può derivare anche da una carenza, nel senso che quando siete immaturi da un punto di vista dell’apparato psichico, se non c’è una figura di accudimento che metabolizza un po’ per voi l’esperienza dell’ambiente, accade che per voi diventa traumatico anche ciò che traumatico non sarebbe. CAUSE ORGANICHE - encefalopatie; - affezioni cardiorespiratorie; - turbe ormonali e metaboliche (tiroide, surrene, compenso glicemico); - effetti farmacologici: medicamenti: simpaticomimetici, anticolinergici; tossici: sostanze vitali, CO2…; sostanze d’abuso: alcol, cocaina, cannabinoidi. Vediamo quali sono le cause organiche dell’ansia: certamente le alterazioni a livello dell’encefalo, le più disparate, senza scendere nei dettagli. Ovviamente sono necessari degli esami in più per accertare la presenza di una alterazione organica alla base dell’ansia, in quanto l’ansia è un sintomo molto sfumato, al pari della febbre che può avere una molteplicità di cause. Però sicuramente nella pratica medica ritroverete l’ansia in ciascuna di queste condizioni. Da un punto di vista di diagnosi differenziale, quando si valuta un soggetto in ambulatorio di disturbi d’ansia, noi innanzitutto escludiamo che abbia una patologia di tipo cardiorespiratorio, a partire da un ECG che ormai non si nega a nessuno, a meno che non si tratti di uno sportivo che si sottopone periodicamente ad analisi per l’idoneità sportivo-agonistica. Da un punto di vista pratico sicuramente fra i disturbi ormonali e metabolici la tiroide è quella che viene più comunemente controllata; in realtà ci è capitato un solo caso in tre anni di una persona che in realtà aveva un compenso glicemico: una ragazza che, avendo la tendenza ad ingrassare, si è auto-sottoposta ad una dieta fortemente squilibrata, che determinava delle crisi ipoglicemiche, che portavano ad un disturbo di panico, che apparentemente era sotto controllo già da qualche anno, e c’era tuttora una terapia di mantenimento in corso. Un’altra cosa importantissima, soprattutto oggi, sono gli effetti farmacologici. E’ importantissima sia per i medicinali che vengono presi a scopo terapeutico, sia per i medicinali di cui si abusa fino alla tossicità per cause professionali o accidentali. L’anidride carbonica per vostra curiosità viene utilizzata come sistema di provocazione sperimentale nello studio dei disturbi di panico, dunque condizioni di ipossia o ipercapnia devono essere tenute sotto controllo (un esempio tipico è quello degli apneisti). NEUROANATOMIA FUNZIONALE - vie e analizzatori sottocorticali (short loop); - substrati dell’apprendimento e del condizionamento; - integrazione corticale del percetto e del vissuto (long loop); - amigdala; - proiezioni del tronco encefalico (locus coeruleus, nuclei del rafe); - corteccia cingolata, temporale e orbito-frontale; - ipotalamo. Abbiamo due meccanismi che lavorano in parallelo nell’analisi dei nostri stimoli ambientali: uno è il cosiddetto short loop, che implica un’analisi totalmente sottocorticale, in cui sono implicati il talamo e l’amigdala; l’altro è il cosiddetto long loop, in cui viene integrato anche il percetto e il vissuto e quindi entrano in ballo sia le aree corticali (come quella temporale e orbito-frontale) per l’analisi e la valutazione dello stimolo, sia tutta la corteccia cingolata in cui sono depositate le zone ippocampali e tutte le tracce mnesiche per il confronto. Qui siamo con tutte le scarpe nella fisiologia dell’apprendimento condizionato: l’ansia è il principale rafforzatore dell’apprendimento, la natura ci ha dotato di un meccanismo neurobiologico per imparare a non esporci nuovamente ai pericoli. Ultima cosa sono le proiezioni del tronco encefalico. Voi avete presente che il locus coeruleus è l’integratore dei sitemi noradrenergici del nostro organismo e i nuclei del rafe sono quelli a serotonina. Questi nuclei che proiettano a tutto il telencefalo, ed in particolare alle zone dell’apprendimento, sono i modulatori generali del cervello. Quindi in pratica i farmaci che noi adoperiamo più frequentemente agiscono in modo generalizzato su questo sistema neurovegetativo, dunque sono a bassa specificità e noi li usiamo in maniera transnosografica. Quindi la terapia psichiatrica è una terapia funzionale, ovvero utilizziamo dei farmaci efficaci su un determinato gruppo di sintomi, a prescindere dalla diagnosi della malattia di base. Le benzodiazepine invece agiscono a livello corticale, per cui sono particolarmente efficaci in certe situazione e negative in certe altre come l’ansia cronica. L’ipotalamo è una delle vie efferenti, nel senso che noi abbiamo degli output tipici dell’ansia cronica di tipo neuroendocrino. NEUROTRASMISSIONE E MODULAZIONE - ruolo della noradrenalina e della serotonina; - sistemi gabaergici/BDZ; - peptidi: CRF, AVP, NPY, CCK, galanina, oppioidi; - disregolazione del’asse HPA; - neurosteroidi. Dei primi due punti ne abbiamo già parlato. Per quanto riguarda i peptidi, quello più studiato nei disturbi d’ansia è proprio il CRF, che non è soltanto il neuropeptide che fa liberare l’ACTH, ma è presente in tutta una serie di aree cerebrali, per cui nell’ansia cronica e nello stress agisce come modulatore di una serie di aree cerebrali, cioè sia dentro che fuori. Invece non vi venga in mente di trattare i disturbi d’ansia con gli oppioidi, soprattutto endorfine, se non in pazienti con una scarsa aspettativa di vita in cui l’applicazione della medicina palliativa ha tutta la sua dignità. State attenti anche, quando curate il dolore, di considerare la possibilità di fare un trattamento della condizione di stress concomitante, che può risultare efficace anche nel ridurre la percezione del dolore in quei pazienti che comunque hanno una aspettativa di vita normale. Nei disturbi psichiatrici cronici che durano da molto tempo il sistema HPA è come se fosse perennemente sovrattivato, senza nessun ritmo circadiano (apparente ipoioncrezione di certi ormoni), quando invece nell’ansia acuta si ha solo una temporanea disregolazione dei valori normali (es.: livelli alti di adrenalina per qualche giorno dopo un forte spavento, come può essere quello di trovarmi un leone di fronte a casa). Nelle donne, al contrario degli uomini, uno stress cronico determina un aumento dell’androgenizzazione (es.: comparsa di brufoli). Per quanto riguarda i neurosteroidi, noi a livello cerebrale abbiamo appunto delle molecole steroidee in grado di modulare il recettore delle benzodiazepine, come se avessimo un meccanismo di adattamento locale dell’ansia e dello stress. PSICOPATOLOGIA GENERALE Paura: emozione primordiale reattiva ad un pericolo reale, attuale, definito e riconoscibile (il famoso leone di cui parlavamo). Quindi l’oggetto ostile è correttamente percepito e siamo di fronte ad un fisiologico segnale d’allarme. Ansia: emozione spiacevole che consiste in un sentimento d’allarme o penosa aspettativa che debba succedere qualcosa, di fronte a pericoli temuti reali o potenziali (come ad esempio quelle persone che a priori non prendono l’aereo, anche se è dimostrato da dati statistici che il mezzo aereo è il più sicuro in assoluto, calcolando il rischio per persona per chilometri percorsi), vissuti come immediati o imminenti, associata a manifestazioni fisiche (es.: iperattività neurovegetativa), e all’emissione di comportamenti (es.: evitamento). Il concetto fondamentale è comunque che l’ansioso non vive nel presente, ma vive proiettato nel futuro in cose che forse non accadranno mai. Esistono diversi tipi di ansia: - - di tratto o di stato: di tratto è l’atteggiamento perennemente ansioso; lo stato è una condizione variabile; anticipatoria e situazionale: anticipatoria è quando so che qualcosa è pericolosa e allora inizio a stare in ansia ancor prima di farla (es: ansia di andare dal dentista senza esserci ancora mai stati); quella situazionale è quella legata all’aver esperito una specifica situazione (es: ansia di andare dal dentista dopo esserci già stati e aver già provato dolore); libera: quando il paziente riferisce di essere ansioso senza alcun tipo di contestualizzazione. Angoscia: manifestazone ansiosa di rango superiore, o per una particolare intensità psicofisica con senso di costrizione (dal latino angor) e morte imminente, o per livello ontologico che investe l’esperienza del mondo. C’è un’altra distinzione tra ansia ed angoscia che è basata sul contesto sindromico all’interno del quale avviene la manifestazione: l’ansia è normalmente appannaggio delle nevrosi, raramente assurge a livello d’angoscia, mentre nelle psicosi, quando un paziente ha percezione della propria condizione di disagio, allora parliamo d’angoscia. Panico (etimologia: dio Pan era quello con le zampe di caprone, che suonava il flauto e allucinava le persone che si trovavano nei boschi, che venivano prese dal terrore di essersi perse): manifestazione ansiosa, acuta e terrorizzante, che sconvolge l’unità psicosomatica e conduce alla perdita di controllo sull’esperienza fino alla paralisi (il classico esempio del topo davanti al serpente, che, invece di scappare, si paralizza). Dunque mentre l’angoscia è qualcosa di circoscritto all’interno che ti fa sentire male, il panico è una perdita dei confini. Nevrosi: termine introdotto da un medico scozzese per indicare affezioni del sistema nervoso che conducono ad una attività disordinata (Cullen, 1776). Successivamente (XIX – XX sec) il concetto teorico ha assunto significati peculiari nelle grandi scuole europee di psichiatria (Charcot, Janet, Freud), declinandosi in nozioni e classificazioni specifiche (isteria, fobie, ossessioni, ecc…) Il concetto di nevrosi è un concetto unitario che poi è stato consacrato soprattutto dalla psicoanalisi, in quanto Freud, semplificando molto il suo pensiero, ha sviluppato il modello psicodinamico delle nevrosi, basato su nozioni quali energia sessuale, difesa psichica, inconscio. Semplificando lo sviluppo dell’opera freudiana possiamo distinguere: neuroastenia o nevrosi attuali (ipocondria, nevrosi d’ansia), che scaturiscono direttamente dalla mancata soddisfazione dell’eccitamento, cioè non implicherebbero dei meccanismi di trasformazione simbolica. Al di là del modello psicanalitico tenete conto che la nostra coscienza non può tenere sotto controllo tutto, ma si deve focalizzare e dunque, quando noi ci abituiamo a gestire una cosa in automatico, essa fuoriesce dalla nostra coscienza; ciò non vale solo per il sintomo nevrotico, ma è un meccanismo generale d’economia che il nostro organismo mette in atto. In quelle condizioni psicopatologiche in cui noi non riusciamo a focalizzare la nostra coscienza succede un disastro: il paziente con uno stato di sovraeccitamento maniacale va di palo in frasca. - Psiconevrosi o nevrosi di traslazione (isteria di convessione, isteria di angoscia o nevrosi fobico-ossessiva) le cui manifestazioni sono prodotte da meccanismi psicologici profondi; Nevrosi traumatiche susseguenti all’esposizione ad eventi intensivi e non elaborabili; Nevrosi narcisistiche che esprimono il ritiro degli investimenti all’interno dell’io. Caterina Neri