ISBN 978-88-97843-14-6

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RELAZIONI
Intestinal microbiota, diet and health
KIERAN TUOHY
Scienze ‘omiche’ in Nutrizione Umana
Le scienze ‘omiche’ nel perimetro della nutrizione: santo Graal o torre di Babele?
ALESSANDRA BORDONI
Metabolomica nello studio degli alimenti
CESARE MANETTI
Applicazione della NMR-based metabolomica nello studio di alimenti ad alto valore
nutrizionale
LUISA MANNINA
La nutrigenomica: un approccio per la prevenzione delle patologie cronico degenerative non
trasmissibili
LAURA DI RENZO
Zuccheri: tematiche emergenti
The role and effects of sugars in the human diet
JOHN SIEVENPIPER
Gusto dolce: scelte alimentari e implicazioni nutrizionali
CATERINA LOMBARDO
Efficacia delle strategie dietetiche per la riduzione del consumo di zuccheri
GABRIELE RICCARDI
Criticità nei diversi modelli alimentari
LORENZO M. DONINI
Ricerca italiana nei progetti europei di Nutrizione Umana
Nutrizione e crescita: aspetti preventivi
ELVIRA VERDUCI
Nutrizione ed invecchiamento: prevenire e contrastare l'inflammaging
RITA OSTAN
Nutrizione e cancro: il grande studio EPIC
SABINA SIERI
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Etichettatura alimentare: come sta cambiando
Etichettatura alimentare: dove siamo
SALVATORE CIAPPELLANO
Etichettatura e nutrizione fra regole e conoscenza
FERDINANDO ALBISINNI
Health claims: il Registro Europeo
NICOLETTA PELLEGRINI
Nutrienti critici e marcatori nutrizionali
I marcatori delle vitamine idrosolubili
LUCIANA AVIGLIANO
Macronutrienti e rischio metabolico in età evolutiva: perché personalizzare le indicazioni
nutrizionali
CLAUDIO MAFFEIS
Nutrienti critici nell'alimentazione dello sportivo: prevenzione ed intervento nutrizionale
MICHELANGELO GIAMPIETRO
Consumatore ed etichetta nutrizionale
Comprensione dell’etichetta nutrizionale e il suo utilizzo nella scelta alimentare
ANNA SABA
Etichettatura e informazione alimentare: ruolo dei social media
GIANNA FERRETTI
App per il consumatore: la nuova frontiera dell’etichettatura
ALESSANDRO CASINI
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COMUNICAZIONI ORALI
A01. A single portion of blueberries can affect peripheral arterial tone in young smokers with endothelial
dysfunction: preliminary observations and perspectives
V. DEON, C. DEL BO’, C. LANTI, M. PORRINI, J. CAMPOLO, D. KLIMIS-ZACAS AND P. RISO .
A02. Risposta glicidica e lipidica ad un pasto test contenente alimenti aglutinati in soggetti sani
E. GRIFFO, M. COTUGNO, G. NOSSO, A. MANGIONE, V. FOLLINO, R. CORREALE, B. CAPALDO
A03. Grasso addominale e profilo metabolico in bambini obesi: studio caso-controllo
C. LASSANDRO, M. MANCINI, B. MARIANI, M. SALVIONI, G. BANDERALI, E. RIVA, E. VERDUCI.
A04. Protein intake and muscle mass in sarcopenic obese old women
E. MUSCARIELLO, G. NASTI, M. DI MARO, A.COLANTUONI .
A05. Relazione tra lipid accumulation product, composizione corporea e parametri metabolici
E. POGGIOGALLE, C. LUBRANO, A. LENZI, L.M. DONINI
A06. Validazione di un nuovo sistema low cost per la misura della densità corporea mediante scanner 3D:
validazione e prospettive
D. VIGGIANO, F. COPPOLA, G. SALVATORI, G. ORIANI, C. DI CESARE
A07. Atheroprotective effects of (poly)phenols: focus on cell cholesterol metabolism
L. BRESCIANI I. ZANOTTI, M. DALL’ASTA, P. MENA, L. MELE, R. BRUNI, S. RAY, F. BRIGHENTI AND D. DEL RIO
A08. Componenti bioattivi degli alimenti e loro metaboliti: effetti sul metabolismo lipidico in cellule epatiche in
coltura
F. DANESI , V. VALLI , M. DI NUNZIO , A. BORDONI
A09. Valutazione degli effetti del butirrato sulla fisiologia intestinale
A. ELCE , G. TERRIN, R. BERNI CANANI, G. CASTALDO
A10..Effetti della luteolina 7-glucoside su cheratinociti umani: un approccio metabolomico
R. PALOMBO, L. AVIGLIANO, I. SAVINI, E. CANDI, G. MELINO, A. TERRINONI
A11. Time-dependent effects on body weight gain and hepatic oxidative stress in rats exposed to both high fat
feeding and low doses of persistent organic pollutant
R. PUTTI, R. SICA, , V. MIGLIACCIO, C. PAGANO, A. LOMBARDI, L. LIONETTI
A12. Effects of dietary supplementation with cow, donkey or human milk on energy efficiency, lipid and glucose
metabolism and inflammatory state in rat
G. TRINCHESE, C. DE FILIPPO, G. CAVALIERE, M. GAITA, A. DELLA GATTA, S. DI SCALA, E. ALFANO, R. GRIMALDI, M.
CUOMO, A. MOLLICA, C. STRADELLA, A. SPERANZA AND M.P. MOLLICA
A13. Diet quality, socio-demographics and lifestyle of yogurt consumers in Italy
L. D’ADDEZIO, L. MISTURA, A. TURRINI
A14. Convenzionale o biologico: analisi nutrizionale delle scelte alimentari
C. DI CESARE, G. ORIANI, M. FORLEO, E. DI IORIO, F. MARTINO, R. PICCINELLI, G. SALVATORI.
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A15. Vegetarian, vegan diets and multiple health outcomes: a systematic review with meta-analysis
MR. DINU, R. ABBATE, GF. GENSINI , A. CASINI, F. SOFI.
A16. Caratteristiche della popolazione e fattori di rischio cardiovascolare associati alla dieta mediterranea in
Sicilia.
G. GROSSO, S. MARVENTANO, L. SCALFI, A. MISTRETTA, F. GALVANO.
A17. Valutazione dello stato di nutrizione di un gruppo di volontari sani in Italia in relazione al consumo di
specifici gruppi di alimenti ricchi in molecole bioattive
E. VENNERIA, M.S. FODDAI, E. AZZINI, D. CIARAPICA, F. INTORRE, M. ZACCARIA, L. BARNABA, L. PALOMBA, M.
GRINER, A. TAGLIABUE, L. RIPAMONTI, G. MAIANI & A. POLITO.
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POSTER
P01. Effetto dei polifenoli del miele nella prevenire il danno indotto da pesticidi
R. ALLEVA , V. CIARAPICA, N.MANZELLA, B. BORGHI, L. SANTARELLI, M.F. CABONI, F. PASINI , F. EPIFANO , M.
TOMASETTI.
P02. Effetti del resveratrolo sul differenziamento di cellule mesenchimali stromali umane da midollo osseo
I. CALDARELLI, M.C. SPERANZA, A.V.A. PIROZZI, F. DELLA RAGIONE, A. OLIVA, A. BORIELLO
P03. Proprietà anti-infiammatorie di cereali antichi: il caso del Triticum monococcum
F. DANESI , M. DI NUNZIO , V. VALLI, D.L. TANEYO SAA, B. VIADEL , L. TOMÁS-COBOS , E. GALLEGO , M.P. VILLALBA ,
A. GIANOTTI , A. BORDONI .
P04. Study of the potential anti-atherosclerotic effect of polyphenols from wild blueberry (Vaccinium
angustifolium) in endothelial cells: preliminary data.
C. DEL BO’, Y. CAO, M. ROURSGAARD, P. RISO, S. LOFT, M. PORRINI, P. MOLLER.
P05. Allergeni alimentari: utilizzo della spettrometria di massa LC-MS/MS per la ricerca di allergeni del latte
vaccino in prodotti da forno.
M.G. GIUFFRIDA, C. LAMBERTI, E. ACQUADRO, D. CORPILLO.
P06. Tecniche Fotoacustiche (PA) applicate all’analisi non distruttiva di specifici composti bioattivi indicatori di
qualità nelle mele
A.M. GIUSTI, G. LEAHU, R. LI VOTI, A. MAURIZI, G. CESARINI E C. SIBILIA
P07. Effect of blueberry bioactive compounds on hepatic lipid accumulation in HepG2 cells: preliminary data
C. LANTI, P. DONGIOVANNI, P. RISO, L. VALENTI.
P08. Effetto neuroprotettivo del succo crudo di germogli di Brassica oleracea in un modello cellulare della
malattia di Alzheimer
A. MASCI, R. MATTIOLI, P. COSTANTINO, S. BAIMA, G. MORELLI, P. PUNZI, C. GIORDANO, A. PINTO, L. M. DONINI, M.
D’ERME, L. MOSCA
P09. Caratterizzazione fenolica e ed attività biologica di estratti di camomilla commerciale
F. RINALDI, V. GASPERI, M.V. CATANI, L. AVIGLIANO, I. SAVINI
P10. Biscotti di grano duro e Kamut® khorasan: digestione in vitro e valutazione della capacità antiossidante
totale e del profilo fenolico
V. VALLI , L. CALANI , F. DANESI , A. GIANOTTI , D. DEL RIO, A. BORDONI.
P11. Componenti bioattivi degli alimenti e loro metaboliti: screening delle concentrazioni fisiologiche non
citotossiche in cellule epatiche in coltura.
V. VALLI , M. DI NUNZIO , F. DANESI , A. BORDONI.
P12. Dieta e perossidazione lipidica delle lipoproteine: ruolo dei carotenoidi
T. BACCHETTI, P. SOBBI, G. FERRETTI.
P13. Valutazione bioimpedenziometrica e forza di presa della mano in pazienti con broncopneumopatia cronica
ostruttiva (BPCO)
F. DE BLASIO, G. SANTANIELLO, L. LIONETTI, G. MIRACCO BERLINGIERI, B. BELLOFIORE, F. DE BLASIO, L. SCALFI.
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P14. La Qualità della Vita (QoL) in soggetti affetti da obesità di grado elevato: ruolo dell’Educazione Terapeutica
(ET)
G. GAVARINI, E. PROSPERI, G. GUIDI, G. MEROLA, E. CAVA, R. IENCA, L. GNESSI, L.M. DONINI, A. PINTO
P15. Aumentati livelli di GLP-1 e GIP in soggetti con ipoglicemia reattiva
E. GRIFFO, R. LUPOLI, G. NOSSO, M. COTUGNO, C. IADAROLA, G. SALDALAMACCHIA, G. RICCARDI, B. CAPALDO
P16. Effetti dell’integrazione con Myoinositolo in soggetti obesi affetti da tireopatie croniche resistenti alla dieta:
dati preliminari
D. METRO, M. PAPA, L. MANASSERI
P17. Effetti del succo di Aloe Barbadensis Miller nei pazienti affetti da Tiroidite cronica
D. METRO, M. PAPA, L. LUCIBELLO.
P18. Collagen VI myopathies: nutritional status evaluation
R. MORANDI, S. TONI, M. BUSACCHI, L. TARDINI, L. MERLINI, N.C. BATTISTINI, M. PELLEGRINI.
P19. Valutazione nutrizionale e profilo metabolico in bambini affetti da fenilchetonuria: studio caso – controllo.
F. MORETTI, E. RIVA, N. PELLEGRINI, F. SCAZZINA , E. SALVATICI, J. ZUVADELLI, A. RE DIONIGI, F. BRIGHENTI, M.
GIOVANNINI, E. VERDUCI.
P20. Nutritional status in depressed and not-depressed young females
E. MUSCARIELLO, G. NASTI, R. BATTINELLI, T.PORTOGHESE, T. NOVELLINO, M. DI MARO, L. PETAGNA, A.
COLANTUONI
P21. Stato funzionale e rischio nutrizionale in anziani sistituzionalizzati
E. POGGIOGALLE, A. FORMICONI, L.M. DONINI, A. MOLFINO, F. ROSSI FANELLI, M. MUSCARITOLI
P22. Efficacia di un programma di educazione nutrizionale in pazienti in riabilitazione cardiologica ad un anno
dalla dimissione
E. RAFANELLI, B. BIFFI, E. GRAZIANO, E. SARLI, M.L.E. LUISI.
P23. Contenuto in microelementi e vitamine nelle miscele per la nutrizione enterale: confronto con i LARN
C. SCANZANO, R. IACONE, E. PASTORE, A. D'ISANTO, L. SANTARPIA, F. PASANISI, F. CONTALDO
P24. Cardiovascular benefits from old grain varieties: finding from a double-blinded randomized controlled
dietary trial
A.SERENI, F.SOFI, E.PELLEGRINO, A.M.GORI, A.CASINI, R.ABBATE, G.F.GENSINI, E.BONARI
P25. A Khorasan wheat-based replacement diet improves risk profile of patients with acute coronary syndrome:
A randomized crossover trial
F.SOFI, A.WHITTAKER, C.FIORILLO, M.BECATTI, E.RAFANELLI, M.L.E.LUISI, A.M.GORI, R.ABBATE, G.F.GENSINI,
S.BENDETTELLI, A.CASINI.
P26. Inquadramento metabolico-nutrizionale in pazienti sottoposti a resezione epatica
V. TAMBURELLI
P27. Valutazione dello stato di nutrizionale nel paziente in emodialisi: un approccio basato sull’Educazione
Alimentare.
V. VALLE, F. GALLO, C. BORGARELLI, C. MARCHELLO, A. PARODI, P. ANCARANI, G. PISTONI, M. FERRARI BRAVO.
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P28. L’intervento nutrizionale nel paziente affetto da SLA: Esperienza dell’ambulatorio multidisciplinare
dell’ASL 4 Chiavarese
V. VALLE, F. GALLO, C. BORGARELLI, C. MARCHELLO, R. BOICELLI, M.C. VACCARO, N. PIZIO
P29. Una corretta prevenzione e un corretto stile di vita portano a un ridotto gestational weight gain (GWG) in
donne gravide con BMI > 25 kg/m2
V. BERTARINI, C. CICCHETTI, I. NERI, F. FACCHINETTI, E. PETRELLA, N. C. BATTISTINI AND M. MALAVOLTI.
P30. Meno Sale Più Salute nel Progetto OKkio alla Ristorazione della Regione Lazio
G. CAIRELLA, M.T. PANCALLO, G. UGOLINI, M.N. GIORGI, E. CAPPELLANO, M. MAGNANO SAN LIO, F. FANTINI, A. DE
CAROLIS, V. GALANTE, T. SEVERI, D. DE SANTIS, F. QUADRINO, A. VITAGLIANO.
P31. Progetto “Meno sale più salute”. Razionale, Metodi e Risultati preliminari.
L. D’ELIA, C. IANNOTTA, P. SABINO, M. SCHIANO DI COLA, G. ROSSI, I. SAVINO, F. GALLETTI, P. STRAZZULLO.
P32. Valore predittivo di un nuovo indice di adiposità addominale sui valori pressori e sul rischio di ipertensione
arteriosa. Risultati dello Olivetti Heart Study
L. D’ELIA, P. SABINO, M. MANFREDI, V. FAZIO, P. STRAZZULLO & F. GALLETTI
P33. Abitudini alimentari, infiammazione e stress ossidativo in un campione di soggetti anziani: risultati dello
studio Europeo “RISTOMED” - New E-Services for a dietary approach to the elderly (FP 7 - SME - 2007 – 1; Grant
222230)
A. PINTO, S. HRELIA, A. ROSANO, D. DE STEFANO, R. ASPRINO, L. TOSELLI, M. MALAGUTI, P. HRELIA, L. VALENTINI, I.
BOURDEL-MARCHASSON, F. BUCCOLINI, F. PRYEN, P. D’ALESSIO, H. LOCHS, C. FRANCESCHI, R. OSTAN.
P34. Progetto ENJOY - Exergames & healthy Nutrition Joined against Obesity for one Year. Risultati a 3 mesi
C. FERRARIS, N.L.PEPE, C.TRENTANI, S.TINELLI, P.BORRELLI, M.VANDONI, E.RICAGNO, E.CODRONS, M.ARPESELLA,
C.MONTOMOLI, A.TAGLIABUE.
P35. Gramsci inFORMA per guadagnare salute : promozione di sani stili di vita negli operatori dell’AUSL di
Bologna
E. GUBERTI, P. NAVACCHIA, E.CENTIS, R. MARZOCCHI, S. BERTINI, F. VISANI, C.COPPINI, C. RIZZOLI, M.NEGOSANTI,
M. SARDOCARDALANO , F. CELENZA , L. BIANCO, R.DOMINA , F.FRANCIA.
P36. "Crescere felix": Percorsi di Educazione Alimentare in età evolutiva
P. PECORARO, S. STELLATO, S. SENSI, C. SORRENTINO, M. IMOLETTI
P37. Impatto di differenti colazioni sulle scelte alimentare nel pasto successivo
A. ROSI, F. SCAZZINA; F. BRIGHENTI.
P38. I disturbi alimentari negli adolescenti: esperienza nel fabrianese
L. BELLI, M.G.COLAO, G. VICI, I.ROMANI, L.TOMASSINI, S.LUPINI, L. LENCI, F.SPACCA, V. POLZONETTI.
P39. Family’s fruit-vegetables consumption, children lifestyle and obesity: a study in Milan
R. BRACALE, L. E. MILANI, V. RUSSO, E. FERRARA, C. BALZARETTI, A. VALERIO, E. ZAVARRONE , F. PASANISI, E. NISOLI,
M.O. CARRUBA
P40. Criticità degli strumenti utilizzati per la valutazione dell’adeguatezza della dieta nel primo anno di vita
F. CONCINA, C. CARLETTI, S. SALVINI, P. GNAGNARELLA, F. BARBONE, M. PARPINEL
P41. Indagine conoscitiva sulle etichette alimentari: un possibile strumento di educazione alimentare?
A. FERRARETTO, A. ZABEO, S. PEREGO, P. DE LUCA, M. MAGGIONI, A. FIORILLI
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P42. Alimentazione cinese nella regione sul SU-Chiuan e dieta mediterranea
S.B. FU, R.GRADASCHI, G.F. ADAMI
P43. Validazione di un questionario sull’aderenza alla dieta mediterranea in una popolazione italiana partecipante
a screening oncologici: dati preliminari
P. GNAGNARELLA, A.M. MISOTTI, S. GRIONI, S SIERI, P. MAISONNEUVE
P44. Indagine conoscitiva sulle abitudini di acquisto in aree urbane e rurali
F. INTORRE, L. BARNABA, D. CIARAPICA, M. ZACCARIA, E. AZZINI, E. VENNERIA, M.S. FODDAI, L. PALOMBA, M.
VERRASCINA, S. CRISTIANO, S.TARANGIOLI, A. MONTELEONE, G. MAIANI & A. POLITO
P45. Differenze nella percezione gustativa influenzano le abitudini alimentari e i dati antropometrici in una
popolazione di studenti liguri
A. MARCUZZI, V. MARINI, B. ZANINI, M. BORRIELLO, A GRADASCHI, A. ROBINO, N. PIRASTU, G.F. ADAMI, G. GASBARINI
P46. Dieta mediterranea, incidenza e mortalità delle malattie cardiovascolari: revisione sistematica e metanalisi
degli studi prospettici.
S. MARVENTANO, G. GROSSO, J. YANG, L. SCALFI, F. GALVANO, S. N. KALES
P47. Informazioni nutrizionali ed etichettatura alimentare in prodotti derivati dei cereali.
S. MUOIO, G. SANTANIELLO, F. DE BLASIO, P. STRAZZULLO, L. SCALFI.
P48. Proposta di un nuovo indice di aderenza al modello Mediterraneo
F. NIGRO, A. ROSANO, V.DEL BALZO, V. VITIELLO, A. GERMANI, LM. DONINI
P49. Sale nei prodotti alimentari: un’analisi dei dati preliminari
P. SABINO, S. MUOIO, L. D’ELIA, C. IANNOTTA, L. SCALFI, P. STRAZZULLO
P50. L’etichettatura del prodotto gluten free ed il consumatore: ieri&oggi
L. SATURNI
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ATTI DEL CONVEGNO
Nutrizione: Perimetri e Orizzonti – Roma 20-21 ottobre 2014
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Etichettatura e nutrizione tra regole e conoscenza
FERDINANDO ALBISINNI
Ordinario di diritto agrario e alimentare – Università della Tuscia – Viterbo
1.- E’ ormai prossima l’applicazione del nuovo Regolamento (UE) n. 1169/2011 del 25 ottobre 2011, sulla
fornitura di informazioni ai consumatori di prodotti alimentari (G:U:C:E: del 22 novembre 2011).
Ai sensi dell’ art.55, il Regolamento avrà applicazione a decorrere dal 13 dicembre 2014, ad eccezione dell'art.
9.1.l) (sulle indicazioni nutrizionali), applicabile dal 13 dicembre 2016 e dell'allegato VI, parte B (sulle “carni
macinate”), applicabile a decorrere dal 1 gennaio 2014.
L’approvazione è arrivata dopo oltre tre anni, in esito ad un percorso istituzionale lungo e controverso, che ha
visto significative modifiche rispetto al testo originariamente proposto dalla Commissione Europea nel
febbraio 2008.
Come ha sottolineato la Commissione Europea nella Comunicazione del febbraio 2011, la proposta, poi
tradottasi nel nuovo regolamento, “consolida e aggiorna due importanti settori della legislazione in materia
di etichettatura, cioè l'etichettatura generale dei prodotti alimentari e l'etichettatura nutrizionale, disciplinati
rispettivamente dalle direttive 2000/13/CE e 90/496/CEE.” e “rifonde anche 6 altre direttive riguardanti
l'etichettatura di alcune categorie di prodotti alimentari”, perseguendo quali principali finalità:
– semplificare la legislazione relativa all’etichettatura degli alimenti grazie all’introduzione di un unico
strumento che disciplini principi e requisiti per le disposizioni orizzontali sull’etichettatura generale e
nutrizionale;
– inserire disposizioni specifiche sulla responsabilità in seno alla catena alimentare riguardo alla
presenza e all’esattezza dell’informazione alimentare;
– fissare criteri misurabili su alcuni elementi della leggibilità delle etichette apposte ai prodotti
alimentari;
– chiarire le norme riguardanti l’indicazione del paese d’origine o il luogo di provenienza;
– introdurre indicazioni nutrizionali obbligatorie nella parte principale del campo visivo della maggior
parte degli alimenti trasformati;
– istituire un sistema che regoli alcuni aspetti dell’etichettatura volontaria degli alimenti appoggiata
dagli Stati membri.”.
In effetti, l’art. 53 del nuovo regolamento, a far tempo dal 13 dicembre 2014, abroga, oltre che le direttive
generali sull’etichettatura (dir. 2000/13/CE) e sull’etichettatura nutrizionale (dir. 90/496/CEE), altre quattro
direttive (n. 87/250/CEE, 1999/10/CE, 2002/67/CE, 2008/5/CE) ed il regolamento (CE) n. 608/2004.
Le novità introdotte sono rilevanti, con riferimento sia ai profili istituzionali, sia al merito della disciplina.
2.- Quanto ai profili istituzionali, l’adozione di un regolamento in luogo delle precedenti direttive è un chiaro
indice della tendenza che dall’armonizzazione muove verso l’unificazione delle regole, e colloca questa
legislazione all’interno del più generale processo verso l’adozione di Codici Europei, che caratterizza larga
parte della recente legislazione dell’Unione Europea.
Questo processo, il cui avvio può essere individuato negli anni a cavallo fra la fine del secolo XX e l’inizio del
secolo XXI, ha ricevuto ulteriore impulso dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Va detto che il processo di unificazione e codificazione del diritto europeo implica, per sua stessa natura, in
una UE che conta ben 28 Stati membri, una legislazione multilivello, che fissa principi, finalità, metodi,
istituzioni, e li integra attraverso il contributo cooperativo di più soggetti:
- la Commissione Europea, attraverso l’utilizzazione dei poteri delegati, quali previsti dall’art. 290
TFUE e dagli articoli 51 e 52 del nuovo regolamento sulla comunicazione ai consumatori;
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- gli Stati membri, mediante l’adozione di disposizioni nazionali nell’esercizio delle competenze
regolate dagli articoli da 38 a 45 del regolamento;
- le organizzazioni internazionali, quali il Codex Alimentarius, l’OIV, l’UNECE.
Ne risulta un complesso modello, all’interno del quale il nuovo regolamento è significativo sia in sé
considerato, sia in riferimento a talune decisioni della Corte di Giustizia, e ad altre normative recentemente
introdotte, quali il Regolamento n. 952/2013 contenente il nuovo Codice Doganale UE (con importanti
prescrizioni in tema di origine dei prodotti), i Regolamenti del dicembre 2013 di riforma della PAC, il
Regolamento n. 1151/2012 sul “Pacchetto Qualità”.
3.- Quanto ai profili di merito, il nuovo regolamento ha spostato il centro dell’attenzione dall’etichettatura in
sé considerata al più generale tema dell’informazione e della comunicazione, quali strumenti per garantire al
consumatore un ruolo attivo nelle decisioni e nelle scelte di acquisto e di consumo.
Questa disciplina si propone come componente essenziale della più ampia legislazione in tema di concorrenza,
regolazione del mercato, protezione dalle frodi e dalle contraffazioni, ma nel medesimo tempo costituisce
elemento centrale nel processo inteso ad assicurare la qualità e la sicurezza degli alimenti, in linea con le
disposizioni dell’art. 14 del regolamento n. 178/2002 in tema di “Requisiti di sicurezza degli alimenti” e
dell’art. 17 in tema di “Obblighi” (rectius: competenze e responsabilità) delle autorità pubbliche e degli
operatori del settore alimentare.
Fra queste disposizioni, certamente rilevante è quella contenuta nell’art. 14.3. del reg. 178/2002, secondo cui:
“Per determinare se un alimento sia a rischio occorre prendere in considerazione …:
b) le informazioni messe a disposizione del consumatore, comprese le informazioni riportate sull'etichetta o
altre informazioni generalmente accessibili al consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la
salute provocati da un alimento o categoria di alimenti.”.
Tracciabilità, etichettatura, informazione, comunicazione, assumono così valore strategico, quali strumenti per
una partecipazione consapevole del consumatore, all’interno di un ampio sistema, che alla gestione e
valutazione del rischio accompagna la comunicazione del rischio, e che chiama l'EFSA, la Commissione e gli
Stati membri a collaborare per promuovere “l'effettiva coerenza fra le funzioni di valutazione del rischio,
gestione del rischio e comunicazione del rischio” (art.22.8. reg. 178/2002).
Il nuovo Regolamento colloca pertanto l’informazione e la comunicazione all’interno di un dialogo fra
imprese, consumatori ed istituzioni, che punta ad attivare una condivisione di impegni, per il comune fine della
tutela della salute e della trasparenza del mercato, pur nel rispetto delle responsabilità di ciascuno.
In questo processo comunicativo e partecipativo rilievo decisivo assumono le prescrizioni sulle indicazioni
nutrizionali e sulla specificazione dell’ingrediente primario.
4.- Muovendo da tali novità di impianto e di merito, la relazione esamina le prescrizioni maggiormente rilevanti
del regolamento di prossima applicazione all’interno di un quadro disciplinare caratterizzato dal crescente
rilievo assegnato ad una diffusa e partecipata conoscenza ai fini di una corretta nutrizione.
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ISBN 978-88-97843-14-6
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Bibliografia
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Riv. dir. agr., 2012, I, p. 68 ss.;
Id., The new EU Regulation on the provision of food information to consumers, in Riv.dir.alim.
www.rivistadirittoalimentare.it, n.2-2011, p. 32 ss.;
P .Borghi, Diritto d'informazione nel recente regolamento sull'etichettatura, in C. Ricci (a cura di), La tutela
multilivello del diritto alla sicurezza e qualità degli alimenti, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 271-290;
F.Capelli, Il Regolamento (UE) n. 1169/2011 e le sue guide spirituali, in Riv.dir.alim.
www.rivistadirittoalimentare.it, n.2-2014, p. 13 ss.;
L. Costato, Le etichette alimentari nel nuovo regolamento (UE) n. 1169/2011, in Riv. dir. agr., 2011, I, p. 658
ss.;
G.De Giovanni, La nuova regolamentazione comunitaria sull'etichettatura dei prodotti alimentari, in Alimenta,
2011, p. 123 ss.;
A. Di Lauro, Nuove regole per le informazioni sui prodotti alimentari e nuovo analfabetismi. La costruzione
di una "responsabilità del consumatore", in Riv.dir.alim. www.rivistadirittoalimentare.it, n.2-2012, p. 4 ss.;
L .González Vaqué, El concepto ‘declaración de reducción del riesgo de enfermedad’ prevista en el
Reglamento (CE) nº 1924/2006: la sentencia “Green – Swan” de 18 de julio de 2013 ss., Riv.dir.alim.
www.rivistadirittoalimentare.it, n.3-2013, p. 48 ss.;
A. Jannarelli, La fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori nel nuovo reg. n. 1169/2011 tra
l'onnicomprensività dell'approccio e l'articolazione delle tecniche performative, in Riv. dir. agr., 2012, I, p. 38
ss.; - S.Masini, Diritto all'informazione ed evoluzione in senso «personalista» del consumatore (Osservazioni
a margine del nuovo regolamento sull'etichettatura di alimenti), in Riv. dir. agr., 2011, I, p. 576 ss.;
V. Pullini, Prodotti nutraceutici, integratori alimentari, prodotti a base di estratti vegetali in rapporto al nuovo
regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in
Alimenta, 2011, p. 236 ss.
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I marcatori delle vitamine idrosolubili
LUCIANA AVIGLIANO, ISABELLA SAVINI
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, Università di Roma “Tor Vergata”.
Un’assunzione vitaminica adeguata è critica nel mantenimento dello stato di salute e nella prevenzione di
malattie croniche e di declino funzionale. Indicatori di assunzione adeguata includono parametri cellulari (in
genere misure su cellule ematiche), biochimici (concentrazione di vitamina e metaboliti in plasma, urina, latte
materno, attività enzimatiche), funzionali (tempo di protrombina, test di visione per le vitamine liposolubili K
e A).
Tuttavia, bisogna tenere in considerazione alcune criticità: i) indicatori diversi possono evidenziare situazioni
diverse, quali uno status recente (ore, giorni) dopo assunzione alimentare oppure uno status vitaminico a lungo
termine; ii) la misura di alcuni parametri può richiedere metodi analitici sofisticati, che devono essere validati;
iii) i parametri possono variare in base all’età, al genere, allo stato fisiologico, al genotipo del soggetto
esaminato; iv) quasi tutte le vitamine, oltre alle funzioni coenzimatiche su cui si basano i test, svolgono altri
ruoli importanti (ad esempio epigenetico) non facilmente misurabili. Tutto questo spiega la difficoltà nel
selezionare indicatori adeguati su cui stabilire le raccomandazioni nutrizionali e in parte giustifica
l’eterogeneità delle raccomandazioni per Paesi diversi.
Di recente l’incidenza di malattie (alterazioni fetali, malattie croniche) è stata vista come possibile indicatore
di assunzione adeguata. Molte vitamine sembrano esercitare un effetto protettivo nella diminuzione del rischio
di patologie cardio-cerebrovascolari, del declino cognitivo, di alcune forme di demenza e di alcune neoplasie
e sul rischio fetale; tuttavia in genere gli studi non sono definitivi.
Nella relazione saranno illustrati gli indicatori utilizzati per la definizione dei LARN 2012, con particolare
riferimento ad alcune vitamine di recente revisionate anche dall’EFSA.
Per quanto concerne i folati, sono considerati validi indicatori le concentrazioni sieriche ed eritrocitarie.
Opinione dell’EFSA 2014 è che i PRI stabiliti su tali parametri coprono anche i maggiori fabbisogni di
individui con il genotipo MTHFR 677TT. Alla fine degli anni ’90, trials clinici randomizzati e studi
osservazionali hanno evidenziato che bassi livelli di folati plasmatici ed eritrocitari sono correlati ad aumentato
rischio di gravi patologie congenite quali i difetti del tubo neurale (DTN), dimostrando che la
supplementazione nel periodo preconcezionale è efficace nella riduzione dell’incidenza di queste patologie.
L’Institute of Medicine (USA) per stabilire le proprie raccomandazioni ha tenuto conto dell’incidenza del DTN
e ha introdotto la fortificazione obbligatoria.
Misure funzionali per lo status in vitamina C non sono disponibili e quindi lo stato nutrizionale viene
generalmente valutato sulla base della concentrazione di vitamina nel sangue o nei leucociti; la concentrazione
nei leucociti è considerato il più sensibile indicatore dello stato in vitamina C, ma la misura è tecnicamente
complessa e l’interpretazione dei dati è complicata dalla variabilità del contenuto di vitamina nelle diverse
frazioni leucocitarie e dalla mancanza di procedure standard. Di conseguenza, la concentrazione plasmatica
della vitamina rimane il test più ampiamente utilizzato, anche se riflette un’assunzione a breve termine e non
indica le effettive riserve.
Un diverso esempio è quello della biotina per la quale non è stato ancora individuato un valido indicatore dello
stato nutrizionale. La carenza in biotina è rara; tuttavia la presenza di alterazioni genetiche del suo
metabolismo, la possibilità di carenza in gravidanza e in soggetti con trattamento farmacologico rendono
necessaria l’individuazione di validi indicatori.
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Bibliografia
Allen LH. Micronutrient research, programs, and policy: From meta-analyses to metabolomics. Adv Nutr.
2014 May 14;5(3):344S-51S.
Taruscio D, Carbone P, Granata O, Baldi F, Mantovani A. Folic acid and primary prevention of birth defects.
Biofactors. 2011;37:280-4.
Savini I, Rossi A, Pierro C, Avigliano L, Catani MV. SVCT1 and SVCT2: key proteins for vitamin C uptake.
Amino Acids. 2008;34:347-55.
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Le scienze omiche nel perimetro della nutrizione: santo Graal o torre di Babele?
ALESSANDRA BORDONI, FRANCESCO CAPOZZI
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, Università di Bologna
L’applicazione di una nutrizione adeguata è uno dei modi più efficaci e meno costosi di ridurre l’entità delle
malattie correlate all’alimentazione e dei fattori di rischio ad esse associati. Pertanto la ricerca ha un enorme
potenziale per contribuire alla salute delle generazioni future se i nuovi sviluppi e le nuove tecnologie saranno
applicate anche ai problemi nutrizionali.
L’American Society for Nutrition (ASN) ha identificato quattro strumenti critici per l’avanzamento della
ricerca in campo nutrizionale: 1) le scienze omiche, 2) la bioinformatica, 3) lo sviluppo di database, 4)
l’identificazione di nuovi biomarkers. L’importanza delle scienze omiche nel fornire informazioni circa il
fabbisogno di nutrienti nel singolo individuo è stata recentemente descritta da Ordovás Muñoz [1], ma è
necessario considerare che queste tecniche ‘‘high-throughput’’ possono, e devono, essere applicate non solo
all’uomo ma anche agli alimenti, al fine di studiarli nell’ambito della nutrizione umana, e di stabilire la corretta
correlazione tra nutrienti e composti bioattivi, matrici alimentari, la dieta, l’individuo, la salute e la
prevenzione, in una visione “omica” o, meglio “foodomica”.
La foodomica è un nuovo approccio olistico che applica le tecnologie omiche alla scienza degli alimenti ed
alla nutrizione umana, al fine di un miglioramento di quest’ultima per favorire salute e benessere [2]. In termini
teorici le scienze omiche, in particolare la genomica, la proteomica e la metabolomica, ci potranno permettere
di capire come i nutrienti interagiscono con i nostri geni, proteine e metaboliti, al fine di predire la migliore
nutrizione possibile per il singolo individuo (nutrizione personalizzata). Le scienze omiche possono fornire
indicazione su come i nutrienti sono digeriti, assorbiti, metabolizzati ed utilizzati, e potranno evidenziare nuovi
biomarker in grado di valutare lo stato di nutrizione e di salute. Esse hanno quindi un enorme potenziale che
dobbiamo imparare a sfruttare. Bioinformatica e nuovi database saranno fondamentali per questo, così come
l’identificazione di nuovi marker, ma ancora di più sarà fondamentale acquisire una visione foodomica in cui
il dominio degli alimenti è intimamente connesso al dominio della nutrizione, e che integrando tutti i risultati
permetterà un miglioramento dello stato di salute.
Ma prima ancora, occorrerà una chiara definizione di cos’è lo stato di salute. La salute può essere considerata
come una regione in uno spazio multidimensionale; raggiungere lo stato di salute significa muoversi dalla
posizione attuale verso quella regione. I fattori che contribuiscono ai movimenti verso la regione della salute
sono diversi, e tra essi anche quelli nutrizionali. Ma la spinta che un determinato fattore di tipo nutrizionale,
ad esempio l’assunzione di una certa quantità di una sostanza bioattiva, può causare è predicibile solo in teoria,
perché in pratica esso è modulato da una vasta serie di altre variabili quali l’effetto della matrice alimentare,
della dieta nel suo insieme, della digestione e assorbimento, del genotipo e del metabotipo. Tutte queste
variabili possono alterare il movimento previsto, influenzando la possibilità di raggiungere la regione della
salute nello spazio multidimensionale. Inoltre, ogni movimento in questo spazio può influenzare i fabbisogni
nutrizionali, modificando la dose efficace del componente bioattivo.
Attualmente il passaggio da uno stato di malattia allo stato di salute è considerato un movimento in uno spazio
monodimensionale, ma solo modificando questa visione avremo la possibilità di usare efficacemente le scienze
omiche, e di capire la complessa relazione tra alimenti, nutrizione e salute.
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Bibliografia
Ordovás Muñoz JM. Predictors of obesity: the "power" of the omics. Nutr Hosp. 2013;28 Suppl 5: 63-71;
Bordoni A., Capozzi F. Foodomics: a new comprehensive approach to food and nutrition. Genes Nutr 2013;
8: 1-4;
Bordoni A., Capozzi F. Foodomics for healthy nutrition. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 2014,
DOI:10.1097/MCO.0000000000000089
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APP PER IL CONSUMATORE: la nuova frontiera dell’etichettatura
Un nuovo strumento per la guida alla spesa corretta, la promozione della dieta Mediterranea
e la sorveglianza nutrizionale
ALESSANDRO CASINI
SOD Nutrizione Clinica, AOU Careggi; Dip. Medicina Sperimentale e Clinica, Scuola di Scienze
della Salute Umana, UNIFI, Firenze
È oramai ampiamente comprovato come la dieta svolga un ruolo fondamentale nella prevenzione delle
malattie croniche. Un consumo eccessivo di energia (grassi saturi e grassi trans) zuccheri e sale , nonché un
basso consumo di frutta e verdura, sono importanti fattori di rischio per l'obesità, oltrechè per malattie cronico
degenerative (malattie CV, neoplasie, Parkinson, Alzheimer ecc.). Tuttavia la popolazione è in generale
sempre più distante dalla modelli alimenteri “salubri” e l'educazione alimentare è orientata a dare consigli
relativi alla preparazione e al consumo del cibo, mentre poco viene fatto relativamente alla fase dell’acquisto.
Inoltre le numerose informazioni nutrizionali fornite al consumatore sono complesse, difficili da interpretare
e da mettere in relazione alla dieta.
La dieta mediterranea (DM) è correlata a una minore incidenza di mortalità e di patologie croniche invalidanti
(1-3). Tuttavia le strategie finora adottate per l'educazione alimentare sono risultate incapaci di contrastare le
cattive abitudini alimentari. Il “Nutritional Navigator” – NUNA, uno Spin-off con UNIFI (Fig.1), nasce come
un’applicazione (APP) per dispositivi mobili Android e iOS che, sfruttando un nuovo metodo di guida alla
spesa, risulta uno strumento innovativo ed efficace per la correzione del comportamento alimentare e per la
promozione della piramide alimentare mediterranea:
La APP guida l’utente nella spesa: leggendo il codice a barre di un alimento o selezionandolo per categorie,
ne consiglia o meno l’acquisto con un’icona semaforica in rapporto alla composizione nutrizionale
dell'articolo, agli alimenti già acquistati e alle necessità nutrizionali di salute dell'utente. L'applicazione è in
grado di analizzare la composizione nutrizionale della spesa fatta, calcolarne il punteggio di aderenza alla DM
(da 0 a 14) e fornirne una rappresentazione grafica a forma di piramide. Utilizzando uno specifico algoritmo,
NUNA riesce a raccogliere ed elaborare numerose informazioni e formulare un consiglio semplice per aiutare
le persone a scegliere gli alimenti giusti secondo i principi della DM
E’ disponibile come app per smartphone o come dispositivo portatile sia in versione base che professionale.
Infatti il progetto mira a sviluppare anche un sistema di sorveglianza nutrizionale a distanza utile sia a fini
clinici che di ricerca epidemiologica. Dal proprio dispositivo mobile è possibile per un tutor sorvegliare e
consigliare i pazienti relativamente agli acquisti e alle abitudini alimentari.
NUNA rappresenta una guida alla programmazione ed esecuzione della spesa alimentare. Permette di: 1)
correggere la qualità degli alimenti acquistati e quindi la qualità degli alimenti consumati, 2)incrementare le
competenze nutrizionali, 3) analizzare la composizione nutrizionale degli alimenti e della spesa, 4) interagire
a distanza con un tutor professionale.
In Conclusione: Il “Nutritional Navigator” rappresenta un innovativo strumento per la sorveglianza
nutrizionale e l’educazione alimentare, applicabile per scopi scientifici, studi epidemiologici e di intervento su
vasta scala.
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Bibliografia
Sofi F, Cesari F, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Adherence to mediterranean diet and health status: a metaanalysis. Brit Med J 2008; 337: a1344
Sofi F, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Accruing evidence on benefits of adherence to the Mediterranean diet
on health: an updated systematic review and meta-analysis. Am J Clin Nutr. 2010 Nov; 92:1189-96.
Sofi F, Macchi C, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Mediterranean diet and health status: an updated metaanalysis and a proposal for a literature-based adherence score. Public Health Nutr 2013 Nov 29:1
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Etichettatura alimentare: dove siamo
SALVATORE CIAPPELLANO
Dipartimento di Scienze per gli Alimenti la Nutrizione e l’Ambiente, Università degli Studi di Milano
Nell’ambiente in cui viviamo, sovrappeso e obesità sono molto diffusi. Questo comporta che conoscere quanto
e cosa si mangia o si beve, se si vuole contrastare questa deriva, diventa un problema di primaria importanza.
L’etichettatura alimentare, in particolare le informazioni nutrizionali, possono essere considerate come uno
strumento che può rivelarsi molto utile per incoraggiare i consumatori a fare scelte più sane e cosapevoli nella
scelta del cibo.
Dal 13 dicembre del 2014 sarà in vigore il regolamento 1169/2011 dell’Unione Europea sulla “Informazione
Alimentare ai Consumatori”. Questo regolamento non si pone l’obiettivo di portare grandi stravolgimenti
dell’etichettatura ma sicuramente darà qualche garanzia in più al consumatore per avere una corretta
informazione sul prodotto prima dell’eventuale acquisto. Questo regolamento ha portato all’abrogazione di
alcune leggi precedenti e alla modifica di altre. Nell’ottica di, aggiornare, riordinare e armonizzare è stata
predisposta l’attuale disciplina su etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti nonché quella, ancora
più importane, sulle informazioni nutrizionali fornite ai consumatori. La novità riguarda il fatto che tutto ciò è
presente in un unico testo che sarà operativo in tutti gli Stati membri dell’UE.
Il nuovo regolamento introduce delle innovazioni tra cui si possono individuare: l’evidenziazione degli
allergeni, l’indicazione d’origine in etichetta e l’obbligatorietà della dichiarazione nutrizionale che, al
momento attuale è ancora facoltativa, salvo il caso in cui in etichetta siano riportati indicazioni nutrizionali o
salutistiche (reg. 1924/2006).
L’obbligatorietà dell’etichettatura nutrizionale non decorrerà dal dicembre 2014 bensì dal 13 dicembre 2016.
Però il nuovo formato della tabella nutrizionale può essere adottato fin da ora senza andare incontro ad alcuna
violazione, perché il regolamento 1169/2011 prevede esplicitamente la possibilità di adeguamento preventivo.
La nuova tabella nutrizionale vincola a riportare i nutrienti nell’ordine: energia (kj e kcal), grassi, acidi grassi
saturi, carboidrati, zuccheri, proteine, sale.
In aggiunta a quanto previsto obbligatoriamente, la dichiarazione nutrizionale può essere integrata con
l’indicazione della quantità di altri nutrienti quali: acidi grassi monoinsaturi, acidi grassi polinsaturi, polioli,
amido, fibre, sali minerali e/o vitamine se presenti in quantità significativa.
Sempre secondo il nuovo regolamento è possibile esprimere il valore energetico e le quantità di grassi, acidi
grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale come percentuale delle assunzioni di riferimento (allegato
Xlll B). In questo caso però sarà necessario che sia presente l’indicazione aggiuntiva «Assunzioni di
riferimento di un adulto medio (8.400 kJ/2.000 kcal)».
Un altro aspetto positivo per il consumatore è quello che l’informazione nutrizionale cogente o volontaria
appariranno nello stesso campo visivo, questo potrà rivelarsi molto utile ai fini di una corretta informazione
sull’alimento e sulle caratteristiche nutrizionali e sulla salute dell’alimento.
Alla luce di quanto enunciato dal regolamento, il consumatore inizia ad assumere un ruolo di primo piano per
il diritto alla salute (individuale e collettiva). L’attenzione che pone il regolamento agli aspetti legati alla
nutrizione e alla salute, che devono essere ben percepibili dal consumatore finale, vanno in questa direzione.
In conclusione questo regolamento, se applicato con rigore e implementato con quanto ancora in discussione,
potrà rivelarsi uno strumento utile per migliorare lo stato di “benessere e salute” del consumatore.
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Bibliografia
Regolamento N. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 (GU-UE 22-11-2011)
relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n.
1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE
della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la
direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della
Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione
EUFIC (European Food Information Council): Global update on nutrition labelling. Reporto January 2014.
Published by the European Food Information Council, Brussels (Belgium) www.eufic.org
Regolamento (Ce) N. 1924/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 (GU-UE 3012-2006) relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari
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La nutrigenomica: un approccio per la prevenzione delle patologie cronico degenerative non
trasmissibili
LAURA DI RENZO E ANTONINO DE LORENZO
Sezione di Nutrizione Clinica e Nutrigenomica. Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione.
Università degli studi di Roma Tor Vergata, Via Montpellier n. 1, 0133 Roma
e-mai: [email protected]
L’esistenza di una relazione tra alimentazione, stato di salute e patologie cronico-degenerative, note come
malattie non trasmissibili, è ormai riconosciuta. Nonostante il miglioramento degli standard di vita,
l’espansione e la diversificazione della disponibilità di alimenti, l’aumento dell’accesso ai servizi, si sono
verificate ripercussioni negative, in termini di acquisizione di modelli dietetici impropri, riduzione dell’attività
fisica e aumento dell’abitudine al fumo e di conseguenza un corrispondente incremento delle malattie croniche
legate alla dieta, quali l’obesità, le patologie cardiovascolari, il diabete, le malattie neurodegenerative e i
tumori.
Lo sviluppo delle conoscenze delle interazioni tra nutriente e geni ha permesso di ampliare il significato di
nutriente. Nella nostra era post-genomica il nutriente può essere definito come un’entità complessa, “un
costituente perfettamente caratterizzato (chimicamente, fisicamente e fisiologicamente) di una dieta, che può
servire come fornitore di energia in termini di calorie, o come substrato, o come precursore per la sintesi di
macromolecole, o di altri composti per la normale differenziazione, crescita, rinnovo, riparo, difesa e/o
mantenimento della cellula, o ancora come una molecola segnale, un cofattore, un determinante della normale
struttura molecolare e/o un promotore dell’integrità della cellula e dell’organismo”. Il nutriente, quindi, può
influenzare o regolare la trascrizione del DNA, la traduzione in proteine o i processi metabolici posttraduzionali. Un nutriente, in situazioni ben conosciute, può essere anche portatore di malattia, in funzione
della combinazione fra la struttura chimica del nutriente stesso e la dose somministrata, sussistendo una stretta
relazione dose-risposta. Quando si ha uno sbilancio metabolico, la dose è estremamente importante, dal
momento che i nutrienti essenziali sono necessari fino ad un certo livello, oltre il quale e a valori molto elevati,
potrebbero diventare dannosi alterando il metabolismo stesso. Ma per conoscere i valori soglia, le dosi
necessarie di nutrienti ed eventualmente valutare un accumulo (o carenza) di metaboliti, abbiamo bisogno dei
biomarkers, definibili come un gruppo di molecole, la cui unica presenza è indice di un problema, stato o
condizione, che dovrebbe rispondere in maniera sensibile ed altrettanto specifica, nonché prevedibile, ai
cambiamenti nella concentrazione/apporto del nutriente, dovrebbe avere una relazione diretta dose-risposta,
dovrebbe essere presente in una forma e quantità che sia facilmente ed obiettivamente misurabile con una
buona riproducibilità, ovvero dovrebbe riflettere direttamente il cambiamento in un tessuto bersaglio che
comporti un effetto diretto sulla salute. Quindi, le basi per l’instaurarsi di una malattia metabolica risiedono
nello squilibrio delle concentrazioni fra i metaboliti e non nella semplice comparsa o scomparsa di un
intermedio di questi, ed è per questa ragione che solo una determinazione quantitativa ed omnicomprensiva
dei vari metaboliti può identificare, diagnosticandolo, uno sbilancio metabolico.
Emerge chiaramente quanto la cellula sia un’entità estremamente complessa i cui costituenti principali sono i
geni, il loro trascritto, ovvero l’mRNA, quindi le proteine (il tradotto) e i metaboliti. Non sono entità
considerabili come distinte, bensì ognuna strettamente dipendente dall’altra e sono tutte correlabili ad un fine
rapporto con l’ambiente come ultimo e fondamentale modulatore della vita cellulare. Così il doppio filo che
collega ambiente-cellula ci dice che gli eventi cellulari possono modificare la risposta alle componenti
bioattive dei nutrienti e d’altro canto, le stesse componenti possono modificare gli eventi cellulari: la vera
omeostasi nutrizionale. Tutto ciò andrà ad influenzare in maniera determinante il fenotipo, che risulterà dalla
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somma di tutte le caratteristiche funzionali correlate con lo stato di salute, ovvero “le caratteristiche fisiche e
biochimiche osservabili di un organismo”. E’ importante, quindi, conoscere i possibili effetti di specifici
componenti alimentari sul genoma di una popolazione eterogenea, sia per prevederne i benefici che i rischi.
Le variazioni genetiche inter-individuali rappresentano un importante critico nelle richieste di nutrienti quanto
mai differenti tra individuo ed individuo, anche in correlazione con lo stato nutrizionale.
I risultati degli studi di Di Renzo et al. (1-4) mostrano come grazie alle nuove discipline –omiche
(Nutrigenetica, Nutrigenomica,) si ha oggi la possibilità di prevenire l’evento patologico, partendo dalla
somministrazione di piani nutrizionali non più su mere basi empiriche, ma sulla profonda conoscenza
dell’individuo, a partire dallo studio della sua struttura molecolare, dalla sua genetica e dalla regolazione di
geni legati allo stato infiammatorio e alla stress ossidativo: non più rimedi di una situazione di dissesto biofisico
ormai instauratasi, bensì essi stessi facenti parte di un globale processo di profilassi della malattia.
Bibliografia
Di Renzo L, Sarlo F, Petramala L, Iacopino L, Monteleone G, Colica C, De Lorenzo A. Association between
-308 G/A TNF- α Polymorphism and Appendicular Skeletal Muscle Mass Index as a Marker of Sarcopenia in
Normal Weight Obese Syndrome. Dis Markers. 2013;
Di Renzo L, Rizzo M, Iacopino L, Sarlo F, Domino E, Jacoangeli F, Colica C, Sergi D, De Lorenzo A. Body
composition phenotype: Italian Mediterranean Diet and C677T MTHFR gene polymorphism interaction. Eur
Rev Med Pharmacol Sci. 2013 Oct;17(19):2555-65
Di Renzo L, Carraro A, Minella D, Botta R, Contessa C, Sartor C, Iacopino AM, De Lorenzo A. Nutrient
Analysis Critical Control Point (NACCP): Hazelnut as a Prototype of Nutrigenomic Study. Food and Nutrition
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Di Renzo L, Carraro A, Valente R, Iacopino L, Colica C, De Lorenzo A.Intake of red wine in different meals
modulates oxidized LDL level, oxidative and inflammatory gene expression in healthy people: a randomized
crossover trial. Oxid Med Cell Longev. 2014;2014:681318. doi: 10.1155/2014/681318. Epub 2014 Apr 30.
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Etichettatura e informazione alimentare. Ruolo dei social media
GIANNA FERRETTI
Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche, Università Politecnica
delle Marche
Un numero crescente di utenti si rivolge al web e ai social media per informazioni riguardanti la salute e
l’alimentazione. Tra i canali di comunicazione, i social media come Blog, Facebook, Twitter, Flickr, Linkedin
rappresentano quindi una opportunità per la comunicazione di tematiche inerenti aspetti nutrizionali, sicurezza
alimentare e l’etichettatura. Nella relazione verranno presentati esempi nazionali e internazionali di social
network riguardanti l’etichettatura nutrizionale e le loro potenzialità per accrescere il livello di cultura
alimentare.
Bibliografia
Use of social media in health promotion: purposes, key performance indicators, and evaluation metrics. Neiger
BL et al. Health Promot Pract. 2012 Mar;13(2):159-64.
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Nutrienti critici per l’ alimentazione dello sportivo:prevenzione e intervento nutrizionale
MICHELANGELO GIAMPIETRO, EBNER ERMINIA
Società Italiana di Alimentazione, Movimento, Ambiente e Benessere
La relazione tra alimentazione, salute e forma fisica (fitness) costituisce un valore di fondamentale importanza,
diffusamente conosciuto anche dalla popolazione generale, per realizzare una migliore qualità della vita, la
promozione della salute e la prevenzione delle malattie.
Oggigiorno, un numero crescente di soggetti, senza sostanziali differenze di genere e d’età, s’impegna
costantemente in programmi d’allenamento anche gravosi, a volte ben oltre le reali capacità individuali
d’adattamento allo sforzo fisico.
Solo se praticato a un livello d’impegno fisico molto elevato (allenamenti quotidiani, lunghi e faticosi),
l’esercizio fisico può essere considerato una “situazione particolare” da un punto di vista nutrizionale.
L’American College of Sports Medicine (ACSM) nell’ultima Joint Position Statement su “Nutrition and
Athletic Performance” (2009), redatta in collaborazione con l’American Dietetic Association e la Dietitians of
Canada, conferma, tra l’altro, quanto già da molto tempo conosciuto, che “The fundamental differences
between an athlete’s diet and that of the general population are that athletes require additional fluid to cover
sweat losses and additional energy to fuel physical activity. (. . . ) it is appropriate for much of the additional
energy to be supplied as carbohydrate. The proportional increase in energy requirements seems to exceed the
proportional increase in needs for most other nutrients. Accordingly, as energy requirements increase, athletes
should first aim to consume the maximum number of servings appropriate for their needs from carbohydratebased food groups (bread, cereals and grains, legumes, milk/alternatives, vegetables, and fruits)”.
E’ ben noto, nonostante il fiorire costante di diete iperproteiche, più o meno “innovative”, che il contributo
maggiore alla razione energetica per gli sportivi deve provenire dai carboidrati (60-70% dell’ETG), in misura
direttamente proporzionale all’aumentare del numero di ore e dell’intensità dei carichi di allenamento.
CARICO di ALLENAMENTO
(ore/settimana)
Attività fisica minima
3-5 ore
5-7 ore
10 ore (1-2 ore/giorno)
20 ore (2-3 ore/giorno)
Preparazione maratona
APPORTO GLUCIDICO GIORNALIERO
(g/kg peso corporeo desiderabile)
2-3 g/kg/giorno
4-5 g/kg/giorno
5-6 g/kg/giorno
6-7 g/kg/giorno
> 7 g/kg/giorno
10-12 g/kg/giorno
Gli sportivi impegnati in programmi d’allenamenti intensi e faticosi, soprattutto nelle discipline di lunga
durata, sembrano essere più suscettibili a varie forme di malattie infettive “minori” e/o “croniche a bassa
intensità”.
L’attività fisica eccessiva, per quantità e qualità, al pari di qualunque altra forma di stress, riduce l’efficienza
del sistema immunitario ed espone a una maggiore frequenza di episodi infettivi.
Nel caso degli atleti maggiormente impegnati si aggiungono, inoltre, altri possibili fattori in grado di indurre
una caduta delle difese immunitarie e un incremento del rischio d’infezioni, che nel complesso sono considerati
fattori favorenti l’insorgenza della Sindrome da Sovrallenamento (Overtraining).
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Abitudini alimentari scorrette, caratterizzate, soprattutto, da un insufficiente apporto energetico, unitamente ad
uno scarso consumo di carboidrati e di liquidi e, più genericamente, una dieta monotona, ricca di grassi e
povera d’alimenti vegetali, possono rendere gli atleti più suscettibili all’insorgenza della sindrome da
sovrallenamento.
Pur considerato che il ferro è di fondamentale importanza per la salute dell’uomo e che l’anemia rappresenti
la carenza nutrizionale più frequente tra tutte le popolazioni del mondo, l’uso che gli atleti fanno degli
integratori e dei farmaci contenenti ferro è, nella gran parte dei casi, inutile.
Il ruolo delle alterazioni del metabolismo del ferro sulla prestazione atletica è stato in passato fin troppo
enfatizzato e gonfiato, spesso anche ad arte e per scopi tutt’altro che leciti, creando i presupposti per un uso
sconsiderato di integratori e farmaci, anche per “coprire” il fenomeno del doping.
La cosiddetta “anemia da sport”, più frequente negli atleti delle discipline di lunga durata, è spesso un
adattamento fisiologico dell’organismo sottoposto ad allenamenti intensi per migliorarne le qualità aerobiche.
In questi casi, l’emodiluizione che si determina, per aumento della componente liquida del plasma è, semmai,
un indice di un buono stato di forma; raramente, al contrario, nasconde una situazione di carenza di ferro e,
tanto meno, di anemia.
In ogni caso, la correzione di un’eventuale carenza di ferro, quando correttamente accertata, deve essere
realizzata, in primo luogo, individuando ed eliminando le eventuali cause delle perdite ematiche, in secondo
luogo con i corretti provvedimenti dietetici e, solo se non si ottiene una correzione stabile e soddisfacente della
carenza marziale, ricorrendo a farmaci contenenti ferro da assumere per bocca.
La pericolosità dei trattamenti marziali, ancor più quelli endovena, è da ricollegare agli effetti tossici del ferro
che è un potente agente ossidante, e al possibile rischio che il candidato alla terapia possa essere affetto da
emocromatosi.
Occorre sempre molta cautela nel consigliare integratori nutrizionali e la massima attenzione quando si
formulano indicazioni nutrizionali finalizzate alla prevenzione e/o correzione di presunte e non ben
documentate condizioni di carenza di alcuni nutrienti.
Il rischio è quello di non valutare adeguatamente gli stretti legami che esistono tra i vari nutrienti e di aggravare
condizioni preesistenti di carenza, più o meno manifesta, o addirittura di produrne di nuove, interferendo con
il sottile equilibrio che regola la biodisponibilità dei vari micronutrienti.
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Fattori psicologici associati al consumo di zuccheri
CATERINA LOMBARDO
Sapienza Università di Roma, Dip.to di Psicologia
La preferenza per le bevande zuccherate rispetto all’acqua è presente, nell’uomo, fina dalla nascita (Ventura e
Mennella, 2011), mostra ampie differenze individuali ed è modulata dall’esperienza.
Keskitalo et al (2007) riportano che il grado di piacevolezza, la frequenza d’uso e il forte desiderio di consumo
di cibi dolci riferito da un gruppo di 146 soggetti adulti presenta tassi di ereditabilità rispettivamente del 40%,
50% e 31%. Come suggeriscono Bachmanov et al (2011), però, gli studi condotti sui gemelli sembrano indicare
che l’alta ereditabilità della preferenza per il dolce dipenda in gran parte da fattori ambientali condivisi dal
nucleo familiare piuttosto che dai soli fattori genetici.
La preferenza per il dolce sembra essere elevata nell’infanzia e nell’adolescenza e si riduce nell’età adulta
(Ventura e Mennella, 2011). Tuttavia, molti studi coerentemente riportano che negli adulti sovrappeso o obesi
con tendenza all’alimentazione emozionale (emotional eaters), le emozioni negative tendono ad accrescere la
preferenza per il dolce (Macht, 2008). Inoltre, come riportano Kampov-Polevoy e colleghi, le donne e le
persone che preferiscono bevande ad alta concentrazione di zuccheri, riportano punteggi più alti di sensibilità
agli effetti degli zuccheri sull’umore e riferiscono una maggiore probabilità di perdere il controllo
sull’assunzione di dolci. Questa relazione è stata anche valutata in uno studio recente non ancora pubblicato, i
cui risultati saranno descritti in sede congressuale.
Le persone con una forte preferenza per il dolce spesso ne descrivono il consumo in modo molto simile ai
comportamenti messi in atto dai pazienti con dipendenza da sostanze. Questo fenomeno è stato indicato come
sugar addiction (Avena et al., 2008) o, in generale, come food addiction (von Deneen, Liu, 2011).
Sono stati descritti modelli animali di sugar addiction o di chocholate addiction (Avena et al., 2008) mentre
nell’uomo è riportata una sindrome simile alla dipendenza da sostanze e alle dipendenze comportamentali (p.e.
shopping compulsivo, internet addiction, gambling, ecc), ma le cui manifestazioni sintomatologiche sembrano
manifestarsi con minore intensità (Avena et al., 2008).
In sede congressuale verranno descritti i risultati di uno studio non ancora pubblicato che ha esaminato la
relazione fra il craving per i cibi preferiti e le risposte emozionali a stimoli (immagini) che ritraggono cibi
dolci.
Bibliografia
Avena NM, Rada P, Hoebel BG. Evidence for sugar addiction: Behavioral and neurochemical effects of
intermittent, excessive sugar intake Neurosci Biobehav Rev 2008; 32: 20-39.
Bachmanov AA, Bosak NP, Floriano WB, Inoue M, Li X, Lin C, Murovets VO, Reed DR, Zolotarev VA,
Beauchamp GK. Genetics of sweet taste preferences Flavour Fragr J 2011; 26: 286-294.
Keskitalo K, Tuorila H, Spector TD, Cherkas LF, Knaapila A, Silventoinen K, Perola M. Same genetic
components underlie different measures of sweet taste preference Am J Clin Nutr 2007; 86:1663-1669.
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Macht, M. How emotions affect eating: A five-way model Appetite 2008; 1: 11.
Ventura AK, Mennella JA. Innate and learned preferences for sweet taste during childhood Curr Opin Clin
Nutr Metab Care 2011; 14: 379-384.
Kampov-Polevoy Von Deneen KM, Liu Y. Obesity as an addiction: Why do the obese eat more? Maturitas
2011; 68: 342-345.
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Metabolomica nello studio degli alimenti
CESARE MANETTI
Dipartimento di Chimica - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
La Metabolomica si propone oggi come tecnologia matura per supportare scelte terapeutiche e seguire il
paziente nel percorso tra stati attraverso i quali è indirizzato dai diversi input patologici e terapeutici.
L’approccio si basa sull’utilizzo di strumenti analitici sofisticati accoppiato con l’uso esteso di metodi statistici
multivariati e di concetti sviluppati in altri ambiti della scienza, non ultimo quello della chimica fisica.
L’uso delle tecnologie di fingerprinting spettroscopico tipiche dell’approccio metabolomico sono utili per la
caratterizzazione della qualità e della sicurezza degli alimenti: rivelandone le caratteristiche ascrivibili alla
“storia “ dell’alimento stesso: dall’origine delle materie prime alle tecnologie utilizzate per la sua
trasformazione e conservazione.
La caratterizzazione metabolomica dell’alimento e dello stato del paziente, a diversi tempi di osservazione,
trovano nell’approccio sistemico, che ne è alla base, la possibilità di giungere ad una visione unitaria
multidimensionale nella quale collocare i singoli pazienti, determinando la loro posizione nel panorama degli
stati ad essi accessibili.
Non solo i biomarcatori tipici delle diverse patologie possono essere rivelati con l’approccio metabolomico,
ma attraverso l’analisi delle loro correlazioni possono essere individuati profili caratteristici di un dato stato
patologico, corrispondenti ai percorsi metabolici coinvolti.
I profili dettagliati del panorama metabolomico possono essere rilevati attraverso apparecchiature costose ed
ingombranti, tipicamente per la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare e la spettrometria di massa, ma
successivamente all’individuazione dei metaboliti specifici caratteristici, piccole apparecchiature portatili e
poco costose possono costituire veri e propri “navigatori metabolomici” con i quali individuare la “posizione
“ del paziente e aiutarlo ad orientarsi nel corso della terapia, che magari comunichino attraverso la rete i risultati
ottenuti. A tal riguardo, ma tornando ad un approccio riduzionistico univariato, si pensi alla misura della
glicemia nel paziente diabetico.
Allo stesso modo possono essere caratterizzati gli alimenti a partire dalle loro materie prime evidenziando le
caratteristiche che possono provocare una risposta nel paziente, oppure rivelare la presenza di loro contaminati,
sempre con l’approccio a due livelli: grande apparecchiatura e strumento portatile connesso alla rete.
Tutto questo diviene premessa per integrare la metabolomica tra le tecnologie utili alla realizzazione della così
detta P4 Medicine: Medicina Predittiva, Preventiva, Personalizzata e Partecipata.
In questa visone si passa, attraverso diversi cambiamenti di scala, dallo studio del genoma, delle molecole,
delle cellule, degli organi, degli individui con gli approcci tipici della System Biology, a collocare gli individui
in reti di individui a loro volta collegate con altre reti integrate ed interagenti individuabili in reti di pazienti,
reti di medici, di nutrizionisti, di reti dedicate alla diagnostica, alla nutrizione, alle biotecnologie, al Sistema
Sanitario Nazionale e all’accademia.
Bibliografia
Rossana Scrivo, Luca Casadei, Mariacristina Valerio, Roberta Priori, Guido Valesini e Cesare Manetti
Metabolomics Approach in Allergic and Rheumatic Diseases Current Allergy and Asthma
Reports. 2014;14(6).
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Francesca Costantini, Roald Tiggelaar, Simona Sennato, Francesco Mura, Stefan Schlautmann, Federico
Bordi, Han Gardeniersb e Cesare Manetti Glucose level determination with a multi-enzymatic cascade
reaction in a functionalized glass chip Analyst, 2013,138, 5019-5024
Francesca Costantini, Augusto Nascetti, Giulia Petrucci, Cristiana Sberna, Cesare Manetti, Domenico Caputo
e Giampiero de Cesare Microfluidic chips with integrated amorphous silicon sensors for Point-Of-Care testing
mTAS 2014
Leroy Hodd Mauricio Flores A personal view on systems medicine and the emergence of proactive P4
medicine: predictive, preventive, personalized and participatory. New Biotechnology Settembre 2012 Vol. 29
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Applicazione della NMR-based metabolomica nello studio di alimenti ad alto valore
nutrizionale
LUISA MANNINAa,b, ANATOLY P. SOBOLEVb, NOEMI PROIETTIb, DONATELLA CAPITANIb
a
Dipartimento di Chimica e Tecnologie del Farmaco, Sapienza Università di Roma, Piazzale Aldo
Moro 5, I-00185 Rome, Italy; bIstituto di Metodologie Chimiche, Laboratorio di Risonanza
Magnetica “Annalaura Segre”, CNR, I-00015 Monterotondo, Rome, Italy
La spettroscopia di Risonanza Magnetica (NMR) è ormai considerata una delle metodiche di eccellenza per la
determinazione del profilo metabolico degli alimenti1. E’ possibile infatti con questa metodologia avere “uno
sguardo di insieme” dei metaboliti presenti nell’alimento senza bisogno di effettuare specifiche separazioni e
manipolazioni dell’alimento. In particolare la spettroscopia protonica ad alto campo ha permesso di ottenere
informazioni riguardanti l’origine geografica, la varietà, il grado di maturazione, il tipo di lavorazione, la
qualità e la genuinità di diversi alimenti. In questo ambito, verrà mostrata una panoramica delle applicazioni
più interessanti della NMR-based metabolomica 2-4 dando anche spunti per eventuali applicazioni future.
Bibliografia
L. Mannina, A.P. Sobolev, S. Viel “Liquid state 1H high field NMR in food” Progress in NMR Spectroscopy,
66, 1-39, 2012
L. Mannina, A.P. Sobolev, “High resolution NMR characterization of olive oils in terms of quality, authenticity
and geographical origin” Magnetic Resonance in Chemistry, 49, S3-S11, 2011
D. Capitani, A. P. Sobolev, M. Delfini, S. Vista, R. Antiochia, N. Proietti, S. Bubici, G. Ferrante, S. Carradori,
F. R. De Salvador, L. Mannina, "NMR methodologies in the analysis of blueberries" Electrophoresis, 35,
1615-1626, 2014
L. Mannina,b, A.P. Sobolev, D. Capitani, N. Iaffaldano, M.P. Rosato, P. Ragni, A. Reale, E. Sorrentino, I.
D’Amico, R. Coppola “NMR metabolic profiling of organic and aqueous sea bass extracts:Implications in the
discrimination of wild and cultured sea bass”, Talanta, 77, 433-444, 2008
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Nutrizione e invecchiamento: la Dieta Mediterranea per prevenire e contrastare
l’Inflammaging
RITA OSTAN1, AURELIA SANTORO1, CATIA LANZARINI2, ALESSANDRO PINTO3, LUZIA VALENTINI4,
ISABELLE BOURDEL-MARCHASSON5, FABIO BUCCOLINI6, FLORENCE PRYEN7, HERBERT LOCHS8,
PATRIZIA D’ALESSIO9, AGNES BERENDSEN10, LISETTE DE GROOT10, EDITH FESKENS10, BARBARA
PIETRUSZKA11, ANNA SZCZECINSKA11, ANNA BRZOZOWSKA11, AMY JENNINGS12, SUSAN
FAIRWEATHER-TAIT12, ELODIE CAUMON13,14, NATHALIE MEUNIER13,14, NOËL CANO13,14, CLAUDIO
FRANCESCHI1,2.
1
Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università di Bologna,
Bologna, Italy; 2Centro Interdipartimentale «L. Galvani» (C.I.G.) per Studi Integrati di
Bioinformatica, Biofisica, Biocomplessità, Università di Bologna, Bologna, Italy; 3Dipartimento di
Medicina Sperimentale, Università della Sapienza, Roma, Italy; 4Department of Gastroenterology
and Hepatology, Charité-Universitätsmedizin, Berlin, Germany; 5Pole de Gérontologie Clinique,
Xavier Arnozan Hospital, Bordeaux, France; 6R&D, VoxNet CEO, Rome, Italy; 7Actial Farmaceutica
Lda, Funchal, Portugal; 8Medical University of Innsbruck, Innsbruck, Austria; 9Biopark Campus
Cancer, Villejuif, France; 10Wageningen University, Department of Human Nutrition, Wageningen,
Netherlands; 11Division of Human Nutrition, Warsaw, Poland; 12University of East England,
Norwich, United Kingdom; 13CHU Clermont-Ferrand and 14CRNH Auvergne, Clermont-Ferrand,
France.
L’invecchiamento è caratterizzato da uno stato infiammatorio cronico di basso grado, denominato
inflammaging, che costituisce una risposta altamente complessa dell’organismo nei confronti di stimoli interni
ed esterni ed è mediato principalmente dall’aumento dei livelli circolanti di citochine pro-infiammatorie
(Franceschi et al., 2000). Questa condizione genera il rilascio di specie reattive dell’ossigeno che amplificano
il rilascio di citochine e innescano un circolo vizioso che alimenta l’inflammaging. Di conseguenza, con il
tempo si assiste all’accumulo di danni che costituisce uno dei principali determinanti dell’invecchiamento
dell’organismo e dell’insorgenza delle patologie ad esso legate (malattie cardiovascolari, demenza e cancro).
Inoltre, l’inflammaging è accompagnato da alterazioni endocrine e metaboliche che sono alla base di alcuni
processi età-correlati quali la sarcopenia, l’obesità, la sindrome metabolica e il diabete (Bucci et al., 2009).
Pertanto, patologie apparentemente diverse condividono una patogenesi infiammatoria. L’inflammaging non
ha un’unica origine ma risulta da un processo dinamico di segnalazione da parte di mediatori pro-infiammatori
e/o anti-infiammatori provenienti da diversi tessuti (muscolo, tessuto adiposo), organi (cervello e fegato),
sistemi (sistema immunitario) e ecosistemi (microbiota intestinale) (Cevenini et al., 2010).
Allo stato attuale, l'alimentazione è probabilmente lo strumento più potente e flessibile che abbiamo per
modulare in modo permanente e sistemico l’inflammaging. In particolare, la Dieta Mediterranea oltre a
rappresentare uno stile di vita in grado di promuovere la salute fisica e mentale, prevede tra i suoi alimenti
tipici numerose componenti in grado di controllare e ridurre l’infiammazione attraverso una serie di
meccanismi diversi ed interconnessi e rappresenta pertanto un promettente intervento non farmacologico per
prevenire e/o ritardare l’invecchiamento e l’insorgenza delle patologie età-correlate.
Esistono numerosi studi che analizzano l’effetto di singoli nutrienti sui parametri infiammatori, ma la
letteratura riguardante il ruolo della Dieta Mediterranea, seguita per un consistente periodo di tempo, nella
modulazione dello stato infiammatorio tipico dell’invecchiamento è ancora scarsa. A questo scopo il nostro
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gruppo studia, ormai da qualche anno, come contrastare l’inflammaging tramite una Dieta Mediterranea
adeguatamente modificata per le esigenze degli anziani tramite due grandi studi europei.
Il progetto Europeo RISTOMED (FP 7 - SME - 2007 – 1; ClinicalTrials.gov Identifier:
NCT01069445/NCT01179789) “New E-Service for a dietary approach to the elderly is a multicentric “openlabel” and randomized study”, è uno studio multicentrico randomizzato che ha coinvolto centri di ricerca e
imprese provenienti da Italia, Francia, Germania e Portogallo. Lo studio, utilizzando un servizio di
telemedicina on-line, è stato diretto all’identificazione e alla caratterizzazione di modelli nutrizionali di tipo
Mediterraneo specifici per la popolazione anziana arricchiti con composti nutraceutici al fine di migliorare e/o
prevenire le alterazioni dovute all’infiammazione e allo stress ossidativo tipiche dell’invecchiamento. Dato
che oggi è del tutto evidente che l'efficacia di alimenti funzionali o nutraceutici sia subordinata alla qualità
della dieta in toto, l'approccio utilizzato nel progetto RISTOMED è stato finalizzato alla perfetta integrazione
dei prodotti nutraceutici nelle tradizionali abitudini alimentari della popolazione anziana Europea. In
particolare, è stato analizzato l’effetto di una dieta Mediterranea personalizzata e bilanciata arricchita o meno
con nutraceutici su una serie di parametri infiammatori e marcatori metabolici in soggetti anziani sani reclutati
a Roma, Bordeux e Berlino. Tale dieta è stata somministrata attraverso una piattaforma web
(www.ristomed.eu).
Allo stesso modo, il progetto europeo NU-AGE “New dietary strategies addressing the specific needs of the
elderly population for healthy ageing in Europe” (FP7-GA: 266486; 2011-2016; Clinicaltrials.gov Identifier:
NCT01754012), coordinato dal Prof. Claudio Franceschi dell’Università di Bologna, studia la possibilità di
contrastare l’inflammaging attraverso un approccio nutrizionale completo basato sulla Dieta Mediterranea
adeguatamente modificata per le specifiche esigenze delle persone con più di 65 anni di età (Berendsen et al.,
2014). Il metodo adottato dal progetto NU-AGE permetterà di individuare non solo un grande numero di
processi coinvolti nella risposta dieta-infiammazione, ma soprattutto di studiarne le molteplici sinergie. Il
progetto è tutt’ora in corso e prevede il reclutamento in cinque paesi europei (Italia, Francia, Polonia, Paesi
Bassi e Regno Unito) di 1.250 volontari di età compresa tra i 65 ed i 79 anni che vengono sottoposti per un
anno ad un trattamento dietetico di tipo Mediterraneo. Al fine di individuare i meccanismi cellulari e
molecolari responsabili degli effetti di tale intervento, i volontari vengono caratterizzati prima e dopo
l’intervento nutrizionale riguardo allo stato di salute e nutrizionale, le funzioni fisiche e cognitive. In più
vengono misurati diversi parametri immunologici, biochimici e metabolici, nonché vengono svolte una serie
di analisi dettagliate riguardanti la genetica, l’epigenetica, la trascrittomica, la metagenomica e la
metabolomica. Tutti questi parametri saranno analizzati tramite un approccio altamente innovativo di biologia
dei sistemi. I risultati del progetto verranno poi utilizzati per sviluppare prototipi di alimenti funzionali e
migliorare alimenti tradizionali al fine di sviluppare prodotti alimentari in grado di migliorare lo stato di salute
della popolazione anziana (Santoro et al., 2014).
Bibliografia
Franceschi C, Bonafè M, Valensin S, Olivieri F, De Luca M, Ottaviani E, De Benedictis G. Inflamm-aging.
An evolutionary perspective on immunosenescence. Ann N Y Acad Sci. 2000 Jun;908:244-54.
Bucci L, Ostan R, Capri S, Salvioli S, Cevenini E, Celani L, Monti D, Franceschi C. Inflamm-aging in Fulop
T, Franceschi C, Hirokawa K, Pawelec G (a cura di) Handbook of Immunosenesce, Springer Science+Business
Media BV. 2009; 893-918.
Nutrizione: Perimetri e Orizzonti – Roma 20-21 ottobre 2014
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Cevenini E, Caruso C, Candore G, Capri M, Nuzzo D, Duro G, Rizzo C, Colonna-Romano G, Lio D, Di Carlo
D, Palmas MG, Scurti M, Pini E, Franceschi C, Vasto S. Age-related inflammation: the contribution of
different organs, tissues and systems. How to face it for therapeutic approaches. Curr Pharm Des.
2010;16(6):609-18.
Berendsen A, Santoro A, Pini E, Cevenini E, Ostan R, Pietruszka B, Rolf K, Cano N, Caille A, Lyon-Belgy
N, Fairweather-Tait S, Feskens E, Franceschi C, de Groot CP. A parallel randomized trial on the effect of a
healthful diet on inflammageing and its consequences in European elderly people: design of the NU-AGE
dietary intervention study. Mech Ageing Dev. 2013 Nov-Dec;134(11-12):523-30.
Santoro A, Pini E, Scurti M, Palmas G, Berendsen A, Brzozowska A, Pietruszka B, Szczecinska A, Cano N,
Meunier N, de Groot CP, Feskens E, Fairweather-Tait S, Salvioli S, Capri M, Brigidi P, Franceschi C; NUAGE Consortium. Combating inflammaging through a Mediterranean whole diet approach: the NU-AGE
project's conceptual framework and design. Mech Ageing Dev. 2014 Mar-Apr;136-137:3-13.
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Health claims: il Registro Europeo
NICOLETTA PELLEGRINI
Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Area di Nutrizione Umana, Università degli Studi di Parma,
Parco Area delle Scienze 47/A, 43124 Parma
La libera circolazione di alimenti sicuri e sani costituisce un aspetto essenziale del mercato europeo e
contribuisce in modo significativo alla salute e al benessere dei cittadini, nonché alla realizzazione dei loro
interessi sociali ed economici. Per ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori e assicurare
il loro diritto all’informazione, è opportuno garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli
alimenti che consumano. In questo contesto, nel 2006 è stato pubblicato il Regolamento (CE) N. 1924/2006
del Parlamento Europeo e del Consiglio1 per disciplinare le indicazioni nutrizionali e sulla salute che erano
comparse in numero crescente sull’etichetta degli alimenti e nella loro pubblicità nei vari paesi dell’Unione.
Questo Regolamento, riconoscendo la presenza negli alimenti di un’ampia gamma di sostanze nutritive e di
altre sostanze a effetto nutrizionale e fisiologico (vitamine, minerali, oligoelementi, amminoacidi, acidi grassi
essenziali, fibre, varie piante ed estratti di erbe) che potrebbero essere oggetto di un'indicazione, disciplina e
stabilisce i principi generali applicabili a tutte le indicazioni fornite sui prodotti alimentari. Questo allo scopo
di garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, dare a questi le informazioni necessarie affinché
compiano scelte nella piena consapevolezza dei fatti e creare condizioni paritarie di concorrenza per l'industria
alimentare. Il Regolamento disciplina le indicazioni salutistiche per evitare che gli alimenti promossi mediante
queste indicazioni possono essere percepiti dal consumatore come portatori di un vantaggio nutrizionale,
fisiologico o per la salute rispetto ad altri prodotti simili o diversi ai quali tali sostanze non sono aggiunte. Per
le sostanze per le quali è fornita un'indicazione è ovviamente obbligatorio dimostrare l’effetto nutrizionale o
fisiologico benefico e la fondatezza scientifica deve essere l'aspetto principale di cui tenere conto nell'utilizzo
di indicazioni nutrizionali e sulla salute. Le indicazioni sulla salute sono autorizzate nella Comunità soltanto
dopo una valutazione scientifica ad opera dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Le
indicazioni nutrizionali consentite e le loro condizioni d'uso specifiche sono raccolte in un Registro che,
dovendo essere aggiornato regolarmente per tener conto del progresso scientifico e tecnologico, è stato
informatizzato ed è consultabile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/nuhclaims/. Nel corso della
presentazione verrà brevemente introdotto il Regolamento e il Registro Europeo con l’obiettivo di fornire
conoscenze sull’argomento e strumenti per la sua consultazione.
1
Parlamento Europeo e del Consiglio (2006) Regolamento (CE) N. 1924/2006 del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 20 dicembre 2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti
alimentari. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 30.12.2006, L404/9–L404/25.
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Impatto degli zuccheri sul profilo di rischio metabolico
GABRIELE RICCARDI, ROSALBA GIACCO, ANGELA A. RIVELLESE
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia,Università Federico II, Napoli e Istituto di Scienza
dell’alimentazione del CNR, Avellino
L’OMS raccomanda che il consumo di zucchero aggiunto ai cibi e alle bevande non ecceda il 10% dell’introito
energetico giornaliero (corrisponde a circa 50g). In alcuni Paesi questo limite viene superato dalla maggior
parte della popolazione. In Italia, pur in presenza di un significativo consumo di carboidrati semplici (circa
100g/die), l’introito di alimenti e bevande addizionate di zuccheri contribuisce per meno del 50% al consumo
medio di mono-disaccaridi; tuttavia, si ritiene che, in generale, almeno un terzo della popolazione italiana
ecceda i limiti raccomandati. I motivi che giustificano la necessità di contenere il consumo di zuccheri si
evincono dai risultati di numerosi studi clinici che hanno dimostrato l’insorgenza di alterazioni metaboliche in
conseguenza di un consumo elevato di fruttosio (>50g die). Il fruttosio non viene largamente impiegato
nell’industria dolciaria ma è presente nei dolcificanti più utilizzati: saccarosio e HFCS, nei quali costituisce
circa il 50% dello zucchero totale. Il consumo di significative quantità di prodotti contenenti zuccheri si associa
ad incremento ponderale che regredisce quando questi alimenti o bevande vengono eliminati dalla dieta
abituale. Ovviamente, l’impatto sul peso è proporzionale alla quantità di zucchero ingerita; tuttavia anche il
consumo di quantità non eccessive di zuccheri, se diventa abituale (ad esempio, una lattina di soft drink al
giorno), induce un apprezzabile aumento di peso, pienamente giustificato dal supplemento energetico
introdotto (circa 140 Kcal/die). In aggiunta agli effetti sul peso, il fruttosio induce un incremento anche del
grasso viscerale che ha un ruolo centrale nelle anomalie metaboliche associate alla sindrome metabolica.
Inoltre, il fruttosio è in grado di stimolare la de novo lipogenesi che condiziona un innalzamento dei trigliceridi
plasmatici. Altre anomalie metaboliche associate al consumo di fruttosio sono l’alterata sensibilità insulinica,
l’aumento del potenziale aterogeno delle LDL (legato ad anomalie di composizione e a una maggiore
ossidabilità) e un innalzamento dei livelli plasmatici di apoB. In alcuni studi nell’uomo il consumo abituale di
fruttosio si associa anche a livelli più elevati di glicemia a digiuno. Infatti, il fruttosio, promuovendo la
lipogenesi epatica, condiziona lo sviluppo di steatosi non alcolica (NASH) che, a sua volta, si associa ad
insulinoresistenza e aumentato rischio di diabete tipo 2. Gli effetti metabolici negativi degli zuccheri sono
alquanto limitati in persone giovani, magre che fanno regolarmente attività fisica mentre sono amplificati in
presenza di preesistenti anomalie del metabolismo che sono presenti nella gran parte delle persone in
sovrappeso che hanno una localizzazione addominale dell’accumulo di tessuto adiposo e che conducono vita
sedentaria. Considerata la grande diffusione a livello di popolazione di individui predisposti alle patologie
metaboliche, l’implementazione delle raccomandazioni a contenere il consumo di zuccheri va considerata una
priorità da perseguire anche nel nostro Paese.
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Bibliografia
Te Morenga L, Mallard S, Mann J. Dietary sugars and body weight: systematic review and meta-analyses of
randomised controlled trials and cohort studies. BMJ. 2012 Jan 15;346:e7492. doi: 10.1136/bmj.e7492;
Russell WR1, Baka A, Björck I, Delzenne N, Gao D, Griffiths HR, Hadjilucas E, Juvonen K, ahtinen S,
Lansink M, van Loon L, Mykkänen H, Ostman E, Riccardi G, Vinoy S, Weickert MO Impact of diet
composition on blood glucose regulation. Crit Rev Food Sci Nutr. 2013 Nov 12. [Epub ahead of print]
Stanhope KL, Schwarz JM, Havel PJ. Adverse metabolic effects of dietary fructose: results from the recent
epidemiological, clinical, and mechanistic studies. Curr Opin Lipidol. 2013 Jun;24(3):198-206
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Comprensione dell’etichetta nutrizionale e il suo utilizzo nelle scelte alimentari
ANNA SABA
CRA NUT, Roma
L’informazione nutrizionale riportata sulle etichette dei prodotti alimentari può rappresentare, per il
consumatore, un utile strumento per metterlo nella condizione di fare scelte alimentari adeguate dal punto di
vista nutrizionale. Tuttavia, nonostante gran parte dei consumatori è a favore che tutti gli alimenti riportino
informazioni nutrizionali sulla confezione e sembra sia in grado di utilizzarle per le proprie scelte alimentari,
al momento dell’acquisto del prodotto, solo una minoranza sembra prestarvi attenzione. La letteratura riporta
una enorme quantità di studi che negli ultimi anni hanno provato a far luce sulla questione se il consumatore
legge le etichette, se le comprende e quindi le utilizza per decidere i suoi acquisti alimentari (Grunert et al.,
2007). Uno dei limiti più importanti della maggioranza di questi studi riguarda il fatto che le analisi dei risultati
si basano su un comportamento dichiarato dal consumatore e non su quello rilevato in situazioni reali, come il
luogo d’acquisto, dove altri fattori, ad esempio il tempo ristretto per la scelta, entrano in gioco.
Da alcuni anni la discussione si è focalizzata sull’etichettatura posta sulla parte frontale della confezione e
sugli effetti che i diversi schemi grafici e la loro diversa presentazione sulla confezione possono avere sul
consumatore nel momento dell’acquisto. L’aggiunta di una etichetta sulla parte frontale sembra migliorare la
correttezza del significato recepito dal consumatore, soprattutto se sta confrontando prodotti appartenenti a
categorie diverse, e risponde meglio anche alla necessità di dover fare una scelta veloce (Balcombe et al, 2009;
Hodgkins et al, 2012). Si è osservato, inoltre, che l’attenzione diminuisce quando aumenta l’informazione
contenuta nelle etichette, mentre viene catturata più velocemente quando l’etichetta è monocromatica
(Bialkova et al., 2010). Il contesto dell’acquisto, tuttavia, è estremamente complesso e vanno sicuramente
considerati diversi fattori che possono concorre nel momento della scelta del prodotto. La probabilità di
esposizione all’etichetta, e quindi di produrre effetti sulla scelta, aumenta se il consumatore è interessato a
leggere l’informazione nutrizionale sulla confezione. L’attenzione rivolta all’etichetta dipende, infatti, dalle
motivazioni che portano il consumatore a scegliere il prodotto. Se c’è un motivo legato alla salute, il
consumatore porrà più attenzione all’etichetta nutrizionale e la sua attenzione potrà cambiare, a seconda se il
motivo è specifico o è generale. L’attenzione è, quindi, una condizione necessaria ma non sufficiente per
produrre effetti sulla scelta. Non è detto, infatti, che l’etichetta una volta letta (e capita), venga poi
effettivamente usata per scegliere.
Nella presentazione si prenderanno in esame i risultati emersi in alcuni studi della recente letteratura scientifica
per tracciare uno stato dell’arte della ricerca sulla risposta del consumatore all’informazione nutrizionale sulle
etichette alimentari.
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Bibliografia
Balcombe, K., Fraser, I., & Di Falco, S. (2010). Traffic lights and food choice: A choice experiment examining
the relationship between nutritional food labels and price. Food Policy, 35, 211–220.
Bialkova S & van Trijp H (2010) What determines consumer attention to nutrition labels? Food Quality and
Preference 21(8): 1042-1051
Grunert, K. G., & Wills, J. M. (2007). A review of European research on consumer response to nutrition
information on food labels. Journal of Public Health, 15, 385–399
Hodgkins C, Barnett J, Wasowicz-Kirylo G, Stysko-Kunkowska M, Gulcan Y, Kustepeli Y, Akgungor S,
Chryssochoidis G, Fernández-Celemin L, Storcksdieck genannt Bonsmann S, Gibbs M, Raats M. (2012).
Understanding how consumers categorise nutritional labels: a consumer derived typology for front-of-pack
nutrition labelling. Appetite, 59(3):806-17.
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Nutrizione e cancro: il grande studio EPIC
SABINA SIERI
Unità di Epidemiologia e Prevenzione Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Già negli anni ’50 si ipotizzava che il cancro avesse una componente ambientale e che in particolare la dieta e
lo stile di vita fossero tra le possibili cause prevenibili nell’insorgenza di tumori.
La ricerca su cancro e nutrizione è stata stimolata inizialmente da un alto numero di studi epidemiologici che
dimostravano grandi variazioni fra i tassi di incidenza delle varie neoplasie nel mondo. Questo suggeriva che
tali diversità potessero essere associate con i differenti tipi di dieta e di stile di vita delle popolazioni in esame.
Il grande studio prospettico EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) 1,2 è stato
intrapreso per cercare di dare una risposta ad alcuni dei numerosi dubbi sul ruolo di diversi componenti della
dieta nel proteggere o determinare l’insorgenza delle neoplasie.
L’Europa, con la sua grande variabilità tra Paesi nell’incidenza di cancro, ha rappresentato un laboratorio
ideale per studiare gli effetti delle eterogenee abitudini alimentari dei suoi abitanti: dai modelli “mediterranei”
della Grecia, dell’Italia, della Spagna o del Sud della Francia, ognuno con le sue peculiarità, alle diete
continentali ricche di grassi animali ma anche di cereali integrali della Germania e Olanda, per arrivare ai vari
“Nordic Pattern” del Regno Unito e dei Paesi scandinavi.
Lo studio EPIC ha reclutato, tra 1992 e il 2000, più di 520,000 partecipanti in 23 centri in 10 Paesi dell'Europa
e ha raccolto informazioni dettagliate sulla dieta, sullo stile di vita, sulle misure antropometriche e sulla storia
medica.
Un campione di sangue è stato raccolto al reclutamento per 387,889 persone ed è stato conservato in duplice
copia presso l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro - Organizzazione Mondiale della Sanità
(IARC-WHO) e presso ciascun centro EPIC.
La dieta è stata misurata attraverso questionari di frequenza specificamente sviluppati per ciascun Paese
partecipante. Per ovviare alla problematica di comparabilità dei diversi questionari utilizzati si è deciso di
somministrare un’intervista delle 24 ore standardizzata (EPIC-SOFT)3 per tutti i centri in un campione
rappresentativo della coorte EPIC (circa il 10%).
La possibilità di analizzare anche i campioni di sangue dei volontari arruolati ha permesso inoltre di studiare
l’effetto sul rischio di cancro non solo di singoli alimenti o nutrienti, ma anche della complessa risposta
metabolomica generata dal cibo, ed i possibili fattori modificatori dell’effetto della dieta come ad esempio i
polimorfismi genetici.
I volontari reclutati sono stati poi seguiti nel tempo (follow-up) raccogliendo informazioni sul loro stato di
salute ed in particolare sull’insorgenza di neoplasie tramite i registri di tumori o le schede di dimissione
ospedaliere. Dal reclutamento fino al 2009, più di 63.000 partecipanti hanno avuto una diagnosi di tumore. Si
stima che entro il 2020 questo numero raggiungerà i 90.000 e comprenderà approssimativamente 20.000 di
tumori della mammella, 8.000 della prostata, 5.000 del polmone, 8.000 del colon-retto; 3.500 della vescica,
2.500 del pancreas, 2.500 dell’ovaio e 3.000 dell’endometrio.
Il grande numero di casi incidenti di tumori con tutte le informazioni sullo stile di vita e i campioni biologici
ha permesso ad EPIC di testare le principali ipotesi riguardanti l’eziologia e la prevenzione di diverse forme
tumorali.
Lo studio EPIC ha prodotto nell’ultima decade più di 300 articoli scientifici relativi a gruppi o sottogruppi di
alimenti, specifici alimenti o nutrienti, pattern alimentari e fattori correlati alla dieta che sono risultati essere
associati con le più comuni sedi tumorali (stomaco, colon-retto, polmone, prostata e tumore della mammella).
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Bibliografia
Riboli E, Hunt K, Slimani N, Ferrari P, Norat T, Fahey M, Charrondière R, Hémon B, Casagrande C, Vigna
J, Overvad K, Tjønneland A, et al. The EPIC study: study population and data collection. Public Health
Nutrition 2002;5:1113-24.
Riboli E, Kaaks R. The EPIC Project: rationale and study design.European Prospective Investigation into
Cancer and Nutrition. Int J Epidemiol 1997;26 Suppl 1:S6-14.
Slimani N, Ferrari P, Ocke M, Welch A, Boeing H, Liere M, Pala V, Amiano P, Lagiou A, Mattisson I, Stripp
C, Engeset D, et al. Standardization of the 24-hour diet recall calibration method used in the european
prospective investigation into cancer and nutrition (EPIC): general concepts and preliminary results. Eur J
Clin Nutr 2000;54:900-17.
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Dietary Sugars and Health: Emerging issues
JOHN L SIEVENPIPER, MD, PHD, FRCPC
Li Ka Shing Knowledge Institute and Toronto 3D Knowledge Synthesis and Clinical Trials Unit, St.
Michael’s Hospital, University of Toronto, Toronto, ON, Canada.
Sugars have succeeded in replacing fat as the dominant public health concern in nutrition. Low quality
ecological studies which have linked increasing intake of sugars with increasing obesity and diabetes rates
along with animal models and select human trials of overfeeding of sugars at levels of exposure far beyond
actual population levels of intake have driven the debate. To address the uncertainties in the evidence, we and
others have conducted a series of systematic reviews and meta-analyses of the highest level of evidence from
prospective cohort studies and controlled feeding trials. Although large prospective cohorts have shown a
significant positive association of sugary beverages with incident obesity, diabetes, heart disease, and stroke,
these associations are only seen when comparing the highest with the lowest level of exposure. These
associations do not hold true at moderate levels of intake for sugary beverages or at any level of intake when
modeling total sugars. Similarly, higher level evidence from controlled feeding trials shows that sugars are no
worse than other carbohydrates as long as the calories remain matched. Sugars only contribute to weight gain
and its downstream metabolic disturbances (raised blood lipids, uric acid level, blood sugar, insulin, and
markers of fatty liver) insofar as they contribute to excess calories. Like the earlier fat story, it is difficult to
separate the contribution of fructose-containing sugars from that of other sources of excess calories in the
epidemics of obesity and cardiometabolic disease. Attention needs to remain focused on reducing
overconsumption of all caloric foods, including sugary beverages and foods, and promoting greater physical
activity.
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Intestinal microbiota, diet and health
KIERAN M. TUOHY,
Nutrition and Nutrigenomics Group, Department of Food Quality and Nutrition, Fondazione Edmund Mach,
San Michele all’Adige, Trento, 38010.
Recent omics level studies are confirming what pioneers in gut microbiology have been saying for some time,
that diet:microbe interactions impact on human health and disease risk (Midtvedt, 1974; Rowland, 1988). The
post genomics technologies of metagenomics and metabolomics are decoding the detailed cross-talk between
the structure and function of the intestinal microbiome and host physiology, with diet:microbe interactions
now shown to impact on the risk of cardio-metabolic disease, cancers, immune diseases and psychiatric
disorders (Nicholson et al, 2012). The gut microbiota is becoming recognised as an important metabolic and
immunological organ in its own right, intricately linked to the functioning of other organs most notably the
liver, adipose tissue and the brain. Evidence mainly from animal studies describe important roles for gut
microbiota metabolites and/or microbiota immunological regulation of metabolic and inflammatory pathways
critical for maintenance of host defences. Indeed, such studies hint at common underlying pathological
processes linking diet:microbe interactions in the gut with a spectrum of chronic diseases along the
gut:liver:fat:brain axis. Indeed, different aspects of this gut:liver:fat:brain axis are currently receiving much
attention for their role in obesity, the diseases of obesity (cardiovascular-disease, type 2 diabetes, non-alcoholic
fatty liver disease, Alzheimer’s disease) and psychiatric conditions such as autism, Schizophrenia and
importantly, depression. Many of these diseases are characterised by loss of metabolic homeostasis and
unresolved systemic inflammation.
While the gut microbiota have been shown to produce toxic compounds for example trimethylamine-N-oxide
and N-nitroso compounds derived from amino acid/protein fermentation n the gut, many microbial metabolites
impact beneficially on host health, especially those which derive from the breakdown and fermentation of
plant macromolecules, fibers and polyphenols. Short chain fatty acids and small phenolic compounds derived
from colonic carbohydrate fermentation and plant polyphenol catabolism respectively, have been shown to
play a critical role in establishment and maintenance of host defences, especially immune function (both within
the gut and systemically) and gut barrier integrity. Moreover, plant fibers and polyphenols can influence the
quantity of bile acids entering the distal ileum and colon, and also the profile of bile salt hydrolyzing bacteria
therein, and thus may influence microbial involvement in the enterohepatic circulation of bile acids. Bile acids,
apart from their role in regulating fat uptake are now being recognised for their important cell signalling role,
acting as ligands for nuclear receptors like FXR, VDR, PXR, CAR and g-coupled receptors like TGR5, which
in turn regulate inflammation, glucose and lipid metabolism, nutrient absorption, intestinal permeability and
thermogenesis. Gut bacteria also produce biologically active compounds like B vitamins (niacin and folate for
example), vitamin K, and conjugated linoleic acids, all powerful bioactive agents targeting regulation of
various inflammatory and metabolic pathways in man. Moreover, both the physiological concentrations of
these compounds and their biological activity change throughout life, driven both by diet and successional
development of the gut microbiota, identifying diet:microbe interactions as an important extra-genomic
epigenetic mediator capable of impacting on physiological processes linked to chronic disease risk and the
ageing process itself. Recent studies indicate that processes within the gut play a critical role in the persistent
low grade systemic inflammation common to many chronic human diseases associated with modern diet and
life-style. Increased intestinal permeability leads to translocation of inflammatory molecules such as
lipopolysaccharide, which then act as continuous triggers for unresolved systemic inflammation. This intestinal
permeability and emergence of aberrant microbiota profiles is strongly influenced by diet, with high fat - low
fiber diets (the modern or Western style diet) contributing to gut wall permeability. Conversely, ancestral or
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traditional dietary patterns high in fermentable fiber, prebiotics, fruit and vegetables (and indeed certain
probiotic or fermentative microorganisms) support microbiome structure and function and improve gut barrier
integrity (Figure 1).
A number of gut bacteria, including species of bifidobacteria and lactobacilli commonly used as probiotics,
SCFA and the bile acid regulated nuclear receptor, FXR, have all been shown to control gut permeability via
induction of tight junction proteins between epithelial cells. Similarly gut inflammation and oxidative damage
play their part in gut “leakiness”, and are themselves impacted by both diet and the gut microbiome. Indeed,
this diet induced intestinal damage and gut permeability, which is also characteristic of certain chronic disease
states like obesity strongly mirrors the gut leakiness and chronic low grade systemic inflammation observed
in the elderly, and at least in models of ageing, harbingers unresolved inflammation, metabolic derangement,
diabetes and eventually death (Rena et al. 2012).
Of course the ancients knew this all along - “death sits in the bowel” Hippocrates c. 400 BC. However, we are
now providing the mechanistic understanding of how the gut microbiota may constitute a lynch-pin upon which
the destructive degenerative processes of aberrant metabolic and inflammatory pathway activation are held at
bay until overwhelmed by advancing age or aberrant diet. When this occurs, or what chronic disease expresses
itself, is of course determined by host genetic predisposition, but it appears that diet:microbiota interactions in
the gut contribute significantly to the environmental pressure driving these metabolic and inflammatory disease
processes. Diet is one disease risk factor we can modify, and understanding on the one hand, what dietary
components contribute to disease risk, and on the other hand, those which reduce disease risk is critical if we
are to reduce the burden of chronic non-communicable diseases. Adherence to the Mediterranean style diet
has been proven to protect against these chronic non-communicable diseases and improve mental well-being
(Bonaccio et al. 2013) and indeed, recent studies are showing that components of the Mediterranean diet may
mediate, at least part of their protective effects, through the gut microbiome (Figure 1, Tuohy and Del Rio,
2014). This lecture will provide an insight into recent studies illustrating how diet:microbe interactions in the
gut not only contribute to chronic disease risk, but also hold great potential of reducing the socioeconomic
impact of these diseases through rational modulation of dietary patterns throughout life.
Figure 1:
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References
1. Midtvedt T. Microbial bile acid transformation. Am J Clin Nutr. 1974 Nov;27(11):1341-7.
2. Rowland IR. Factors affecting metabolic activity of the intestinal microflora. Drug Metab Rev. 1988;19(34):243-61.
3. Nicholson JK, Holmes E, Kinross J, Burcelin R, Gibson G, Jia W, Pettersson S. Host-gut microbiota
metabolic interactions. Science. 2012 Jun 8;336(6086):1262-7.
4. Rera M1, Clark RI, Walker DW. Intestinal barrier dysfunction links metabolic and inflammatory markers of
aging to death in Drosophila. Proc Natl Acad Sci U S A. 2012 Dec 26;109(52):21528-33.
5. Bonaccio M1, Di Castelnuovo A, Bonanni A, Costanzo S, De Lucia F, Pounis G, Zito F, Donati MB, de
Gaetano G, Iacoviello L; Moli-sani project Investigators. Adherence to a Mediterranean diet is associated with
a better health-related quality of life: a possible role of high dietary antioxidant content. BMJ Open. 2013 Aug
13;3(8). pii: e003003. doi: 10.1136/bmjopen-2013-003003.
6. Tuohy, K. M., Del Rio, D. 2014 “Diet-Microbe Interactions in the Gut”. Academic Press, ELSEVIER,
Waltham, USA. ISBN: 978-0-12-407825-3.
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Nutrizione e crescita: aspetti preventivi
ELVIRA VERDUCI
Pediatra Ricercatore Universitario, Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo, Dipartimento Scienze
della Salute, Università degli Studi di Milano
La prevenzione costituisce l’approccio con il miglior rapporto costo-beneficio per il controllo dell’obesità e
della sindrome metabolica in età pediatrica e, nel futuro, dell’età adulta. Sia nei Paesi a risorse limitate che nel
mondo occidentale l’alimentazione in età pediatrica ha acquisito oggi notevole importanza per le valenze non
solo preventive ma anche costitutive del futuro individuo. Esistono infatti periodi critici dello sviluppo del
bambino (dalla gravidanza ai primi anni di vita) in cui l’intervento nutrizionale può condizionare la salute del
futuro adulto. Diversi studi osservazionali hanno mostrato un’associazione tra elevata assunzione proteica
durante l’infanzia e aumentato rischio di obesità e “non communicable disease” (NCDs) nelle fasi successive
della vita, quando il livello proteico superi il 15% dell’apporto energetico giornaliero. La maggior evidenza di
tale associazione deriva dal Progetto Europeo Ch ildhood O besity P roject (CHOP) (che fa parte del Progetto
EARLY NUTRITION: Long term effects of early nutrition on later health. Progetto EU FP7-KBBE-2011289346). Il progetto CHOP sta verificando “the early protein hypothesis” in uno studio di intervento in doppio
cieco in più di 1.000 lattanti in 5 Paesi Europei (Italia, Germania, Spagna, Polonia e Belgio). Tale progetto è
caratterizzato dallo studio di lattanti allattati al seno, gruppo di riferimento, e lattanti che, per mancanza di
latte materno e/o impossibilità ad allattare al seno, sono stati randomizzati in doppio cieco in uno dei 2 gruppi
degli alimentati con formula a differente intake proteico, formule a più alta (HP, 2.9 g/100 Kcal, 1.9 g/dl) od
a più bassa concentrazione (LP, 1.77g7100 Kcal, 1.2 g/dl) di proteine, rappresentanti rispettivamente il limite
massimo e minimo delle raccomandazioni di composizione proteica degli alimenti per lattanti della Comunità
Europea. Le differenti formule sono state fornite per il primo anno di vita (periodo di intervento) ed un follow
up dei bambini reclutati (valutazioni antropometriche, alimentari e comportamentali) è stato programmato in
modo da seguire la loro crescita nel tempo fino all’età adolescenziale (11anni di vita). Dai primi dati
antropometrici è emerso che il più alto contenuto proteico della formula è risultato associato con peso, peso
per lunghezza e un indice di massa corporea (BMI) significativamente più elevato nei primi 2 anni di vita
rispetto alla formula a minor apporto proteico. Inoltre i bambini che avevano assunto una formula a minor
apporto di proteine presentava una crescita simile a quella dei bambini allattati al seno. Di recente
pubblicazione il dato che il contenuto differente di proteine presente nelle formule non è in grado solo di
influenzare la crescita a 2 anni ma influenza il rischio di sviluppare obesità in età scolare, a 6 anni. Il 48% dei
bambini originariamente arruolati, infatti, ha proseguito lo studio di follow-up; nel gruppo allattato con formula
ad elevato contenuto proteico, il rischio di obesità è risultato 2.43 volte più elevato.
Dall’età prescolare in poi i principali studi volti a valutare ed indagare la relazione tra nutrizione e crescita,
rimanendo nell’ambito dei progetti finanziati dalla Commissione Europea, sono stati svolti all’interno del
progetto IDEFICS (Identification and prevention of dietary- and lifestyle-induced health effects in children
and infants. Project EU no. 016181). Il progetto IDEFICS, iniziato nel settembre 2006 e conclusosi a febbraio
2012, è uno studio prospettico Europeo su larga scala, coinvolgente 8 Paesi Europei (Svezia, Germania,
Ungheria, Italia, Cipro, Spagna, Belgio, Estonia). Questo studio è stato realizzato con l’obiettivo di valutare e
sviluppare un programma di prevenzione primaria. Nel corso dello studio è stata reclutata una coorte di 16244
bambini di età compresa tra i 2 e i 9 anni. Ad oggi, si tratta della più grande coorte Europea di bambini in età
pre-scolare e scolare. È stata rivolta particolare attenzione ai principali fattori di rischio per l’obesità infantile
(fattori nutrizionali, sociali e inerenti lo stile di vita), ma sono stati per la prima volta considerati, in un
campione cosi ampio, anche fattori quali le preferenze alimentari ed il gusto del bambino per valutare se e
come anche questi elementi possano influenzare lo sviluppo del sovrappeso e dell’obesità. Recentemente il
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gruppo IDEFICS ha pubblicato un dato interessante relativo alla dieta Mediterranea: nei bambini (2-9 anni), l’
aderenza a diete similari a quella Mediterranea appare associata allo stato di normopeso e corretta percentuale
di massa grassa. Inoltre nella coorte di bambini in età scolare è stata riscontrata un’associazione tra assenza di
di consumo della prima colazione adeguata e presenza di fattori di rischio cardiovascolare.
Una volta concluso il progetto IDEFICS, nel 2013 ha avuto inizio il progetto I.Family che si rivolge alla stessa
popolazione del progetto IDEFICS, appena entrata o che stava per entrare nella critica fascia d’età della
preadolescenza, e in più si rivolge alle famiglie di questi preadolescenti. Lo studio ha l’obiettivo di capire la
complessa interazione tra i fattori che ostacolano o favoriscono scelte alimentari salutari, in questa fascia d’età,
e sviluppare e diffondere strategie in grado di indurre l’adozione di scelte alimentari salutari in particolare tra
adolescenti e loro genitori.
In conclusione un’adeguata nutrizione in età pediatrica ha un ruolo rilevante per porre le basi di uno stato di
salute ottimale nelle epoche successive. E’ opportuno quindi a livello globale programmare interventi
nutrizionali precoci, adeguati e continui che coinvolgano anche la famiglia.
Bibliografia
Koletzko B, von Kries R, Closa R, et al. Lower protein in infant formula is associated with lower weight up to
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COMUNICAZIONI ORALI
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A01. A single portion of blueberries can affect peripheral arterial tone in young smokers with
endothelial dysfunction: preliminary observations and perspectives
V. DEON¹, C. DEL BO’¹, C. LANTI¹, M. PORRINI¹, J. CAMPOLO², D. KLIMIS-ZACAS³ AND P. RISO¹
¹Università degli Studi di Milano, Department of Food, Environmental and Nutritional Science (DeFENS),
Division of Human Nutrition, Milan, Italy; ²CNR Institute of Clinical Physiology, CardioThoracic and
Vascular Department, Niguarda Ca' Granda Hospital, Milan, Italy; ³Department of Food Science and Human
Nutrition, University of Maine, Orono, ME, USA
Background: Cigarette smoke adversely affects vascular function by promoting endothelium injury via
reactive oxygen species and nitric oxide dysregulation. Emerging evidence suggests an important role of
dietary factors in modulating endothelial function. In particular, blueberries (Vaccinium corymbosum) appear
to have beneficial effects on peripheral arterial dysfunction induced by acute cigarette smoking in young
healthy volunteers.
Objective: The aim of this study is to investigate the possible effect of one portion of blueberries on peripheral
arterial function in young smokers with endothelial dysfunction.
Methods: The study involves 16 male smokers with endothelial dysfunction. Subjects are randomized in a 3armed controlled study with the following 3 experimental conditions: - smoking (S) treatment (one cigarette);
- blueberry treatment (300 g of blueberry) + smoking (BS); - control treatment (300 mL of water with glucose
and fructose) + smoking (CS). One week of wash-out period is scheduled between each treatment. Blood
pressure (BP), heart rate (HR), and peripheral arterial function (reactive hyperemia index, RHI) are measured
before and 20 min after smoking by using finger plethysmography method (Endo-PAT2000). Results obtained
are elaborated by analysis of variance (ANOVA). Post-hoc analysis of differences between treatments is
assessed by the least significant difference (LSD) test with p ≤ 0.05 as level of statistical significance.
Results and Conclusion: Elaboration of preliminary data on 5 subjects showed that smoking does not affect
RHI, BP and HR in subjects with endothelial dysfunction differently from what observed in smokers with
normal endothelial function. However, ANOVA revealed a significant difference in the effect of the 3
treatments on RHI (p= 0.01). In particular, BS and CS treatments improved RHI index with respect to S
treatment (+30.9  24.2% BS vs S, p= 0.0055; +25.3  27.2% CS vs S, p= 0.014). On the contrary, no effect
was observed for systolic and diastolic BP, and HR (p= 0.80, p= 0.75 and p= 0.94, respectively). Further
analysis of data on the whole group of subjects will help clarifying the protective effect of wild blueberry
consumption in subjects with endothelial dysfunction.
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A02. Risposta glicidica e lipidica ad un pasto test contenente alimenti aglutinati in soggetti sani
E. GRIFFO, M. COTUGNO, G. NOSSO, A. MANGIONE, V. FOLLINO, R. CORREALE, B. CAPALDO
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli, Federico II
Premesse: La diversa composizione degli alimenti gluten free ed i processi di trasformazione a cui tali alimenti
sono sottoposti per la rimozione della componente glutinica, possono influenzare l’indice glicemico (IG)
dell’alimento stesso e la risposta glucidica e lipidica postprandiale. Il mantenimento di un buon controllo glicolipidico in fase postprandiale è importante in termini di rischio cardiovascolare. Scopo: Valutare in un gruppo
di volontari sani l’indice glicemico di una pasta gluten free e il suo impatto sulla glicemia e lipemia
postprandiale.
Materiali e Metodi: Sono stati arruolati 11 volontari sani di ambo i sessi, con IMC nella norma (20-25 kg/m2)
ed età compresa tra 22-28 anni. Tutti i partecipanti hanno consumato, in ordine random e a distanza di 1-2
settimane l’uno dall’altro, 2 pasti dello stesso contenuto calorico (500 Kcal) e stessa composizione in
macronutrienti contenente 50 g di pasta gluten free (Dr Shar, pasto aglutinato) o 50 g di pasta glutinata
(Barilla). Sono stati effettuati prelievi a digiuno e nelle 3 ore successive per la determinazione di glicemia,
trigliceridemia e colesterolemia (totale e HDL). Tutti i partecipanti hanno eseguito un carico orale di glucosio
(OGTT, 50 gr) per il calcolo dell’indice glicemico (IG) dei pasti.
Risultati: La risposta glicemica, valutata come area incrementale sotto la curva (IAUC), dopo pasto gluten
free era significativamente più bassa rispetto a quella ottenuta dopo il pasto glutinato (IAUC: 499±263 vs
1091±495 mg/dl·180’, p<0.05). L’indice glicemico del pasto GF è risultato inferiore a quello del pasto
glutinato (IG: 45±35 vs 79±38, p<0.05). I livelli postprandiali dei trigliceridi e del colesterolo mostravano un
minore incremento dopo somministrazione del pasto gluten free rispetto al pasto glutinato (IAUC trigliceridi:
431±248 vs 1759±1653, p<0.05 e IAUC colesterolo: -3356±1189 vs -1328±1084 mg/dl·180’, p<0.05).
Conclusioni: Questi dati preliminari evidenziano un effetto positivo dell’alimento gluten free sul profilo
glicidico e lipidico postprandiale rispetto al pasto glutinato. Tali osservazioni necessitano di essere confermate
su un campione più ampio e dopo un consumo più prolungato al fine di valutare il possibile uso dei prodotti
GF in pazienti con diabete.
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A03. Grasso addominale e profilo metabolico in bambini obesi: studio caso-controllo
C. LASSANDRO, M. MANCINI1, B. MARIANI, M. SALVIONI1, G. BANDERALI, E. RIVA, E. VERDUCI.
Clinica Pediatrica, Ospedale San Paolo, Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di
Milano; 1Andrologia Pediatrica e metabolica, Ospedale San Paolo, Università degli Studi di Milano
Premesse: Nell’adulto l’eccesso di grasso preperitoneale sembra esser associato ad un profilo metabolico
sfavorevole, maggiormente rispetto al grasso sottocutaneo. Tale associazione in età pediatrica è controversa.
Obiettivi: Confrontare lo spessore del grasso sottocutaneo e preperitoneale di bambini obesi rispetto a una
coorte di bambini sani, e valutarne l‘associazione con il profilo metabolico.
Metodi: Sono stati reclutati 53 bambini, di cui 27 obesi e 26 normopeso (età media 11.09 [0.98] anni) appaiati
per sesso ed età. Mediante ecografia addominale sono stati rilevati lo spessore del grasso sottocutaneo e
preperitoneale; sono state rilevate misure antropometriche ed eseguita valutazione del profilo lipidico e
glucidico-insulinemico a livello ematico. Le condizioni di normopeso e obesità sono state definite in accordo
con i criteri del WHO ed espresse in termini di BMI z-score, in base a sesso ed età. La resistenza e la sensibilità
insulinica sono state studiate tramite il calcolo degli indici HOMA (HOmeostasis Model Assessment) e
QUICKI (QUantitative Insuline-Sensitivity ChecK Index).
Risultati: Il BMI z-score medio è risultato di 3.04 (0.62) negli obesi e di -0.04 (0.57) nei normopeso (P<0.001).
Rispetto al gruppo dei normopeso, i bambini obesi hanno mostrato un maggior spessore di grasso sottocutaneo
(17.15 [4.32] vs 5.58 [2.44] mm, P<0.001) e di grasso preperitoneale (11.25 [2.81] vs 5.77 [1.71] mm,
P<0.001). Nel gruppo degli obesi lo spessore del grasso sottocutaneo è risultato associato a BMI z-score
(r=0.398; P= 0.04), insulinemia basale (r=0.525; P=0.005), indici HOMA (r=0.522; P=0.005) e QUICKI (r=0.513; P=0.006). Non è risultata alcuna associazione tra spessore del grasso preperitoneale, BMI z-score e
indici del metabolismo glucidico-insulinemico né tra profilo lipidico e spessore del grasso sottocutaneo e/o
preperitoneale.
Conclusioni: Sebbene nel bambino l’eccessivo incremento ponderale determini la deposizione di adipe sia a
livello sottocutaneo che preperitoneale, il grado di obesità è risultato associato allo spessore del grasso
sottocutaneo ma non a quello preperitoneale. E’ stata inoltre osservata un’associazione tra la condizione di
resistenza insulinica e lo spessore di grasso sottocutaneo, diversamente da quanto descritto nell’adulto. Sono
necessari ulteriori studi per comprendere se lo spessore del grasso sottocutaneo possa essere considerato un
indicatore del rischio di insulino-resistenza nella popolazione pediatrica obesa.
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A04. Protein intake and muscle mass in sarcopenic obese old women
E. MUSCARIELLO, G. NASTI, M. DI MARO, A.COLANTUONI
Department of Clinical Medicine and Surgery, “Federico II” University Medical School of Naples
Background: It is well known that aging is accompanied by a reduction in muscle mass and muscle function.
The preservation of muscle mass is crucial for maintaining an independent lifestyle to perform the daily living
activities in the elderly.
Objective: The present study was aimed to evaluate the effects of a moderately hypocaloric diet, with a protein
intake of 0,8 g/Kg/die, on muscle mass in sarcopenic obese old women.
Methods: 468 obese old women (65-75 years old, Body Mass Index (BMI>30 Kg/m2) were recruited.
Nutritional status and Muscle Mass were evaluated as well as Muscle Mass Index (MMI) and Arm Muscle
Area (AMA). All patients were treated with moderately hypocaloric diet with a protein intake of 0,8 g/Kg/die
for three months.
Results: According to obese-derived MMI cut-off scores, 44 obese old women (out of 468) were classified as
sarcopenic. After 3 month diet, sarcopenic obese old women presented significant reductions in BMI (30,7±0,5
vs 32,0±0,5 kg/m2, p<0,01 baseline) and AMA (43,1±0,9 vs 46,3±1,2 cm2, p<0,01 baseline), while MMI did
not present significant variations, even though the trend was toward a decrease (6,83±0,04 vs 7,01±0,03
kg/m2).
Conclusions: Hypocaloric diet with 0,8 g/Kg/die protein intake was useful to reduce body weight in sarcopenic
obese old women, but muscle mass was not preserved, increasing the risk of disability in this population.
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A05. Relazione tra lipid accumulation product, composizione corporea e parametri metabolici
E. POGGIOGALLE, C. LUBRANO, A. LENZI, L.M. DONINI
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica, Scienza dell’Alimentazione ed
Endocrinologia, Università di Roma “Sapienza”
Premesse: il Lipid Accumulation Product (LAP) è risultato essere strettamente associato sia alla sindrome
metabolica (SM) sia al rischio cardiovascolare. L’eccesso di massa grassa rappresenta uno dei principali
determinanti della SM. Lo scopo del nostro studio è stato quello di esplorare la relazione tra LAP,
composizione corporea e parametri metabolici.
Metodi: sono stati reclutati 973 soggetti, 780 donne e 183 uomini [età media 45,2 ± 13,9 e 45,9 ± 13,2 anni;
body mass index (BMI): 34,1 ± 7,4 e 32,6 ± 6,7 kg/m2, rispettivamente]. Questi soggetti sono stati sottoposti
a valutazione clinica ed antropometrica. La composizione corporea è stata valutata mediante dual-energy Xray absorpiometry (DXA). Sono stati calcolati l’HOMA-IR, l’indice ISI-Matsuda ed il LAP (LAP =
[circonferenza vita (cm) 58] × concentrazione dei trigliceridi (mmol / l). La presenza di SM è stata
diagnosticata secondo i criteri NCEP ATP-III.
Risultati: il LAP è risultato essere significativamentte correlato con il BMI (r = 0,518), la massa grassa totale
(r = 0,439) e la massa grassa del tronco (r = 0,404), la pressione arteriosa (sia sistolica, sia diastolica: r = 0,315
e r = 0,269 rispettivamente), la colesterolemia totale (r = 0,342) e LDL (r = 0.210), l’uricemia (r = 0,415), AST
(r = 0,192), ALT (r = 0.305), GGT (r = 0,398), PCR (r = 0,499), la glicemia e l’insulinemia a digiuno (r =
0.517 e r= 0,452 rispettivamente), l’area sottesa alle curve di glicemia ed insulinemia dopo carico orale di
glucosio (r = 0,380 e r = 0,366), l’HOMA-IR (r = 0,534), l’omocisteinemia (r = 0,171 ) e la leptinemia (r =
0,605), (p <0.001). Una correlazione negativa è stata osservata tra LAP e massa magra (r = 0,182), ISI-Matsuda
(r = 0,301) e colesterolemia HDL (r = 0,201), (p <0,001). I valori medi di LAP sono risultati essere
significativamente più alti nei soggetti con SM rispetto a quanto osservato nei soggetti che non presentavano
la SM (p = 0.000). Infine il LAP è risultato aumentare al crescere del numero di componenti della SM presenti
(p = 0,000). Non sono state riscontrate differenze significative tra i generi.
Conclusione: il LAP ha dimostrato una buona correlazione con i parametri metabolici e la composizione
corporea. Può essere considerato un indice utile per la predizione del rischio cardiovascolare.
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A06. Validazione di un nuovo sistema low cost per la misura della densità corporea mediante scanner
3D: validazione e prospettive
D. VIGGIANO1, F. COPPOLA1, G. SALVATORI1, G. ORIANI1, C. DI CESARE1
1
Università degli Studi del Molise, Campobasso
Premesse: l'esatta conoscenza della composizione corporea consente una migliore valutazione dell'eccedenza
o del difetto ponderale permettendo l'individuazione del peso desiderabile in funzione dello stato nutrizionale.
La stima della densità corporea rimane un problema centrale nel campo della nutrizione. Numerose sono le
metodologie per misurarla, alcune, oltre ad essere complesse e costose offrono solo una stima di tale parametro,
a volte con discreti errori. L'introduzione di scanner di superficie3D consente la stima diretta dei volumi
corporei in modo semplice e non invasivo misurando anche i volumi di singoli distretti corporei. Nella presente
comunicazione introduciamo una tecnologia low-cost, portatile e semplice per l'acquisizione della superficie
corporea.
Obiettivi: Set up del sistema scanner3D low-cost e comparazione dei dati rilevati mediante tecniche
antropometriche e scanner a 3 dimensioni per la determinazione della composizione corporea.
Metodi: Lo scanner di superficie3D testato nel presente studio (Microsoft Kinect SensorTM) è un metodo
ottico non invasivo basato su una camera digitale sensibile all'infrarosso e un sistema laser infrarosso che
proietta un pattern di luce sulla superficie di un oggetto. Il software ricostruisce poi un insieme di punti
campionati sulla superficie corporea, restituendo una immagine 3D del corpo, con possibilità di misurare
volumi, superfici e distanze. Per lo studio sono stati reclutati soggetti normopeso, ad altezza variabile in modo
da meglio verificare la correlazione fra le misure antropometriche e quelle ottenute con lo scanner. Sono state
inoltre rilevate mediante plicometro Holtein le pliche corporee tricipitale, bicipitale, sottoscapolare e
sovrailiaca ed applicata l’equazione per il calcolo della composizione corporea di Durnin e Womersley. Gli
stessi soggetti sono stati misurati da due operatori in modo da verificare la intraclass correlation.
Risultati: Il sistema di scansione3D è semplice da installare, portatile e permette di ricostruire la superficie
corporea, con ottimo indice di correlazione intraclasse. Inoltre la correlazione della densità corporea mediante
l’equazione di Durnin e Womersley è risultata altamente correlata alla stima ottenuta mediante scanner3D.
Conclusioni: Il sistema di scansione low-cost testato risulta di semplice uso e potrebbe in futuro essere
facilmente integrato nella dotazione strumentale del nutrizionista permettendo di sostituire e meglio
documentare sia le misure antropometriche che quelle pletismografiche.
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A07. Atheroprotective effects of (poly)phenols: focus on cell cholesterol metabolism
L. BRESCIANI1, I. ZANOTTI2, M. DALL’ASTA1, P. MENA1, L. MELE1, R. BRUNI1, S. RAY3, F. BRIGHENTI4
AND D. DEL RIO1
1
LS9 Interlab Group, The Laboratory of Phytochemicals in Physiology, Department of Food Science,
University of Parma; 2Department of Pharmacy, University of Parma, Italy; 3Cambridge University Hospitals,
School of Clinical Medicine, University of Cambridge, Cambridge, UK; 4Human Nutrition Unit, Department
of Food Science, University of Parma, Italy
Introduction: Collated evidences from several epidemiological observations have demonstrated that dietary
intake of (poly)phenols from nuts, coffee, cocoa, grapes, and berries may protect towards the development of
atherosclerosis. Whereas this beneficial activity has previously been linked mainly to antioxidant or antiinflammatory properties, recently emerging data suggests mechanisms by which (poly)phenolic substances
can modulate cellular lipid metabolism, thereby mitigating atherosclerotic plaque formation.
Aim: The aim of this work was to provide an overview and critical synthesis of the literature related to the
atheroprotective activity of principal dietary polyphenols.
Method: From the large volume of data available on atheroprotective impact of polyphenols, both
experimental studies and clinical trials investigating the atheroprotective effects of the most relevant dietary
(poly)phenols were critically discussed, in the attempt to identify the substances actually involved in the
putative in vivo beneficial activities of this class of compounds and to describe their actual mode of action.
Results: It is worth noting that a paramount bias characterizes most of the in vitro studies currently published,
where human or animal cell lines have been exposed to polyphenols in their chemical form occurring in plant
foods and in concentrations which largely exceed those actually reached in human physiological condition.
Epidemiological evidence suggests that consumption of foods rich in polyphenols, as nuts, coffee, tea, cocoa,
grapes, berries, olive oil and pomegranate, may decrease the risk of cardiovascular disease by improving
lipidemic profiles. However, it is not yet clear which substances are involved in such trends in vivo or what
their actual mode of action is.
Conclusion: Diet can occupy a key role in both primary as well as secondary prevention of atherosclerotic
cardiovascular disease and foods enriched with (poly)phenol compounds can be considered as positive
contributors to a balanced and health-promoting diet. The correct characterisation of the biological effects of
polyphenols must be evaluated through the cellular activity of their principal metabolites, ideally at
concentrations congruent with human physiology.
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A08. Componenti bioattivi degli alimenti e loro metaboliti: effetti sul metabolismo lipidico in cellule
epatiche in coltura
F. DANESI 1, V. VALLI 1, M. DI NUNZIO 2, A. BORDONI 1,2
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DISTAL), Università di Bologna, Cesena (FC);
Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale AgroAlimentare (CIRI AgroAlimentare), Università di
Bologna, Cesena (FC)
2
Premesse: Sebbene sia noto che alcune disfunzioni correlate all’insorgenza della sindrome metabolica (SM)
possano essere legate ad un difetto primario, geneticamente determinato che, attraverso l’eccessivo accumulo
di trigliceridi, conduce all’insulino-resistenza, esistono chiare evidenze in letteratura circa l’influenza dello
stile di vita, ed in particolare dell’alimentazione, sul metabolismo lipidico. In quest’ottica, particolarmente
interessante appare l’azione di alcuni componenti bioattivi.
Obiettivi: Lo scopo di questo studio è stato valutare l’effetto della supplementazione di alcuni bioattivi e loro
metaboliti sul metabolismo lipidico epatico in un modello di cellule in coltura. In particolare, sono stati presi
in esame i seguenti metaboliti, fisiologicamente presenti in vivo dopo l’intake di bioattivi: i. acido
docosaesaenoico (DHA), un acido grasso ω-3 a lunga catena; ii. propionato (PRO), un acido grasso a corta
catena prodotto dalla fermentazione colonica dei β-glucani; iii. acido protocatecuico (AP), il principale
metabolita delle antocianine. PRO e AP sono stati supplementati da soli o in combinazione con DHA al fine
di studiare il possibile effetto additivo, sinergico o antagonistico.
Metodi: I composti e le loro combinazioni sono stati supplementati a cellule epatiche HepG2 a concentrazioni
dimostrate essere non citotossiche in esperimenti precedenti. I loro effetti sulla composizione in acidi grassi e
l’accumulo intracellulare dei lipidi sono stati analizzati mediante GC e tramite il saggio dell’Oil-Red-O. È
stata inoltre valutata la capacità di prevenire l’accumulo lipidico indotto dal co-trattamento con acido oleico e
palmitico.
Risultati: Tutte le supplementazioni hanno causato una cambiamento significativo della composizione acilica;
in particolare, una diminuzione nel contenuto totale in acidi grassi è stata osservata nelle cellule supplementate
con PRO e AP, rispetto alle cellule controllo. L’effetto positivo di PRO e AP è stato inoltre chiaramente
evidenziato anche dal decremento dell’accumulo intracellulare di lipidi. I composti testati non sono però stati
in grado di contrastare efficacemente l’accumulo lipidico indotto dalla miscela di acidi grassi.
Conclusioni: Questo studio rappresenta un primo passo nel tentativo di definire una strategia nutrizionale e la
formulazione di alimenti funzionali in grado di modulare favorevolmente il metabolismo lipidico, al fine di
prevenire l’insorgenza della SM. Lo studio è stato svolto e finanziato nell’ambito del Progetto Europeo
PATHWAY-27 “Pivotal Assessment of the Effects of Bioactives on the Health and Wellbeing, from Human
Genome to Food Industry” (grant agreement no. 311876).
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A09. Valutazione degli effetti del butirrato sulla fisiologia intestinale
A. ELCE1,2, G. TERRIN3, R. BERNI CANANI4, G. CASTALDO1,5
1
CEINGE-Biotecnologie Avanzate, Napoli; 2Università Telematica Pegaso, Napoli; 3Ginecologia, Ostetricia
Medicina Perinatale, Università di Roma “Sapienza”; 4Pediatria e European Laboratory for the Investigation
of Food Induced Diseases, Università di Napoli Federico II,;5Dipartimento di Medicina Molecolare e
Biotecnologie Mediche, Università di Napoli Federico II
Premesse: Il butirrato è un acido grasso a catena corta, prodotto dalla fermentazione dei carboidrati da parte
della flora batterica intestinale. Il nostro gruppo ha dimostrato l’efficacia di questo composto nella terapia della
cloridorrea congenita, una rara patologia autosomica recessiva, caratterizzata da diarrea profusa e perdita di
ioni cloro. La malattia è causata da mutazioni nel gene SLC26A3, che codifica per uno scambiatore anionico
Cl-/HCO3- espresso dalle cellule intestinali. La nuova terapia sperimentale a base di butirrato ha determinato
una riduzione netta del numero e della quantità di scariche diarroiche, rivelandosi utile soprattutto in soggetti
con peculiari mutazioni in SLC26A3. La risposta complessiva al butirrato può essere spiegata in parte
dall’attivazione di canali in grado di vicariare la funzione di SLC26A3, ma anche da meccanismi fisiologici
sconosciuti, attraverso i quali il butirrato è in grado di modulare molteplici processi legati all’assorbimento ed
alla regolazione dell’infiammazione della mucosa intestinale.
Obiettivi: L’obiettivo di questo studio è quello di chiarire l’effetto fisiologico esercitato dal butirrato su cellule
umane di colon.
Metodi: Allo scopo di individuare possibili geni responsivi al butirrato, è stato allestito un saggio di
espressione mediante real-time PCR semi-quantitativa. Sono state generate due diverse tipologie di pannelli:
uno comprendente trascritti codificanti per proteine canale, l’altro per mediatori dell’infiammazione. Campioni
di cellule primarie di colon umano da soggetti sani sono state trattate in vitro con 5mM di sodio butirrato per
24 ore. L’RNA è stato retrotrascritto in cDNA e utilizzato per i microarray.
Risultati: Il butirrato ha determinato un significativo incremento dei livelli di alcuni trascritti codificanti per
canali ionici e trasportatori, tra questi i membri della famiglia SLC, coinvolti nel riassorbimento di ioni ed
acqua nella mucosa intestinale. La modulazione negativa del trascritto del fattore nucleare NFkB,
dell’interferone γ e l’aumento dei livelli di PPARγ potrebbero essere ricondotti alla potente attività
antinfiammatoria esplicata da questa molecola.
Conclusioni: Agendo da modulatore di numerosi geni, il butirrato esercita un ruolo chiave per il mantenimento
dell’integrità e della funzionalità intestinale. Inoltre, l’attività antinfiammatoria potrebbe costituire uno dei
criteri d’elezione per l’inclusione di questo composto nella terapia di numerose patologie ereditarie o acquisite.
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A10. Effetti della luteolina 7-glucoside su cheratinociti umani: un approccio metabolomico
R. PALOMBO1, L. AVIGLIANO1, I. SAVINI1, E. CANDI1, G. MELINO1,, A. TERRINONI2
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, Università di Roma Tor Vergata; 2IDI - Istituto
Dermopatico dell'Immacolata, Roma
Premesse. Recentemente l’interesse scientifico per i composti fenolici è notevolmente aumentato a causa dei
potenziali benefici per la salute umana. In particolare, è stato dimostrato che i polifenoli, grazie alle loro
proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, possono proteggere i cheratinociti da stress ambientali.
L'epidermide è un tessuto dinamico in cui i cheratinociti vanno incontro ad un programma di differenziamento
strettamente regolato. L'equilibrio tra proliferazione, differenziamento e morte riveste un ruolo cruciale (è
alterato in malattie molto comuni come la psoriasi, la dermatite atopica e alcune forme di ittiosi, accompagnate
da reazioni infiammatorie).
Obiettivi. E’ noto che la camomilla applicata localmente può esercitare effetti benefici sulla salute della pelle;
per tale motivo sono stati scelti i due principali flavonoidi presenti in questa pianta officinale, luteolina7glucoside e apigenina-7glucoside per valutarne gli effetti su morte cellulare, ciclo cellulare, metabolismo e
stato redox in cheratinociti umani normali (HEKn).
Metodi. L’analisi metabolomica è stata condotta tramite gascromatografia, cromatografia liquida,
spettrometria di massa (dati relativi all’analisi di 279 composti di identità nota).
Risultati. I due flavonoidi esercitano effetti biologici differenti sulle cellule epiteliali. L’apigenina-7glucoside
induce l’apoptosi mentre la luteolina-7glucoside porta ad una modificazione del ciclo cellulare, con un
accumulo consistente di cellule nella fase G1. La luteolina-7glucoside induce anche uno stimolo
differenziativo come dimostrato dalla produzione di molecole specifiche del differenziamento cellulare come
la cheratina-1, la cheratina-10 e l’involucrina. Il trattamento di cheratinociti umani con luteolina-7G induce
anche modificazioni metaboliche. In particolare l’analisi metabolomica mostra un calo del metabolismo
energetico (come evidenziato dai livelli di ATP e intermedi della glicolisi, del ciclo di Krebs, della via dei
pentosi-fosfato) e alterazione del metabolismo degli acidi grassi. Inoltre le cellule trattate con luteolina-7G
mostrano importanti cambiamenti nei metaboliti delle vie infiammatorie e redox (tra cui diminuiti livelli di
glutatione ossidato, metioninasulfossido, prostaglandina E2 e aumentati livelli di cortisolo) che rendono le
cellule trattate più resistenti a stress ossidativo indotto; questo potrebbe spiegare gli effetti della luteolina-7G
sugli eventi infiammatori.
Conclusioni. Questo studio dimostra che i flavonoidi possono agire sul metabolismo, aprendo la prospettiva
del possibile utilizzo della luteolina-7G nel trattamento di malattie in cui l'omeostasi dell'epidermide è
compromessa
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A11. Time-dependent effects on body weight gain and hepatic oxidative stress in rats exposed to both
high fat feeding and low doses of persistent organic pollutant
R. PUTTI, R. SICA, , V. MIGLIACCIO, C. PAGANO, A. LOMBARDI, L. LIONETTI
Dipartimento delle Scienze Biologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II
Background: Oxidative stress plays an important role into obesity associated metabolic comorbidities.
Moreover, exposure to persistent organic pollutants (POPs) is associated with hepatic cellular stress due to
detoxification processes. Little is known on the impact associated with chronic simultaneous exposure to both
high-fat diet and low doses of persistent organic pollutants, such as p,p´-diphenyldichloroethene (DDE),
(DDT’s major metabolite with the highest persistence).
Aim: The present work aimed to investigate the effect of different periods of simultaneous exposure to low
dose of POP and high-fat feeding on body weight gain and hepatic injury. Given that liver is the main organ
involved in response to both high fat diet and toxic injury, we evaluated the development of oxidative stress at
the hepatic level.
Methods: Three groups of 8 rats were so treated for 4 or 16 weeks: 1) standard diet (10% fat J/J) (N rats); 2)
high-fat diet (45% fat J/J) (D rats); 3) high-fat diet plus DDE (10 mg/kg b.w. by gavage) (D+DDE rats). DDE
dose used in this work was comparable to the admissible daily intake. Body weight gain and hepatic lipid
content were determined. Hepatic oxidative stress was assessed by determining H2O2 production and TBARs
content.
Results: D rats showed higher body weight gain, hepatic lipid content, H2O2 production and TBARs content
compared to control rats after both 4 and 16 weeks. Similar variations were found in D+DDE rats after 4 weeks
of treatment. On the other hand, after 16 weeks of treatment D+DDE rats showed lower body weight gain and
hepatic lipid content compared to D rats. Moreover, they showed higher H2O2 production and TBARs content
compared to D rats.
Conclusion: Short period exposure to DDE associated with high fat feeding elicited the same alterations in
body weight gain and hepatic oxidative stress found in response to the only exposure to high fat diet. A
prolonged period of exposure revealed DDE treatment toxicity as showed by decreased body weight gain and
hepatic lipid content and increased oxidative stress.
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A12. Effects of dietary supplementation with cow, donkey or human milk on energy efficiency, lipid and
glucose metabolism and inflammatory state in rat
G. TRINCHESE, C. DE FILIPPO, G. CAVALIERE, M. GAITA, A. DELLA GATTA, S. DI SCALA, E. ALFANO, R.
GRIMALDI, M. CUOMO, A. MOLLICA, C. STRADELLA, A. SPERANZA AND M.P. MOLLICA
University of Naples “Federico II”- Department of Biology- Naples, Italy
Preface: Human milk (HM) is the natural food for infants since it provides an adequate supply of all nutrients
to support growth and development, including a key role in preventing overweight and obesity across the life
course, besides providing immunoregulatory components. Unfortunately a very large population of infants are
actually deprived from their natural food. The rate of cow milk (CM) consumption in the first months of life
is still high in western Countries and this has been advocated as possibly factor contributing to the increasing
burden of obesity and related disorders. Recently, several studies have indicated donkey milk (DM), owing to
its nutritional value, one of the best substitutes for newborn if HM is not available and CM administration is
contraindicated.
Objectives :The present study aims to compare the changes in the regulation of energy balance, liver
mitochondrial function and inflammatory status in rats treated with equicaloric intake of raw CM, DM or HM
supplementation.
Methodology: Male Wistar rats, divided into 4 groups, were individually caged at 24°C with free access to
food (standard diet) and water. One group was fed with standard diet (control). Three groups were daily
supplemented with iso-energetic amount of CM, DM or HM (21, 48 or 22 mL/day, respectively) for 4 weeks.
At the end of the treatment, energy balance and body composition were determined. HOMA index and proinflammatory cytokines levels were measured in sera. Hepatic mitochondrial efficiency, redox status
(GSH/GSSG), antioxidant/detoxifying enzymes (glutathione-S-transferase, GST; NADH-quinoneoxidoreductase, NQO1), and oxidative stress were evaluated.
Results: Metabolisable energy intake was increased by milk treatment, but decreased body weight gain, liver
lipid content, serum prooxidation was observed in HM- and DM- compared to CM-treated or control group. A progressive reduction
of HOMA index was evidenced in differently treated animals (Control>CM>DM>HM). Moreover, HM and
DM administration decreased inflammatory parameters and increased antioxidant/detoxifying defences as
compared to CM.
Conclusions : The association of improved mitochondrial function with reduced pro-inflammatory signs and
oxidative stress in HM or DM-treated animals, indicated that anti-inflammatory effects were attributable, at
least in part, to improved cyto-protection.
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A13. Diet quality, socio-demographics and lifestyle of yogurt consumers in Italy
L. D’ADDEZIO, L. MISTURA, A. TURRINI
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per gli Alimenti e la
Nutrizione (C.R.A-NUT), Rome, Italy
Background: Regular consumption of yogurt may reduce the risk of several diseases and may help in weight
management. Yogurt consumption in Italy is considerably lower than in most other European countries. The
intake of milk and yogurt is below the 2-3 portions per day recommended by the Italian Guidelines for Healthy
Eating. However, yogurt intake has increased during the last decades, from 4.3 g/day (1980s), to 16 g/day 10
g/day for adults and the elderly respectively (1990s), up to 22 g/day (adults) and 16.6 g/day (elderly) in 200506. Yogurt consumption and production have also increased in recent years in all EU countries, and Italy
experienced an even higher increase.
Aim: The present study aimed to examine if yogurt consumption was more commonly adopted by people
following healthier diet and lifestyle, by analyzing the socio-demographics and the lifestyle habits of yogurt
consumers vs. non-consumers, and investigating the association between yogurt consumption and diet quality
among the adult and elderly population.
Methods: Yogurt consumption was analyzed on 2831 individuals aged ≥18 years from the INRAN-SCAI
2005-06 food consumption survey, in relation with socio-demographics, smoking and alcohol habits, physical
activity, dieting, out-of-home eating, and interest for nutrition information. Data were collected using a 3-day
dietary record, and a self-administered questionnaire. Analyses of yogurt consumers vs. non-consumers across
the selected factors were performed using Chi-square test and logistic regression. The Probability of Adequate
Nutrient Intake (PANDiet) score was applied to measure the diet quality of yogurt consumers.
Results: Yogurt consumers demonstrated healthier behaviors. Higher rates of subjects with BMI<25, nosmoking subjects, subjects following a reduced intake diet, and practicing ≥2 hours/week of physical activity
were found among consumers. Consumers also presented higher rates of people expressing interest in receiving
information on nutrition and health. The mean PANDiet score was significantly higher for consumers (61.09)
compared to non-consumers (59.21). Yogurt consumers also reported significantly higher mean adequacy subscore for single nutrients, except for Total Fat, Fiber, Niacin and Vitamin D.
Conclusion: Yogurt consumption was associated with several healthy lifestyle parameters, had an influence
on adequate intake of vitamins and minerals, especially calcium, and could help improve diet quality.
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A14. Convenzionale o biologico: analisi nutrizionale delle scelte alimentari
C. DI CESARE1, G. ORIANI1, M. FORLEO1, E. DI IORIO1, F. MARTINO1, R. PICCINELLI2, G. SALVATORI1.
1
Università degli Studi del Molise, Campobasso; 2CRA-NUT (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione
in Agricoltura - Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione), Roma (ex INRAN)
Premesse: I consumatori percepiscono gli alimenti “biologici” come più ricchi di nutrienti anche se, ad oggi,
non esistono dati definitivi sulle differenze tra i prodotti biologici rispetto a quelli convenzionali.
Obiettivi: Valutazione dell’adeguatezza nutrizionale di regimi dietetici “biologici” o “convenzionali”
Metodi: Ottanta partecipanti omogenei per tenore di vita e per livello culturale, suddivisi per spesa e frequenza
di acquisto, secondo la tipologia di dieta seguita in: Convenzionali (29), BioWeak (32), BioStrong (19), hanno
compilato, preventivamente istruiti, per tre giorni consecutivi e per quattro stagioni, un diario alimentare (ex
INRAN) dove hanno registrato i consumi degli alimenti “biologici” o “convenzionali”. Gli apporti dietetici
sono stati elaborati con il software “INRAN_MASTER” e successivamente confrontati con i LARNDocumento di sintesi, 2012. L’adeguatezza nutrizionale è stata valutata mediante HFNI (Healty Food and
Nutrient Index).
Risultati: Dall’analisi dei dati sono emerse differenze statisticamente significative, con valori più elevati nei
BioStrong rispetto agli altri due gruppi, relative all’intake calorico, all’apporto di carboidrati, di fibra
alimentare e al consumo di frutta e verdura. Un minor apporto di lipidi statisticamente significativo, è stato
osservato nei BioWeak 35,81%±7,74 (media±ds) e nei BioStrong 35,27%±7,5 vs i Convenzionali
37,73%±7,44. Non ci sono differenze significative sia per gli apporti di SFA che di MUFA. Mentre per i
PUFA, i valori nei BioStrong (4,19%±1,26) sono leggermente inferiori ai LARN, tuttavia per quanto riguarda
gli acidi linoleico e linolenico, l’assunzione risulta maggiore in quest’ultimi rispetto agli altri due gruppi. Nei
BioWeak il colesterolo assunto è pari a 212,44mg±149,12, significativamente inferiore agli altri due
(Convenzionali 269,21mg±191,2 e BioStrong 283,44mg±193,23). I BioStrong assumono più vitamina C,
vitamina E, folati totali e ferro, probabilmente per l’elevato consumo di frutta e verdura. Dall’analisi
dell’adeguatezza nutrizionale è emerso che punteggi significativamente più alti sono stati osservati nei
BioStrong 4,63±0,58 vs 4,16±0,7 e 4,27±0,54 rispettivamente nei Convenzionali e nei BioWeak.
Conclusioni: Si osserva una maggiore consapevolezza ed attenzione negli stili alimentari dei soggetti che
seguono una dieta biologica sebbene nessun gruppo valutato mostri stili alimentari non adeguati e lontani dai
suggerimenti dei LARN.
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A15. Vegetarian, vegan diets and multiple health outcomes: a systematic review with meta-analysis
MR. DINU1, R. ABBATE2, GF. GENSINI2,3, A. CASINI1, F. SOFI1-3
1
Unit of Clinical Nutrition, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence; 2Department of
Experimental and Clinical Medicine, University of Florence; 3Don Carlo Gnocchi Foundation, ONLUS
IRCCS, Florence, Italy
Background: Previous studies have suggested a possible beneficial effect of vegetarian and vegan diets on
health outcomes, but the results have been inconclusive.
Aim: To conduct a systematic review and meta-analysis of all the published studies in order to obtain an
estimate of the association between vegetarian and vegan diets and health outcomes, including risk factors for
chronic diseases, overall mortality, incidence and/or mortality from cardiovascular disease, incidence and/or
mortality from cancer with analysis on different localizations.
Methods: Medline, EMBASE, Scopus and Google Scholar databases were searched from inception to June
2014.
Results: The overall analysis included 81 case-control and 8 prospective cohort studies. As for case-control
studies, risk factors for chronic diseases were compared among three diets (vegans, vegetarians and
omnivores). Vegetarians reported significant lower BMI [Mean Difference (MD) = -1.37], serum total
cholesterol (MD = -30.40 mg/dL), LDL cholesterol (MD = -21.24 mg/dL), HDL cholesterol (MD = -2.59
mg/dL), serum triglycerides (MD = -14.83 mg/dL), and blood glucose levels (MD = -5.17 mg/dL) with respect
to omnivores. Vegans determined lowest BMI (MD = -1.74), serum total cholesterol (MD = -37.44 mg/dL),
LDL cholesterol (MD = -29.00 mg/dL), serum triglycerides (MD = -16.99 mg/dL), and blood glucose levels
(MD = -8.35 mg/dL) and non-significant lower HDL cholesterol when compared with omnivores. With regard
to prospective studies, the analysis on 7 prospective studies (66.018 participants) showed no significant
reduced risk of all-cause mortality (RR = 0.94; 95% CI, 0.86-1.04) and incidence and/or mortality from cancer
(RR=0.96; 95%CI 0.86-1.08), but a significant reduced risk of ischemic heart disease mortality for vegetarians
(RR=0.75; 95% CI, 0.68-0.82) when compared with omnivores. Moreover, by analyzing different localizations
of cancer, no significant reduced risk for colorectal, prostate, breast, lung and stomach cancer was reported
when vegetarians were compared to omnivores.
Conclusions: All-cause and cancer mortality was not significantly different between vegetarians and
omnivores. In vegetarians it has been reported a decrease of mortality from ischemic heart disease (-25%),
probably due to the significant reduced levels of risk factors such as total cholesterol, LDL-cholesterol,
triglycerides and glucose levels, as well as BMI reported among case-control studies in favor of vegetarians.
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A16. Caratteristiche della popolazione e fattori di rischio cardiovascolare associati alla dieta
mediterranea in Sicilia.
G. GROSSO1, S. MARVENTANO2, L. SCALFI3, A. MISTRETTA2, F. GALVANO1
1
Dipartimento di Clinica e Biomedicina Molecolare, Sezione di Farmacologia e Biochimica, Università degli
Studi di Catania, Catania, Italia; 2Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Sezione di Igiene e Sanità Pubblica,
Università degli Studi di Catania, Catania, Italia; 3Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università di
Napoli "Federico II", Napoli, Italia
Premesse: Numerosi studi hanno riportato che l’aderenza alla dieta mediterranea sia associata ad una
diminuzione di tutte le cause di morte e miglioramento del rischio cardiovascolare, tuttavia gli studi condotti
in Sicilia sono scarsi.
Obiettivi: Valutare i fattori associati all’aderenza alla dieta mediterranea e gli effetti su fattori di rischio
cardiovascolare.
Metodi: Abbiamo condotto uno studio trasversale su 3090 adulti reclutati tra Maggio 2009 e Dicembre 2010
in maniera randomizzata tra la popolazione generale residente in aree urbane e rurali della Sicilia. Il consumo
di alimenti è stato valutato tramite questionari di frequenza alimentare. L'aderenza alla dieta mediterranea è
stata misurata mediante il MedDietScore. Modelli di regressione lineare e logistica sono stati eseguiti per
stimare gli odds ratio (OR) e i relativi intervalli di confidenza (CI).
Risultati: I partecipanti delle aree rurali, più anziani e con livello d’educazione più elevato erano più aderenti
alla dieta mediterranea. Consumo moderato di vino e birra erano associati a questo regime dietetico. Dopo aver
controllato per eventuali fattori di confondimento, i partecipanti più aderenti sono risultati avere una minore
probabilità di essere obesi (OR 0,35, 95% CI: 0,24 - 0,51) , ipertesi (OR 0,73, 95% CI: 0,55 - 0,97) e diabetici
(OR 0,43, 95% CI: 0,24 - 0,77). È stata infine trovata una relazione lineare inversa tra il MedDietScore e body
mass index (r2 = 0,34; P <0,001), circonferenza vita (r2 = 0,17; P <0,001), e rapporto vita-fianchi (r2 = 0,06;
P <0,001).
Conclusioni: Sebbene in Sicilia i tassi di prevalenza di malattie legate alla nutrizione siano alti, una maggiore
aderenza alla dieta mediterranea è ancora associata con uno stato di salute migliore.
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A17. Valutazione dello stato di nutrizione di un gruppo di volontari sani in Italia in relazione al consumo
di specifici gruppi di alimenti ricchi in molecole bioattive
E. VENNERIA1, M.S. FODDAI1, E. AZZINI1, D. CIARAPICA1, F. INTORRE1, M. ZACCARIA1, L. BARNABA1, L.
PALOMBA1, M. GRINER1, A. TAGLIABUE2, L. RIPAMONTI3, G. MAIANI1 & A. POLITO1
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per gli Alimenti e la
Nutrizione, CRA-NUT, Via Ardeatina, 546 - 00178 Roma; 2Università degli Studi di Pavia, Dipartimento
Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali, Via Bassi, 21 - 27100 Pavia; 3Fondazione IRCSS
Policlinico San Matteo, Servizio di immunoematologia e Medicina Trasfusionale, Viale Golgi, 19 - 27100
Pavia
1
Premessa: E’ ormai ampiamente dimostrato che gli alimenti ortofrutticoli contengono particolari ed
interessanti composti organici detti nutraceutici come ad esempio gli antociani. I risultati di alcune ricerche
condotte su piccoli gruppi di soggetti hanno fatto emergere il possibile contributo che gli antociani potrebbero
fornire non solo come antiossidanti, ma anche sul controllo dell’assetto lipidemico, glicemico e della pressione
arteriosa, mentre appare meno chiara l’utilità che questi componenti bioattivi potrebbero avere nella
regolazione del peso corporeo.
Obiettivi: Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare, attraverso un’indagine condotta in Italia su un
gruppo di volontari sani, la relazione tra consumi di specifici gruppi di alimenti ricchi in particolare di
antocianine e stato di nutrizione (quadro lipidemico, stato antiossidante, composizione corporea).
Metodi: Lo studio è stato condotto su 300 volontari adulti sani di ambo i sessi, in tre aree geografiche del
territorio italiano: Nord, Centro e Sud. Su tutti i soggetti sono stati valutati i consumi di gruppi di alimenti
ricchi di antocianine mediante questionario, le misure antropometriche mediante tecniche standard, lo stato
vitaminico mediante HPLC, la capacità antiossidante totale (FRAP) mediante misurazione spettrofotometrica,
i livelli del quadro lipidemico mediante kit commerciali spettrofotometrici.
Risultati: I risultati ottenuti hanno permesso di associare una percentuale più bassa di grasso corporeo e valori
maggiori di FRAP ad un consumo elevato di alimenti ricchi di antocianine più che al consumo di frutta e
verdura. Sono state osservate differenze nello stato di nutrizione vitaminico tra i vari centri, attribuibili a
differenze significative tra i due sessi; i risultati hanno mostrato valori di colesterolo totale più alti al Centro
Italia (p<0.0005) e livelli di trigliceridi più bassi al Sud Italia (p< 0.05) rispetto alle altre aree geografiche.
Conclusioni: Il maggior consumo di alimenti ricchi di antocianine risulta associato ad un più alto potere
antiossidante e minore percentuale di grasso corporeo permettendo di ipotizzare specifici benefici di tali
alimenti sullo stato di salute. Tali ipotesi necessitano di ulteriori approfondimenti su più ampi gruppi di
popolazione.
Sponsorship: Lo studio è stato realizzato nell’ambito del progetto BIOVITA “Biodiversità e agroalimentare:
strumenti per descrivere la realtà italiana”, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e
Forestali.
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POSTER
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P01. Effetto dei polifenoli del miele nella prevenire il danno indotto da pesticidi
R. ALLEVA 1, V. CIARAPICA2, N.MANZELLA2, B. BORGHI1, L. SANTARELLI2, M.F. CABONI3, F. PASINI 3,
F.EPIFANO 4, M. TOMASETTI2
Modulo Dipartimentale “Coordinamento della Ricerca Anestesiologica”- IRCCS Rizzoli, Bologna (BO);
Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari, Università Politecnica delle Marche, Ancona (AN); 3Centro
Interdipartimentale per la Ricerca Industriale (CIRI Agroalimentare), Università di Bologna, Cesena (FC);
4
Dipartimento di Farmacia, Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Chieti Scalo (CH)
1
2
Premessa: Studi epidemiologici hanno sottolineato la relazione esposizione a pesticidi e vari tipi di tumore,
patologie neurologico-degenerative, come Autismo e Parkinson. Il glifosate (Roundup), uno dei più utilizzati
erbicidi al mondo, e ad altri insetticidi organofosfati , quali clorpirifos (CPF) e Malathion (Mal) possono
indurre un danno al DNA, e provocare il cancro, inducendo disfunzioni mitocondriali nei soggetti esposti. I
polifenoli, presenti in molti alimenti vegetali, noti per essere potenti antiossidanti, sembra intervengano
anche come modulatori di molti processi mitocondriali (biogenesi, potenziale di membrana, permeabilità,”
transition pore opening” e “uncoupling”, catena di trasporto mitocondriale e sintesi dell’ATP. Il miele un
alimento ricco di flavonoidi e composti fenolici, ha proprietà anti-infiammatorie, antimicrobiche,
antiossidanti, antimutageniche e antitumorali.
Oggetto: Scopo dello studio è stato valutare l’effetto di estratti polifenolici di miele sulla disfunzione
mitocondriale e danni indotti da pesticidi.
Metodi: è stata caratterizzata la composizione polifenolica di quattro diverse varietà di miele, (acacia,
castagno, arancia, bosco) e valutata la loro capacità antiossidante ed effetto protettivo verso formazione di
ROS, danno al DNA e disfunzioni mitocondriali indotte da esposizione a pesticidi in cellule epiteliali
bronchiali
Risultati: I mieli hanno mostrato un diverso profilo associato a un diverso potere antiossidante,
rispettivamente bosco > castagno > arancia > acacia. Utilizzando le curve di citotossicità, sono state
identificate una dose sub-tossica (10 µM) e una tossica (100 µM) di Gly, CFP e Mal. Entrambe le dosi inducono
una riduzione nella funzione mitocondriale, che viene ripristinata totalmente o parzialmente dagli estratti di
miele 50 µg/ml. La disfunzione mitocondriale indotta dai pesticidi era concomitate alla formazione di ROS e
conseguente danno al DNA, valutato come formazione di single strand breaks (SSBs) e ossidazione delle basi
pirimidiniche (FPG sites) e puriniche (ENDO III sites). Sebbene gli estratti di miele inibiscono la formazione
di ROS indotta da pesticidi, non sembrano prevenire l’accumulo del danno al DNA, mentre aumentano la
capacità di riparare il DNA nelle cellule incubate.
Conclusioni: I polifenoli estratti dal miele modulano la funzione mitocondriale e interagiscono con i pesticidi
proteggendo le cellule dai loro effetti tossici.
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P02. Effetti del resveratrolo sul differenziamento di cellule mesenchimali stromali umane da midollo
osseo
I. CALDARELLI, M.C. SPERANZA, A.V.A. PIROZZI, F. DELLA RAGIONE, A. OLIVA, A. BORIELLO
Dipartimento di Biochimica, Biofisica e Patologia Generale, Seconda Università degli Studi di Napoli
Premessa: E’ noto che le piante producono una quantità considerevole di molecole naturali a basso peso
molecolare dotate di differenti attività biologiche. Numerosi studi, condotti su vari modelli cellulari
suggeriscono che, tra queste molecole, i polifenoli naturali, ed in particolare il resveratrolo, sono in grado di
controllare la proliferazione cellulare, indurre il differenziamento, attivare l’apoptosi e l’autofagia, modulare
l’angiogenesi e l’infiammazione.
Obiettivi: Il resveratrolo (3,5,4’-triidrossistilbene) è un polifenolo presente nella buccia dell’uva, nel vino
rosso e in vari altri frutti. Numerosi studi provano che questa molecola mostra, tra le altre, proprietà
fitoestrogeniche, lasciando ipotizzare che essa possa intervenire nel controllo del turnover dell’osso,
stimolando la proliferazione ed il differenziamento dei precursori osteoblastici. Studi recenti suggeriscono un
possibile impiego del polifenolo come rimedio naturale nel trattamento dell’osteoporosi in donne in postmenopausa o più generalmente in soggetti anziani.
Scopo: del nostro studio è stato valutare l’attività del resveratrolo sulla proliferazione ed il differenziamento
delle cellule mesenchimali stromali (MSC) umane derivate da midollo osseo in vitro.
Metodi: Le MSC umane sono state isolate da midollo osseo umano da donatori volontari sani e coltivate come
riportato in Borriello et al. (1). L’analisi del ciclo cellulare è stata effettuata mediante citometria a flusso. La
colorazione ARS per valutare la calcificazione della matrice è stata effettuata come riportato in 2. Gli estratti
cellulari e le analisi per western blotting erano condotti come riportato in letteratura (2).
Risultati e Conclusioni: Le nostre ricerche hanno mostrato che la molecola è in grado di modulare la
proliferazione delle MSC, stimolando la crescita a concentrazioni basse (0.1-5 µM) ed inibendola a
concentrazioni più elevate (10-50 µM). L’osservazione è in accordo con le proprietà ormetiche della molecola
riportate in letteratura. Tale dualità è stata osservata anche nella valutazione dell’effetto del resveratrolo sul
differenziamento delle MSC in osteoblasti. La molecola, se aggiunta alle cellule indotte a differenziare in senso
osteogenico determina, fino alle concentrazioni di 10 µM, un aumento del differenziamento osteoblastico; a
concentrazioni superiori (≥25 µM) essa invece causa la comparsa di vescicole contenenti trigliceridi. Quando
aggiunto invece ad MSC trattate con mezzo adipogenico, il resveratrolo incrementa l’adipogenesi a tutte le
concentrazioni impiegate.
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P03. Proprietà anti-infiammatorie di cereali antichi: il caso del Triticum monococcum
F. DANESI 1, M. DI NUNZIO 2, V. VALLI 1, D.L. TANEYO SAA 1, B. VIADEL 3, L. TOMÁS-COBOS 3, E.
GALLEGO 3, M.P. VILLALBA 3, A. GIANOTTI 1, A. BORDONI 1,2
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DISTAL), Università di Bologna, Cesena (FC);
Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale AgroAlimentare (CIRI AgroAlimentare), Università di
Bologna, Cesena (FC); 3AINIA Centro Tecnológico, Paterna, Spagna
2
Premesse: I prodotti a base di cereali sono tra gli alimenti più consumati in tutto il mondo, costituendo la base
dell’alimentazione umana. Anche se numerosi studi hanno dimostrato che il consumo di alimenti realizzati
con cereali integrali sia in grado di prevenire numerose patologie, mancano ancora evidenze concrete circa il
potenziale effetto positivo sulla salute da parte di alcuni grani antichi, come il Triticum monococcum. Poiché
la fermentazione con batteri lattici pare migliorare le caratteristiche nutrizionali, il contenuto e/o la
bioaccessibilità di composti con effetti positivi per la salute, le ricerche scientifiche riguardanti i prodotti a
base di cereali dovrebbero necessariamente considerare anche il tipo di processo fermentativo impiegato.
Obiettivi: Lo scopo di questo studio è stato comparare la digeribilità proteica di pani preparati con farine di
T. monococcum, impiegando differenti fermentazioni. Sono stati inoltri valutati gli effetti anti-infiammatori
in cellule enteriche in coltura.
Metodi: Pani a base di farine convenzionali o di T. monococcum sono stati prodotti mediante fermentazione
tradizionale oppure con madri acide (batteri lattici). I pani sono stati in seguito digeriti tramite un sistema in
vitro. La bioaccessibilità delle proteine dei diversi pani è stata valutata tramite analisi del contenuto proteico
totale e del profilo peptidico. I digeriti ottenuti sono stati inoltre supplementati a cellule intestinali in coltura
(Caco-2), al fine di valutarne i possibili effetti protettivi rispetto a uno stress infiammatorio esogeno.
Risultati: Sebbene tutti i tipi di pane abbiano mostrato un effetto protettivo anti-infiammatorio, esso è apparso
più marcato nelle cellule supplementate con i digeriti derivanti dai prodotti realizzati con farine di T.
monococcum. Nessuna differenza è stata invece riscontrata sulla bioaccessibilità proteica.
Conclusioni: Anche se i risultati ottenuti in colture cellulari non possono essere trasposti direttamente
nell’uomo, i dati ottenuti confermano il potenziale potere anti-infiammatorio dei prodotti a base di grani
antichi, che possono rappresentare una promettente strategia dietetica preventiva rispetto alle patologie
caratterizzate da condizioni infiammatorie.
Questo studio è finanziato dal Progetto Europeo BAKE4FUN “Innovative biotechnological solutions for the
production of new bakery functional foods” (grant agreement no. 606476).
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P04. Study of the potential anti-atherosclerotic effect of polyphenols from wild blueberry (Vaccinium
angustifolium) in endothelial cells: preliminary data.
C. DEL BO’1, Y. CAO2, M. ROURSGAARD2, P. RISO1, S. LOFT2, M. PORRINI1, P. MOLLER2
1
Department of Food, Environmental and Nutritional Sciences (DeFENS), Division of Human Nutrition,
Università degli Studi di Milano, Milano, Italy; 2Department of Public Health, University of Copenhagen,
Copenhagen, DK.
Background: Atherosclerosis is a disease affecting arterial blood vessels caused largely by the accumulation
of macrophages and white blood cells and promoted by low-density lipoproteins. Polyphenols may prevent
atherosclerosis by reducing oxidative stress, inflammation, and by increasing the production of vasodilators
such as nitric oxide.
Aim: This study aims to investigate the capacity of an anthocyanin (ACN) and phenolic acid (PA)-rich
fraction, obtained from a wild blueberry powder, to counteract early events in atherosclerosis in an in vitro cell
model system.
Methods: The anti-atheroclerotic effect of the two fractions was tested in human umbilical vein endothelial
cells (HUVECs) commonly used as the in vitro model for the study of the function of endothelial cells.
HUVECs were incubated with different concentrations (from 0.05 to 10 μg mL-1) of ACN and PA-rich fraction
for 24h. Labelled monocytic THP-1 cells were added to HUVEC culture and the adhesion was promoted by
stimulating a pro-inflammatory status with TNF-1). After 24h incubation, the attachment of THP1 to HUVEC was measured through a fluorescence spectrophotometer and the fold-increase in THP-1
attachment with respect to the control (without stimulation with TNFanalysed
by ANOVA. Post-hoc analysis of differences between treatments was assessed by the Least Significant
Difference (LSD) test with p ≤ 0.05 as level of statistical significance.
Results:We documented that ACN and PA-rich fractions reduced THP-1 attachment to HUVEC cells
following stimulation with the pro-inflammatory cytokine. In particular, ACN-rich fraction showed a positive
and significant effect at the concentration of 10 μg mL-1 (-33%, p=0.04), while the PA-rich fraction was able
to reduce significantly THP-1 attachment at the low doses (0.05, 0.1 and 0.3 μg mL-1, -45%, -49% and -51%,
respectively).
Conclusions: These preliminary results demonstrated a potential role of polyphenol compounds in the
prevention of atherosclerotic process by reducing the THP-1 attachment to HUVEC cells. Moreover, the
effects were observed also at the low concentrations, supporting a possible contribution at concentrations
comparable with those achievable in vivo. The role of ACNs, their metabolites and the molecular mechanisms
involved in such modulation are under study.
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P05. Allergeni alimentari: utilizzo della spettrometria di massa LC-MS/MS per la ricerca di allergeni
del latte vaccino in prodotti da forno.
M.G. GIUFFRIDA1, C. LAMBERTI1, E. ACQUADRO2, D. CORPILLO2
ISPA-CNR, Bioindustry Park S. Fumero, Via Ribes 5 – Colleretto Giacosa (TO); 2ABLE Bioscences,
BioIndustry Park S. Fumero, Via Ribes 5 – Colleretto Giacosa (TO)
1
Premesse: Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per l’utilizzo della Spettrometria di Massa nella ricerca
di allergeni nascosti in alimenti. I metodi basati su questa tecnica analitica sono ancora in via sperimentale e
vengono proposti come metodi di supporto per conferme di secondo livello alle tecniche immunoenzimatiche
(ELISA) che attualmente costituiscono il “golden standard” in questo ambito.
Obiettivi: L’obiettivo di questo lavoro è stato la messa a punto di un metodo analitico basato sull’utilizzo di
spettrometria di massa a trappola ionica per la ricerca di allergeni del latte vaccino in biscotti.
Metodi: E’ stato messo a punto un metodo semplice di estrazione di proteine del latte da prodotti da forno. Le
proteine sono state digerite in peptidi e separati mediante un sistema LC-MS/MS (HP 1100 HPLC-XCT-Plus
Ion trap– Agilent Technologies) e i segnali m/z ottenuti sono stati ricondotti alle sequenze amminoacidiche
note delle maggiori proteine del latte. Due peptidi specifici dell’ -s1 caseina bovina sono stati selezionati
come migliori marcatori della presenza di latte nei prodotti da forno. In base alle loro transizioni MS/MS è
stato costruito un sistema di analisi MRM per il monitoraggio e la quantificazione della presenza di latte in
tracce.
Risultati: Il metodo è stato validato attraverso la produzione in laboratorio di biscotti con 8 livelli di
contaminazione di latte (1, 2, 5, 10, 15, 25, 75 e 150 mg latte/Kg biscotti). Sono stati ottenuti ottimi valori sia
per la LOD (1.3mg latte/Kg biscotti ) che per la LOQ (4 mg latte/Kg biscotti) ottimi valori per ripetibilità intraday e inter-day ed un elevato recupero considerando che è stato calcolato sul prodotto processato (il biscotto
cotto).
Conclusioni: L’applicabilità del metodo è stata testata su prodotti commerciali che riportavano in etichetta la
dicitura preventiva “può contenere tracce di latte”. I campioni testati hanno effettivamente dimostrato di non
contenere tracce di latte e avrebbero potuto essere etichettatiti “senza latte” fornendo una chiara indicazione
per il consumatore allergico o che semplicemente non voglia, per motivi etici o per intolleranze, consumare
latte vaccino neppure in tracce.
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P06. Tecniche Fotoacustiche (PA) applicate all’analisi non distruttiva di specifici composti bioattivi
indicatori di qualità nelle mele
A.M. GIUSTI§, G. LEAHU¹, R. LI VOTI¹, A. MAURIZI¹, G. CESARINI E C. SIBILIA¹
Dipartimento di Medicina Sperimentale- sezione di Fisiopatologia Medica, Scienza dell’Alimentazione e
Endocrinologia, Unità di ricerca in Scienza dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, Università Sapienza di
Roma; ¹Dipartimento di Scienze di Base ed Applicate per l’Ingegneria, Università Sapienza di Roma
1
Premesse: Alcuni phytochemicals come clorofille, carotenoidi e antociani sono responsabili delle qualità
organolettiche di frutta e vegetali, oltre ad essere implicati in numerosi processi fisiologici delle piante essendo
prodotti in risposta a diversi tipi di stress abiotici e biotici. In particolare le clorofille e i carotenoidi ampiamente
presenti nelle bucce di alcuni frutti come le mele sono coinvolti nel processo di fotosintesi, mentre gli antociani
insieme con i carotenoidi svolgono un ruolo importante nel proteggere i frutti dai processi di fotossidazione
indotta da irraggiamento UV. Tali proprietà conferiscono ai suddetti pigmenti un importante ruolo come
indicatori di qualità nutrizionale, salutistica e merceologica, ricevendo sempre più interesse da parte delle
industrie agroalimentari.
Obiettivi: Nelle mele le clorofille, i carotenoidi e gli antociani subiscono variazioni in senso quantitativo
durante la maturazione e la conservazione dei frutti e la loro determinazione diretta attraverso un approccio
analitico non distruttivo permette di poter correlare il contenuto dei suddetti pigmenti con il grado di
maturazione, freschezza, conservabilità dei frutti e in ultima analisi consentirebbe di standardizzare la qualità
per rispondere alle esigenze del mercato e dei consumatori.
Metodi: Le tecniche fotoacustiche (PA) non distruttive e senza contatto offrono il vantaggio che non risentono
dello scattering della luce nei mezzi torbidi come le tecniche di analisi tradizionali (spettroscopia etc.). Il fatto
che richiedono scarsa o nulla manipolazione del campione, né necessitano di procedure di estrazione, fa sì che
possono essere impiegate per la caratterizzazione optotermica diretta delle molecole di interesse presenti in
matrici complesse come gli alimenti. Con la tecnica PA sono stati analizzati bucce e polpa di mele appartenenti
a due cultivar, Golden Delicius e Royal Gala.
Risultati: i risultati dell’analisi PA dal punto di vista qualitativo hanno rivelato una differente distribuzione di
clorofilla a e b e di carotenoidi in accordo al diverso colore delle bucce sottoposte ad esame.
Conclusioni: La standardizzazione delle misure PA in termini quantitativi permetterà di correlare la
concentrazione delle clorofille, dei carotenoidi e degli antociani con il grado di maturazione dei frutti offrendo
una valida alternativa alle analisi chimiche convenzionali che richiedono manipolazione del campione e lunghi
tempi di risposta.
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P07. Effect of blueberry bioactive compounds on hepatic lipid accumulation in HepG2 cells: preliminary
data
C. LANTI1, P. DONGIOVANNI2, P. RISO1, L. VALENTI2
1
Department of Food, Environmental and Nutritional Sciences (DeFENS), Division of Human Nutrition,
Università degli Studi di Milano, 20133 Milano, Italy; 2 Internal Medicine and Metabolic Diseases,
Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Policlinico, Milano, Italy
Background: Non alcoholic fatty liver disease (NAFLD) defined by excess lipid accumulation in the liver, is
the hepatic manifestation of metabolic syndrome. Lifestyle and diet represent both protective and risk factors
in NAFLD development. Therefore, in the last years many studies investigated the effect of bioactive
compounds present in fruit and vegetables on fatty liver. It has been reported that anthocyanins (ACNs)
decrease hepatic lipid accumulation and may counteract hepatic inflammation. Nevertheless, the mechanism
of action of these compounds and their impact on NAFLD has yet to be fully determined.
Aim: The present study aimed to investigate the effect of two bioactive fractions (ACNs and phenolic acids)
extracted from a freeze-dried wild blueberry powder (WB) on lipid hepatic accumulation in HepG2
hepatocytes cultured with fatty acids. In order to evaluate the contribution of WB single compounds we further
tested the effect of Delphinidin 3-O-glucoside and its metabolite, Gallic acid, on the same cell model.
Methods: HepG2 cells were supplemented with a combination of free fatty acids: palmitic acid (PA, saturated)
plus oleic acid (OA, n-9 mono-unsatured). Different concentrations were used (0.08 mM, 0.8 mM and 1.66
mM). We next used 0.08 mM which was the lower FFAs concentration showing a significant increase in lipid
accumulation compared to untreated cells. HepG2 supplemented with FFAs were incubated with 0.01µM,
0.1µM and 1µM of ACN fraction, phenolic fraction, Delphinidin 3-O-glucoside and gallic acid for 24 hours.
For lipid visualization and quantification HepG2 cells were stained with Oil Red O and absorbance was read
at 540 nm.
Results: Lipid accumulation was significantly reduced by ACN fractions at the concentration of 0.1 and 1
M and by phenolic fractions at the concentrations of 0.01 and 0.1 µM (p<0.05). Also Delphinidin 3-Oglucoside lead to a significant reduction of intracellular lipids at the concentrations of 0.01 and 0.1 µM
(p<0.05) whereas Gallic acid had no effect.
Conclusion: These results show that ACNs fractions, phenolic fractions and Delphinidin 3-O-glucoside could
reduce lipid accumulation in HepG2 cells supplemented with FFAs. Further experiments will be aimed to
investigate the mechanisms of action of these compounds and their possible clinical application.
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P08. Effetto neuroprotettivo del succo crudo di germogli di Brassica oleracea in un modello cellulare
della malattia di Alzheimer
A. MASCI1, R. MATTIOLI2, P. COSTANTINO2, S. BAIMA3, G. MORELLI3, P. PUNZI4, C. GIORDANO5, A.
PINTO1, L. M. DONINI1, M. D’ERME6, L. MOSCA6
Dipartimento di Medicina Sperimentale-Patofisiologia Medica, Sezione di Scienza dell’Alimentazione ed
Endocrinologia, Università Sapienza, Roma, Italia; 2 Dipartimento di Biologia e Biotecnologia, Università
Sapienza, Roma, Italia; 3Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, Consiglio per la ricerca e la
sperimentazione in agricoltura (CRA), Roma, Italia; 4Dipartimento di chimica, Università Sapienza, Roma,
Italia; 5Istituto di Biologia, Medicina Molecolare e NanoBiotecnologie, Consiglio Nazionale delle Ricerche
(CNR), Roma, Italia; 6 Dipartimento di Scienze Biochimiche, Università Sapienza, Roma, Italia
1
Premesse: Il peptide β-amiloide (Aβ) gioca un importante ruolo nella patogenesi della malattia di Alzheimer,
causando morte neuronale da stress ossidativo. Numerosi studi hanno sottolineato l’utilità di singoli composti
antiossidanti nel trattamento di questa patologia, mentre mancano ancora sufficienti osservazioni su matrici
alimentari complesse, caratterizzate da un contenuto relativo differente di questi fitochimici.
Obiettivi: Nel presente studio sono stati preparati due succhi crudi di germogli di broccoli contenenti differenti
quantità di composti fenolici, ottenute attraverso diverse condizioni di crescita (al buio oppure in presenza di
luce e saccarosio) ed è stato analizzato il loro effetto protettivo in cellule di neuroblastoma umano SH-SY5Y
trattate con il frammento Aβ25-35.
Metodi:Il contenuto di polifenoli, flavonoidi ed antocianine totali, insieme alla capacità antiossidante
intrinseca dei succhi sono stati determinati attraverso saggi spettrofotometrici. L’effetto dei succhi su
neurotossicità ed apoptosi indotte da Aβ25-35 è stato valutato attraverso saggio MTT, misure di microscopia
in fluorescenza della condensazione della cromatina e di citometria a flusso della formazione di corpi
apoptotici. L’analisi del potenziale di membrana mitocondriale attraverso citometria a flusso e dei livelli di
espressione dell’mRNA di Hsp70 attraverso qRT-PCR hanno suggerito probabili vie di mediazione dei
suddetti effetti. Il contenuto intracellulare di glutatione è stato quantificato attraverso analisi HPLC.
L’induzione o l’attività di enzimi coinvolti nella risposta cellulare antiossidante (HO-1, Trx/TrxR, NQO1)
sono stati determinati rispettivamente attraverso qRT-PCR e saggio DCPIP. La traslocazione nucleare del
fattore regolatore a monte Nrf2 è stata analizzata attraverso immunofluorescenza.
Risultati: La differenza di contenuto in composti fenolici tra i due succhi crudi di germogli di broccoli è
associata ad una corrispondente differenza nell’attività antiossidante. I succhi esplicano effetti protettivi simili
verso citotossicità ed apoptosi mediate da Aβ, attraverso il recupero della funzionalità mitocondriale e
l’induzione del gene Hsp70, tuttavia il succo arricchito in composti fenolici mostra una maggiore efficacia
nell’attivazione della sopravvivenza cellulare, dipendente dalla via di segnale Nrf2-ARE che riduce i danni
ossidativi indotti da Aβ.
Conclusioni: Il succo crudo di germogli di broccoli può rappresentare un alimento funzionale in grado di
contribuire alla prevenzione della neurodegenerazione correlata all’invecchiamento.
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P09. Caratterizzazione fenolica e ed attività biologica di estratti di camomilla commerciale
F. RINALDI, V. GASPERI, M.V. CATANI, L. AVIGLIANO, I. SAVINI
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, Università di Roma “Tor Vergata”
Premesse: La camomilla (Matricaria chamomilla) è una pianta utilizzata da secoli in medicina naturale poiché
contiene composti terapeuticamente attivi. Recentemente è stato dimostrato un possibile ruolo nella
prevenzione dei tumori, delle malattie cardiovascolari e del diabete. Nonostante l’interesse scientifico per
questa pianta e per alcuni dei suoi principi attivi, come i flavonoidi, sia in aumento, i dati disponibili in
letteratura sulla reale composizione chimica dei prodotti utilizzati e sul meccanismo d’azione sono limitati.
Obiettivi: 1) Analisi della composizione fenolica di sei differenti prodotti commerciali di camomilla; 2)
valutazione dell’attività biologica in colonociti umani (CaCo2).
Risultati: I campioni utilizzati sono stati ottenuti attraverso estrazione etanolica dei seguenti prodotti:
camomilla in fiore da coltivazione tradizionale (1F) e biologica (2F), camomilla setacciata di quattro differenti
marchi commerciali (3S, 4S, 5S, 6S). Dal campione 2F è stato ottenuto circa il doppio di materiale (~300 mg/g
camomilla) rispetto agli altri campioni; il campione 2F mostrava anche il più elevato contenuto di fenoli totali.
L’analisi HPLC ha permesso di identificare10 composti fenolici (acido clorogenico, acido p-cumarico, acido
ferulico, acido caffeico, apigenina 7-glucoside, luteolina 7-glucoside, luteolina, apigenina, quercetina, rutina)
le cui concentrazioni negli estratti erano piuttosto variabili: il contenuto totale i in flavonoidi andava da un
citofluorimetrica del ciclo cellulare ha evidenziato che nessuno degli estratti induceva modificazioni
significative. Tra i flavonoidi (usati a concentrazioni analoghe a quelle presenti nell’estratto), solo la luteolina7G incrementava le cellule in fase G2 prevenendone l’entrata in mitosi. Il pretrattamento per 24 ore delle
cellule con gli estratti era in grado di proteggere dalle alterazioni dello stato redox indotte dal tertbutilidroperossido; tale effetto correlava positivamente con il contenuto in flavonoidi totali. L’attività
antiradicalica è particolarmente elevata (~70%) per la luteolina e la luteolina-7G e bassa (~20%) per
l’apigenina e l’apigenina-7G.
Conclusioni: Il diverso contenuto di principi bioattivi in infusi di camomilla apparentemente identici si riflette
in una differente efficacia nell’attività biologica. Pertanto, gli studi che utilizzano tali bevande o estratti
vegetali dovrebbero essere sempre accompagnati da una dettagliata caratterizzazione chimica.
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P10. Biscotti di grano duro e Kamut® khorasan: digestione in vitro e valutazione della capacità
antiossidante totale e del profilo fenolico
V. VALLI 1, L. CALANI 2, F. DANESI 1, A. GIANOTTI 1, D. DEL RIO 2, A. BORDONI 1
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, Università di Bologna; 2Dipartimento di Scienze degli
Alimenti, Unità di Nutrizione, Università di Parma
Premesse: Studi epidemiologici hanno confermato che l'assunzione di alte concentrazioni di cereali integrali
offre una protezione contro diverse malattie come cancro, malattie cardiovascolari, diabete e obesità. L’utilizzo
di cereali integrali antichi e minori (ad esempio orzo, farro, avena e Kamut®), particolarmente ricchi di
minerali, vitamine e composti fenolici sta determinando grande interesse sia nella comunità scientifica che
nell'industria alimentare.
Obiettivi: Lo scopo di questo studio è stato confrontare le caratteristiche salutistiche in termini di attività
antiossidante e profilo fenolico di biscotti preparati con farina integrale di grano duro italiano o farina di
Kamut® khorasan, sia italiano che americano, e fermentati utilizzando lievito S. Cerevisiae o una
combinazione di S. Cerevisiae e batteri lattici.
Metodi: I diversi tipi di biscotti sono stati digeriti in vitro secondo un sistema modello che simula il processo
digestivo in bocca, stomaco e intestino, oppure sono stati direttamente estratti con una soluzione di etanoloacqua acidificato e con un buffer acquoso. I campioni, digeriti e non digeriti, sono stati quindi analizzati per
capacità antiossidante totale (saggio dell’ABTS), contenuto fenolico totale (metodo di Folin-Ciocalteau) e
profilo (poli)fenolico mediante analisi UHPLC-MSn.
Risultati: La capacità antiossidante è risultata più elevata nei campioni digeriti rispetto agli estratti dei
corrispondenti biscotti tal quali. Il contenuto dei principali composti (poli)fenolici identificati è risultato essere
variabile e dipendente dal tipo e dalla provenienza dei cereali, e dal tipo di fermentazione seguita nella
preparazione dei biscotti. Nell'insieme, i risultati ottenuti supportano il potenziale salutistico dei cereali
integrali, inclusa la varietà antica Kamut® khorasan.
Conclusioni.: Considerando che la maggior parte degli studi relativi alle proprietà dei cereali è basata su
materie prime piuttosto che alimenti pronti per il consumo, e che le differenze di bio accessibilità dei diversi
componenti non vengono quasi mai considerate, il nostro studio rappresenta un ulteriore, importante passo
nello studio delle proprietà protettive dei diversi cereali. Infatti esso tiene conto sia della matrice alimentare e
del processo produttivo (tipo e provenienza della farina, tipo di fermentazione), che dell'effetto del processo
digestivo.
Questo studio è finanziato da Kamut Enterprise of Europe.
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P11. Componenti bioattivi degli alimenti e loro metaboliti: screening delle concentrazioni fisiologiche
non citotossiche in cellule epatiche in coltura
V. VALLI 1*, M. DI NUNZIO 2, F. DANESI 1, A. BORDONI 1
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, Università di Bologna 2 Centro Interdipartimentale
di Ricerca Industriale Agroalimentare, Università di Bologna
Premesse. I composti bioattivi sono componenti naturalmente presenti negli alimenti in piccole quantità, che
possiedono una attività biologica in aggiunta al loro valore nutrizionale. Le colture cellulari rappresentano un
importante strumento per studiare il meccanismo di azione dei bioattivi, ma prima di intraprendere queste
ricerche è fondamentale stabilire la loro più alta concentrazione fisiologica non citotossica in vitro. Infatti, i
modelli cellulari sono sistemi chiusi e anche l’esposizione a concentrazioni fisiologiche in vivo potrebbe
alterare la risposta cellulare al componente bioattivo.
Obiettivi. Lo scopo di questo studio è stato valutare la possibile citotossicità, in un sistema di cellule in coltura,
di metaboliti derivanti da diversi composti bioattivi ed in particolare: i) l’acido docosaesanoico (DHA), acido
grasso polinsaturo a lunga catena; ii) il propionato (PRO), un acido grasso a corta catena derivante dalla
fermentazione intestinale dei beta-glucani; iii) la cianidina-3.glucoside (C3G), il componente fenolico più
rappresentativo degli alimenti ricchi di antocianine e vi) l’acido protocatecuico, il principale metabolita delle
antocianine.
Metodi. I bioattivi selezionati, soli od in combinazione, sono stati supplementati in concentrazioni scalari a
epatociti della linea HepG2. La citotossicità, dopo 24 e 48 ore, è stata valutata tramite conta cellulare, saggio
dell’MTT e saggio del Trypan blue.
Risultati. La vitalità cellulare si è dimostrata chiaramente dipendente sia dal tipo e dalla concentrazione di
composto bioattivo sia dal tempo di trattamento. Un effetto additivo è stato inoltre evidenziato usando alcuni
bioattivi in combinazione.
Conclusioni. Lo studio dei componenti bioattivi degli alimenti può portare, attraverso uno sfruttamento da
parte dell’industria, a benefici sociali. Le analisi in vitro rappresentano il primo step per la valutazione degli
effetti salutistici dei composti bioattivi, ma i risultati ottenuti su colture cellulari possono essere fuorvianti se
la citotossicità dei componenti selezionati non è prima considerata attentamente.
Questo studio è finanziato dal progetto europeo (FP7 EU) PATHWAY-27 “Pivotal Assessment of the Effects
of Bioactives on the Health and Wellbeing, from Human Genome to Food Industry” (grant agreement no.
311876).
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P12. Dieta e perossidazione lipidica delle lipoproteine: ruolo dei carotenoidi
T. BACCHETTI1, P. SOBBI1, G. FERRETTI2
Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente; 2Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed
Odontostomatologiche, Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia
1
Premesse: Numerosi studi hanno evidenziato che una alimentazione ricca di frutta e verdura svolge un ruolo
protettivo nello sviluppo di malattie umane associate al danno ossidativo (diabete , malattie cardiovascolari e
sindrome metabolica). Lo studio dei meccanismi molecolari ha evidenziato che i fitonutrienti presenti nei
prodotti vegetali esercitano effetti antiossidanti e antiinfiammatori e proteggono le lipoproteine a bassa densità
(LDL) dalla perossidazione lipidica. Un aumento dei livelli plasmatici di LDL ossidate (ox-LDL) è stato
osservato in pazienti affetti da patologie dismetaboliche ed è considerato un fattore di rischio per patologie
cardiovascolari.
Obiettivo: É stato quello di indagare la relazione tra il consumo di prodotti vegetali, apporto di antiossidanti
(vitamine antiossidanti e beta-carotene) e i livelli plasmatici di ox-LDL.
Materiali e metodi: Sono stati reclutati 83 soggetti adulti normolipemici le cui abitudini alimentari sono state
valutate mediante la compilazione di un diario alimentare per 15 giorni. Nel plasma di ciascun soggetto sono
stati valutati i livelli plasmatici di ox-LDL (mediante saggio ELISA), le proprietà antiossidanti totali (mediante
ORAC assay) e i livelli di carotenoidi (beta-carotene e luteina mediante HPLC).
Risultati: I dati ottenuti hanno evidenziato che i soggetti caratterizzati da un maggior apporto di antiossidanti
(beta-carotene, vitamine antiossidanti) con la dieta mostravano minori livelli plasmatici di ox-LDL e maggiori
livelli di antiossidanti. Una significativa relazione è emersa tra i livelli plasmatici di ox-LDL e i livelli
plasmatici di carotenoidi.
Conclusioni: I risultati ottenuti confermano che l’aderenza ad una dieta ricca di fitonutrienti rappresenta
l'approccio efficace per aumentare le difese antiossidanti, ridurre il danno ossidativo a carico delle lipoproteine
plasmatiche e prevenire l’insorgenza di patologie cronico-degenerative.
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P13. Valutazione bioimpedenziometrica e forza di presa della mano in pazienti con broncopneumopatia
cronica ostruttiva (BPCO)
F. DE BLASIO1, G. SANTANIELLO1, L. LIONETTI2, G. MIRACCO BERLINGIERI3, B. BELLOFIORE3, F. DE BLASIO3,
L. SCALFI1
1
Dipartimento di Sanità Pubblica e 2Dipartimento delle Scienze Biologiche, Università degli Studi di Napoli
Federico II, 3U.F. Pneumologia e Riabilitazione Respiratoria, Casa di Cura Clinic Center , Napoli.
Premesse: la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una patologia cronica dell’apparato
respiratorio caratterizzata da una persistente limitazione al flusso aereo. I pazienti affetti da BPCO riportano
notevoli alterazioni del profilo nutrizionale fino a quadri caratterizzati da grave Malnutrizione ProteicoEnergetica (PEM). In questo studio la Bioimpedenziometria (BIA), in particolare la valutazione dell’indice
bioimpedenziometrico (BI) e dell’angolo di fase, in aggiunta alle più semplici misure antropometriche, è stata
applicata nella valutazione dello stato di nutrizione di pazienti affetti da BPCO, al fine di analizzarne le
alterazioni rispetto a un gruppo di controllo di comparabile età e caratteristiche generali.
Metodi: sono stati inclusi nello studio 114 pazienti (79 M/35F: età media 68,7±6.7 anni; statura 162,5±8,4 cm,
peso 66,2±11,2 kg) affetti da BPCO in fase di stabilità clinica, con vario grado di alterazione funzionale e 100
individui di controllo (45 M/55 F: età 64,3±8,0 anni; statura 163,4±8,6 cm; peso72,9 kg ±9,0 kg),
apparentemente sani. In tutti gli individui sono stati valutati peso, lunghezze e circonferenze corporee, pliche
adiposee sottocutanee e variabili BIA. Tutti gli individui in esame, inoltre, sono stati sottoposti al test di Forza
di Presa della Mano, al fine di comparare la forza muscolare globale nei due gruppi.
Risultati: le variabili BIA, in particolare indice BI e angolo di fase, erano tutte significativamente ridotte
rispetto al gruppo di controllo sia per l’organismo in toto sia per gli arti superiori e inferiori. Similmente si
comportava la Forza di Presa della Mano. Si osservava inoltre una stretta relazione fra variabili BIA e forza di
presa della mano per ciascuno dei due emilati.
Conclusioni: questo studio presenta dei dati preliminari che sottolineano le strette relazioni esistenti fra
variabili BIA, funzione muscolare e funzione respiratoria. Essi suggeriscono uno potenziale specifico utilizzo
della BIA qualitativa nella valutazione dello stato di nutrizione del paziente affetto da BPCO.
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P14. La Qualità della Vita (QoL) in soggetti affetti da obesità di grado elevato: ruolo dell’Educazione
Terapeutica (ET)
G. GAVARINI, E. PROSPERI, G. GUIDI, G. MEROLA, E. CAVA, R. IENCA, L. GNESSI, L.M. DONINI, A.
PINTO
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sapienza Università di Roma; C.A.S.C.O - Centro di Alta
Specializzazione per la Cura dell’Obesità, Policlinico Umberto I di Roma.
Premesse: recenti revisioni della letteratura dimostrano che il decremento ponderale è correlato ad un
significativo miglioramento della QoL, valutata attraverso SF36, sotto il profilo somatico ma non mentale, con
possibili ripercussioni sull’esito del trattamento a medio e lungo termine.
Obiettivi: valutare, attraverso uno studio pilota, il ruolo di un intervento di gruppo multidisciplinare, definito
Educazione alla Scelta e Consapevolezza, basato sui principi dell’ET (Report of a WHO Working Group
1998), nell’aiutare i pazienti obesi, con o senza binge eating, a migliorare i propri comportamenti alimentari e
la QoL.
Metodi: 70 soggetti obesi (13M-45,9±9,8aa-BMI43,4±8,4kg/m2; 57F-46,5±11,2aa-BMI42,4±7,4kg/m2) sono
stati reclutati presso il C.A.S.C.O.; sono stati rilevati colesterolo totale, C-LDL, C-HDL,trigliceridi e glicemia
e analizzate le abitudini alimentari mediante FFQ; è stato delineato il profilo psicologico attraverso test SCL90
e BES e valutata la QoL attraverso SF36. Tutti i parametri sono stati valutati all’arruolamento (T0) e dopo 8
incontri di gruppo di ET a cadenza quindicinale (T8). Le differenze sono state confrontate assumendo un p
value < 0.05.
Risultati: al T8 si osserva un significativo miglioramento di tutti i parametri ematochimici esaminati e dello
score SF36 in entrambe le aree della QoL, somatica (57,1±23,4 vs 67,9±21,1) e mentale (58,7±21,7 vs
71,6±21); le scale di somatizzazione, ossessione-compulsione, ipersensibilità interpersonale e depressione
dell’SCL90, che al T0 presentano uno score >1 (patologico) risultano normalizzate, e lo score BES, borderline
al T0 (17,1±9,1) migliora significativamente al T8 (8,3±7,18); l’eccessivo consumo di alimenti di origine
animale e dolci si riduce significativamente, mentre aumenta l’assunzione di pesce, legumi, ortaggi e frutta,
sebbene il decremento ponderale risulti di soli 3,2±4,16 kg (BMI -1,19±1,55 kg/m2), senza differenze
statisticamente significative tra i 2 sessi.
Conclusioni: il percorso di ET ha determinato un significativo miglioramento della QoL, sia sotto il profilo
mentale che somatico, nonché delle abitudini alimentari. Tale risultato assume particolare rilevanza in
relazione al modesto decremento ponderale, riconducibile alla scarsa motivazione e dichiarata resistenza che i
soggetti hanno mostrato all’intervento dietoterapico. Occorre sottolineare la necessità di ottimizzare
l’integrazione del lavoro di nutrizionisti e psicologi, individuando nuove strategie d’intervento dietoterapico,
incentrate sul counseling, da utilizzare durante il percorso di ET.
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P15. Aumentati livelli di GLP-1 e GIP in soggetti con ipoglicemia reattiva
E. GRIFFO, R. LUPOLI, G. NOSSO, M. COTUGNO, C. IADAROLA, G. SALDALAMACCHIA, G. RICCARDI, B.
CAPALDO
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli, Federico II
Premesse: L’ipoglicemia reattiva (IR) o postprandiale è una sindrome caratterizzata da un abbassamento della
glicemia (<50 mg/dl) associato a sintomi adrenergici e/o neuroglicopenici, che insorge entro due (precoce) o
cinque (tardiva) ore dall’assunzione di un pasto, e da un eccessiva secrezione insulinica. Recentemente sono
stati di identificati alcuni peptidi noti come incretine, che vengono prodotti dall’intestino a seguito
dell’assunzione di un pasto ed in grado di stimolare la secrezione insulinica; tra questi, i principali sono il
glucagon-like peptide-1 (GLP-1) e il glucose-mediated insulinotropic polipeptide (GIP).
Obiettivo: Valutare la risposta del GLP-1 e del GIP al carico orale di glucosio in soggetti con IR rispetto a
soggetti di controllo.
Materiali e Metodi: Hanno partecipato allo studio 14 donne, di cui 6 con IR (età: 34±11 anni; IMC: 23±4
kg/m²) e 8 di controllo (età: 30±9 anni; IMC: 26±6 kg/ m²). Tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad un
carico orale di glucosio (OGTT, 75 g) con prelievi a digiuno e nelle 5 ore successive per la valutazione dei
livelli plasmatici di glicemia, insulina, GLP-1 e GIP.
Risultati: I livelli glicemici durante OGTT, erano più bassi nei soggetti con IR rispetto ai soggetti di controllo
(nadir glicemico: 47±12 a 240’ vs 66±8 mg/dl a 300’). Il picco di insulina è risultato più alto nei soggetti con
IR (89±67 µU/ml a 60’) rispetto ai soggetti di controllo (56±28 µU/ml al 90’). La risposta del GLP-1 all’OGTT
era più alta e più precoce nei soggetti con IR (picco massimo di 11±8 pmol/l a 30’) rispetto ai soggetti di
controllo (picco massimo 5±18 pmol/l a 120’). Anche la risposta del GIP mostrava lo stesso andamento (picco
massimo nei soggetti con IR 206±82 a 15’ e picco massimo nei soggetti di controllo 165±94 pg/ml a 90’).
Conclusioni: I soggetti con IR presentano livelli più alti di insulina, di GLP-1 e GIP durante OGTT rispetto
ai soggetti senza IR. L’aumentata produzione incretinica (GLP-1 e GIP) e il conseguente effetto insulinotropo
potrebbero essere responsabili del fenomeno dell’ipoglicemia reattiva. È importante, pertanto, attuare in questi
soggetti opportune strategie nutrizionali in grado di prevenire l’ipersecrezione incretinica e l’insorgenza
dell’ipoglicemia reattiva.
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P16. Effetti dell’integrazione con Myoinositolo in soggetti obesi affetti da tireopatie croniche resistenti
alla dieta: dati preliminari
D. METRO, M. PAPA, L. MANASSERI
Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini morfologiche e funzionali, AOU, Messina
Premesse: L’Inositolo è considerato un secondo messaggero nella trasduzione del segnale intracellulare. In
particolare l’Inositolo fosfoglicano è uno dei mediatori intracellulari del segnale insulinico ed è correlato con
l’insulino-resistenza nel Diabete di II tipo. Il Myoinositolo (MI) si è dimostrato efficace nel trattamento della
sindrome metabolica e nella prevenzione del diabete gestazionale in donne particolarmente a rischio.
Scopo: Scopo della presente nota è stato quello di esaminare l’effetto del MI in soggetti obesi affetti da
tireopatie croniche (in particolare da Tiroidite di Hashimoto), nei quali la sola dieta non ha dato grossi
miglioramenti.
Materiali e metodi: Sono state studiate 12 donne obese (BMI medio 37.55) di età media 45 aa affette da
Tiroidite di Hashimoto, sottoposte a terapia con Levotiroxina sodica (Eutirox). Sono state valutate le abitudini
alimentari ed effettuati i seguenti parametri antropometrici: Peso Corporeo (PC), BMI, Circonferenza vita
(CV). Le pazienti sono state sottoposte a dieta ipocalorica (1300-1400 Kcal), bilanciata, 20% protidi, 25%
lipidi, 55% glucidi, con apporto di vitamine e sali minerali, secondo i LARN. La dieta è stata somministrata a
tutte le pazienti per 6 mesi ed ha determinato una modesta riduzione del PC (5.6%) e della CV (2.1%).
Risultati: Il BMI è diminuito dal 37.55 al 35.44. Dopo sei mesi di sola dieta le pazienti sono state divise in
due gruppi: Ad un gruppo (A) costituito da 6 pazienti è stata somministrata la sola dieta; ad un secondo gruppo
(B), 6 pazienti, la dieta è stata integrata con mg 1100 di Myoinositolo. Nel gruppo A la sola dieta ha
determinato un modesto calo del PC (4.76%) e della CV (2.1%), con una diminuzione del BMI dal 34.54 al
33.75. Nel gruppo B il calo ponderale è stato del 19%, la CV è diminuita del 7.44%, ed il BMI dal 35.94 al
29.53.
Conclusioni: I risultati ottenuti suggeriscono che l’integrazione di una dieta ipocalorica con Myoinositolo
contribuisce alla riduzione del peso corporeo in soggetti obesi affetti da Tireopatie croniche.
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P17. Effetti del succo di Aloe Barbadensis Miller nei pazienti affetti da Tiroidite cronica
D. METRO, M. PAPA, L. LUCIBELLO1
Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini morfologiche
Messina;1Dipartimento di Chirurgia, A.O.R. Papardo-Piemonte, Messina
e
funzionali,
AOU,
Premesse: L’utilizzo dell’Aloe vera vulgaris (Aloe Barbadensis Miller), conosciuta come “pianta
dell’immortalità”, può essere fatto risalire a 6.000 anni fa, nell’antico Egitto, dove era stata raffigurata su
sculture in pietra.
Tradizionalmente questa pianta era usata localmente per curare le ferite e per diverse malattie della pelle,
oralmente sotto forma di succo, ma invece, manifesta anche proprietà lassative, antineoplastiche,
antiproliferative, antiossidanti e immunostimolanti (azione scavenger contro i radicali liberi).
L’azione antiproliferativa è dovuta a molecole antraceniche e antrachinoniche, mentre l’attività
immunostimolante è dovuta principalmente all’acemannano il quale svolge un'interessante azione antigenica
ovvero, essendo una molecola estranea all'organismo e facilmente assimilabile (idrosolubile), produce una
reazione immunitaria che stimola le cellule contro l'aggressione di vari agenti patogeni. Dettagliatamente il
meccanismo biologico anticancro può essere esercitato attraverso cellule effettrici pluripotenti come i
macrofagi. Nei macrofagi murini RAW 264.7 l’acemannano si è dimostrato essere un potente
antinfiammatorio stimolando la produzione di citochine (in particolare di interleuchina 6), di linfochine (in
particolare di TNFIn vivo l’aloe vera viene utilizzata nel trattamento di moltissime patologie acute e croniche e si è dimostrata
molto utile nel regolare e spesso fare scomparire la produzione di auto-anticorpi, per un effetto chiamato
immuno-modulante.
Scopo: Sulla base di queste precedenti esperienze abbiamo voluto studiare gli effetti del succo di Aloe vera su
un gruppo di pazienti affetti da Tiroidite cronica.
Materiali e metodi: Sono state esaminate 18 donne, non trattate farmacologicamente, affette da Tiroidite
Cronica Autoimmune e sono stati considerati i seguenti parametri: TSH, Tireoglobulina, Anticorpi ANTITireoglobulina, Anticorpi ANTI-Tireoperossidasi, FT3, FT4. Le pazienti sono state trattate con 50 ml di succo
puro di Aloe, somministrato al mattino, a digiuno, per sei mesi. A tre ed a sei mesi sono stati evidenziati una
significativa diminuzione del TSH e degli anticorpi ANTI-Tireoperossidasi ed un aumento dell’FT3 e
dell’FT4.
Risultati: I risultati ottenuti confermerebbero l’elevato potere antiflogistico di questa pianta, il cui utilizzo
potrebbe essere allargato anche in campo endocrinologico. Naturalmente occorreranno ulteriori indagini,
soprattutto a lungo termine.
Conclusioni: Dai dati attuali si evince già che i soggetti affetti da tiroidite cronica possono, utilizzando
regolarmente il succo di Aloe, allontanare i tempi di somministrazione delle terapie convenzionali.
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P18. Collagen VI myopathies: nutritional status evaluation
R. MORANDI1, S. TONI1, M. BUSACCHI1, L. TARDINI1, L. MERLINI2, N.C. BATTISTINI1, M. PELLEGRINI1
1
Laboratory of Nutrition and Lifestyle, Department of Diagnostic, Clinical and Public Health Medicine,
Modena, Italy; 2Laboratory of Musculoskeletal Cell Biology, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italy
Introduction: Collagen VI mutations lead to disabling myopathies like Bethlem Myopathy (BM) and Ullrich
Congenital Muscular Dystrophy (UCMD).
The molecular mechanism behind these pathologies has not been completely revealed yet and an effective
therapy to treat and manage collagen VI myopathies does not exist. In the last decade several studies have
demonstrated that nutritional status and body composition is strictly related to the clinical outcome and that a
nutritional intervention can be effective in the prevention and treatment of many diseases related to
metabolism, bioenergetics and even cancer.
Aims: We have investigated the nutritional and metabolic status of these patients in order to find a potential
metabolic target for a nutritional intervention.
Methods: In this report we have analyzed a population of seven BM subjects and one UCMD patient. For this
study we have used the standard anthropometric tools such as BMI evaluation and body circumferences
measurement. All the results have been compared to Dual Energy X ray Absorptiometry (DXA) that has been
used as the gold standard method. Energy intake of each patient has been evaluated through longitudinal
methods (7-day food diary) while Basal Energy Expenditure (BEE) has been predicted using specific equations
and measured by indirect calorimetry. Clinical outcome has been assessed by general and nutritional blood
and urine laboratory analysis and neurological examination (Mega-40).
Results: BM and UCMD patients show an altered body composition characterized by low Free Fat Mass
(FFM) and high Fat Mass (FM) percentage. Another main result is the negative correlation between BEE/FFM
ratio (basal energy expenditure pro kg of free fat mass) and the severity of the disease defined throughout
neurological tests (Correlation Coefficient -0.955, P value < 0.001).
Conclusions: We postulate that the increase of BEE (Kcal)/FFM (Kg) ratio in relation to the severity of the
disease may be due to an altered and pathophysiological loss of energetic efficiency at the expense of skeletal
muscle. We show that a specific metabolic disequilibrium is related to the severity of the disease and hence it
may represent a target for a nutritional intervention in these patients.
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P19. Valutazione nutrizionale e profilo metabolico in bambini affetti da fenilchetonuria: studio caso –
controllo
F. MORETTI, E. RIVA, N. PELLEGRINI1, F. SCAZZINA 1, E. SALVATICI, J. ZUVADELLI, A. RE DIONIGI, F.
BRIGHENTI1, M. GIOVANNINI, E. VERDUCI.
Clinica Pediatrica, Ospedale San Paolo, Dipartimento di Scienze della salute, Università degli Studi di
Milano; 1Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli studi di Parma
Premesse: L’alimentazione dei bambini affetti da fenilchetonuria (PKU) è costituita prevalentemente da
verdura, frutta, alimenti ipoproteici e miscele aminoacidiche prive di fenilalanaina.
Obiettivi: Valutare gli aspetti nutrizionali dell’alimentazione e il profilo metabolico di un gruppo di bambini
PKU confrontato con un gruppo di controllo.
Metodi: Sono stati reclutati 20 soggetti PKU e 20 controlli sani di pari sesso ed età (6-11anni). Tramite la
scomposizione di diari alimentari dei 3 giorni sono stati determinati l’introito calorico (kcal/die), l’apporto in
macronutrienti (gr e %), l’indice glicemico (IG), il carico glicemico (CG) e la densità energetica (DE, Kcal/g)
giornalieri. L’IG dei prodotti ipoproteici è stato analizzato presso il laboratorio di Nutrizione Umana del
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli studi di Parma. È stato valutato a livello ematico
il profilo lipidico, la glicemia e l’insulinemia. La sensibilità e la resistenza all’insulina sono state studiate
tramite il calcolo degli indici HOMA (HOmeostasis Model Assessment) e QUICKI (QUantitative InsulineSensitivity ChecK Index).
Risultati: I soggetti affetti da PKU, rispetto ai bambini sani, hanno mostrato giornalmente un più basso apporto
calorico (P=0.048) e proteico (%) (P<0.001) ed una maggiore assunzione di carboidrati (%) (P=0.004).
Rispetto ai controlli, nel gruppo PKU è risultato superiore il CG medio del pranzo (53.58 [8.02] vs 40.24
[14.30], P=0.011) e della cena (53.67 [14.92] vs 45.98 [13.44], P=0.047). Non sono emerse differenze
significative nell’IG e nel CG medi giornalieri. La DE media degli alimenti solidi è risultata più bassa nei PKU
rispetto ai bambini sani (P=0.032). Rispetto ai controlli, nel gruppo PKU sono risultati più bassi i valori
insulinemici (4.61 [2.35] vs 6.04 [1.18] mU/L, P=0.05) e di indice HOMA (0.87 [0.44] vs 1.18 [0.29], P=0.050)
e più alti i valori di indice QUICKI (0.40 [0.03] vs 0.37 [0.01], P=0.050).
Conclusioni: L’apporto energetico e di macronutrienti dei bambini PKU risulterebbe più in linea con i valori
di riferimento per la popolazione italiana pediatrica (LARN 2012) rispetto ai controlli. Questo si rifletterebbe
in un miglior pattern glucidico-insulinemico. E’ necessario comunque porre maggiore attenzione alla qualità
dell’apporto glucidico giornaliero, in modo particolare la qualità dei prodotti ipoproteici, focalizzandosi
maggiormente sul quantitativo di fibra.
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P20. Nutritional status in depressed and not-depressed young females
E. MUSCARIELLO, G. NASTI, R. BATTINELLI, T.PORTOGHESE, T. NOVELLINO, M. DI MARO, L.
PETAGNA, A. COLANTUONI
Department of Clinical Medicine and Surgery, “Federico II” University Medical School, Naples, Italy
Background: Previous studies indicate a correlation between eating disorders and nutritional status. It is well
known that eating disorders were associated with depressive symptoms and obesity or underweight.
Aim: This study was aimed to assess the prevalence of depressive disorders in young obese females and to
evaluate the effects of hypocaloric diet on nutritional status and depression.
Methods:129 patients, >18 years old, attending Outpatient Clinics of the Department of Clinical Medicine and
Surgery, were studied. Nutritional status was evaluated by anthropometric measurements: weight, Body Mass
Index (BMI), waist circumference (WC), hip circumference (HC), triceps skinfold (TS); bioimpedance
analysis was performed before and after dieting. Psycometric test SDS (Zung Self-Rating Depression Scale:20
items) was performed to evaluate depression symptoms and was carried out before and after 3 month diet
treatment. Each question is scored on a scale of 1 through 4. Patients were classified according to SDS score
in three ranges: 20-43 Normal Range(NR),44-67 Moderately Depressed (MD)68-80 Severely Depressed (SD).
Results: 47 females (36,4%) were NR, 79 were MD (61,2%) and 3(2,3%) were SD . NR group showed a a
significant improvement in nutritional status after diet. We observed a reduction in BMI (30,2±4,8vs32,3±5,6
Kg/m2), WC (92,5±11,4vs98±12,4 cm), HC (107,9±9,2vs111,8±9,9 cm) and TS (26,2±6,7vs28,1±6,49 mm)
baseline;body composition was improved with reduction in Fat mass (36,1±6,6vs38,5±5,9 %), and increase of
Total Body Water (46,7±4,8vs44,9±4,4 %)and Fat Free Mass (63,8±6,7vs61,4± 5,9 %)baseline p<0,01.SDS
test didn’t showed significant changes in the score (36±4,4vs37,6±5,3). MD group showed a significant
reduction in BMI (31,5±6,9vs 33,0±6,6 Kg/m2), WC (93,7±13,8vs98,7±13,9 cm), HC
(107,0±16,6vs112,4±112,8 cm), TS (27,7±6,5vs30,8±6,2 mm)baseline, and an increase of Total Body Water
(46,2±5,3vs44,5± 5,0 %) and Fat Free Mass (62,9±7,16vs60,8± 6,8%).Fat mass was significantly reduced
(36,8±7,2vs39,1±6,8%) as well as SDS test (45,3±8,18v 51,3±6,2)p<0,01.
Conclusion:The majority of obese patients is moderately depressed. Hypocaloric diet induced an improvement
in nutritional status in all groups and leads to a reduction of depressive symptoms.
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P21. Stato funzionale e rischio nutrizionale in anziani istituzionalizzati
E. POGGIOGALLE1, A. FORMICONI2, L.M. DONINI1, A. MOLFINO2, F. ROSSI FANELLI2, M. MUSCARITOLI2
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica, Scienza dell’Alimentazione ed
Endocrinologia, Università di Roma “Sapienza”; 2Dipartimento di Medicina Clinica, Università di Roma
“Sapienza”.
1
Premesse: Lo Stato di Nutrizione svolge un ruolo fondamentale nel determinare il livello di prestazione fisica
e di autonomia in età geriatrica. Scopo di questo studio è stato quello di esplorare il rapporto tra rischio
nutrizionale e stato funzionale in anziani istituzionalizzati .
Metodi: 250 soggetti, 168 donne e 82 uomini (di età media pari a 82,4±10 e 76,2±11 anni, rispettivamente),
sono stati reclutati in diverse RSA della Regione Lazio. Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad una valutazione
geriatrica multidimensionale. Il rischio nutrizionale è stato valutato utilizzando tre diversi strumenti di
screening [Mini Nutritional Assessment (MNA), Malnutrition Universal Screening Tool (MUST) e Nutritional
Risk Screening (NRS-2002) ]. I soggetti sono stati classificati come ad elevato rischio di malnutrizione se
presentavano un punteggio al MNA <17, o al MUST ≥ 2, o al NRS 2002 ≥ 3. Lo stato funzionale è stato
valutato mediante la scala delle ADL (attività della vita quotidiana). È stato definito un valore soglia per un
significativo impairment funzionale se i soggetti presentavano uno score alle ADL < 6 o una perdita di almeno
3 funzioni su 6.
Risultati: Un significativo impairment funzionale era presente soprattutto nei soggetti con elevato rischio
nutrizionale valutato con il MNA (34,6% vs 7,5% nei soggetti con basso rischio di malnutrizione; p <0,0001).
Nel 61,1% dei soggetti considerati ad elevato rischio di malnutrizione al MNA, è stata osservata una perdita
di almeno 3 funzioni alle ADL (contro uno 0% negli individui con basso rischio di malnutrizione; p <0,0001).
Simili differenze statisticamente significative (p <0.001) sono stati riportate utilizzando il MUST o il NRS2002 per la valutazione del rischio nutrizionale, sia per quanto riguarda lo score che il numero di funzioni perse
alle ADL.
Conclusione: Negli anziani istituzionalizzati , è confermata un'associazione tra stato di nutrizione e stato
funzionale. Tale associazione è indipendente dallo strumento di screening nutrizionale utilizzato. Negli anziani
istituzionalizzati si conferma l’assoluta necessità di una valutazione multidimensionale che comprenda sia la
valutazione nutrizionale che quella funzionale.
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P22. Efficacia di un programma di educazione nutrizionale in pazienti in riabilitazione cardiologica ad
un anno dalla dimissione
E. RAFANELLI, B. BIFFI, E. GRAZIANO, E. SARLI, M.L.E. LUISI.
Fondazione Don Carlo Gnocchi IRCCS, Firenze.
Premesse: L’alimentazione ha un ruolo cruciale nella prevenzione di molte patologie tra cui quelle
cardiovascolari. Esiste una buona evidenza che fornire consigli dietetici a persone con patologia
cardiovascolare possa ridurre mortalità, morbilità e fattori di rischio.
Obiettivi: Obiettivo di questo lavoro è stato valutare come un programma strutturato di educazione alimentare,
che preveda anche un rinforzo educazionale dopo la dimissione dal reparto di riabilitazione cardiologica della
Fondazione don Gnocchi IRCCS di Firenze, possa modificarne le abitudini alimentari.
Metodi: Sono stati arruolati 133 pazienti (99 maschi, 34 femmine) in riabilitazione cardiologica, randomizzati
in 2 gruppi: 66 casi, 67 controlli. Tutti i pazienti hanno seguito due seminari focalizzati sulle corrette abitudini
alimentari ed è stata fatta loro una valutazione nutrizionale durante il ricovero (T0) che ha previsto: misura del
peso, dell’altezza (calcolo BMI), somministrazione di un questionario validato sulle abitudini alimentari
(Indali) per valutare l’introito calorico giornaliero medio. Le medesime valutazioni sono state effettuate in
entrambi i gruppi a 12 mesi (T2) dalla dimissione; in più il gruppo dei casi ha avuto un follow-up ed un rinforzo
educazionale a 6 mesi dal ricovero (T1).
Risultati:
Differenza tra i gruppi
Gruppo controllo
Gruppo intervento
Parametri
Bodyweight
(kg)
BMI
(kg/m2)
Energia
(Kcal)
Controlli
Casi
T0
T2
T0
T2
p (**)
p (**)
77.56 ± 13.28
76.33 ± 12.27
79.29 ± 13.62
76.66 ± 12.7
0.052
0.001
27.5 ± 4.20
27.11 ± 3.93
28.73 ± 4.05
27.82 ± 3.97
0.074
0.001
2112,58±509,5
2117,0±502,8
2218,03±567,0
1726.8±495.5
0.926
0.001
Dai dati emerge che nel gruppo di intervento ad un anno dalla dimissione si riducono l’intake calorico e di
conseguenza il peso e quindi il BMI.
Conclusioni: L’educazione nutrizionale è fondamentale per i pazienti cardiopatici al fine di gestire alcuni
fattori di rischio come l’obesità, ma la motivazione a modificare il comportamento e a mantenere i cambiamenti
diminuisce nel tempo ed è quindi importante rinforzare l’educazione alimentare dei pazienti nel tempo al fine
di ottenere un cambiamento duraturo delle abitudini e dei comportamenti alimentari.
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ISBN 978-88-97843-14-6
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P23. Contenuto in microelementi e vitamine nelle miscele per la nutrizione enterale: confronto con i
LARN
C. SCANZANO, R. IACONE, E. PASTORE, A. D'ISANTO, L. SANTARPIA, F. PASANISI, F. CONTALDO
Medicina Interna ed Area Centralizzata di Nutrizione Clinica – Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico
II”, Napoli Italia
Premesse: Il contenuto in micronutrienti nelle miscele per la nutrizione enterale deve rispettare i valori
stabiliti dalla Direttiva Europea 1999/21/EC. Per i valori fissati in questa direttiva tale contenuto di norma
eccede i valori di riferimento per la popolazione sana.
Obiettivi: Questo studio confronta il contenuto in micronutrienti nelle miscele enterali con i LARN.
Metodi: Sono state esaminate sessantatre miscele che corrispondono a quelle più comunemente usate per la
nutrizione enterale. Le quantità di micronutrienti sono state calcolate moltiplicando, per ciascun prodotto, il
valore riportato sull’etichetta nutrizionale per la dose giornaliera abitualmente assunta dai pazienti in
nutrizione enterale (1500-2000 Kcal/giorno).
Risultati: Fissando i LARN al 100% per ciascun micronutriente, il contenuto medio degli oligoelementi nelle
sessantatre diete alle due dosi giornaliere, confrontato ai LARN, è riportato di seguito:
%
Ferro
180-240
Selenio 164-218
Fluoruro 49-63
Zinco
Manganese
%
179-242
152-204
Rame
Cromo
Il contenuto medio delle vitamine alle due dosi era:
%
%
A
251-335 D
100-133 E
C
179-239 B1
200-270 B2
B12
183-250 Niacina
144-189 Acido
Folico
Biotina 227-303
%
244-322
444-592
%
256-344
179-241
105-140
Iodio
Molibdeno
K
B6
Acido
Pantotenico
%
123-164
329-440
%
54-72
175-231
176-236
Inoltre, per diverse miscele nutrizionali alla dose di 2000 Kcal/giorno, il contenuto di zinco, rame e vitamina
A eccedeva il livello massimo tollerabile di assunzione indicato dai LARN.
Conclusioni: Il confronto tra il contenuto in micronutrienti in una vasta gamma di formule enterali ed i LARN
evidenzia una assunzione insufficiente di fluoruro e vitamina K ed una assunzione eccessiva di tutti gli altri
micronutrienti, in particolare cromo e molibdeno. Sebbene alcuni pazienti in nutrizione enterale richiedano un
aumento dell’assunzione di micronutrienti dato l’aumentato fabbisogno, la maggior parte dei pazienti in
condizioni cliniche stabili e senza rilevanti malattie metaboliche ha lo stesso fabbisogno della popolazione
generale. Poiché gli effetti a lungo termine di un’eccessiva assunzione di questi micronutrienti non sono ancora
noti, così come i livelli massimi tollerabili di assunzione per le vitamine C, B1, B2, B12, Acido Pantotenico,
Biotina e gli oligoelementi Ferro, Manganese e Cromo, la nostra indagine indica l’opportunità di una revisione
del contenuto in micronutrienti nelle miscele utilizzate per la nutrizione enterale, secondo le reali necessità
nutrizionali dei pazienti.
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P24. Cardiovascular benefits from old grain varieties: finding from a double-blinded randomized
controlled dietary trial
A. SERENI1, F.SOFI1-3, E.PELLEGRINO4, A.M.GORI1, A.CASINI2, R.ABBATE1, G.F.GENSINI1,3, E.BONARI4
1
Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Florence; 2Unit of Clinical Nutrition,
Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence; 3Don Carlo Gnocchi Foundation, ONLUS IRCCS,
4
Florence, Italy;
Institute of Life Sciences, Scuola Superiore Sant’ Anna, Pisa
Background and Aim: Ancient grains have been recently shown to have some beneficial effects on health.
Aim of this study was to evaluate the effect of a replacement diet with bread derived from 3 different ancient
grain varieties on cardiovascular risk profile.
Methods: Forty-five subjects (median age 50.1 years) were included in a randomized, double-blinded crossover trial. Participants were assigned to consume bread obtained by 3 ancient (Verna, Gentil Rosso, Autonomia
B) and 1 modern variety of grain for 8 weeks in a random order. A 8 week washout period was implemented
between the two interventions. Blood analyses were performed at the beginning and at the end of each
intervention phase. Endothelial Progenitor Cells (EPCs), Circulating Progenitor Cells (CPCs) and Circulating
Endothelial Cells (CECs) were assessed using flow cytometry.
Results: Consumption of bread obtained by the old varieties reported a significant amelioration of some
cardiovascular parameters. Indeed, “Verna” variety determined a significant reduction of total cholesterol (pre:
214.5 mg/dL vs post: 208 mg/dL; p=0.03), low density lipoprotein (LDL)-cholesterol (pre: 132.9 mg/dL vs
post: 127.8 mg/dL; p=0.03) and blood glucose (pre: 0.89 g/L vs post: 0.84 g/L; p=0.003) whereas “Gentil
Rosso” and “Autonomia B” determined a significant reduction of total cholesterol (pre: 218.6 mg/dL vs post:
201.6 mg/dL; p=0.001) and LDL-cholesterol (pre: 130.1 mg/dL vs post: 121.9 mg/dL; p=0.04). No significant
differences during the intervention phase with the modern variety have been reported. With regard to CPCs,
the intervention period with “Verna” showed a significant increase by +9.6% of CD34+ (p=0.04), and by
+18.1% of CD133+ (p=0.02).
Conclusion: The present results suggest that a dietary consumption of bread obtained from old grain varieties
could be effective in reducing cardiovascular risk factors, by also inducing an improvement of CPC.
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P25. A Khorasan wheat-based replacement diet improves risk profile of patients with acute coronary
syndrome: A randomized crossover trial
F.SOFI1-3, A.WHITTAKER4, C.FIORILLO5, M.BECATTI5, E.RAFANELLI3, M.L.E.LUISI3, A.M.GORI2,
R.ABBATE2, G.F.GENSINI2,3, S.BENDETTELLI4, A.CASINI1
¹
Unit of Clinical Nutrition, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence; 2Department of
Experimental and Clinical Medicine, University of Florence; 3Don Carlo Gnocchi Foundation, ONLUS
IRCCS, Florence, Italy; 4 Department of Agrifood Production and Environmental Sciences, University of
Florence; 5 Department of Clinical and Experimental Biomedical Sciences, University of Florence
Background and Aim: Khorasan wheat is an ancient grain with previously reported health benefits in
clinically healthy subjects. The aim of this study was to examine whether a replacement diet with products
made with such wheat could provide additive protective effects in reducing lipid, oxidative and inflammatory
risk factors also in patients with Acute Coronary Syndromes (ACS).
Materials and Methods: A randomized, double-blinded crossover trial with two intervention phases was
conducted on 22 ACS patients (9 F, 13 M). The patients were assigned to consume products (bread, pasta,
biscuits and crackers) made either from organic semi-whole Khorasan wheat or organic semi-whole control
wheat for 8 weeks in a random order. An 8-week washout period was implemented between the respective
interventions. Blood analyses were performed at both the beginning and end of each intervention phase.
Results: Consumption of products made with Khorasan wheat determined a significant amelioration of several
key markers, such as total cholesterol (- 6.8%), LDL-cholesterol (-8.1%) glucose (-8%) and insulin (-24.6%),
independently from age, sex, traditional risk factors, medications and diet quality. Similarly, significant
reductions in production of reactive oxygen species and lipoperoxidation of circulating monocytes and
lymphocytes, as well as in the levels of the Tumor Necrosis Factor-alpha, were shown after the replacement
diet with Khorasan wheat products. On the other hand, no significant differences were observed after the
intervention phase with products made with the control wheat.
Conclusions: The present results suggest that a replacement diet with cereal products made from Khorasan
wheat provides additional protection in patients with ACS. Circulating cardiovascular risk factors, including
lipid parameters, and markers of both oxidative stress and inflammatory status, were reduced, irrespective of
the number and combination of medicinal therapies with proven efficacy in secondary prevention.
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P26. Inquadramento metabolico-nutrizionale in pazienti sottoposti a resezione epatica
V. TAMBURELLI.
Università degli Studi di Firenze
Premesse: Dopo l’epatectomia, il fegato si rigenera e gradatamente raggiunge pressoché le stesse dimensioni
precedenti l’intervento e, in questo periodo di “ricrescita”, vi è un’intensissima attività di sintesi cellulare che
richiede una grande disponibilità di substrati. Inoltre l’organismo, dopo l’intervento di chirurgia maggiore, si
trova in una fase acuta che richiede già di per sé una disponibilità di substrati aumentata per processi difensivi
e riparativi. Diventa quindi critica la necessità di fornire all’organismo di questi pazienti un congruo apporto
nutrizionale, per sostenere le funzioni dell’organismo e prevenire l’insorgenza di complicanze, in particolare
di tipo settico e al momento attuale, non vi è sufficiente disponibilità di informazioni di tipo metaboliconutrizionale sulla fase delicata e cruciale di transizione in cui i pazienti vengono rialimentati.
Obiettivi: Lo scopo dello studio è stata la necessità di approfondire le conoscenze sulla fase di recupero postoperatorio di pazienti sottoposti a interventi sul fegato dal punto di vista metabolico-nutrizionale.
Metodi:
- Dati antropometrici;
- Stato nutrizionale;
- Analisi dell’impedenziometria corporea mediante BIA;
- Esami ematochimici;
-Calcolo della quantità percentuale di razione alimentare giornaliera effettivamente assunta.
Risultati: Lo studio ha messo in luce aspetti poco conosciuti riguardo all’inquadramento metaboliconutrizionale di pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia epatica, mentre ha confermato che la chirurgia
maggiore induce uno stato di catabolismo importante; contribuisce quindi a ribadire e sottolineare l’importanza
di un adeguato apporto nutrizionale in questa tipologia di pazienti. Dai risultati emerge che la quantità di cibo
che viene effettivamente assunta, al momento della ripresa dell’alimentazione per os, è ridotta in tutti i pazienti,
ma è ancora più scarsa proprio in coloro che hanno subito una resezione epatica, nei quali la disponibilità di
substrati deve essere garantita con maggiore attenzione e rigore. Dal presente studio emerge l’importanza che
tali pazienti vengano attentamente seguiti dal punto di vista nutrizionale, eventualmente con un’adeguata
preparazione dietologica preoperatoria, per poter compensare carenze ed ottimizzare l’apporto nutrizionale.
Conclusioni: Il lavoro che ho eseguito ha proposto un protocollo di monitoraggio, e ha dimostrato la
particolare importanza che riveste la figura del dietista nel “team” del reparto.
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P27. Valutazione dello stato di nutrizionale nel paziente in emodialisi: un approccio basato
sull’Educazione Alimentare
V. VALLE1, F. GALLO1, C. BORGARELLI1, C. MARCHELLO1, A. PARODI2, P. ANCARANI2, G. PISTONI2, M.
FERRARI BRAVO3
S.S.D Dietetica e Nutrizione Clinica1, S.C. Nefrologia e Dialisi2 ASL 4 Chiavarese, Distretto sociosanitario
n° 14 – Tigullio Occidentale3, Istituto di appartenenza: S.S.D Dietetica e Nutrizione Clinica, ASL 4
Chiavarese, Ospedale di Sestri Levante
Premesse: La malnutrizione proteico – calorica (MPC) gioca un ruolo decisivo nell’aumentata morbilità e
mortalità nei pazienti in emodialisi ed è caratterizzata da alterazioni biochimiche, antropometriche e funzionali.
La MPC è secondaria a: alterazioni del metabolismo proteico, stato ipercatabolico, persistente tossicità
uremica. Diverse metodiche, valutano lo stato nutrizionale, ma nessuna ha i requisiti da sola per la completa
valutazione dello stato nutrizionale. Abbiamo valutato prospetticamente lo stato nutrizionale di una
popolazione di emodializzati in dialisi cronica per individuare la prevalenza di MPC basale e la validità di un
intervento mirato sull’educazione alimentare del paziente.
Obiettivi: Migliorare lo stato nutrizionale e l’outcome del paziente dializzato, prevenire e trattare la
malnutrizione, migliorare il decorso clinico e la prognosi, ridurre significativamente la morbilità e la mortalità,
scongiurare l'instaurarsi di complicanze e quindi ridurre le spese correlate all' ospedalizzazione.
Metodi: Abbiamo valutato per 8 mesi 23 pazienti (13 F, 14 M, età media 74 aa), in dialisi stabilmente da 12
mesi. Mensilmente i dietisti hanno valutato i parametri antropometrici, biochimici e test sulla qualità della vita
(SGA) e nei casi di MPC hanno fornito indicazioni dietetiche e integrazioni nutrizionali. L’adeguatezza
dialitica è stata valutata con il Kt/V mediante formula di Daugirdas semplificata.
Risultati: Al T0 abbiamo evidenziato che tutti i pazienti erano moderatamente malnutriti (SGA 7-35). In tutti
i pazienti è stato quindi effettuato l’intervento nutrizionale. Al termine dello studio abbiamo ottenuto un
significativo miglioramento dello stato nutrizionale (SGA = 10.5, p < 0.04) con riduzione dell’acqua corporea
(TBW = 21.6, p< 0.05), legato però ad un aumento del BMI (24.6, p < 0.0125) e della massa grassa (FM =
14.5, p < 0.0018). Abbiamo inoltre evidenziato un trend non statisticamente significativo del Kt/V e dei
parametri biochimici di nutrizione.
Conclusione: L’intervento nutrizionale, con l’integrazione di amminoacidi essenziali è stato efficace nel
prevenire la MPC, ma non nel migliorare il profilo metabolico dei pazienti. Sarà necessario un approccio
educativo più precoce che inizi già nelle fasi iniziali di IRC, con una personalizzazione del piano nutrizionale
per ogni singolo paziente.
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P28. L’intervento nutrizionale nel paziente affetto da SLA: Esperienza dell’ambulatorio
multidisciplinare dell’ASL 4 Chiavarese
V. VALLE1, F. GALLO1, C. BORGARELLI1, C. MARCHELLO1, R. BOICELLI1, M.C. VACCARO1, N. PIZIO2
S.S.D Dietetica e Nutrizione Clinica1, S.C. Neurologia2 ASL 4 Chiavarese; Istituto di appartenenza: S.S.D
Dietetica e Nutrizione Clinica, ASL 4 Chiavarese, Ospedale di Sestri Levante
Premesse: La SLA è una delle poche malattie che rappresentano un progressivo coinvolgimento patologico
del corpo umano che contrasta assurdamente con un lucido e frustante stato di coscienza del paziente. Il
paziente affetto da SLA assiste lucidamente al suo inesorabile e progressivo tramonto. L’obbiettivo
dell’intervento nutrizionale dei pazienti affetti da SLA è quello di scongiurare l’instaurarsi di uno stato di
malnutrizione, problematica che molto spesso è sottovalutata ma che impatta notevolmente sulla vita dei
pazienti e della famiglia, essendo un fattore riconosciuto di morbosità e mortalità.
Obiettivi: L’obiettivo primario dello studio è stato quello di valutare gli effetti dell’intervento nutrizionale,
dei pazienti affetti da SLA che afferiscono all’ambulatorio multidisciplinare dell’Asl 4 Chiavarese, in
particolare grazie all’esame impedenziometrico abbiamo puntato a valutare le modificazioni nel tempo dalla
FFM, FM e dell’angolo di fase relazionandole alla la dieta, al posizionamento della PEG e della progressione
della malattia.
Metodi: Lo studio è stato condotto per un totale di 12 mesi, da novembre 2011 a ottobre 2012. Un requisito
fondamentale nella scelta della casistica è stato quello di avere a disposizione un esame impedenziometrico
eseguito al momento del primo accesso all’ambulatorio multidisciplinare SLA. Durante il periodo di
osservazione, ad ogni paziente e ad ogni accesso in ambulatorio, è stato eseguito l’esame impedenziometrico,
la valutazione antropometrica e l’analisi degli introiti calorici.
Risultati: Nell'esperienza del gruppo di lavoro dell'ambulatorio multidisciplinare, abbiamo potuto constatare
che grazie ad un intervento nutrizionale precoce è possibile scongiurare o comunque ritardare il più possibile
l’instaurarsi di uno stato di malnutrizione, in quanto nei pazienti che si alimentano per os i valori di angolo di
fase, di FFM e di FM sono pressoché rimasti costanti nel tempo di osservazione questo grazie ad un intervento
nutrizionale equilibrato sia dal punto di vista quali-quantitativo che all’adeguamento della consistenza dei cibi
in relazione al grado di disfagia. Nei pazienti in nutrizione enterale totale abbiamo notato un
mantenimento/miglioramento dell’angolo di fase tra i 2,6° e i 4,5°, il mantenimento o in certi casi un aumento
della FFM di almeno 1kg e il mantenimento della FM per un periodo protratto di 6 mesi – 1 anno.
Conclusione: Con questo, abbiamo potuto concludere come un intervento tempestivo dal punto di vista
nutrizionale, prima con una corretta alimentazione per os e poi con una nutrizione enterale assistita, sia il punto
di partenza per migliorare la qualità della vita a questi pazienti e possa tardarne il più possibile il progredirne
delle complicanze. Questo garantisce che in ogni fase della malattia il malato abbia a disposizione il migliore
supporto alimentare, nutrizionale e metabolico possibile, attraverso il ricorso alla dieta personalizzata,
adeguatamente supplementata o integrata con prodotti specifici. Tale atteggiamento è coerente con la necessità
di una presa in carico globale del malato, attuabile solo attraverso un percorso ‘parallelo’ multidisciplinare e
multi professionale.
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P29. Una corretta prevenzione e un corretto stile di vita portano a un ridotto gestational weight gain
(GWG) in donne gravide con BMI > 25 kg/m2
V. BERTARINI¹, C. CICCHETTI¹, I. NERI², F. FACCHINETTI², E. PETRELLA², N. C. BATTISTINI¹ AND M.
MALAVOLTI¹
¹Dietary Technical and Science Applied Chair, Department of Diagnostic, Clinical Medicine and Public
Health, University of Modena and Reggio Emilia; ²Ginecology and Obstetrics Unit, Department of Maternal
and Child, University of Modena and Reggio Emilia
Introduzione: L’elevato indice di massa corporea (BMI) pregravidico e l’eccessivo aumento di peso in
gravidanza (GestationalWeight Gain, GWG) sono correlate a complicanze materno-fetali. Scopo dello studio
è determinare l’effetto sulla composizione corporea di un programma che prevede: educazione alimentare ed
esercizio fisico in donne gravide con BMI pregravidico > 25 kg/m2 utilizzando la bioimpediometria (BIA) e
il senseweararmband (SWA).
Materiali e metodi: Sono statereclutate 60 gravide sovrappeso e obese (BMI> 25 kg/m2). A tali donne sono
state fornite indicazioni di praticare attività fisica moderata con regolarità (30 minuti di camminata per 3 volte
la settimana) e di seguire un corretto regime alimentare (1500 kcal/die + 200 kcal per le obese e 1500 kcal/die
+ 300 kcal per le sovrappeso). Peso, GWG e composizione corporea (FM=massa grassa e FFM=massa magra)
sono stata misurate all’arruolamento (prima della 12° settimana) alla 16°, 20°, 32° e 36° settimana, prima del
parto e 12 settimane dopo il parto. All’arruolamento, alla 20°a alla 36° settimana gestazionale è stato richiesto
loro di indossare SWA per 4 giorni consecutivi. Le pazienti all’arruolamento e alla 36° settimana hanno
compilato un questionario sull’alimentazione (Food Frequency Questionnarire, FFQ). Sono state escluse
pazienti con patologie croniche.
Risultati: GWG al momento del parto è stato 12.6 ± 5.4 kg per le sovrappeso, 9.0 ± 8.0 kg per le obese e 3.3
± 5.3 kg per le grandi obese (BMI pregravidico ≥ 40kg/m2). Di tutte le donne 9 sovrappeso (60.0%), 22 obese
(66.7%) e 10 (90.9%) con BMI ≥40 kg/m2 sono rimaste entro le raccomandazioni dell’ Institute of Medicine
(IOM). FM e FFM sono aumentate significativamente durante la gravidanza (FFM =53.4 ± 6.1 to 56.9 ± 6.5;
FM= 40.9 ± 12.8 to 44.1 ± 11.8, p< 0.05) per tutte le donne anche suddividendole per gruppi di BMI. L’unico
aumento non significativo è stato per la FM a livello delle gambe delle grandi obese (FM= 23.7 ± 4.9 to 25.2
± 7.1).Sono state registrate modificazioni significative delle abitudini alimentari: migliore suddivisione dei
pasti durante la giornata, aumento dell’ assunzione di frutta-verdura e riduzione del consumo di zucchero. La
curva di regressione (CI 95% = -1.65 -0.54; r = -1.10, p = 0.001) dimostra che più le donne seguivano la dieta
minore è stato il loro GWG. I dati misurati dallo SWA dimostrano che tutte hanno svolto costantemente attività
motoria durante la gravidanza rimanendo all’interno del GWG raccomandato.
Conclusione: Nelle gravide con BMI >25 kg/m2 un intervento precoce a inizio gravidanza che comprenda la
restrizione calorica, la modificazione delle abitudini alimentari ed una attività fisica lieve, è stato in grado di
contenere l’incremento ponderale in gravidanza.
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P30. Meno Sale Più Salute nel Progetto OKkio alla Ristorazione della Regione Lazio
G. CAIRELLA1, M.T. PANCALLO2, G. UGOLINI3, M.N. GIORGI4, E. CAPPELLANO5, M. MAGNANO SAN LIO6,
F. FANTINI7, A. DE CAROLIS8, V. GALANTE9, T. SEVERI10, D. DE SANTIS11, F. QUADRINO12, A.
VITAGLIANO12
1
UOC SIAN ASL RMB; 2 UOC SIAN ASL RMA; 3 UOC SIAN ASL RMC; 4 UOC SIAN ASL RMD; 5 UOC SIAN
ASL RME; 6 UOC SIAN ASL RMF; 7 UOC SIAN ASL RMG; 8 UOC SIAN ASL RMH; 9 UOC SIAN ASL LT; 10
UOC SIAN ASL RI; 11 UOC SIAN ASL VT; 12 Direzione Regionale Salute ed Integrazione Sociosanitaria,
Regione Lazio
Premesse: Il Progetto “OKkio alla Ristorazione”, approvato dal CCM - Centro Nazionale per la Prevenzione
ed il Controllo Malattie – Ministero della Salute, mira a sviluppare una fattiva collaborazione tra Servizi Igiene
Alimenti e Nutrizione (SIAN) e Aziende di Ristorazione Collettiva (ARC), per promuovere l’adozione di
corretti stili alimentari da parte degli utenti della Ristorazione Collettiva. Il Progetto è realizzato - oltre che
nella Regione Lazio - in altre cinque Regioni: Sicilia (Regione capofila), Campania, Emilia Romagna, Marche,
Veneto. Per la Regione Lazio, realizzano il progetto i SIAN delle ASL con il coordinamento scientifico della
ASL Roma B; nella Regione Lazio collaborano ed hanno aderito ad oggi al progetto 24 ARC che operano nel
settore delle mense aziendali che riguarda più di 60.000 adulti in età lavorativa.
Obiettivo: Migliorare l’offerta nutrizionale e l’adesione a stili nutrizionali più salutari nella ristorazione
dedicata alle mense aziendali tramite la realizzazione di: una banca dati sulla sicurezza nutrizionale nelle ARC;
corsi di formazione diretti agli OSA; iniziative per aumentare l’adesione dei consumi alle linee di indirizzo
comunitarie e nazionali; campagne informative dirette alla popolazione target: gli adulti in età lavorativa e le
loro famiglie.
Metodi e Risultati: Il progetto OKkio alla Ristorazione ha aderito nel 2013 e 2014 alla campagna di
comunicazione SINU “Meno Sale Più Salute” integrando gli aspetti relativi alla riduzione del sale con la
promozione dell’uso del sale iodato nella ristorazione collettiva; nel 2013 la Regione Lazio ha realizzato la
campagna informativa meno sale ma iodato nelle mense aziendali tramite la distribuzione di poster, depliantes
e slide. I dati raccolti da ciascun referente aziendale sono stati consegnati al referente scientifico che ne ha
curato l’elaborazione. Hanno aderito n 38 ARC per un totale di n. 157 mense interessate di e n. 46.252 utenti
coinvolti nella campagna informativa. Tra queste ARC, quelle aderenti al progetto OKkio alla Ristorazione
sono state 20 per un totale di n. 165 mense interessate e n. 46.500 utenti coinvolti nella campagna informativa.
Una precedente valutazione nella Regione Lazio ha evidenziato che più del 60% degli utenti ha acquisito nuove
conoscenze e – tra questi – il 40% riferisce nuovi comportamenti nella scelta degli alimenti in base
all’etichettatura.
Conclusioni: Il progetto OKkio alla Ristorazione si sta rivelando, sin dalla fase di avvio, sostenibile per agire
efficacemente e con costi contenuti su ampie fasce di popolazione target e, di conseguenza, ci si aspetta che
possa incidere significativamente sia sulla promozione della sana alimentazione che sulla prevenzione del
gozzo endemico.
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SINU RIUNIONE NAZIONALE 2014 - ATTI
P31. Progetto “Meno sale più salute”. Razionale, Metodi e Risultati preliminari
L. D’ELIA, C. IANNOTTA, P. SABINO, M. SCHIANO DI COLA, G. ROSSI, I. SAVINO, F. GALLETTI, P.
STRAZZULLO
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università di Napoli “Federico II”
Premesse: Numerosi studi dimostrano un effetto diretto di diete ad elevato contenuto di sale sul rischio di
patologie cardiovascolari.
Obiettivi: A seguito dell’iniziativa MINISAL, volta a valutare il consumo di sale con la dieta in un campione
di popolazione italiano, che ne ha evidenziato un eccessivo consumo quotidiano, è stato pianificato un progetto
dal titolo “Meno Sale Più Salute”, con lo scopo di valutare la fattibilità, l’accettabilità e la sicurezza di una
strategia di una moderata e graduale riduzione del consumo di sale (15% in un anno) in una piccola comunità
della Campania (Cilento).
Metodi: Lo studio si basa sul confronto tra i risultati ottenuti nella comunità di intervento e quelli osservati in
un’altra comunità di controllo, con caratteristiche demografiche, stili di vita e abitudini alimentari simili. Il
principale indicatore del risultato è dato dal confronto della variazione registrata nella escrezione urinaria
media di sodio nelle 24 ore, tra l’inizio e la fine dello studio nelle due comunità oggetto dell’intervento.
L’intervento si basa sulla collaborazione e l’interazione tra i diversi soggetti coinvolti: autorità locali, opinion
leader, medici di medicina generale, operatori locali di salute pubblica, produttori alimentari locali,
supermercati alimentari, ristoranti, società di catering, scuole etc. Inoltre, un ruolo cruciale sarà svolto
dall’implementazione della comunicazione e dell’informazione, in particolar modo rappresentato dal
coinvolgimento di mass media locali, dall’istituzione di un sito web dedicato e attraverso l’attivazione di profili
su social network.
Risultati: Ciascuna comunità è costituita da 220 partecipanti selezionati casualmente dalle liste comunali (età
compresa tra 35-75 anni). Il campione selezionato di popolazione cilentana aveva un’età media di 55.4 anni,
un BMI di 27.5 Kg/m2 ed una pressione arteriosa media sistolica/diastolica di 142.2/80.8 mm Hg. Al basale, i
risultati preliminari hanno evidenziato come solo il 6% (consumo medio: 9 gr/die) della popolazione sia
maschile che femminile si atteneva ai limiti consigliati dalle linee guida nazionali ed internazionali.
Conclusioni:I risultati di questo studio clinico randomizzato forniranno per la prima volta una solida
valutazione dell’efficacia del metodo di intervento a livello di popolazione. Il metodo utilizzato fornirà
importanti basi per la realizzazione di programmi di riduzione del consumo di sale a livello nazionale ed
internazionale.
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P32. Valore predittivo di un nuovo indice di adiposità addominale sui valori pressori e sul rischio di
ipertensione arteriosa. Risultati dello Olivetti Heart Study
L. D’ELIA, P. SABINO, M. MANFREDI, V. FAZIO, P. STRAZZULLO & F. GALLETTI
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università di Napoli Federico II
Premesse: Recenti studi indicano che un nuovo indice di adiposità corporea (body adiposity index-BAI)
potrebbe essere maggiormente correlato alla percentuale di grasso corporeo rispetto al BMI. Tuttavia i risultati
riguardo alla relazione del BAI con i fattori di rischio cardiovascolari non sono stati univoci.
Obiettivi: Scopo del presente studio è di paragonare il potere predittivo del BMI e del BAI sui valori pressori
e sullo sviluppo di ipertensione dopo 8 anni di follow-up, in un campione di popolazione adulta maschile
dell’Olivetti Heart Study.
Metodi: Il campione oggetto dello studio è costituito da 350 individui, non affetti da ipertensione arteriosa
(IA) (PA sistolica/diastolica <140/90 mmHg e senza terapia anti-ipertensiva) e diabete (glicemia<126mg/dL
e senza terapia) al basale (età media: 50.1 anni, range 26-74), esaminati nel 1994-95 (basale) e dopo 8 anni
(2002-04). Il BMI è stato espresso in Kg/m2 e il BAI è stato calcolato con la seguente formula: ((circonferenza
vita (cm)/altezza (m) 1.5)-18).
Risultati: Al basale BMI e BAI erano significativamente associati (r=0.74,p<0.01). Le analisi univariate hanno
dimostrato che al basale sia il BMI che il BAI erano significativamente correlati alla PAD (BMI: r=0.20,
p<0.01; BAI: r=0.17, p<0.01), mentre nessuno dei due era correlato alla PAS. Viceversa, a distanza di 8 anni,
solo le variazioni di PAS erano direttamente e significativamente correlate ai due indici (BMI: r=0.18, p<0.01;
BAI: r=0.17,p<0.01), anche dopo correzione per i principali fattori confondenti. Nel campione incluso,
l’incidenza di IA è stata del 52.3%. I partecipanti che hanno sviluppato IA avevano sia un BMI che un BAI
significativamente più alto rispetto a chi non ha sviluppato ipertensione (BMI: 27.1±2.9 vs 25.8±2.5 Kg/m2;
BAI: 27.1±3.3 vs 25.9±2.6 cm/m1.5). Anche dopo correzione per età e PA basale, più alti valori di BMI e BAI
erano associati ad un maggior rischio di IA (BMI: OR:1.20, I.C. 95%:1.10-1.31; BAI: OR:1.15, I.C. 95%:1.051.25).
Conclusioni: In questo campione selezionato di popolazione adulta maschile, dopo 8 anni di follow-up, sia il
BMI che il BAI predicono le variazioni di PA e il rischio di sviluppare IA. Dai risultati di questa analisi non
si evidenzia un maggior potere predittivo del BAI rispetto al BMI.
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P33. Abitudini alimentari, infiammazione e stress ossidativo in un campione di soggetti anziani: risultati
dello studio Europeo “RISTOMED” - New E-Services for a dietary approach to the elderly (FP 7 - SME 2007 – 1; Grant 222230)
A. PINTO1, S. HRELIA2, A. ROSANO3, D. DE STEFANO1, R. ASPRINO1, L. TOSELLI1, M. MALAGUTI2, P.
HRELIA4, L. VALENTINI5, I. BOURDEL-MARCHASSON6, F. BUCCOLINI7, F. PRYEN8, P. D’ALESSIO9, H.
LOCHS10, C. FRANCESCHI11,12, R. OSTAN11
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sapienza Università di Roma, Italy; 2Dipartimento di Scienze per la
Qualità della Vita, Università di Bologna, Bologna, Italy; 3Accademia Romana di Sanità Pubblica, Roma,
Italy; 4Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie, Università di Bologna, Bologna, Italy; 5Department of
Gastroenterology and Hepatology, Charité-Universitätsmedizin, Berlin, Germany; 6Pole de Gérontologie
Clinique, Xavier Arnozan Hospital, Bordeaux, France; 7R&D, VoxNet CEO, Rome, Italy; 8Actial
Farmaceutica Lda, Funchal, Portugal; 9Biopark Campus Cancer, Villejuif, France; 10Medical University of
Innsbruck, Innsbruck, Austria; 11Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale,
Università di Bologna, Bologna, Italy;12Centro Interdipartimentale «L. Galvani» (C.I.G.) per Studi Integrati
di Bioinformatica, Biofisica, Biocomplessità, Università di Bologna, Bologna, Italy
Premesse: la relazione tra abitudini alimentari, malattie cronico-degenerative e qualità dell’invecchiamento è
ampiamente dimostrata, così come il ruolo patogenetico dello stress ossidativo e dell’infiammazione cronica
di basso grado.
Obiettivi: analizzare in un campione di anziani la relazione tra abitudini alimentari, stress ossidativo e stato
infiammatorio, surrogate endopoint che condizionano qualità dell’invecchiamento e insorgenza di malattie
cronico-degenerative correlate.
Metodi: un totale di 125 soggetti anziani (M 58 e F 67; età 70,4±3,9 aa; BMI 26,7±3,4 kg/m2) è stato reclutato
in 3 Paesi europei - Italia, Francia e Germania - nell’ambito del progetto Europeo RISTOMED; sono state
rilevate le abitudini alimentari (FFQ) e analizzato stress ossidativo (TAA, SOD, CAT, GSH, Gpx, GR, GST)
e stato infiammatorio (PCR, VES, fibrinogeno, WBC, IL6, IL10, TNFα, TGFβ1, IGF1, leptina e adiponectina)
in associazione a glicemia, insulinemia, colesterolo totale, trigliceridi, acido folico, vitamina B 12,
omocisteinemia, HOMA index; è stata eseguita l’analisi dei polimorfismi genetici di APOE (E1, E2, E3, E4),
CAT, SOD, GR, Gpx e GST family.
Risultati: il campione è risultato omogeneo per i polimorfismi genetici considerati, ad eccezione del
polimorfismo GSTT1 e GSTM1; le abitudini alimentari sono risultate significativamente diverse nei 3 Paesi
e permettono di identificare 3 distinti pattern alimentari, associati a differenti di stress ossidativo, stato
infiammatorio e metabolico. I parametri relativi allo stress ossidativo sono risultati significativamente diversi
tra i 3 pattern alimentari(p<0,05), mentre tra i marcatori infiammatori e metabolici sono state osservate
differenze significative per VES, TGFβ, IGF-1, Hb, glicemia, ac. folico e omocisteinemia.
Conclusioni: sebbene i risultati non permettano di trarre conclusioni inequivocabili, è possibile fare le
seguenti considerazioni: il pattern (Germania) caratterizzato dal consumo maggiore di alimenti di origine
animale e minore di alimenti di origine vegetale sembrerebbe associato ad un maggiore grado di stress
ossidativo e infiammatorio con ridotta sensibilità insulinica; il pattern (Francia) caratterizzato da un’elevata
assunzione di ortaggi, frutta, latte e carne sarebbe associato al minore grado di stress ossidativo, ad un
elevato stato infiammatorio e a livelli maggiori di colesterolo; il pattern (Italia) caratterizzato da minore
assunzione di alimenti di origine animale, più vicino al modello mediterraneo, sembrerebbe collocarsi in una
posizione intermedia per stress ossidativo, stato infiammatorio e assetto metabolico.
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P34. Progetto ENJOY - Exergames & healthy Nutrition Joined against Obesity for one Year. Risultati
a 3 mesi
C. FERRARIS1, N.L.PEPE1, C.TRENTANI1, S.TINELLI1, P.BORRELLI3, M.VANDONI2, E.RICAGNO2,
E.CODRONS2, M.ARPESELLA2, C.MONTOMOLI3, A.TAGLIABUE1
1
Centro di Studi e Ricerche sulla Nutrizione Umana e Disturbi del Comportamento Alimentare - Dipartimento
di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense, Università di Pavia; 2Corso di Laurea in Scienze
Motorie delle attività preventive e adattate - Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e
Forense, Università di Pavia; 3Sezione di Biostatistica e Epidemiologia Clinica - Dipartimento di Sanità
Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense, Università di Pavia
Premessa: La strategia terapeutica per l’obesità è indirizzata alla correzione di abitudini alimentari errate e
alla ripresa di un’attività fisica, compatibile con le condizioni cliniche del paziente, da mantenere a lungo
termine. Un programma con gli exergames potrebbe permettere a soggetti obesi sedentari di aumentare il
livello di attività fisica grazie alla semplicità, breve durata degli allenamenti e intensità bassa/moderata degli
allenamenti che possono essere effettuati a casa. Questo può migliorare la perdita di peso e prevenire
l’abbandono del trattamento.
Obiettivo: Confrontare la perdita di peso e il drop-out tra due trattamenti combinati con o senza exergames in
pazienti obesi.
Metodi: Abbiamo strutturato un programma sperimentale della durata di 1 anno (6 mesi per calo ponderale +
6 mesi di mantenimento). Venti volontari (25-50 anni, ambo sessi, BMI 25-40) sono stati randomizzati a due
gruppi di trattamento: Gruppo Dieta (GD) e Gruppo Dieta + Exergames (GDE). Il programma di allenamento
è stato formulato dall’istruttore di scienze motorie seguendo gli esercizi proposti da Wii Fit Plus. Gli esercizi
sono stati spiegati e monitorati in una sessione di gruppo bimestrale; i partecipanti dovevano ripetere il
programma di allenamento a casa tre volte a settimana. Il livello di attività fisica generale è stato controllato
con il Questionario Internazionale sull’Attività Fisica (IPAQ).
Risultati: 80% dei partecipanti hanno completato i primi tre mesi di trattamento. La perdita di peso media è
stata lievemente maggiore nel GDE (-7,11%, p <0.05), rispetto al GD (-6,74%, p <0.05). I risultati ottenuti
possono essere spiegati da una significativa riduzione del consumo energetico e dall’aumento del livello di
attività settimanale (MET / min / settimana) rispetto al basale in entrambi i gruppi.
Conclusioni: I risultati a 3 mesi confermano l’efficacia a breve termine del programma in entrambi i gruppi.
Nel primo periodo non è risultata rilevante l’inclusione di exergames nel programma.
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P35. Gramsci inFORMA per guadagnare salute : promozione di sani stili di vita negli operatori
dell’AUSL di Bologna
E. GUBERTI, P. NAVACCHIA, E.CENTIS, R. MARZOCCHI, S. BERTINI, F. VISANI, C.COPPINI, C. RIZZOLI,
M.NEGOSANTI, M. SARDOCARDALANO , F. CELENZA , L. BIANCO, R.DOMINA , F.FRANCIA.
Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione - Dipartimento di Sanità pubblica - AUSL di Bologna
Premesse: L’Indagine PASSI 2008-12 ha evidenziato nella popolazione adulta dell’AUSL di Bologna: 44%
di eccesso ponderale, 42% di attività fisica insufficiente, un’adesione insufficiente (1/7) al consumo
raccomandato di frutta e verdura. Agenzie Sanitarie internazionali e Unione Europea incoraggiano la
Workplace Health Promotion ed in particolare e la prevenzione dell’obesità.
Obiettivi: Il progetto, rivolto ai 250 dipendenti del Polo Funzionale AUSL di Bologna di via Gramsci 12, si
è proposto di : migliorare abitudini alimentari, contrastare la sedentarietà e ridurre il peso di soggetti in eccesso
ponderale.
Materiali e metodi: E’ stato proposto un percorso educativo di gruppo con 13 appuntamenti su temi di
interesse: bilancio energetico e importanza dell’attività fisica, diete a confronto, intolleranze e allergie
alimentari, prevenzione delle malattie cronico degenerativi, dieta e pubblicità, come affrontare la difficoltà al
cambiamento…. ).
Per chi lo desiderava è stato possibile aderire ad un percorso individuale ambulatoriale educativo/terapeutico.
Si è, inoltre, intervenuti sulla mensa aziendale e sui distributori automatici di alimenti per facilitare le scelte
salutari dei destinatari.
Le attività previste dal progetto sono state realizzate da un team multidisciplinare : Medico Specialista in
Scienza dell’Alimentazione, Medico Igienista, Dietista, Psicologo, Pedagogista esperta in motivazione al
cambiamento.
Risultati: Il 35% dei lavoratori ha partecipato al percorso formativo proposto. Inoltre 33 soggetti hanno seguito
il percorso individuale. Tra questi, ad un anno dall’inizio del percorso, nessuno è aumentato di peso. Il BMI
medio è significativamente migliorato (da 27.3 kg/m2 a 25.9 kg/m2, P<0.0001), così come la circonferenza
vita media (da 98.4 cm a 92.5 cm, P<0.0001). Tutti hanno conseguito un positivo cambiamento dello stile
alimentare e di vita con l’inserimento dell’attività fisica aerobica (almeno 30 minuti di camminata o cyclette
al giorno, almeno 5 volte a settimana).
Conclusioni: Il gradimento delle attività proposte è stato elevato tanto da avere ricevuto la richiesta di
estendere l’esperienza ad altri contesti lavorativi aziendali. Si considerano area di miglioramento la messa a
punto e l’utilizzo di uno strumento valutativo per misurare gli effetti indiretti su alimentazione ed attività fisica
delle famiglie dei partecipanti e degli altri lavoratori che non hanno preso parte direttamente al progetto.
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P36. "Crescere felix": Percorsi di Educazione Alimentare in età evolutiva
P. PECORARO, S. STELLATO, S. SENSI, C. SORRENTINO, M. IMOLETTI
U.O.S. Igiene della Nutrizione-SIAN, ASL Napoli 3 sud. Gruppo di lavoro centrale ASL Napoli 3 sud: Pierluigi
Pecoraro (Responsabile Aziendale), Clotilde La Stella, Anna Esposito, Rosario Coluccia, Marisa De Martino,
Michela Di Fratta, Pasqualina Monsurrò, Silvana Russo Spena, Raffaella Serrapica, Eugenio Siglioccolo,
Stefania Stellato. Ufficio Scolastico Regionale della Campania: Gennarina Panico, Patrizia Porretta.
Coordinamento Regionale Campania, Assessorato alla Sanità: Cecilia Mutone.
Premesse: Il progetto "Crescere Felix - Interventi per la prevenzione e riduzione dell'obesità del bambino e
dell'adolescente", è parte integrante del Piano Regionale della Prevenzione approvato dalla Regione Campania,
area con maggior prevalenza di sovrappeso/obesità (49%) nei bambini tra 8-9 anni di età. Nei territori afferenti
all'ASL Napoli 3 sud la prevalenza è del 46%.
Obiettivi: Scopo del progetto "Crescere Felix" è promuovere, modificare e consolidare stili di vita e di
alimentazione salutari in tutta la fascia dell’infanzia e dell’adolescenza, in particolare, implementare azioni per
la promozione dell'attività fisica e della corretta alimentazione dei bambini, fin dalla scuola elementare,
coinvolgendo i genitori in prima persona.
Metodi: Il Progetto è stato rivolto alle classi III elementari. Le famiglie sono state coinvolte dagli Esperti
Sanitari per un totale di 20 ore, articolate in due incontri informativi e tre attività laboratoriali.
Queste ultime prevedono: "Spuntino in classe" nel quale i genitori aderiscono al "Patto dello Spuntino"
impegnandosi, insieme alla scuola, a far consumare ai bambini una merenda di metà mattina in linea con una
sana e corretta alimentazione; "Verdura Party" e "Frutta Party" nelle quali gli alunni, attraverso percorsi
didattici svolti con l'insegnante, illustrano il valore nutritivo della verdura/frutta, l'importanza del consumo
delle stesse, dando rilievo alla stagionalità del prodotto. I genitori preparano pietanze a base di verdura/frutta,
seguita da degustazione.
A conclusione del Progetto, è stata allestita una “Manifestazione Finale” durante la quale, gli alunni delle classi
partecipanti presentano insieme agli Insegnanti ed ai Genitori il percorso svolto, passando il “testimone” alle
nuove III classi che svolgeranno le stesse attività.
Risultati: Dal 2012 ad oggi, il Progetto è stato realizzato in 7 Distretti Sanitari su 13 afferenti all'ASL Napoli
3 sud, gli Istituti Scolastici partecipanti sono stati 59 su 66 (90%), i docenti formati sono stati 261, i bambini
coinvolti con i rispettivi genitori è pari a 5317.
Conclusioni: Il progetto Crescere Felix dimostra che coinvolgendo direttamente insegnanti, studenti e genitori,
durante l’intero anno scolastico e pianificando attività laboratoriali con gli Esperti Sanitari, di essere un valido
strumento per promuovere un sano stile di vita all'interno della comunità scolastica e della famiglia.
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P37. Impatto di differenti colazioni sulle scelte alimentare nel pasto successivo
A. ROSI, F. SCAZZINA, F. BRIGHENTI
Unità di Nutrizione Umana, Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Parma, Parma,
Italia
Premesse: Il consumo regolare della colazione si associa ad un migliore stato di salute, con minore
predisposizione a sovrappeso e obesità. L’introito energetico della colazione non sembra aumentare il rischio
di eccedere l’apporto calorico giornaliero, grazie ad aumento della sazietà. Fame e sazietà sono concetti basati
sulla combinazione di aspetti endocrini, già ampiamenti indagati, e cognitivi, ancora poco esplorati. Per questo
motivo, si è scelto di indagare l’associazione tra le caratteristiche composizionali e percepite della colazione e
le scelte alimentari nel pasto successivo.
Obiettivi: Valutazione della percezione cognitiva/emotiva delle colazioni, delle sensazioni di fame e sazietà
nelle ore seguenti la colazione e dell’assunzione di cibo nel pranzo successivo.
Metodi: Lo studio è un pilota con 6 volontari, crossover randomizzato controllato con quattro condizioni: una
colazione controllo acalorica, più tre colazioni con differenze cognitivo/percettive (ipotizzate) ed
endocrino/metaboliche (stabilite in base alla composizione: uniformi per calorie, contenuto proteico e di fibre
e con simile rapporto liquidi/solidi, ma con diverso contenuto di carboidrati e lipidi).Salubrità, potere saziante,
appetibilità, apporto energetico e calorico delle colazioni sono stati valutati prima e dopo il consumo tramite
scala likert a 7 punti. Fame e sazietà sono state valutate tramite scale edonistiche di 10 cm prima e nelle quattro
ore successive il consumo. Le scelte alimentari sono state valutate durante pranzo a buffet ad libitum, tramite
doppia pesata degli alimenti.
Risultati: Le tre colazioni test sono state valutate in maniera confrontabile per potere saziante e appetibilità e
differentemente per salubrità, apporto energetico e calorico. La valutazione della stessa colazione, prima e
dopo il consumo, non varia in maniera significativa. La percezione di fame e sazietà segue lo stesso andamento
temporale ed è confrontabile per le tre colazioni test.Le scelte alimentari durante il pranzo non mostrano
differenze significative, gli alimenti scelti e le relative quantità sono assimilabili, con intake maggiori in seguito
alla colazione controllo (simil-digiuno).
Conclusioni: Le scelte alimentari attuate a pranzo non sembrano essere condizionate dal profilo nutrizionale
della colazione precedentemente consumata, ma potrebbero essere trainate maggiormente dalla sfera
organolettica/edonistica legata agli alimenti stessi.
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P38. I disturbi alimentari negli adolescenti: esperienza nel fabrianese
L. BELLI1,3, M.G.COLAO1, G. VICI3, I.ROMANI1, L.TOMASSINI2, S.LUPINI2, L. LENCI2, F.SPACCA2, V.
POLZONETTI3
Dipartimento di Prevenzione – Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione ASUR Marche AV2 –
Fabriano; 2 Consultorio Familiare ASUR Marche AV2 – Fabriano; 3Master “Nutrizione Nutraceutica e
Dietetica Applicata” UNICAM
1
Premesse: Il disturbo del comportamento alimentare (DCA) è un problema diffuso, che riguarda circa 3
milioni di persone in Italia (donne nel 90% dei casi), verso il quale negli ultimi anni sta aumentando l’interesse
visto il forte impatto sullo stato di salute della popolazione, soprattutto giovanile.
Obiettivi: Valutare la presenza di disordine alimentare (disordered eating) e la predisposizione a sviluppare
un disturbo del comportamento alimentare (eating disorder) all’interno di un gruppo di studenti testando
l’efficacia di un programma specifico coordinato da diverse figure professionali (biologo nutrizionista,
psicologo, psicoterapeuta).
Metodi: Lo studio è stato condotto a Fabriano (AN) su un campione di soggetti tra i 16-18 anni.
Attraverso un questionario cartaceo sono stati raccolti dati personali, antropometrici (peso e altezza) e
informazioni relative all’attività fisica.
Per valutare la presenza di disordini alimentari sono stati utilizzati due questionari sulle condotte alimentari
validati: EDE-Q (Eating Disorders Examination Questionnaire ), EAT-26 (Eating attitude test) per evidenziare
i comportamenti legati all’alimentazione, i sintomi caratteristici dei disturbi dell'alimentazione e le
preoccupazioni che un individuo manifesta nei riguardi del proprio peso e aspetto fisico.
A ciò è seguito un intervento di 3 giornate (visione di un film, lezioni frontali, brainstorming, lavori di gruppo)
a cura del consultorio familiare in collaborazione con il Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione.
Risultati: Hanno partecipato allo studio 42 ragazzi (10 maschi e 32 femmine). Attraverso l’utilizzo dell’EAT26 il 14% della popolazione risulta essere predisposta ad uno sviluppo di DCA . L’EDE-Q evidenzia una
presenza di predisposizione ai DCA pari al 21%. Analizzando i comportamenti legati all’alimentazione, in
particolar modo i comportamenti di compensazione, si è osservata una differenza significativa (p<0.05) nel
gruppo con predisposizione rispetto al gruppo risultato non predisposto attraverso il test EDE-Q, per quanto
riguarda l’utilizzo di lassativi ed exercise addiction. A seguito dell’intero programma alcuni ragazzi con le loro
famiglie, prendendo coscienza della problematica, si sono rivolti al consultorio.
Conclusioni: I risultati in termine di partecipazione e gradimento sono stati positivi.
I dati ottenuti evidenziano l’utilità di percorsi specifici strutturati con un team di diverse figure professionali.
Questo progetto pilota costituisce una base per ulteriori interventi futuri.
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P39. Family’s fruit-vegetables consumption, children lifestyle and obesity: a study in Milan
R. BRACALE 1,2*, L. E. MILANI 3, V. RUSSO 3,4, E. FERRARA 1, C. BALZARETTI
E.ZAVARRONE 3, F. PASANISI8, E. NISOLI 2, M.O. CARRUBA 2,5
5,6
, A. VALERIO
2,7
,
1
Dept. of Medicine and Sciences for Health, Molise University, Campobasso, Italy; 2Center for Study and
Research on Obesity, Dept. of Medical Biotechnology and Translational Medicine, University of Milan, Milan,
Italy;3Institute of Communication, Behavior and Consumption "Giampaolo Fabris", IULM University, Milan,
Italy; 4Food Consumption Observatory, IULM University Foundation, Milan, Italy;5Milano Ristorazione
S.p.A., Milan, Italy;6Dept. of Veterinary for Health, Animal Production and Food Safety, University of Milan,
Milan, Italy;7Dept. of Molecular and Translational Medicine, Brescia University, Brescia, Italy; 8Dept of
Clinical Medicine and Surgery, Federico II University, Naples, Italy
Purpose:The prevalence of overweight and obesity in elementary school children has steadily increased
worldwide over the last decades and this is also linked to food habits. Our main purpose was to understand
the role that environmental factors may play in this context; in particular, we investigated how and to what
extent family food habits and children lifestyle have an effect on the prevalence of children obesity.
Methods: One hundred and nine primary schools, with 6–11 year-old children (n = 16,588), were recruited
for this cross-sectional study in Milan (Italy). Referred anthropometric, citizenship, fruit and vegetable
consumption data of both parents and children were obtained. Time spent watching television and doing
physical activity were also investigated in children.
Results: We found that children’s vegetable (not fruit) consumption is positively influenced by physical
activity, but negatively influenced by television watching; in particular, fewer hours spent watching television
are a stronger protective factor than more hours spent doing physical activity. Moreover, the parental feeding
style influences children attitudes toward consumption of healthy food.
Conclusions: Our findings support the relevance of environmental factors in childhood food consumption and
body weight distribution among children in Milan. This is the reason why we underline the need to design ad
hoc interventions, according to the socio-economic peculiarities of the cosmopolitan city suburbs.
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P40. Criticità degli strumenti utilizzati per la valutazione dell’adeguatezza della dieta nel primo anno di
vita
F. CONCINA1, C. CARLETTI2, S. SALVINI1, P. GNAGNARELLA3, F. BARBONE1, M. PARPINEL1
1
Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università degli Studi di Udine; 2Unità di Ricerca sui Servizi
Sanitari, Epidemiologia di Popolazione e Salute Internazionale, IRCCS Pediatrico “Burlo Garofolo”, Trieste;
3
Divisione di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano
Premesse. La valutazione dell’adeguatezza della dieta nel primo anno di vita è spesso resa difficile a causa
della mancanza di dati di composizione completi per molti degli alimenti chiave dell’alimentazione
complementare.
Obiettivi. Presentare le criticità rilevate nella valutazione della dieta a 6, 9 e 12 mesi di una coorte di bambini
in Friuli Venezia Giulia.
Metodi. Sono stati analizzati 623 diari alimentari di 3 giorni non consecutivi raccolti a 6, 9 e 12 mesi in una
coorte di bambini arruolati presso l’Istituto Materno Infantile Burlo Garofolo di Trieste dal 2007 al 2008. La
quantità di latte materno è stata stimata dalla durata della poppata (Cameron, 1990). L’analisi nutrizionale è
stata compiuta utilizzando la banca dati di composizione degli alimenti italiana (BDA, 2008), dati ricavati dalle
etichette nutrizionali per i prodotti confezionati mancanti e, per il latte materno, dati di letteratura. I componenti
considerati sono 29 (macro e micronutrienti).
Risultati. Gli alimenti consumati sono stati 223 a 6 mesi, 361 a 9 mesi e 483 a 12 mesi e quelli non provenienti
dalla BDA sono risultati essere il 34%, 28% e 27% rispettivamente. I dati di composizione relativi ai
componenti energetici sono completi ma si evidenziano grosse lacune per la vitamina B12 (con più del 94%
di dati mancanti) e per gli acidi grassi linoleico e linolenico, che sono risultati mancanti per il 32.3% e 25.9%
a 6 mesi, 24.8% e 25.1% a 9 mesi e 23.6% e 23.8% a 12 mesi rispettivamente. Per quanto riguarda gli altri
componenti, la percentuale di missing più contenuta ha riguardato il sodio (3%). I prodotti confezionati hanno
contribuito per il 70% circa dei dati mancanti nei tre database.
Conclusioni. Il numero elevato di alimenti confezionati per i quali sono disponibili solo dati di composizione
da etichetta e i numerosi dati mancanti relativi ai componenti non energetici, rendono imprecisa la valutazione
dei consumi alimentari nel primo anno di vita. La creazione di un sistema integrato di raccolta di dati di
composizione provenienti dall’industria alimentare (www.NUTRIRETElab.it) potrà consentire di creare
database più completi comprendenti anche gli alimenti utilizzati nell’alimentazione complementare.
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SINU RIUNIONE NAZIONALE 2014 - ATTI
P41. Indagine conoscitiva sulle etichette alimentari: un possibile strumento di educazione alimentare?
A. FERRARETTO1, A. ZABEO, S. PEREGO2, P. DE LUCA1, M. MAGGIONI1, A. FIORILLI1
1
Dipartimento di Scienze Biomediche per la salute, Università degli Studi di Milano; 2IRCCS Istituto
Ortopedico Galeazzi, via R. Galeazzi 4, 20161, Milano.
Premesse. L’etichettatura nutrizionale rappresenta uno degli strumenti a disposizione del consumatore per la
scelta e la selezione dei prodotti oltre che per le informazioni relative alla sicurezza degli stessi. Il nuovo
Regolamento europeo 1169/2011 ha reso obbligatoria l’etichettatura nutrizionale, dettandone le regole.
Obiettivi. L’etichetta può essere considerata uno strumento di educazione alimentare, in quanto, se pienamente
comprensibili, le informazioni sul contenuto nutrizionale potrebbero essere di aiuto nel tentativo di ostacolare
la diffusione di patologie correlate all’alimentazione. Lo scopo del presente lavoro è stato la messa a punto, la
divulgazione e la compilazione di un questionario da parte dei consumatori allo scopo di indagare la
comprensione e l’utilità dell’etichetta nutrizionale.
Metodi. La compilazione del questionario è stata realizzata nei principali supermercati di una nota catena della
GDO delle province di Milano e Monza Brianza mediante intervista da parte di personale specializzato. I dati
sono stati raccolti e analizzati mediante il data base Access (Windows 2007-2013).
Risultati. 446 questionari sono stati considerati attendibili e analizzati. Il campione dei soggetti intervistati è
composto prevalentemente da donne (67%), di età compresa tra i 31-50 anni (84%), con un BMI nel normopeso
(62%). Il livello di istruzione è in misura maggiore il diploma superiore (55%), l’occupazione lavorativa
predominante è di tipo impiegatizio (54.9%). Il 91% del campione intervistato fa la spesa abitualmente,
l’88.5% ha dichiarato di non seguire una dieta particolare. Dall’analisi dei dati si osserva che la scelta del
prodotto da acquistare viene fatta in eguale misura in base al costo, alla marca, all’origine delle materie prime
e alle caratteristiche organolettiche. Il 66% del campione dichiara di non leggere l’etichetta nutrizionale ma,
quando lo fa, è prima dell’acquisto (93%). La frazione del campione che non legge l’etichetta nutrizionale
dichiara che il suo comportamento è indotto soprattutto dalla mancanza di interesse (76%), dalla loro
incomprensione (7%) e dal fatto che non sono leggibili (4%), ma il campione che legge l’etichetta dichiara di
rimanere influenzato dalla lettura (72%).
Conclusioni. E’ necessario sia incrementare la percentuale dei consumatori che legge l’etichetta, sia formulare
etichette comprensibili e “interessanti”, data la loro influenza nella scelta dei prodotti.
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P42. Alimentazione cinese nella regione sul SU-Chiuan e dieta mediterranea
S.B. FU, R.GRADASCHI, G.F. ADAMI
Corso di Studio in Dietetica, Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche, Università di Genova
Premessa: La dieta mediterranea rappresenta un presidio molto valido contro le malattie croniche non
trasmissibili e in molti studi epidemiologici il Mediterraean Score (MS, Trichopoulou et al, Am J Clin Nutr
2005), indice delle caratteristiche mediterranee di un regime alimentare, è risultato negativamente associato
con la presenza di sindrome metabolica.
Materiali e Metodi: il pattern alimentare di 200 persone cinesi della regione del Si-Chuan valutato con
interviste dirette è stato paragonato a quello 200 soggetti residenti in Liguria, una regione italiana in cui lo stile
alimentare comune risente ancora notevolmente delle tradizioni. I valori di MS sono stati derivata dalla
tipologia di cibo assunta, la composizione della dieta è stata calcolata mediante le tabelle CRA-NIT per i
soggetti liguri e con quelle della Beijing Medical University per i soggetti cinesi.
Risultati: Considerando tutti i soggetti, il peso corporeo era direttamente correlato con l’introito di cibo
(r=0,434) e associato positivamente con l’età e negativamente con l’esercizio fisico (regressione multipla, r2
= 0,22). Il 67% dei soggetti del Si-Chuan e il 63% dei soggetti liguri avevano una alimentazione in pieno
accordo con il pattern Mediterraneo (IS > 3 per le femmine e MS>4 per i maschi). Tuttavia, rispetto agli
individui liguri, nei soggetti cinesi l’introito giornaliero di colesterolo è risultato superiore (362 vs.269, p<0,01)
mentre il rapporto tra acidi grassi polinsaturi e grassi saturi (1,8 vs. 2,2, p<0,01) e quello tra acidi grassi Ω6 e
Ω3 (8,1 vs.6,9, p<0,05) nella dieta è risultato inferiore.
Conclusioni: Poiché un eccesso di colesterolo, di acidi grassi saturi e di acidi grassi polinsaturi Ω6 è una
caratteristica peculiare della dieta nordeuropea e degli USA, possiamo ritenere che nella popolazione cinese
il tradizionale MS non sia in grado di valutare con affidabilità l’effettiva aderenza della dieta a un pattern
alimentare mediterraneo. I nostri dati suggeriscono che la popolazione della regione del Su-Chiuan nel North
della Cina ha uno stile alimentare di tipo non mediterraneo, ma che si avvicina a quello di tipo europeo
continentale: questo potrebbe determinare nella popolazione un alta prevalenza di sindrome metabolica.
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P43. Validazione di un questionario sull’aderenza alla dieta mediterranea in una popolazione italiana
partecipante a screening oncologici: dati preliminari
P. GNAGNARELLA1, A.M. MISOTTI1, S. GRIONI2, S SIERI2, P. MAISONNEUVE1
¹Divisione di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano; ²Unità di Epidemiologia
e Prevenzione, Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei
Tumori, Milano
Premesse: La Dieta Mediterranea viene sempre più riconosciuta come dieta ottimale legata ad un migliore
stato di salute generale e una più lunga durata della vita.
Obiettivi: Presentare il progetto di validazione di un questionario che valuti l’aderenza alla Dieta Mediterranea
(QueMD) in una popolazione partecipante a screening oncologici.
Metodi: Saranno reclutati 300 soggetti afferenti nel nostro Istituto per screening oncologici (seno, polmone e
controllo nei). Ai partecipanti verranno consegnati il QueMD e il questionario per frequenza di consumo
sviluppato per lo studio EPIC-Italia. Il QueMD è un questionario autocompilato, formato da 15 domande, con
la possibilità di indicare una tra 5 frequenze di consumo dell’alimento o gruppo alimentare indagato. Sono stati
creati due sistemi di punteggi per il calcolo dello score: Score A (punteggio 0 o 1 per ogni risposta) e Score B
(punteggio da 0 a 4 per ogni risposta). Per il questionario EPIC lo score di aderenza alla dieta mediterranea
sarà assegnato sulla base del consumi mediani di verdure, frutta, noci, cereali, legumi, pesce, carni rosse o
conservate e alcol.
Risultati: Ad oggi, sono stati raccolti i dati relativi a 85 soggetti afferenti all’ambulatorio di dermatologia. Il
campione è formato da donne (67%), età media di 47 anni (± 13,4) e BMI medio 22,8 (± 3,2). Per quanto
riguarda la compilazione del QueMD, i dati mancati sono ridotti al minimo (0.3%). Analizzando l’andamento
nella compilazione delle singole domande, queste sembrano distribuirsi in modo equilibrato tra le varie
frequenze di consumo, ad eccezione di alcune risposte (>50%) per pasta integrale, burro, carne rossa, carne
bianca, bevande dolci e olio di oliva. Dal calcolo dell’aderenza per lo score A il dato mediano è di 7 (Min 3,
Max 11) mentre per lo score B il dato mediano è di 31 (Min 18, Max 45).
Conclusioni: I risultati dello studio permetteranno di identificare uno strumento per una rapida valutazione
dell’aderenza alla Dieta Mediterranea utilizzabile anche nella pratica clinica. Conoscendo l’importanza del
pattern mediterraneo e la sua influenza sul rischio di sviluppare alcune malattie cronico-degenerative, è
importante identificare strumenti affidabili per la sua misurazione.
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P44. Indagine conoscitiva sulle abitudini di acquisto in aree urbane e rurali
F. INTORRE1, L. BARNABA1, D. CIARAPICA1, M. ZACCARIA1, E. AZZINI1, E. VENNERIA1, M.S. FODDAI1, L.
PALOMBA1, M. VERRASCINA2, S. CRISTIANO2, S.TARANGIOLI2, A. MONTELEONE2, G. MAIANI1 & A.
POLITO1
1
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Centro Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
(CRA-NUT), Roma; 2Istituto Nazionale di Economia Agraria, Roma
Premesse La globalizzazione, lo sviluppo industriale, l’aumento della popolazione e l’urbanizzazione hanno
profondamente mutato la produzione ed il consumo di cibo, modificando l’alimentazione dell’uomo verso una
omogeneizzazione di stili alimentari e una semplificazione della dieta in cui la maggior parte dei nutrienti è
fornita da un numero ristretto di specie coltivate ed allevate. Inoltre, la scomparsa dei piccoli negozi a
conduzione familiare e la diffusione sul mercato di prodotti globalizzati, presenti soprattutto nelle grandi catene
di distribuzione e subentrati ai prodotti agro-alimentari locali, potrebbe aver influenzato il cambiamento dello
stile alimentare della popolazione.
Obiettivi Valutare l’impatto del consumo abituale dei prodotti locali sullo stato di nutrizione di gruppi di
popolazione residenti in aree rurali sostenibili a confronto con una alimentazione “globalizzata”; descrivere
l’influenza delle dinamiche del commercio locale sul mantenimento della biodiversità, sulle abitudini
alimentari e sulla salute della popolazione residente in aree urbane e rurali.
Metodi Lo studio, attualmente in corso, prevede su un gruppo di popolazione residente in aree urbane e rurali
la valutazione dello stile di vita e dell’attività fisica, il rilevamento dei consumi alimentari e la valutazione
dello stato di nutrizione mediante misure antropometriche e biochimiche. E’ stata inizialmente effettuata una
indagine pilota rivolta a valutare la frequenza di consumo di alcuni alimenti della filiera ortofrutticola e relativo
luogo di acquisto (supermercato, negozio/mercato, contadino).
Risultati I risultati preliminari mostrano che su 1062 soggetti una percentuale compresa tra l’11% ed il 25%
ha dichiarato di acquistare i prodotti direttamente dal contadino. La tendenza all’acquisto direttamente dal
produttore è risultata essere più elevata nell’area rurale, con una percentuale di soggetti quasi del 60% nel caso
di acquisto di verdura a foglia, broccoli e insalata verde e del 45% per i pomodori, prodotti facilmente
coltivabili anche in piccoli orti.
Conclusioni Tali risultati preliminari mostrano nell’area rurale una tendenza maggiore all’acquisto di prodotti
ortofrutticoli direttamente dal produttore; l’analisi completa dei dati permetterà di verificare se tale tendenza è
associata a differenze di stile di vita e stato di nutrizione e in che misura la globalizzazione ha cambiato gli
stili e la qualità dell’alimentazione nelle aree prescelte.
Sponsorship Lo studio è stato realizzato nell’ambito del progetto TERRAVITA “Biodiversità, Territorio e
Nutrizione: la sostenibilità dell’agro-alimentare Italiano”, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole,
Alimentari e Forestali.
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P45. Differenze nella percezione gustativa influenzano le abitudini alimentari e i dati antropometrici in
una popolazione di studenti liguri
A. MARCUZZI, V. MARINI, B. ZANINI, M. BORRIELLO, A GRADASCHI, A. ROBINO, N. PIRASTU, G.F.
ADAMI, G. GASBARINI
Corso di Studio in Dietetica, Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche, Università degli Sudi di Genova,
Istituto Marco Polo e King, Genova, IRCCS Materno-Infantile Burlo Garofalo, Università degli Studi di
Trieste, Italia
Premesse: La capacità di percepire alcuni composti amari, come il feniltiocarbamide (FTC) e il 6-npropiltiouracile (PROP) è variabile tra gli individui e le popolazioni e ciò è legata alle varianti del gene
TAS2R38.
Scopo: In questo studio preliminare è stata analizzata la relazione tra la capacità di percepire il gusto amaro,
le abitudini alimentari e i dati antropometrici.
Materiali e Metodi: Un gruppo di 150 studenti (98 femmine) di età compresa tra i 15 e i 20 anni che
frequentano scuole secondarie di secondo grado liguri sono stati sottoposti a screening per la capacità di
percepire il PTC e sono stati classificati in non tester (NT), medium tester (MT) e super tester (ST). In ogni
soggetto è stato prelevato il DNA e sono stati analizzati tre polimorfismi del gene TAS2R38. Le abitudini
alimentari sono state indagate con intervista specifica e i dati antropometrici sono misurati con metodiche
standard.
Risultati: Nel campione analizzato è stata osservata una associazione tra aplotipo del gene TAS2R38 e taster
status (p=0.0049). Considerando il genere come covariata, nei soggetti ST sono stati osservati valori di peso
corporeo e di BMI inferiori (p = 0,027 e p = 0,033, rispettivamente) rispetto agli individui MT e NT. Inoltre,
rispetto agli altri gruppi, il numero di individui ST che faceva regolarmente colazione alla mattina è risultato
inferiore e la quantità di calorie introdotte nell’occasione rapportata all’introito globale giornaliero meno
elevata (p< 0,05).
Conclusioni: I dati suggeriscono che, in una popolazione normale, la differenza nella capacità di percepire il
gusto amaro può effettivamente influenzare le abitudini alimentari e avere un impatto sulla salute
dell’individuo. Un allargamento del campione analizzato sarà necessario per confermare e meglio
caratterizzare i dati.
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P46. Dieta mediterranea, incidenza e mortalità delle malattie cardiovascolari: revisione sistematica e
metanalisi degli studi prospettici
S. MARVENTANO1, G. GROSSO2, J. YANG3,4, L. SCALFI5, F. GALVANO2, S. N. KALES3,6
Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Sezione di Igiene e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Catania,
Catania, Italia; 2Dipartimento di Clinica e Biomedicina Molecolare, Sezione di Farmacologia e Biochimica,
Università degli Studi di Catania, Catania, Italia; 3Department of Environmental Health, Environmental &
Occupational Medicine & Epidemiology, Harvard School of Public Health, Boston, Massachusetts, United
States of America; 4Steward St Elizabeth's Medical Center, Tufts University School of Medicine, Boston,
Massachusetts, United States of America; 5Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università di Napoli
"Federico II", Napoli, Italia; 6The Cambridge Health
Alliance, Harvard Medical School, Cambridge,
Massachusetts, United States of America
1
Premesse: Le malattie cardiovascolari (CV) sono un importante problema di salute pubblica nel mondo
occidentale, essendo la principale causa di morte e invalidità. L'aumento dell’incidenza di fattori di rischio CV
come l'obesità, l'ipertensione e il diabete sono considerati, almeno in parte, una causa importante del crescenti
trend delle malattie CV. Un ruolo fondamentale è svolto dagli stili di vita e in particolare dalla dieta. Molti
studi hanno messo in evidenza come un’alta aderenza alla dieta mediterranea diminuisca l’incidenza e la
mortalità delle malattie CV.
Obiettivi: Valutazione dell’associazione tra aderenza alla dieta mediterranea ed eventi CV in termini di
incidenza e mortalità mediante meta-analisi degli studi prospettici. Le patologie in esame includevano la
malattia coronarica, l’infarto del miocardio e l’ictus.
Metodi: Sono stati inclusi tutti gli studi prospettici di coorte pubblicati fino a giugno 2014 su dieta
mediterranea e rischio cardiovascolare. Al fine di stimare il rischio relativo (RR) con limiti di confidenza al
95% si è utilizzato un modello ad effetti random. Dei 46 studi selezionati, 17 rispondevano ai criteri di
inclusione per l’analisi sistematica e 11 per la meta-analisi, per un totale di 730.994 soggetti e 17.134 eventi
CV.
Risultati: I soggetti che avevano un’elevata aderenza alla dieta mediterranea presentavano una ridotta
incidenza (RR: 0.76, 95% CI: 0.68, 0.83) e mortalità (RR: 0.76, 95% CI: 0.68, 0.83) di eventi CV se comparati
con soggetti a bassa aderenza. Una riduzione significativa dell’incidenza è stata riscontrata per la malattia
coronarica (RR: 0.72, 95% CI: 0.61, 0.86) e l’infarto del miocardio (RR: 0.69; 95% CI: 0.54, 0.8), ma non per
l’ictus (RR: 0.88; 95% CI: 0.75, 1.03). L’analisi dei singoli componenti della dieta mediterranea ha messo in
evidenza che il ruolo protettivo è in gran parte attribuibile all’olio di oliva e ai vegetali, seguiti da pesce e
legumi.
Conclusioni: Un’aderenza alla dieta mediterranea è associata ad un minore rischio CV. Ulteriori studi sono
necessari al fine di investigare il ruolo che specifici gruppi (patterns) di alimenti posso avere nella prevenzione
delle malattie CV.
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P47. Informazioni nutrizionali ed etichettatura alimentare in prodotti derivati dei cereali
S. MUOIO, G. SANTANIELLO, F. DE BLASIO, P. STRAZZULLO1, L. SCALFI.
Dipartimento di Sanità Pubblica e 1Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Scuola di Medicina e
Chirurgia, Università di Napoli Federico II
Premesse: l’etichettatura degli alimenti ha lo scopo di fornire al consumatore le informazioni necessarie per
una valutazione più ragionata e consapevole delle proprie scelte alimentari. Per questo l’attenzione va rivolta
a ciò che è realmente presente sul packaging dei prodotti: in primo luogo si devono considerare l’etichetta
alimentare, l’etichetta nutrizionale e le indicazioni nutrizionali e salutistiche (health claims). In aggiunta, su
moltissimi prodotti sono presenti una serie di informazioni, messaggi, immagini ecc. che più o meno
direttamente si collegano alla composizione e alle caratteristiche nutrizionale dell’alimento.
Obiettivi: l’obiettivo dello studio è stato quello di valutare la presenza e le caratteristiche dell’etichettatura
alimentare in un ampio campione di prodotti appartenenti al gruppo dei derivati dei cereali.
Metodi: la raccolta dei dati è stata condotta tra il 2013 e il 2014 in quattro ipermercati alimentari appartenenti
alla grande distribuzione organizzata. Complessivamente si è giunti alla ricognizione fotografica di 934
prodotti appartenenti a 60 diverse marche.
Le categorie considerate sono state: biscotti, cereali da colazione, barrette ai cereali, fette biscottate, merendine,
cracker e grissini, pane industriale confezionato, pani croccanti, tarallini.
Risultati: molto elevata è la frequenza (98%) con cui compare l’etichetta nutrizionale: nella gran parte dei casi
oltre a energia, carboidrati, proteine e grassi, vengono riportati anche le quantità di zuccheri, acidi grassi saturi,
fibra alimentare e sodio. Meno comuni sono le informazioni relative a vitamine e minerali, di solito circoscritte
ad alcune categorie di alimenti quali i cereali da colazione. Gli health claims sono stati ritrovati solo in una
minoranza di prodotti mentre più frequente era la presenza di una tabella GDA (Guideline Daily Amounts).
Conclusioni: i prodotti sottoposti a controllo hanno mostrato una grande varietà di informazioni nutrizionali
presentate in vari formati e immagini. Si nota, inoltre un certo interesse a fornire linee guida alla sana
alimentazione che siano più facilmente interpretabili dal consumatore sia attraverso l’uso delle GDA sia con
consigli più articolati sulle scelte alimentari più salutari. Al contrario, sono ancora poco diffuse le indicazioni
sui nutrienti e sulla salute, così come regolamentate a livello UE.
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P48. Proposta di un nuovo indice di aderenza al modello Mediterraneo
F. NIGRO, A. ROSANO, V.DEL BALZO, V. VITIELLO, A. GERMANI, LM. DONINI
UR Scienza dell’Alimentazione e Nutrizione Umana – Dip. Medicina Sperimentale, Sapienza Università di
Roma
Premesse: Gli indici di valutazione di aderenza alla dieta mediterranea nascono dalla necessità di effettuare
una valutazione globale della dieta, rispetto a un modello tradizionale ritenuto il più idoneo al mantenimento
di un buono stato di salute e soprattutto nella prevenzione delle patologie correlate.
Obiettivi: Definizione di un nuovo indice di aderenza alla dieta mediterranea che valuti, sia le abitudini
alimentari che convivialità, sostenibilità, tradizione e frugalità, quindi lo stile d vita Mediterraneo.
Metodi: È stato elaborato un questionario che comprende 23 domande a risposta multipla. Le domande, basate
sulla nuova Piramide italiana della Dieta Mediterranea (CIISCAM), indagano non solo le abitudini alimentari,
ma anche altri aspetti del modello mediterraneo come la convivialità, la sostenibilità, la tradizione, la frugalità
e l’attività fisica. La validazione del test è eseguita con analisi di regressione logistica con outcome il BMI. Il
campione è stato reclutato tra i dipendenti di un ente pubblico. Sono state ordinate le possibili risposte in ordine
crescente di aderenza all’ottimo individuato ed è stata costruita una matrice degli scarti delle risposte al
questionario rispetto alla risposta ottimale. Sono stati attribuiti alle risposte dei punteggi da 0 a 12, secondo la
diversa rilevanza attribuita agli item in termini di aderenza alla dieta mediterranea. In questo modo è possibile
mettere in evidenza quanto più verosimilmente le differenze tra i vari item.
Risultati: Sono stati raccolti 33 questionari completi per la validazione. La somma dei punteggi delle 23
risposte dà lo score finale ovvero l’indice di aderenza alla Dieta Mediterranea. Dai risultati si evidenzia che un
consumo elevato di alimenti di origine animale è negativamente correlato con il consumo adeguato di cereali,
mentre il consumo adeguato di alimenti di origine animale è positivamente correlato con comportamenti
corretti. Inoltre i risultati indicano come gli individui che hanno totalizzato score elevati, quindi maggiormente
aderenti al modello Mediterraneo, hanno BMI compresi nella fascia del normopeso. Quest’analisi conforta le
scelte adottate in termini di predittività del BMI dei soggetti intervistati.
Conclusioni: Il nuovo indice di aderenza alla Dieta Mediterranea potrà consentire di effettuare interventi di
prevenzione ed educazione alimentare più efficaci.
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SINU RIUNIONE NAZIONALE 2014 - ATTI
P49. Sale nei prodotti alimentari: un’analisi dei dati preliminari
P. SABINO1, S. MUOIO2, L. D’ELIA1, C. IANNOTTA1, L. SCALFI2, P. STRAZZULLO1
1
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia e 2Dipartimento di Sanità Pubblica, Scuola di Medicina e
Chirurgia, Università di Napoli Federico II
Premesse. Le etichette nutrizionali rivestono un importante ruolo nell’orientare le scelte alimentari dei
consumatori e costituiscono uno strumento funzionale alla riduzione del consumo di sale a livello di
popolazione.
Obiettivi. Scopo del presente lavoro è quello di fornire un’analisi del contenuto dichiarato di sale di un’ampia
gamma di prodotti alimentari disponibili al consumo in Italia e di valutare la distribuzione di tali prodotti nelle
categorie a basso, medio e alto contenuto di sale.
Metodi. La presente analisi è stata effettuata su un campione di circa 3000 etichette, suddivise in 6 gruppi
merceologici (cereali e derivati, legumi e conserve vegetali, salse e spalmabili, derivati del latte, salumi e
conserve animali, miscellanea)a loro volta comprendenti 35 categorie. Per ogni categoria ed ogni gruppo sono
stati calcolati la mediana e l’intervallo interquartile e sono stati riportati i valori minimo e massimo. Infine è
stata calcolata la percentuale dei prodotti che ricadevano nelle categorie rispettivamente a basso (<0,3 g),
medio (0,3–1,0 g) e alto contenuto di sale (>1,0 g).
Risultati. Il contenuto di sale dei diversi gruppi di alimenti e all’interno di ciascun gruppo ogni gruppo, tra
una categoria e l’altra, ha mostrato ampia variabilità. Il contenuto medio del gruppo dei cereali e derivati era
di 0,75 g (mediana; IQR: 0,5-1,25; min-max: 0,0-3,65); del gruppo di conserve vegetali 0,05 (mediana; IQR:
0,005-0,75; min-max: 0,0-37,75); del gruppo di salse e spalmabili di 1,5 (mediana; IQR: 0,75-2,0; min-max:
0,0-18,0); del gruppo di derivati del latte di 0,75 (mediana; IQR: 0,35-1,6; min-max: 0,0-0,9); del gruppo di
salumi e conserve animali di 1,75 (mediana; IQR: 1,25-2,25; min-max: 0,25-22,25); del gruppo miscellanea
di 2,25 (mediana; IQR: 0,8-4,55; min-max: 0,0-24,25). Per quanto riguarda la distribuzione nelle diverse
categorie di contenuto di sale, questa è risultata a sua volta molto eterogenea.
Conclusioni. I risultati della presente analisi hanno mostrato un’estrema variabilità del contenuto di sale nei
prodotti disponibili al consumo in Italia. Tale variabilità è riscontrabile sia nei gruppi di prodotti sia nelle
diverse categorie.
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P50. L’etichettatura del prodotto gluten free ed il consumatore: ieri&oggi
L. SATURNI
Nutrition Coach – Specialista in Scienze dell’Alimentazione, Board scientifico di Dr. Schär Institute, Master
in Dietetica e Nutrizione - FUNIBER- Fundación Universitaria Iberoamericana
Durante la comunicazione verranno presentate le recenti novità riguardanti l’etichettatura dei prodotti
dietoterapici con particolare riguardo a quella dei prodotti gluten free. Sono proprio questi prodotti che fanno
parte di un mercato che ha visto in pochi anni un’evoluzione veloce ed interessante da analizzare sicuramente
da un punto di vista economico ma soprattutto da una punto di vista di qualità nutrizionale e di sicurezza.
Dati epidemiologici mostrano che recentemente sono sempre di più le persone che utilizzano i prodotti gluten
free poiché vivono la diagnosi di Disturbi Glutine Correlati.
Il glutine, composto di natura proteica, causa reazioni avverse in un numero crescente di soggetti. Fino a pochi
anni fa si conosceva infatti la celiachia e la reazione allergica al grano. Oggi il panorama si è di molto ampliato
e l’ultima ad essere stata inserita, dalla comunità scientifica riconoscendone il quadro clinico è la Sensibilità
al Glutine Non Celiaca (SGNC).
La terapia a tutt’oggi unanimemente accettata è una alimentazione senza glutine di matrice mediterranea. Tale
alimentazione prevede l’esclusione dei cereali che contengono glutine – quali frumento, orzo, segale – ma
anche i derivati quali pane, pasta, pizza – pilastri della alimentazione mediterranea. Esistono analoghi gluten
free trasformati dalle Aziende, che debbono rispondere a determinati requisiti sia di sicurezza, cioè rispettare
il limite dei 20 ppm per il glutine, che di qualità igienico sanitaria e soprattutto di qualità nutrizionale.
La loro etichettatura è fondamentale e deve permettere una comunicazione diretta, trasparente e non equivoca
tra l’Azienda e Consumatore. Negli anni tante sono state le modifiche fino a quella più recentemente accettata
dalla comunità europea.
Dal 1 gennaio è entrato ufficialmente in vigore il Regolamento (CE) 41/2009 che assicura che tutti i prodotti
commercializzati in Unione Europea con la dicitura “senza glutine – gluten free” (e analoghe traduzioni)
debbono garantire il limite dei 20ppm.
Tappa sicuramente importante poiché permette di uniformare la sua compilazione diventando un valido
strumento per acquisti consapevoli che permettono il raggiungimento e mantenimento della buona salute o
meglio della mindfulness.
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Nutrizione: Perimetri e Orizzonti – Roma 20-21 ottobre 2014
ISBN 978-88-97843-14-6
116
SOCIETÀITALIANADINUTRIZIONEUMANA
RiunioneNazionale2014
Roma,20‐21ottobre2014
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