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Foglio di
informazione
professionale
N. 90
27 aprile 2001
Farmaci per l’Alzheimer: quale percorso terapeutico?
Incidenza dell’Alzheimer
Oggi, la malattia di Alzheimer (MdA) rappresenta la più comune delle demenze, costituisce infatti il 50-75% dei casi di demenza nei
soggetti con più di 65 anni. Questa percentuale aumenta con l'età: si stima che l'incidenza della MdA sia dello 0.5% per anno dai 65
ai 69 anni, dell'1% per anno dai 70 ai 74 anni, del 2% per anno dai 75 ai 79 anni, del 3% per anno dagli 80 agli 84 anni e dell'8% per
anno dagli 85 anni in poi.
La diagnosi
La diagnosi di MdA dovrebbe essere fatta solo quando siano state escluse altre cause di demenza, attraverso esami fisici, neurologici
e test di laboratorio. Una diagnosi certa può essere effettuata dopo la morte tramite un esame autoptico del cervello che riveli
numerose e caratteristiche placche senili, ampiamente distribuite nella corteccia cerebrale. La diagnosi clinica di Alzheimer concorda
nel 70-90% dei casi con quella patologica.
I farmaci
La tacrina è stato il primo agente specifico per il trattamento dei sintomi cognitivi dell’Alzheimer. A causa dello sfavorevole
rapporto rischio/beneficio, la tacrina non è mai stata registrata in Italia e, a seguito della disponibilità di altri farmaci congeneri, ha
assunto un ruolo marginale nel trattamento farmacologico della MdA.
Altri prodotti ad azione anticolinesterasica sono stati proposti per la stessa indicazione. Attualmente in Italia risultano registrati per
tale impiego il donepezil (ARICEPT, MEMAC) e la rivastigmina (EXELON, PROMETAX). Questi farmaci, infatti, pur
disponendo sulla carta di un meccanismo d'azione selettivo nell'aumentare le funzioni colinergiche, dimostrano di indurre solo
modesti miglioramenti in alcuni pazienti colpiti dalla malattia. A fronte di un'efficacia limitata e del carattere palliativo della terapia,
gli inibitori della colinesterasi sono saliti alla ribalta grazie all'assenza di valide alternative terapeutiche nel trattamento della MdA.
Il donepezil è stato approvato per l'uso nella MdA nel 1996 negli Stati Uniti e nel 1997 in Italia.
Rispetto alla tacrina mostra una minore attività anticolinesterasica periferica ed una emivita più lunga, che permette un'unica
somministrazione giornaliera del farmaco. Queste caratteristiche ne hanno permesso un utilizzo più ampio.
Sul fronte della sperimentazione, il donepezil è stato studiato nei pazienti con malattia di Alzheimer di grado lieve-moderato per un
periodo di 24 settimane al massimo, al dosaggio di 5 o 10 mg. Modesti miglioramenti nei tests neuropsicologici si sono ottenuti
soprattutto con dosaggi di 10 mg/die, cioè nei gruppi trattati con il dosaggio più elevato.
La rivastigmina, a differenza di tacrina e donepezil che sono inibitori reversibili, inibisce in modo pseudo-irreversibile
l'acetilcolinesterasi. Essa è stata studiata nei pazienti con Alzheimer di grado lieve-moderato, a dosaggi bassi (da 1 a 4 mg) e a
dosaggi più elevati (da 6 a 12 mg). I risultati migliori si sono ottenuti con i dosaggi elevati, ai quali è associata comunque una
maggiore incidenza di effetti avversi (soprattutto nausea e vomito).
Visto che la maggior parte degli studi finora effettuati ha considerato periodi intorno ai sei mesi (brevi se si pensa che la durata della
MdA è di media 8 anni!), la strategia più percorribile sembra la valutazione dello stato cognitivo del paziente ad intervalli regolari,
decidendo man mano se continuare oppure no la terapia.
Limiti della terapia farmacologica
L'efficacia, anche se modesta, mostrata dagli agenti colinergici nei trials è riproducibile nella pratica clinica solo in presenza di
determinati fattori, come quelli discussi in modo molto chiaro nelle linee guida di Lovestone e qui di seguito esposti:
1. Vista la specificità di questi farmaci anticolinesterasici è necessaria una diagnosi di demenza di Alzheimer, da almeno 6 mesi,
con esclusione di altre cause di demenza senile (soprattutto cause vascolari), per non esporre inutilmente i pazienti a terapie non
appropriate.
2. Una volta effettuata la diagnosi di MdA, va valutata che sia in una fase precoce e cioè di grado lieve e moderato, poiché l’efficacia
di questi farmaci colinergici è stata testata solamente in quest’ambito.
4. Andrebbe presa in considerazione la possibilità di somministrare i farmaci colinergici ai dosaggi più elevati (se tollerati) poiché la
quasi totalità degli studi clinici ha dimostrato una miglior efficacia nel migliorare i disturbi cognitivi proprio alle dosi più elevate.
5. Va effettuato un monitoraggio precoce della tollerabilità dei farmaci, poiché soprattutto ad alte dosi si ha l’insorgenza di effetti
collaterali, tali da richiedere la sospensione del trattamento. Una prima valutazione può essere fatta dopo due settimane di terapia per
verificare la comparsa di effetti collaterali. I più comuni sia per donepezil sia per rivastigmina sono nausea, vomito e diarrea. Per il
donepezil è stata rilevata insonnia, mentre per la rivastigmina anoressia. La rivastigmina in particolare ha un’elevata incidenza di
effetti collaterali, soprattutto ad alte dosi, tanto da registrare percentuali di abbandono degli studi intorno al 30%.
6. Se il farmaco è tollerato, devono poi essere eseguite delle valutazioni della risposta del paziente a breve e a lungo termine. La
prima andrebbe effettuata a tre mesi e la seconda a sei mesi di terapia, sottoponendo nuovamente il paziente ai test cognitivi.
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7. E’ opportuno interrompere il trattamento se vi sono problemi di tolleranza e di compliance, se si registra un deterioramento
cognitivo simile a quello del pretrattamento o, addirittura, se si assiste ad un peggioramento. Il trattamento può invece essere
mantenuto se si verifica un miglioramento, oppure una stabilizzazione od anche un rallentamento della progressione della malattia.
8. E’ inoltre importante tenere sotto osservazione i pazienti, quando sospendono la terapia, poiché sono riportati casi di precipitoso
peggioramento della demenza. Se questo si verifica in un arco di osservazione di sei settimane, in seguito a sospensione della terapia
farmacologica, potrebbe essere opportuno riprendere il trattamento.
Terapia od assistenza socio-sanitaria?
Da quanto detto, si comprende come il corretto utilizzo di tali farmaci implichi un percorso diagnostico-terapeutico tutt'altro che
semplice. In ciò risiede probabilmente la motivazione per cui la loro prescrizione risulta riservata, secondo il decreto di immissione
in commercio, agli "specialisti esperti nella gestione della malattia di Alzheimer”.
Non sono stati però ancora dimostrati evidenti miglioramenti della qualità di vita dei pazienti sottoposti alla terapia con
questi farmaci e mancano dati sul loro rapporto costo-beneficio, soprattutto nel ritardare sia la progressione della malattia,
sia l’istituzionalizzazione del malato.
La mancanza di dati certi e l’alto costo di questi farmaci fa ritenere che sarebbe più utile rendere le risorse economiche disponibili
per interventi di tipo socio-assistenziale, visto che una stima del Censis afferma che il 2,4% delle famiglie italiane sono coinvolte
nella cura di un malato di Alzheimer. Molto poco possono fare le terapie farmacologiche anticolinesterasiche rispetto alle necessità di
sostenere, con servizi sociali, purtroppo attualmente carenti in Italia, l’impegno di tempo, psicologico ed economico, di coloro che
assistono un congiunto con demenza di Alzheimer.
Attualmente in Italia possono essere concessi dall’SSN i due farmaci anticolinestarasici tramite il progetto CRONOS illustrato nel
box.
Protocollo di monitoraggio dei piani di trattamento farmacologico per la malattia di Alzheimer: progetto Cronos
Il Ministero della Sanità ha completato la sua proposta di rendere concedibili a carico del SSN i due inibitori dell’acetilcolinesterasi –
AChE-inibitori- (con D.M. del 20/07/2000, pubblicato nel Supplemento ordinario alla G.U. n° 204 del 01/09/2000) per il morbo di
Alzheimer, il donepezil e la rivastatina. Tale iniziativa rientra nel progetto Cronos, un programma diagnostico e terapeutico per la
malattia di Alzheimer promosso dal Ministero della Sanità e coordinato dal Dipartimento dei Medicinali e la Farmacovigilanza.
Il progetto Cronos intende:
1. sensibilizzare gli operatori sanitari e le famiglie dei pazienti mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione (newsletter
dedicate, media, internet) al fine di far crescere la consapevolezza sociale della malattia e migliorare gli interventi terapeutici e
assistenziali;
2. fornire gratuitamente i farmaci oggi disponibili;
3. garantire una continuità assistenziale tra le strutture specialistiche e medicina di base.
Il progetto avrà inizio il 15 settembre 2000 ed è concepito, per rendere disponibili i due farmaci mantenendo basso l’onere da parte del
SSN, come uno studio osservazionale. I MMG individuano pazienti ammissibili al trattamento, sulla base di un sospetto diagnostico o
della documentazione clinica già esistente, e li indirizzano a uno dei centri autorizzati (Unità di Valutazione per il monitoraggio dei
piani di trattamento farmacologico per la malattia di Alzheimer –UVA), che effettuerà o confermarà la diagnosi e ne stabilirà il grado
di severità secondo il MMSE (Mini Mental State Evaluation): saranno ammessi al trattamento unicamente i pazienti con
probabile malattia di Alzheimer lieve-moderata.
Le ditte produttrici hanno aderito alla richiesta del Ministero della Sanità di fornire gratis i prodotti (in confezioni opportunamente
contraddistinte) direttamente alla UVA per i primi quattro mesi, dopo i quali i farmaci saranno disponibili direttamente in farmacia
(classe A), con uno sconto, per il SSN, sul prezzo corrente previsto di circa il 30%. Il trattamento dei singoli pazienti sarà monitorato
dai rispettivi MMG, che sorveglieranno la comparsa di eventuali effetti collaterali o reazioni avverse e valuteranno l’andamento
clinico del paziente; le UVA ogni volta che il paziente verrà visitato completeranno una scheda , di cui trasmetteranno copia alla ASL
di residenza degli assistiti; l’Istituto Superiore della Sanità acquisirà i dati di tali schede da un campione rappresentativo di ASL,
costituirà un archivio informativo e redigerà, entro due anni, un rapporto complessivo sulla popolazione ammessa al trattamento, uso
dei farmaci anticolinesterasici, dati clinici, motivi di cessazione del trattamento, reazioni avverse, mancata compliance, etc.
Il trattamento verrà interrotto in caso di scarsa tollerabilità o scarsa compliance, quando il beneficio clinico sia insufficiente per
giustificare una continuazione della terapia e , comunque, quando il punteggio MMSE abbia raggiunto un valore uguale o inferiore a
10.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
American Psychiatric Association Practice Guideline for treatment of patients with Alzheimer’s disease and other dementias of late
life. Am J Psychiatry 1997; 154 (5): 1-39.
Mayeux R, Sano M Treatment of Alzheimer’s disease. New Engl J Med 1999; 341: 1670-79.
Lovestone S, Graham N, Howard R Guidelines on drug treatments for Alzheimer’s disease. Lancet 1997; 350:232-233.
Censis: quale impatto sociale. Assistenza all’Alzheimer. Il Sole 24 ore, 11-17 maggio 1999:XII-XV.
a cura della redazione di Dialogo sui Farmaci
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