2. IL VALORE 2.1 Impresa e creazione di valore 2.1.1 Le origini del valore Il criterio del valore si è sviluppato in seguito all’esigenza di stimare il valore dell’impresa allo scopo di stabilirne in modo efficiente il prezzo in concomitanza ad eventi legati ad operazioni di fusione ed acquisizione. In seguito il concetto si è esteso a ricomprendere la creazione di valore e ad individuare i processi in grado di creare valore. Il concetto di creazione di valore è stato quindi applicato alla misurazione delle performance d’impresa, alla scelta tra differenti strategie, alla corporate governance, al modo in cui il management si deve porre nel suo operare quotidiano ed a come il valore creato si trasferisca agli azionisti. Creare valore, in realtà, significa semplicemente realizzare un prodotto o un servizio che abbia un valore maggiore rispetto al valore dei singoli fattori produttivi utilizzati per generarlo. Il dibattito sulla creazione del valore, obiettivo che la teoria economica aveva sempre considerato come un assunto scontato, si propose con impeto negli Stati Uniti degli anni ’80. In quel periodo, infatti, molte grandi public companies, aventi livelli di redditività insoddisfacenti, vennero smembrate da ondate di fusioni, acquisizioni, scorpori, leverage by out, scalate ostili, ecc. con il fine 28 di riportarle ad un livello di redditività che potesse essere considerato soddisfacente 1 . L'obiettivo fu raggiunto proprio perché si riuscì a far emergere un potenziale di valore, prima nascosto all'interno della burocrazia della grande corporation, di enormi dimensioni, segno che, in gran parte di queste imprese, gli strumenti decisionali adottati non erano adeguati al raggiungimento del massimo profitto possibile per gli azionisti o, meglio, sulla base di quanto detto sopra, del massimo livello possibile di valore creato per gli stessi. Da quel momento in poi il tema della creazione di valore si è evoluto ed ampliato: la creazione di valore per l’azionista come modalità per misurare l’efficienza di un’impresa ha fatto sì che il concetto di creazione di valore fosse utilizzato per valutare tutte le scelte strategico – operative dell’impresa. Nel tempo si sono anche sviluppati strumenti idonei a misurare il valore creato, in particolare con il fine della valutazione preventiva e consuntiva delle strategie. 2.1.2 I soggetti per cui si crea valore Come accennato poc’anzi nella parte introduttiva, creare valore significa innanzitutto proporre un bene o un servizio aventi un valore superiore a quello delle risorse impiegate per generarlo. Questa semplice considerazione ha degli effetti sulle scelte dell’impresa, infatti, per creare valore per gli azionisti, e cioè per far 1 Giorgio Donna: “La creazione di valore nella gestione dell’impresa”, Carrocci Editore, 1999 e Jonson, Natarajan, Rappaport: “Shareholder Returns and Corporate Excellence”, in Journal of Business Strategy, n°3, 1985. 29 si che le loro azioni abbiano un valore maggiore in termini di dividendi e d’incremento del corso azionario, è necessario che il ciclo produttivo del bene o servizio offerto dall’impresa sia tale per cui il valore che i suoi clienti attribuiscono allo stesso sia maggiore dei costi, in termini di valore delle risorse impiegate, sostenuti per produrlo. Si ha quindi la necessità di creare valore per i clienti che sono poi i soggetti che dovranno riconoscere al bene prodotto quel maggior valore rispetto al valore dei fattori impiegati per produrlo. Senza la creazione di valore per i clienti, è dunque ovvio, non ci sarebbe creazione di valore economico, né creazione di valore per gli azionisti. I soggetti per cui si crea valore non sono, però, limitati ad azionisti e clienti, ma sono molteplici. Tali soggetti sono in generale tutti i portatori d’interesse legittimo nei confronti dell’impresa, e cioè gli stakeholders 2 . Bisogna infatti tener sempre ben presente, nel momento in cui è necessario fare scelte di tipo strategico – operativo, che da tali scelte conseguono comportamenti aventi effetti sull’ambiente in cui l’impresa opera: creare valore per gli stakeholders significa innanzitutto tener conto delle loro aspettative cercando di mediare tra le stesse al fine di raggiungere un risultato soddisfacente. Infatti qualunque azione ha risvolti nei confronti di molteplici attori che la giudicano in base al valore che, con tale azione, l’impresa crea o distrugge nei loro confronti. Il lancio di un nuovo prodotto che comporti maggior inquinamento, ma un aumento dell’occupazione, per esempio, potrebbe creare più valore, per la comunità locale, di 2 Si tratterà più approfonditamente di tali soggetti nel corso del prossimo capitolo. 30 quanto ne distrugga: ciò nel caso in cui prevalga la componente occupazionale nel giudizio della comunità stessa. I riflessi della stessa decisione in un gruppo di ambientalisti locali, invece, sarebbe probabilmente giudicata in modo opposto. La stessa scelta influenzerà probabilmente anche il mercato creditizio, creando valore per le banche che appoggeranno l’impresa, ed ovviamente il mercato cui il prodotto è destinato mediante un giudizio di valore dei consumatori. Ciò detto è bene sgomberare il campo da alcune possibili perplessità del lettore su quanto appena affermato precisando che, in realtà, l’importanza di ogni singolo stakeholder dipende dal suo grado d’influenza sulla redditività dell’impresa. La conseguenza è che, nell’economia capitalistica, il primo soggetto, ulteriore agli azionisti, per cui si deve creare valore, è il cliente poiché è colui in funzione del quale il bene è prodotto e che ne pagherà il prezzo, riflesso del valore che attribuisce al bene stesso. Creare valore per il cliente è il modo più sicuro per creare valore per l’azionista 3 perché una maggior utilità percepita dal cliente significa una sua maggior propensione a pagare per ottenere il prodotto o servizio dell’impresa, con la conseguenza, per quest’ultima, di poter conseguire prezzi più alti e quindi un maggior differenziale tra costo dei fattori della produzione e prezzo del bene prodotto e venduto, cioè un maggior valore creato tramite il processo produttivo 4 . 3 Porter: “Il vantaggio competitivo”, Einaudi, 2002. Inteso in modo estensivo a ricomprendere non soltanto il mero atto produttivo, ma anche tutte le fasi accessorie quali la commercializzazione, l’assistenza, la promozione, ecc. 4 31 In apparente contraddizione con quanto detto fin qui la dottrina aziendalistica si concentra, invece, molto sulla creazione di valore per l’azionista: ciò avviene sia perché l’azionista è il soggetto cardine dell’impresa cui i manager devono principalmente rispondere poiché ad esso legati da un rapporto principale - agente, sia perché il valore creato per questi è una misura sintetica del valore creato per tutti gli altri stakeholders, primi fra tutti i clienti dell’impresa. 2.1.3 Valore per l’azionista come misura sintetica del valore creato Il problema della creazione di valore per l’azionista si è sviluppato, come abbiamo detto, negli Usa, in particolare negli anni ’80 in cui sono emersi i problemi d’incapacità, da parte del management, di soddisfare le aspettative degli azionisti ed a cui sono seguite numerose scalate ostili e ristrutturazioni aziendali. Tutto il tema del valore è perciò incentrato sul valore creato per il singolo azionista della public company quotata. La creazione di valore per gli azionisti è null’altro che il benessere prodotto per gli stessi attraverso l’incremento del corso del titolo in borsa ed i dividendi distribuiti nel periodo di misurazione considerato. In realtà il valore creato per l'azionista è un tema che è stato approfondito moltissimo nel corso del tempo poiché la creazione di valore per l'azionista è la migliore misurazione sintetica del valore 32 creato, in generale, per gli stakeholders. Difatti, creare valore per l'azionista, significa ottenere un rapporto positivo fra il valore dell'impresa al momento della misurazione ed il suo valore nel passato, più precisamente all'inizio del periodo considerato. Creare valore per l'azionista significa, quindi, creare valore per l'impresa e questo valore si crea soltanto allorquando si sia trovato un compromesso ottimale fra le richieste degli stakeholders ed, in particolare, si sia ottenuta l'accettazione delle scelte dell'impresa da parte dell'ambiente in cui essa opera, si sia dato il maggior valore possibile al prodotto o al servizio che l'impresa offre, si siano minimizzati i costi per i vari fattori della produzione e si sia, quindi, massimizzato il valore creato e distribuito dall'impresa. L'impresa, infatti, non crea valore soltanto per i propri azionisti, ma, come abbiamo visto sopra, anche per la comunità locale in cui opera, per i propri fornitori, per i propri clienti, per i propri dipendenti, per il sistema creditizio, ecc. Da queste considerazioni emerge che il valore creato per l'azionista altro non è che una sintesi della capacità dell'impresa di creare valore tramite la propria attività, o meglio può essere considerato il riflesso del valore economico creato dall’impresa. Nella creazione di valore per l'azionista, e soprattutto nel trasferimento del valore, creato da una strategia piuttosto che da una nuova prassi operativa, all'azionista stesso, si riscontrano, però, alcuni problemi. Innanzitutto è rilevante la corporate governance dell'impresa: esistono, infatti, elevate difformità nel trasferimento tra il valore economico creato ed il valore creato per gli azionisti a 33 seconda che la proprietà dell'impresa sia chiusa; che ci sia una struttura proprietaria aperta, ma con un socio di riferimento; o che si sia in presenza di una public company. Il tema del trasferimento del valore economico creato agli azionisti è stato sviluppato in Italia da Guatri 5 che ha così sopperito ad un disinteresse, in materia, da parte della dottrina d’oltreoceano che considera tale meccanismo come automatico. Guatri evidenzia in particolar modo problemi e vantaggi delle imprese a proprietà chiusa ed a proprietà aperta con un “nocciolo duro” di controllo poiché, il problema del trasferimento del valore creato agli azionisti, in tali casi, è del tutto particolare. Con riferimento alle imprese aventi proprietà aperta e definibili public company si può semplicemente dire che, se il mercato in cui ne sono quotati i titoli è sufficientemente sviluppato con riferimento, in particolare, alla trasparenza informativa ed alla liquidità dei titoli quotati, il valore creato si trasferisce agli azionisti per il tramite dei dividendi e dell’incremento del corso del titolo. Nel caso, invece, in cui la priorità dell'impresa sia chiusa, e cioè che la compagine azionaria sia formata da un numero molto limitato di soggetti aventi elevati poteri decisionali ed operativi, il valore creato da un'azione dell'impresa si trasferirà interamente e direttamente a tali soggetti: ci si distacca dalla teoria classica sulla creazione di valore per l’azionista poiché, in questo caso, il valore generato per lo stesso non è composto solo da dividendi e da un aumento del valore delle quote o azioni possedute, ma anche, ed in 5 L.Guatri: La teoria di creazione del valore, Egea, Milano, 1991. 34 particolar modo con riferimento alle PMI 6 , dalla possibilità di prelievo diretto di utili, prelievi “in natura” attraverso l’uso di strumenti e strutture aziendali per fini privati, ecc. Tale situazione particolare può far sì che vengano effettuate scelte strategiche subottimali dal punto di vista della creazione di valore economico, ma con il fine di ottenere vantaggi fiscali privati poiché, in questo caso, proprietà e controllo coincidono. Lo stesso problema si ripresenta con riguardo alle scelte di finanziamento poiché queste sono concentrate verso i finanziamenti deducibili piuttosto che verso una gestione ottimale delle fonti: a ciò, ed al fatto che l’azionista non vuole perdere il controllo dell’impresa, discende una tendenza generale alla sottocapitalizzazione dell’impresa caratteristica, per l’appunto, delle imprese a proprietà chiusa. Una proprietà chiusa, però, presenta anche innegabili vantaggi poiché, essendo l’imprenditore/proprietario libero dai vincoli esterni, che spesso costringono i manager delle public company a puntare più sui risultati di medio/breve periodo a scapito di opzioni particolarmente vantaggiose, ma che daranno i frutti sperati solo nel medio/lungo periodo, questi potrà essere gestire l’impresa in una logica di obiettivi di medio/lungo termine che portano, spesso, a fondare vantaggi competitivi particolarmente solidi e difendibili. I rischi del modello della proprietà chiusa sono, invece, a livello gestionale: la possibile inadeguatezza dell’azionista/imprenditore e dei suoi collaboratori a radicali mutamenti del panorama competitivo, il possibile dramma del ricambio generazionale, e la 6 PMI: Piccole e medie imprese. 35 già citata sottocapitalizzazione cronica dell’impresa possono determinare crisi, anche gravi, dell’impresa e perfino la sua fine. Nel caso, infine, in cui la proprietà sia aperta, ma che vi sia un soggetto di riferimento, il cosiddetto azionista di maggioranza, il trasferimento del valore creato dall'impresa al singolo azionista avverrà in modo differente a seconda che l'azionista sia un generico azionista di minoranza piuttosto che l'azionista di riferimento: in questo caso l'azionista di riferimento, controllando le sorti dell'impresa, si appropria di una quantità maggiore del valore creato rispetto a quella che gli spetterebbe se non si trovasse nella sua posizione privilegiata, e ciò avviene spesso a scapito degli azionisti di minoranza. Anche in questo caso si possono avere episodi di sottocapitalizzazione, anche se più rari di quanto avviene in caso di una proprietà chiusa, dovuti al tentativo, da parte dell’azionista di riferimento, di non perdere il controllo dell’impresa a seguito di una diluizione, dovuta ad aumenti di capitale, della sua quota di controllo. Il problema del trasferimento del valore creato all'azionista è a dir poco rilevante se si considera che soltanto il valore effettivamente trasferito può essere misurato: ciò comporta che, se un'impresa non riesce a trasferire parte del valore creato, per esempio da una strategia, ai propri azionisti, questi saranno meno propensi ad investire, o a mantenere l'investimento, nel capitale proprio dell'impresa stessa con conseguente difficoltà, per essa, di reperire tale preziosa fonte di finanziamento sul mercato dei capitali e della sua conseguente, probabile, sottocapitalizzazione. 36 Come abbiamo detto il valore creato e trasferito all'azionista proviene dalle scelte che l'impresa fa nel suo operare quotidiano. In realtà, per la gran parte, il valore creato trae origine dalla formulazione e messa in opera di strategie volte, per l’appunto, a tale fine: quindi il valore creato per l'azionista, o meglio il valore economico creato e trasferito all'azionista, è il risultato delle scelte strategiche ed organizzative dell'impresa. 2.2 Il valore azionario Abbiamo fino ad ora discusso di valore e creazione di valore in termini teorici, adesso è giunto il momento di fornire qualche dato più pratico. 2.2.1 Parametri e metodi di valutazione Si potrebbe semplicemente affermare che, nella scelta fra investimenti alternativi, un investitore dovrà certamente optare per quella avente il valore attuale netto 7 maggiore. Per poter sostenere tale affermazione dobbiamo, però, motivare la scelta del VAN come miglior indice di misurazione per la valutazione di un investimento, considerando i suoi vantaggi rispetto ad altri indici e parametri di misurazione. Innanzitutto definiamo la struttura del VAN: 7 D’ora in poi VAN. 37 Cash Flowt VAN = ∑∞t=1 ─────── - costo dell’investimento. (1 + r)t Guardando alla formula si comprende subito quali siano le difficoltà nell’applicare il VAN: cioè la valutazione dei flussi di cassa e la scelta del tasso di attualizzazione. Infatti, se da una parte il costo dell’investimento è un dato certo sia nel tempo che nella consistenza, lo stesso non si può certo dire per i flussi di cassa futuri attesi. A proposito del tasso di attualizzazione si può, invece, fare di più; infatti è possibile, sapendo la data in cui l’insieme dei flussi di cassa si sarà esaurito, o conoscendo la data del disinvestimento, che altro non è se non il termine dell’orizzonte temporale di riferimento, reperire il tasso di mercato relativo all’intervallo temporale considerato ed applicarlo nella formula. Per quanto concerne la valutazione dei flussi di cassa derivanti dall’investimento, per quanto ci si possa sforzare di essere obiettivi, permane, comunque, una certa qual soggettività nel giudizio, soprattutto laddove si tratti di stabilire flussi di cassa attesi ad oltre cinque anni di distanza. Perciò, per quanto il metodo di valutazione sia piuttosto affidabile ed abbastanza obbiettivo, è bene far particolare attenzione nell’applicarlo a casi concreti in cui l’orizzonte temporale dell’investimento sia troppo lungo. 38 Andiamo ora a definire, per motivare la scelta di utilizzare il VAN come criterio valutativo, quali siano i problemi, più o meno rilevanti, che hanno gli altri indici utilizzati solitamente per valutare un investimento: 1. Il tempo di recupero: il tempo di recupero di un investimento si ottiene calcolando il numero di anni necessario affinché i flussi di cassa previsti, cumulati fra loro, eguaglino l’investimento iniziale. Il tempo di recupero presenta almeno due limiti gravi: ignora tutti i flussi di cassa successivi al “cut - off period 8 ” e considera identici i flussi di cassa all’interno dello stesso “cut - off period” senza tener conto del valore finanziario del tempo (tra due investimenti alternativi, che permettono di recuperare l’intera entità dell’investimento in 3 anni, sarà più conveniente quello avente flussi di cassa più elevati nei primi anni!). 2. Tasso interno di rendimento 9 : Il TIR è il tasso interno di rendimento di un investimento e si calcola ponendo il VAN = 0 e sostituendo il tasso d’interesse dei vari anni dell’attualizzazione con un unico tasso, detto appunti TIR. I problemi del TIR si manifestano in particolare allorché lo si applichi ad un indebitamento e non ad un investimento (in quel caso un TIR alto è un segnale negativo); nel caso in cui ci siano tassi di rendimento multipli come, per esempio, nel caso vi sia una tassazione progressiva; qualora lo si utilizzi nella scelta tra progetti alternativi di diversa entità, ecc. 8 9 Tempo di recupero. D’ora in poi TIR. 39 3. Tasso di rendimento contabile degli investimenti 10 : Il ROI, un indicatore contabile utilizzato massicciamente per mostrare le performance di un’impresa, è frutto del semplice rapporto tra reddito operativo netto (dopo le imposte) ed il valore netto contabile delle attività (al netto degli ammortamenti). Pur essendo, probabilmente, l’indice più usato per la valutazione delle performance economico - finanziarie di un’impresa e per la scelta tra diversi investimenti, presenta limiti rilevanti. Tali limiti sono principalmente dovuti ad una rappresentazione incompleta del patrimonio aziendale, in particolare con riferimento alle risorse immateriali non acquisite attraverso scambi monetari, i cosiddetti asset intangibili 11 , e ad una determinazione non realistica del reddito prodotto e del valore del capitale dell’impresa. Ciò avviene soprattutto a causa di 12 : Eccessiva importanza attribuita ai risultati conseguiti in passato o conseguibili nell’immediato futuro; Mancata considerazione delle opportunità di più ampio respiro insite nei progetti d’investimento; Mancata considerazione del valore finanziario del tempo; Mancata valutazione del rischio gravante sulle scelte d’investimento possibili. 10 D’ora in poi ROI = Return on Investments (ritorno sugli investimenti). Gli asset intangibili sono, tra l’altro, una delle principali fonti del vantaggio competitivo delle imprese di oggi. 12 Federico Fontana in Corso di Reporting, a.a. 2004/2005. 11 40 Per meglio comprendere questi limiti del ROI è necessario analizzare uno alla volta i differenti casi: L’eccessiva importanza attribuita ai risultati conseguiti in passato fa sì che un’impresa, che abbia avuto storicamente un ROI alto, potrebbe apparire migliore di un'altra, avente storicamente un ROI basso, anche se, nel momento della valutazione, sia migliore il rendimento dell’investimento fatto dalla seconda, o se i rendimenti fossero identici; L’eccessiva importanza dei risultati rientranti in un piano prestabilito, cioè conseguibili nell’immediato futuro, condiziona la scelta tra investimenti alternativi poiché può darsi che il ROI di una delle alternative sia maggiore considerando i tempi del piano, ma che, avendo tali investimenti risultati anche oltre l’orizzonte temporale del piano stesso, e considerando anche il ROI prodotto in seguito, si riveli maggiormente conveniente l’alternativa scartata in precedenza; Il problema della mancata considerazione del valore finanziario del tempo è evidente qualora un investimento, avente un ROI mediamente peggiore di quello dell’altra alternativa, avesse tempi di ritorno più brevi e fosse, in termini monetari, molto più conveniente; Per quanto riguarda la mancata considerazione del rischio si può evidenziare, per esempio, come il ROI di 41 un investimento in un sistema - Paese ad elevato rischio come quelli asiatici, o a basso rischio come negli USA, si calcoli su parametri identici e non tenga conto, quindi, del rischio – Paese: è evidente che investire con un ROI del 10% in USA è ben diverso dall’investire con un ROI del 10% in Tailandia, ma l’indicatore non aiuta a comprendere la differenza di rischiosità dell’investimento. 4. L’utile di esercizio non può essere utilizzato nella valutazione di un investimento poiché si basa non solo su dati oggettivi bensì, ed in maniera troppo rilevante, su scelte soggettive del management. Infatti due imprese, pressoché identiche in tutto e per tutto, ed in particolar modo con riferimento a ricavi e costi, potranno presentare utili di esercizio anche molto diversi sulla base di diverse scelte contabili: è ovvio, quindi, che non sia possibile utilizzare un indicatore di questo tipo per scegliere un tra due investimenti. 5. L’EPS 13 è la percentuale di utile per azione: di per se ha una grande utilità poiché fornisce un’informazione sintetica che permette di valutare se un determinato titolo sia più conveniente di un altro; il problema sorge quando si vanno ad evidenziare le variabili che stanno dietro all’EPS e che dimostrano come ci si trovi nuovamente in presenza di un indicatore frutto di scelte soggettive in ordine ai dividendi, agli utili realizzati, ecc. Nello stesso modo, senza nemmeno necessitare di un apposito punto dell’elenco, possiamo 13 Earnings Per Share (quota di profitto per ogni azione). 42 tranquillamente congedare anche il DPS 14 in quanto frutto, anch’esso, di tali scelte soggettive. 6. Il ROE, essendo il rapporto tra reddito netto, o utile/perdita d’esercizio, e capitale netto, soffre degli stessi problemi di soggettività nelle valutazioni degl’indici appena citati. Questo ci dimostra come il VAN sia il miglior indice di misurazione per la valutazione di un investimento. 2.2.2 Il processo di valutazione Nel capitolo precedente, discutendo del particolare problema della creazione e del trasferimento del valore creato agli azionisti, si è evidenziato come questi siano indotti ad investire in un’impresa sulla base del valore che questa crea e trasferisce loro. Ora, assumendo che non si faccia riferimento ad un azionista, bensì ad un potenziale investitore, possiamo chiederci come possa procedere alla valutazione di un titolo piuttosto che di un altro e cosa possa influenzare il corso dei titoli quotati 15 . Nella scelta, il potenziale investitore, potrà contare su diversi strumenti che indicano le performance dell’impresa quali l’utile d’esercizio, l’EPS, il DPS, il ROE, il ROI ed, infine, il metodo del valore azionario. Utile d’esercizio, EPS, DPS, ROE e ROI presentano, però, alcuni problemi, poiché gli indici di derivazione contabile, anche se sono molto efficienti nel fotografare la situazione attuale e nel permettere lo studio ed il confronto fra serie storiche, nulla dicono sul futuro 14 Dividend Per Share (quota di dividendi per ogni azione). La premessa è che si tratti di titoli quotati su un mercato efficiente ed appartenenti ad una public company. 15 43 che attende l’impresa in questione, e soffrono di tutta una serie di problemi poc’anzi descritti. Il metodo del valore azionario, invece, stima il valore economico di un investimento sulla base dei suoi flussi di cassa futuri attesi attualizzati con un tasso pari al costo medio del capitale. Si utilizza la stima dei flussi di cassa poiché questi sono all’origine del valore azionario sia sotto forma di dividendi che d’incremento del corso del titolo in borsa, con conseguente possibile plusvalenza per i detentori dei titoli stessi. Certamente anche tale metodo, se utilizzato per la scelta di un investimento, presenta il rischio di essere troppo legato a scelte soggettive in merito alla definizione dei flussi di cassa futuri attesi, ma è anche vero che tali flussi, in un periodo relativamente breve di tempo, sono prevedibili con un grado di obbiettività sufficiente. Vediamo quindi il processo di valutazione di un titolo. Partiamo dal valore economico di un’impresa, o valore societario, che è la somma delle sue passività e del suo capitale netto, detto anche valore azionario. Le passività includono i debiti, gli accantonamenti, ed ogni altra esposizione derivante da diritti di terzi sulle attività dell’impresa. Per calcolare il valore azionario, che è la differenza tra il valore societario e le passività, è necessario determinare, quindi, oltre alle passività, il valore societario, o valore economico, dell’impresa considerata. Tale valore può essere individuato considerando che è composto dal valore attuale dei flussi di cassa attesi durante un 44 orizzonte temporale previsionale definito 16 e di un certo valore residuo che rappresenta il valore attuale della nostra impresa per tutto il periodo seguente 17 . A tali componenti si aggiunge il valore di mercato dei titoli negoziabili eventualmente posseduti e degli altri investimenti immediatamente liquidabili e non necessari per la gestione operativa, in quanto anch’essi parti del valore societario pur non essendo compresi nel cash flow operativo. Volendo schematizzare il processo appena illustrato si può scrivere: Dove: con E è indicato il valore di mercato del patrimonio netto cioè, nei termini di cui sopra, il valore azionario complessivo dell’impresa; OFCF indica il flusso di cassa atteso nell’anno t dell’orizzonte temporale predefinito; il WACC indica il tasso d’attualizzazione dei flussi di cassa; n è il numero di anni del suddetto orizzonte temporale; Vf è il valore attuale dell’impresa per tutto il periodo seguente l’orizzonte temporale predefinito, e cioè il valore residuo; con D è indicata la posizione finanziaria netta; con M è indicato il valore di mercato del patrimonio netto di terzi (M + D = passività); SA, infine, rappresenta il valore di mercato dei titoli negoziabili eventualmente posseduti e degli altri investimenti immediatamente liquidabili e non necessari per la gestione operativa. 16 Cash Flow operativo. Ciò elimina il problema della mancata considerazione di flussi di cassa ulteriori rispetto a quelli dell’orizzonte temporale di riferimento dell’investimento. 17 45 Sempre ai fini del calcolo del valore azionario bisogna, in aggiunta a quanto detto finora, indagare le singole componenti, e quindi il punto di partenza nel calcolo, dei valori suddetti. Il singolo OFCF (operating free cash flow) atteso può essere calcolato efficacemente partendo dal risultato operativo (EBIT) e sottraendo le imposte sul risultato operativo stesso per giungere ad un risultato operativo al netto delle imposte; a questo vanno aggiunti gli ammortamenti, gli accantonamenti e le altre voci non monetarie di bilancio ed eventuali variazioni negative del capitale circolante e sottratte eventuali variazioni positive del capitale circolante stesso ed i nuovi investimenti in capitale fisso o immobilizzazioni 18 . Lo stesso risultato può essere ottenuto partendo dai ricavi monetari della gestione caratteristica e sottraendo i costi monetari della stessa. Il WACC altro non è se non il costo medio ponderato del capitale: abbiamo quindi che dove Kd è il costo del capitale di debito, T è il risparmio fiscale conseguente al finanziamento, D/D+E è il “peso” del capitale di debito sul totale del capitale utilizzato, Ke è il costo del capitale con il vincolo del pieno rischio ed infine E/D+E è il “peso” del capitale netto sul totale del capitale utilizzato. A questo punto non resta altro da fare che andare ad individuare le grandezze Kd e Ke. 18 Al netto di eventuali disinvestimenti. 46 Kd è il tasso a cui la nostra impresa prende il capitale di debito: è quindi il tasso cui l'impresa può far riferimento nel raccogliere capitale di debito sui mercati o presso il sistema bancario. Ke è il tasso di remunerazione del capitale con il vincolo del pieno rischio, cioè il costo del capitale con il vincolo di pieno rischio, o meglio il costo che l'impresa deve sostenere per mantenere fedeli i propri azionisti e per essere, quindi, attrattiva nei loro confronti. Ke è piuttosto difficile da calcolare poiché bisogna prendere in considerazione diversi parametri: innanzitutto è molto rilevante il tasso d’interesse degli investimenti privi di rischio, quindi bisogna considerare il rischio associato al mercato in cui l'impresa opera ed infine la rischiosità specifica dell'attività della nostra impresa. L'affermazione appena fatta può essere sintetizzata dalla formula che segue: Ke = r + [β(m-r)]mi laddove r è il tasso d'interesse degli investimenti privi di rischio, β è il tasso di rischio del settore in cui l’impresa opera 19 , m è il tasso di rendimento medio degli investimenti rischiosi (azioni), mi è il coefficiente di rischio specifico della singola impresa. Fino ad ora abbiamo analizzato una modalità atta a stimare il valore azionario di un'impresa sulla base del suo valore societario e delle passività; nel farlo abbiamo detto che il valore societario è composto dal valore attuale dei flussi di cassa attesi durante l'orizzonte temporale della previsione, ed al valore residuo, che rappresenta il valore attuale della nostra impresa al termine dell'orizzonte temporale di cui sopra. 19 Il β del mercato è =1 47 Con riferimento ai flussi di cassa abbiamo analizzato in particolar modo i flussi di cassa operativi, ciò perché essi costituiscono la fonte di liquidità con cui l'impresa può soddisfare finanziatori ed azionisti; abbiamo considerato poi il costo del capitale ed abbiamo visto che, per analizzarlo compiutamente, bisogna calcolare una media ponderata dei costi del capitale di debito e del capitale proprio. A questo punto ci manca soltanto il calcolo del valore residuo che non è altro che il valore attuale di un flusso di cassa perpetuo, e può, quindi, essere calcolato come rapporto fra annualità e tasso di rendimento, oppure fra annualità e costo del capitale, dando per scontato che, dopo un certo tempo, che coincide con l'orizzonte temporale di riferimento, si può ipotizzare che le annualità siano tutte uguali tra loro. Ciò detto possiamo tranquillamente affermare che il nostro potenziale investitore si baserà molto probabilmente su tutti gli indici a sua disposizione, ma tenendo ben presente il calcolo del valore azionario che ha compiuto. All’inizio del paragrafo ci si proponeva di evidenziare gli strumenti che potessero permettere una scelta fra azioni quotate d’imprese differenti, ma anche di definire, seppur brevemente, cosa potesse influenzare il corso di un titolo. Normalmente il corso di un titolo è influenzato, oltre che dalle scelte e dalla redditività dell’impresa, anche dalle aspettative degli investitori in merito ai flussi di cassa futuri attesi ed alla rischiosità dell’investimento: perciò una variazione in una delle due 48 componenti determinanti il prezzo si rifletterà inevitabilmente, non appena nota, sul corso del titolo stesso. Nei paragrafi precedenti, però, si è evidenziato come la creazione di valore, e più in particolare la creazione di valore per gli azionisti, sia influenzata dalle scelte strategiche dell’impresa, ebbene a questo punto conosciamo la via attraverso la quale la scelta fra diverse alternative strategiche influenza il valore creato per gli azionisti, e cioè tramite una variazione nella rischiosità o nei flussi di cassa futuri attesi dell’impresa stessa. La definizione e la scelta fra le diverse alternative strategiche è quindi la chiave di lettura della creazione di valore per l’azionista, poiché questa avviene proprio grazie ad esse, ma questo sarà oggetto del prossimo paragrafo. 2.3 Strategie d’impresa e creazione di valore 2.3.1 Cenni introduttivi Come detto in precedenza, per creare valore per l’azionista bisogna creare valore per tutti gli stakeholders con particolare riferimento al più rilevante tra questi, cioè il cliente. Nel corso del resto del paragrafo 2.3 verrà approfondito il tema della scelta fra alternative strategiche, degli strumenti decisionali utilizzabili nell’effettuarla e della loro capacità di creare valore per l’azionista. In questa parte introduttiva è riassunto il punto di partenza che ci porta a sviluppare 49 il resto del paragrafo, e cioè la necessità di una scelta, tra le alternative strategiche, volta alla massima creazione di valore possibile per l’azionista. Con riferimento alla scelta, tra le diverse alternative strategiche, sulla base della loro capacità di creare valore, è quantomeno opportuno sottolineare l’apporto dato da Alfred Rappaport 20 che si è occupato di approfondire la tematica della valutazione delle strategie sulla base del valore creato per gli azionisti, ma che dava per scontata la tematica, peraltro già sviscerata nel paragrafo 2.1.3, molto scottante nel nostro Paese, del trasferimento del valore creato agli azionisti stessi. Ciò perché Rappaport si riferiva al modello americano, composto da grandi imprese a proprietà diffusa, le cosiddette public companies, con azioni quotate in un mercato borsistico dotato di un buon livello di trasparenza, efficienza e liquidità e non coerente, quindi, con il caso italiano. In Italia la tematica è stata sviluppata 21 , lo abbiamo visto, da Guatri 22 che ha evidenziato le particolarità specifiche del nostro Paese rispetto al caso americano. Negli Stati Uniti è pienamente applicabile lo Shareholder Value Approach: tale teoria sostiene che il valore borsistico dell’impresa è funzione del valore attualizzato dei flussi di cassa che le strategie realizzate permetteranno di generare in futuro; si dà, quindi, per scontato, che il valore creato dall’implementazione di un’opzione 20 Alfred Rappaport: “Creating Shareholder Value: The New Standard for Business Performance”, New York, Free Press, 1986 (ed. it., “La strategia del valore: le nuove regole della performance aziendale”, Franco Angeli, Milano, 1986). 21 Vedi paragrafo 2.1.3. 22 L.Guatri: “La teoria di creazione del valore”, Egea, Milano, 1991; “Strategie d’impresa e massimizzazione del valore azionario”, Prolusione all’inaugurazione dell’a.a. 1990/91, Università L.Bocconi, Milano, 22 ottobre 1990. 50 strategica si rifletta direttamente ed integralmente sul corso del titolo quotato e costituisca, in questo modo, parte della remunerazione degli azionisti. Il valore, quindi, rappresenta un utile criterio per misurare la “bontà” di un’alternativa strategica ed è un indicatore, unico e sintetico, in grado di agevolare il manager nella scelta tra risultati a breve ed a medio/lungo termine. Il valore creato dalla strategia, infatti, poiché misurato tenendo conto del valore finanziario del tempo, permette all’azionista di optare, anche se indirettamente, per un parziale reinvestimento degli utili, a fronte della loro integrale distribuzione sotto forma di dividendi, essendo ripagato da una variazione incrementale del corso del titolo che risentirà delle attese per migliori performance future dell’impresa 23 . Volendo valutare un’alternativa strategica, e tenendo conto di come questa possa influenzare il valore di un titolo, se ne considererà l’impatto sui flussi di cassa futuri attesi, sul valore finale e sulle passività. Nella scelta tra alternative strategiche, perciò, si andrà a misurare quale alternativa produrrà un valore più alto per unità di capitale investito. 23 Sulla base di quanto affermato nel paragrafo 2.2.2 laddove s’illustravano i fattori in grado d’influire sul corso di un titolo quotato. 51 2.3.2 Come le strategie creano valore Una volta delineata l’importanza delle strategie nel processo di creazione di valore per gli azionisti andiamo ad analizzare la via tramite la quale estrinseca tale sua facoltà. In realtà le strategie sono implementate, sulla base degli studi compiuti da Porter 24 , al fine di generare, per l’impresa, un vantaggio competitivo solido e difendibile basato su un corretto bilanciamento delle combinazioni costo/differenziazione dell’impresa e dei suoi prodotti o servizi. Da quanto detto sembra che, nella scelta fra diverse opzioni strategiche, alla ricerca delle alternative migliori, l’applicazione del criterio del valore per gli azionisti e l’analisi strategica volta alla creazione di vantaggio competitivo siano quasi sinonimi, ma non è così 25 . Difatti le due modalità d’analisi e scelta, pur essendo volte al medesimo fine di trovare le opzioni strategiche migliori, presentano differenze significative. Innanzitutto si fondano su due concezioni del valore differenti: l’analisi strategica, infatti, si basa sulla ricerca di un vantaggio competitivo che crei valore per il cliente, permettendo all’impresa di operare con maggiori margini di profitto 26 , tramite strategie di differenziazione, di leadership di 24 M.Porter: “La strategia competitiva”, Compositori, 1997 ; M.Porter: “Competitive Advantage”, The Free Press, a Division of Macmillan Inc, New York, 1985, ed. it. “Il vantaggio competitivo”, Edizioni Comunità, Milano, 1987. 25 P. Parini: “Vantaggio competitivo e controllo strategico”, Giappichelli Editore, Torino, 1996. 26 Creando quindi valore. 52 costo e di focalizzazione 27 ; mentre il criterio del valore si riferisce, più in generale, all’obbiettivo ultimo di ogni strategia: creare valore per l’azionista. In secondo luogo le due analisi mettono in risalto parametri di misurazione diversi: ai fini della creazione di vantaggio competitivo emergono il valore riconosciuto ai prodotti, il rapporto con i concorrenti e le rispettive quote di mercato, l’analisi dei costi, l’evoluzione dell’ambiente competitivo, gli entranti potenziali, i prodotti sostitutivi, ecc.; mentre nell’analisi della creazione di valore per l’azionista rientrano parametri quali il patrimonio netto dell’impresa, il corso del titolo in borsa, il DPS 28 , l’EPS 29 , ecc. Ovviamente le due modalità di analisi e selezione delle strategie non hanno solo differenze, ma anche punti in comune, o meglio, considerando l’analisi strategica come divisa in formulazione e valutazione 30 possiamo coniugare: il momento della formulazione strategica, in cui abbiamo l’analisi strategica che valuta l’attrattività del settore, il posizionamento, il rapporto costo/differenziazione, ecc.: con il momento della valutazione delle strategie considerate perseguibili tramite la stima del valore creato per l’azionista dalle diverse opzioni strategiche. Tale interconnessione è ancor più comprensibile se si rammenta che, l’analisi strategica volta alla formulazione di una strategia coerente con obbiettivi di posizionamento strategico, caratteristiche del settore, ecc., permette di creare un maggior valore per i clienti, 27 M.Porter: “Competitive Advantage”, The Free Press, a Division of Macmillan Inc, New York, 1985, ed. it. “Il vantaggio competitivo”, Edizioni Comunità, Milano, 1987. 28 Dividend per Share. 29 Earning per Share. 30 A. Rappaport: “La strategia del valore”, Franco Angeli, Milano, 1998, pagg. 95/103. 53 maggior valore che si riflette in un maggior differenziale prezzo/costo, provocando un maggior profitto che va a costituire la base su cui fondare le valutazioni in merito alla creazione di valore, da parte delle opzioni strategiche stesse, per l’azionista. Abbiamo visto, quindi, come le strategie creino valore mediante la loro capacità di alimentare un vantaggio competitivo peculiare, durevole e difendibile: atto, perciò, a creare valore per i clienti aumentando il differenziale prezzo – costo del prodotto/servizio e creando, conseguentemente, nuovo valore economico che, una volta trasferito all’azionista, diverrà valore per l’azionista 31 . A questo punto non resta che andare ad individuare una metodologia atta a misurare il valore creato per l’azionista da un’opzione strategica e le migliori metodologie per la scelta tra opportunità strategiche sulla base del valore da queste creato. Di questo si occuperanno i prossimi paragrafi. 2.3.3 Misurazione del valore creato dalla strategia La misurazione del valore creato da una strategia può essere fatta in sede di valutazione dei risultati effettivamente conseguiti dall’adozione della strategia in oggetto. In una valutazione, il valore creato da una strategia è uguale al valore azionario finale meno il valore azionario iniziale. Il valore azionario finale altro non è se non il valore attuale dei flussi di cassa futuri attesi a seguito dell'implementazione della strategia; il valore azionario iniziale è, invece, il valore attuale dei flussi di 31 Con tutti i limiti del trasferimento di valore all’azionista di cui al paragrafo 2.1.3. 54 cassa futuri attesi al netto di quelli conseguenti l’implementazione della strategia. Semplificando, il valore che un’alternativa strategica si suppone sia in grado di creare per una certa impresa può essere misurato, utilizzando la DCFA 32 , tramite il differenziale tra il valore attuale dei flussi di cassa attualizzati dell’impresa in assenza della strategia e lo stesso valore in presenza della stessa. Per valutare più semplicemente un’opzione strategica, tuttavia, è più semplice ed intuitivo prescindere dalle sue possibili ricadute ed interconnessioni con il resto dell’impresa e delle sue strategie passate, presenti e future ipotizzando che tali legami non sussistano e che, di conseguenza, l’opzione strategica sia assimilabile, nella sua valutazione, alla scelta di un investimento a se stante e privo di sinergie con il resto dell’agire aziendale. Potremmo quindi assimilare il decisore aziendale ad un ipotetico investitore che debba valutare se un certo investimento in una certa impresa sia stato o meno conveniente. Innanzitutto il nostro ipotetico investitore, nel valutare la capacità dell’impresa di creare valore nel tempo, potrà fare affidamento sul corso del titolo sul mercato azionario poiché tale elemento, in caso le azioni siano quotate in un mercato efficiente, è un buon indicatore sintetico della capacità dell’impresa di creare valore. Ciò perché, il prezzo dell’azione, come abbiamo visto nel paragrafo 2.2.2, può essere calcolato partendo dal valore attualizzato dei flussi di cassa futuri attesi che l’impresa dovrebbe generare da quel momento in poi ed è, dunque, un valido strumento per misurare sia 32 “Discounted Cash Flow Analysis” (Analisi dei flussi di cassa attualizzati). 55 il valore al momento dell’acquisto che al momento della vendita, e la variazione dello stesso nell’arco di tempo trascorso. Come detto nel paragrafo 2.2.1 è difficile individuare quale sia l’entità dei cash flows futuri attesi, si usano, perciò, stime che, in quanto tali, sono frutto di scelte relativamente arbitrarie. Per questo motivo il valore dell’azione, e con esso quello dell’impresa, non è un dato assolutamente oggettivo, ma il frutto di una valutazione fatta dai diversi soggetti che operano sul mercato dei capitali. In conseguenza di ciò, al variare delle aspettative di una larga parte degli azionisti e degli investitori potenziali, varierà il corso del titolo 33 . Nel processo di misurazione del valore di un’impresa incideranno, inoltre, diversi fattori soggettivi tra cui i più rilevanti possono essere individuati come: La qualità delle informazioni disponibili La percezione o meno di un potere di controllo sul management L’orizzonte temporale L’incertezza La propensione al rischio La qualità delle informazioni a disposizione dell’investitore è l’elemento più importante nella determinazione del valore che lo stesso conferisce all’impresa. Poiché non tutti dispongono delle stesse informazioni, e non tutte le informazioni sono disponibili immediatamente, si ha un’asimmetria informativa che comporta una 33 Sulla base di quanto affermato nel paragrafo 2.2.2 laddove s’illustravano i fattori in grado d’influire sul corso di un titolo quotato. 56 diversa valutazione delle performance attese dall’impresa. In realtà non è soltanto la quantità e qualità delle informazioni a determinare la valutazione: interviene anche la traduzione delle informazioni in azioni, che spesso presenta notevoli differenze tra i diversi soggetti. La percezione di un potere di controllo sul management è, evidentemente, un elemento positivo della valutazione, mentre l’orizzonte temporale di riferimento, pur essendo molto rilevante ai fini della valutazione, non è necessariamente un componente positivo della stessa. Infatti se l’impresa in questione ha avviato una politica di crescita e d’investimenti di lungo periodo ciò sarà visto positivamente da chi ha investito in un ottica di lungo termine e negativamente da chi attende ritorni nel breve periodo. L’incertezza è un elemento ancor più ambiguo poiché, se le previsioni del management sui ritorni degli investimenti fatti vengono considerate realistiche e realizzabili, si avrà un maggior interesse nei confronti del titolo; nel caso opposto, invece, la valutazione sconterà il pessimismo nei confronti del giudizio del management. Infine, la propensione al rischio, fa sì che chi ha maggior propensione al rischio sia disposto a pagare di più per acquistare il titolo, a parità di rischio, rispetto ad un soggetto più avverso al rischio. Detto questo torniamo al nostro caso ed alla simmetria che lega la scelta di un’opzione strategica alla scelta di un investimento in un certo titolo: in comune abbiamo certamente il fatto che il decisore aziendale, così come l’ipotetico investitore, avrà una certa 57 propensione al rischio, sarà sottoposto all’incertezza, avrà dinnanzi a se opzioni aventi orizzonti temporali differenti, ecc. La differenza maggiore nella scelta sta, invece, nel fatto che, mentre l’ipotetico investitore, nel caso i titoli dell’impresa oggetto della sua valutazione siano quotati su un mercato sufficientemente sviluppato, potrà contare su un prezzo che rappresenti tutto ciò che lui non può ponderare, tale facoltà è preclusa al decisore aziendale che opera, quindi, con un’incertezza ancor maggiore. Tornando alla domanda principale, cioè come misurare il valore creato da una strategia, possiamo quindi affermare che questo può essere misurato tramite il maggior valore che l’impresa acquista in seguito all’implementazione della strategia ed alla trasmissione di tale maggior valore direttamente agli azionisti o, in caso si tratti d’impresa avente azioni quotate, al mercato ed, infine, per suo tramite, agli azionisti. Nel misurare il valore creato da una strategia per l’impresa, e quindi per l’azionista, a livello ex post, e quindi dando per scontata la scelta di una certa opzione strategica, non abbiamo affrontato un tema che a questo punto assume una rilevanza ancor maggiore, e cioè quello dell’individuazione e della scelta tra differenti opzioni strategiche, che sarà affrontato nel prossimo paragrafo. 2.3.4 La scelta fra le opzioni strategiche A questo punto la problematica si sposta sulla scelta tra le differenti opzioni strategiche: scelta che avrà, come abbiamo visto sopra, 58 effetti rilevanti sul valore dell’impresa, sul valore creato per gli azionisti e sulla capacità, da parte dell’impresa stessa, di adattarsi, svilupparsi ed, in ultima analisi, sopravvivere. La scelta fra diverse opzioni strategiche, basata sulla loro capacità di creare valore, sarà quindi guidata dalla ricerca di un VAN maggiore possibile essendo tale metodo di valutazione, come visto nel paragrafo 2.2.1, il miglior metodo possibile per scegliere tra investimenti alternativi ed essendo un strategia assimilabile ad un investimento in quanto costituita da una serie d’investimenti. Ovviamente tale valutazione si effettua entro una rosa di opzioni già delimitata da una precedente analisi strategica volta alla creazione di vantaggio competitivo basata, per lo più, sugli studi in tal senso svolti da Porter 34 . Egli indica, come base per l’individuazione e valutazione delle alternative strategiche l’analisi dell’ambiente competitivo, ma nell’effettuare la valutazione ci si può validamente servire anche della teoria della catena del valore e, nell’individuare le differenti linee d’azione da porre in essere per sviluppare il proprio vantaggio competitivo, di quella sulle strategie competitive di base. Vediamo adesso tutti questi elementi singolarmente: Analisi dell’ambiente competitivo. La base di partenza per comprendere l’analisi dell’ambiente competitivo è che tale analisi porta alla comprensione dell’ambiente competitivo stesso che è elemento chiave di qualunque strategia competitiva. L’impresa deve infatti conoscere 34 M.Porter: “La strategia competitiva”, Edizioni Comunità, Milano, 1992. ; M.Porter: “Competitive Advantage”, The Free Press, a Division of Macmillan Inc, New York, 1985, ed. it. “Il vantaggio competitivo”, Edizioni Comunità, Milano, 1987. 59 perfettamente in quale ambiente competitivo si trova ad operare per prendere le sue decisioni strategiche e valutare in un contesto attendibile le opzioni strategiche che intende I fattori mettere che devono in essere valutati opera. nell’analisi dell’ambiente competitivo sono essenzialmente il livello di attrattività del settore di attività ed il posizionamento strategico – competitivo dell’impresa all’interno del settore stesso. Nell’analizzare la struttura del settore, ed il conseguente livello di attrattività dello stesso, ci viene in aiuto il modello delle cinque forze competitive di Porter 35 che mostra, inoltre, quali siano le possibilità di posizionamento valide nel settore stesso. Il modello delle cinque forze competitive considera tre fonti di competizione “verticale”: potenziali entranti, rivalità tra i concorrenti del settore e minaccia di prodotti sostitutivi; e due fonti di competizione “orizzontale”: potere contrattuale dei clienti e potere contrattuale dei fornitori. Consideriamole ora separatamente: ¾ Potenziali entranti: tale forza competitiva è rappresentata da tutte le imprese al momento non presenti nel settore, ma che, in caso vedano una lucrosa opportunità di business, avrebbero gli strumenti economico – finanziari, strutturali, organizzativi, ecc. per entrarvi. La minaccia dei 35 Porter: “La strategia competitiva. Analisi per le decisioni”, Tipografia Compositori, Bologna, 1982. 60 potenziali entranti può essere, però, affievolita dalle cosiddette “barriere all’entrata”. Le possibili barriere all’entrata sono 36 : Elevate economie di scala: si hanno quando un aumento delle risorse impiegate nel processo produttivo provoca un aumento più che proporzionale nei risultati economici. Un settore caratterizzato da elevate economie di scala presenta una forte barriera all’entrata rappresentata dalla necessità, per il nuovo entrante, o di effettuare consistenti investimenti per produrre subito su larga scala con il rischio di non riuscire a vendere la propria produzione o di entrare su piccola scala accettando alti costi unitari. Differenziazione del prodotto: si ha quando il settore è caratterizzato da prodotti altamente differenziati. La barriera all’entrata è rappresentata dalla difficoltà, dai costi e dai lunghi tempi richiesti affinché un nuovo entrante possa crearsi un’immagine differenziando così i propri prodotti. Ingenti fabbisogni di capitali: si hanno quando sono richiesti, per operare nel settore, ingenti capitali utili a reperire macchinari 36 Porter: “La strategia competitiva. Analisi per le decisioni”, Tipografia Compositori, Bologna, 1982, pag. 15. 61 costosi o altro. La barriera all’entrata è rappresentata, ovviamente, dalla difficoltà di reperire molti fondi anche se in sostanza si tratta di una barriera piuttosto semplice da superare. Costi di trasferimento: tali costi possono essere sia fisici che psicologici; se sono elevati il nuovo entrante dovrà offrire rilevanti vantaggi di costo o qualità affinché il cliente scelga il suo prodotto. Accesso ai canali di distribuzione: è il classico caso dello spazio limitato sugli scaffali del supermercato; il nuovo entrante dovrà, per superare tale ostacolo, a patto che sia superabile, o crearsi un proprio canale distributivo alternativo, o fare pressioni sul canale distributivo esistente. Vantaggi assoluti di costo: tali vantaggi sono frutto di economie di apprendimento o di un accesso privilegiato alle materie prime da parte di chi già opera sul mercato. Il problema, per i potenziali nuovi entranti, è il dover operare con costi più elevati. Scelte di politica pubblica: è una barriera all’entrata che può essere insormontabile in caso di monopoli pubblici o legislazioni che 62 vietano l’accesso ad una determinata attività produttiva, ma possono essere anche superabili come nel caso in cui per operare nel settore sia richiesta una specifica autorizzazione. I potenziali entranti, oltre a considerare le barriere all’entrata in quanto tali, dovrebbero anche considerare le barriere all’uscita poiché da queste dipenderà in larga misura la reazione dei soggetti già operanti nel settore. Per fare solo un esempio una possibile barriera all’uscita e di conseguenza anche all’entrata, può essere rappresentata da elevati investimenti in capitale fisso non liquidabili per la particolarità, per esempio, dei macchinari. Alte barriere all’entrata sono, per gli operatori del settore, garanzia della possibilità, per loro, di operare con margini molto più elevati di quelli conseguibili in condizioni di libertà di accesso ed uscita. ¾ Rivalità tra i concorrenti del settore: tale forza competitiva è molto rilevante per capire l’attrattività di un settore, un elevata rivalità comporterà risicati margini di profitto e di conseguenza il settore sarà meno appetibile. In particolare la rivalità aumenterà: con l’aumentare del numero delle imprese presenti e con il loro 63 essere tutte poco rilevanti rispetto all’ampiezza del mercato; quando il settore abbia una crescita limitata o non cresca affatto; quando vi sia un alto livello di costi fissi; quando i prodotti siano indifferenziati ed infine quando vi sia capacità produttiva in eccesso. ¾ La minaccia di prodotti sostitutivi è una minaccia piuttosto grave per un settore poiché, in caso sia elevata sarà difficile poter ottenere prezzi molto alti e di conseguenza alti profitti. Per mitigare tale minaccia i soggetti presenti nel settore dovrebbero cercare di far percepire il proprio prodotto come insostituibile creando, per quanto possibile, alti costi di trasferimento sia a livello psicologico che fisico. ¾ Il potere contrattuale dei clienti si manifesta come elemento negativo, nel valutare l’attrattività di un settore, qualora sia elevato. Normalmente un elevato potere contrattuale dei clienti scaturisce dal basso numero di clienti esistenti e/o dall’alto numero di produttori presenti nel settore fra cui il cliente possa agevolmente scegliere. ¾ Il potere contrattuale dei fornitori è un sintomo negativo nella valutazione dell’attrattività di un settore allorquando è particolarmente rilevante in conseguenza di un numero ristretto di fornitori, o 64 della particolarità del prodotto/servizio che lo specifico fornitore può offrire, e/o di non essere un cliente rilevante per il fornitore stesso. Nell’analisi dell’ambiente competitivo, però, non contano soltanto le caratteristiche del settore, ma anche il posizionamento competitivo dell’impresa poiché in un settore difficile l’impresa può avere una posizione competitiva particolarmente forte e può ottenere, quindi, livelli di redditività più che soddisfacenti. Teoria della Catena del Valore. La teoria della Catena del Valore si basa sul fatto che l’impresa, nell’individuare le migliori strategie perseguibili, debba tenere conto delle sue caratteristiche in tema di catena del valore. La catena del valore divide l’organizzazione in nove processi 37 di cui cinque primari 38 e quattro di supporto 39 . I processi primari sono quelli che contribuiscono direttamente alla generazione dell’output, mentre quelli di supporto contribuiscono indirettamente e trasversalmente. L’analisi di ogni processo e del grado in cui l’impresa è specializzata in tale processo permetterà di determinare le aree su cui far maggiormente leva nel progettare una strategia e quelle su cui investire per mitigarne la criticità. Strategie competitive di base. Nella ricerca delle strategie da mettere in campo per creare vantaggio competitivo e 37 Porter: “Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance”, Free Press, New York, 1985. 38 Logistica in entrata, Produzione, Logistica in uscita, Marketing e vendite, Servizi post vendita. 39 Infrastrutture, Gestione risorse umane, Ricerca e Sviluppo, Approvvigionamenti. 65 difenderlo nel tempo bisogna sempre tener presenti le strategie competitive di base che sono la strategia di leadership di costo, la strategia di differenziazione ed infine la strategia di focalizzazione che può essere alternativamente orientata al costo o alla differenziazione. Vediamole singolarmente: ¾ La strategia di leadership di costo, con il relativo vantaggio di costo, cioè la capacità dell’impresa di giungere ad ottenere un economia di scala tale da avere costi minori rispetto a quelli dei suoi concorrenti, si estrinseca nella capacità, per l’impresa, di offrire prodotti identici o equivalenti a quelli dei propri concorrenti ad un prezzo minore o, realisticamente, allo stesso prezzo con la conseguenza che, avendo una struttura dei costi migliore rispetto a quella dei concorrenti, l’impresa sarà avvantaggiata da maggiori differenziali prezzo – costo. Tale strategia è tipicamente utilizzata ed utilizzabile in modo proficuo in settori in cui si abbiano prodotti fortemente standardizzati e la concorrenza sia basata sul prezzo di vendita. Le opportunità di una strategia di questo tipo sono evidenti e sono già state evidenziate in precedenza: a quanto detto si può aggiungere che per avere una struttura dei costi particolarmente vantaggiosa servono normalmente 66 o innovazioni di processo difficilmente imitabili o forti economie di scala in quanto tali imitabili, ma a prezzo del sostenimento di elevati costi. I rischi connessi con tale strategia derivano dalle innovazioni tecnologiche che possono vanificare il vantaggio di costo vantato rispetto ai concorrenti; i bassi costi di apprendimento e la conseguente bassa barriera all’entrata per gli entranti potenziali; l’aumento nei costi di approvvigionamento di eventuali materie prime particolari che permettono il particolare processo produttivo; il rischio di concentrare troppe risorse sul risparmio in termini di costi perdendo di vista la necessità d’innovare; ecc. In una strategia di leadership di costo il leader ha davanti a se due possibili opzioni strategiche derivanti dalla sua struttura dei costi: diminuire i prezzi fino al punto in cui nessun concorrente sarà in grado di resistere sul mercato e, incrementando ancor più la propria quota di mercato, raggiungere economie di scala ancora maggiori 40 oppure sfruttare il propri minori costi per ottenere, vendendo allo stesso prezzo dei concorrenti, un elevato differenziale costo/prezzo e di conseguenza una redditività maggiore di quella di tutti gli altri concorrenti presenti nel settore. 40 Ovviamente se possibile. 67 ¾ La strategia di differenziazione differisce completamente da quella di costo ponendo il problema competitivo su un piano differente. Perseguire una strategia di differenziazione in modo efficace significa poter vendere un prodotto ad con un premium price, o un beneficio comunque superiore agli investimenti fatti per ottenerlo tramite la differenziazione stessa. Differenziare un prodotto significa dotarlo di tutta una serie di caratteristiche fisiche ed emozionali tali da giustificare il maggior prezzo pagato per averlo. I rischi di una strategia di differenziazione sono che l’acquirente non riconosca il fattore differenziale o non sia disposto a pagarlo: ciò avviene in particolar modo a causa dell’imitazione delle caratteristiche del prodotto da parte dei concorrenti che lo offrono, però, ad un prezzo minore. Una strategia di differenziazione si utilizza normalmente in settori in cui si hanno prodotti differenziati o differenziabili. Come già detto la differenziazione avvenire sul piano fisico e/o emozionale: la differenziazione fisica è quella del bene avente un estetica particolarmente accattivante o funzioni accessorie in grado di attivare la disponibilità a riconoscere un premium price da parte del cliente; la differenziazione emozionale è 68 quella, fatta per lo più utilizzando i media di comunicazione di massa, che giustifica l’esistenza di un premium price sulla base di attributi psicologici ed emozionali del prodotto 41 . Ovviamente non è detto che la diversificazione avvenga soltanto su un piano, anzi, ciò è piuttosto raro. Detto ciò possiamo affermare che differenziare non significa tanto avere un prodotto qualitativamente superiore, quanto avere un prodotto che è riconosciuto come superiore ed in quanto tale i clienti saranno disposti a pagare un premium price aggiuntivo e maggiore dei costi sostenuti per giustificarlo. Un impresa che voglia differenziare il proprio prodotto dovrà quindi fare attenzione alle possibili fonti di unicità insite nel prodotto e passibili di sviluppo e, in particolar modo, a quali siano, tra tali possibili fonti di unicità del prodotto, quelle cui gli acquirenti attribuiscano maggior valore ed i criteri di valutazione sottostanti alla scelta fra essi. ¾ La strategia di focalizzazione è una strategia che implica la scelta di un segmento particolare del settore in cui l’impresa può godere di vantaggi di 41 E’ il tipico caso dei prodotti pubblicizzati in televisione tramite spot che non presentino particolari funzionalità accessorie o un particolare grado di qualità del prodotto, quanto l’essere, il prodotto stesso, uno status symbol in grado di completare e rendere espliciti tratti della personalità di chi lo possiede. 69 costo o di differenziazione. I rischi di una strategia di focalizzazione sono che la nicchia prescelta non sia sufficientemente ampia per consentire di operare con efficienza o che un soggetto, operante con vasto raggio d’azione, notando la redditività della nicchia, riesca, con aggiustamenti marginali dei propri prodotti, soddisfandone a penetrare la nella nicchia domanda. La strategia di focalizzazione, come abbiamo accennato, è applicabile sia ricercando un vantaggio competitivo di costo sia ricercandone uno di differenziazione. Vediamoli separatamente: La strategia di focalizzazione sui costi è una strategia che prevede la scelta di una nicchia non presidiata, profittevole ed adeguatamente remunerativa, all’interno del settore, in cui, per le caratteristiche specifiche dell’impresa che focalizza e/o della nicchia stessa, l’impresa si trovi ad operare con una struttura dei costi da leader di costo. E’il caso, per esempio, dell’installazione e manutenzione degli impianti d’ascensore in particolar modo nei centri minori dove le imprese locali, focalizzandosi in senso geografico, riescono ad avere una struttura di costi molto più favorevole di quella di colossi multinazionali 70 come Otis o Schindler potendo quindi, nella loro area, offrire il prodotto/servizio a prezzi più contenuti rispetto a quelli del resto del settore. La strategia di focalizzazione mediante differenziazione è, invece, una strategia che prevede la scelta di una nicchia non presidiata, profittevole ed adeguatamente remunerativa, all’interno del settore, in cui vi sia una domanda particolarmente esigente in termini di qualità ed in cui sia difficile se non impossibile, per i soggetti operanti su larga scala, operare. L’impresa che focalizza differenziando offrirà, così, un prodotto di altissima qualità ad un prezzo superiore rispetto a quello del resto del settore. Questo è il caso delle piccole e medie imprese italiane che operano in nicchie ultraspecialistiche di settori all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. Detto ciò possiamo passare ad analizzare brevemente le radici del vantaggio competitivo, cioè del differenziale che permette all’impresa di sopravvivere e prosperare creando valore per tutti i suoi stakeholders. Se un’impresa possiede un vantaggio competitivo, sia esso di differenziazione, di costo o di focalizzazione, significa che dispone di qualcosa che le permette 71 di distinguersi dai suoi concorrenti e di conseguire, non occasionalmente, una redditività di livello superiore. In altri termini, significa che essa è dotata di risorse scarse e di particolare qualità, preziose proprio in quanto difficilmente imitabili o trasferibili. Tale concetto può essere riassunto con il termine di “patrimonio strategico” 42 , inteso come insieme di tutte le risorse che concorrono in misura significativa alla determinazione della posizione competitiva di un impresa nel suo business ed alle sue potenzialità di creazione di valore in altri business. Una volta definito il patrimonio strategico possiamo vedere come valorizzarlo per creare maggior valore per gli azionisti. Partendo dalla considerazione che la creazione di valore è riconducibile all'aumento o ad un allungamento delle prospettive di redditività e di crescita dell'impresa, alla diminuzione della rischiosità dell'attività dell'impresa, ed all'arricchimento delle opzioni reali che l'impresa detiene in portafoglio, possiamo aggiungere ad individuare sei indirizzi strategici principali che possano condurre in tali direzioni 43 : 1. Rafforzamento del patrimonio strategico. La via più ovvia per creare valore consistono nel rafforzare e consolidare la propria posizione competitiva. Ciò si traduce nel dar luogo ad iniziative d’investimento destinate ad incrementare il valore delle risorse che compongono il 42 Giorgio Donna: “Gli ingredienti strategici del valore dell’impresa. Come incorporare le variabili strategiche nei modelli di valutazione”, in La valutazione delle aziende, n°27, dic. 2002. 43 Giorgio Donna e Silvana Revellino: “Creazione di valore ed asset intangibili” in Dispense di Economia Aziendale Progredito, Genova, a.a. 2005/2006. 72 patrimonio strategico. Il suddetto rafforzamento del patrimonio strategico è utile sia per imprese competitivamente deboli che per imprese aventi un elevato vantaggio competitivo poiché, in entrambi i casi, si andrà ad intervenire sugli elementi del patrimonio strategico in cui l'impresa è in maggiore difficoltà. 2. Miglioramento della redditività del patrimonio strategico. Una seconda via in grado di aumentare la capacità di creazione di valore può essere ritrovata nell'utilizzo in modo più produttivo, e quindi più redditizio, del patrimonio strategico di cui l'impresa già dispone. Tale via è strettamente legata a quella precedente poiché, ovviamente, un miglioramento della redditività del patrimonio strategico posseduto dall'impresa, sarà conseguenza comporterà un rafforzamento del patrimonio strategico stesso. Il miglioramento della redditività del patrimonio strategico può avvenire, però, anche senza gli investimenti necessari alla rafforzamento del patrimonio strategico; questo significa che un miglioramento della redditività può aversi anche senza particolari investimenti, ma semplicemente razionalizzando e valorizzando il patrimonio strategico già posseduto dall'impresa. 3. Qualificazione del patrimonio strategico. Questa terza via, utile per incrementare il valore del patrimonio strategico, consiste nel convertirlo in asset maggiormente strutturati e protetti. In questo caso la creazione di valore avviene 73 mediante la conversione del capitale immateriale e del capitale umano dell'impresa in capitale organizzativa: ciò avviene tipicamente attraverso processi di diffusione e di formalizzazione delle conoscenze. La diffusione delle conoscenze consiste nella circolazione delle stesse all'interno dell'impresa attraverso la comunicazione, e non umani, le attività di formazione di addestramento, ecc. La formalizzazione consiste, invece, nella trasformazione della conoscenza, individuale ed organizzativa, in conoscenza codificata attraverso la sua incorporazione macchinari, manuali, software, brevetti, ecc. 4. Valorizzazione delle opzioni contenute nel patrimonio strategico. un'altra strada per valorizzare il patrimonio strategico è quella di sfruttare le opzioni reali in esso contenute. Ciò può essere fatto in tre modi: creando nuove opzioni di valore, attraverso l'investimento in risorse che potrebbero permettere in futuro di cogliere nuove opportunità di business in condizioni di vantaggio competitivo; esercitando tali opzioni reali nel momento in cui risultino mature per essere utilizzate mediante investimenti nei business in cui creino elevato vantaggio competitivo; abbandonando quelle opzioni reali che hanno perso valore per il vanificarsi o ridimensionarsi delle condizioni di attrattività del business in cui avrebbero potuto essere impiegate. 74 5. Cessione di patrimonio strategico. Il patrimonio strategico può essere, inoltre, valorizzato, tramite la cessione di alcune risorse in esso contenute. Ovviamente, affinché sia una creazione di valore conseguente al disinvestimento, è necessario che il beneficio economico derivante dalla vendita superi il valore delle risorse cedute avrebbero generato qualora impiegate dall'impresa ed alle conseguenze della cessione in termini di competitività e di cambiamento del contesto competitivo: infatti, la cessione di un asset strategico, potrebbe essere conveniente qualora si considerino solamente prezzo di vendita e valore che l'asset avrebbe potuto creare se utilizzato dalle imprese, ma non esserlo affatto considerando anche le modifiche all'ambiente competitivo che tale cessione potrebbe comportare. Un esempio potrebbe essere la cessione di una tecnologia che l'impresa possiede, ma che non può applicare per mancanza di fondi e che, anche qualora applicata, creerebbe, per l'impresa, un certo valore comunque minore del prezzo che un concorrente sarebbe disposto a pagare per averle accesso a tale tecnologia. In tal caso l'impresa, oltre a fare la votazione che abbiamo visto poc'anzi, dovrà anche considerare quali possono essere i risvolti l'utilizzo di tale tecnologia da parte del concorrente: risvolti che potrebbero essere addirittura disastrosi per l'impresa venditrice. 75 6. Comunicazione del patrimonio strategico. Infine, una sesta via di creazione del valore, consiste nel trasmettere al mercato dei capitali informazioni consenta migliore percezione del valore economico dell'impresa tramite una miglior percezione della consistenza del patrimonio strategico che l'impresa possiede. Ovviamente tale strategia ha senso che venga perseguita laddove impresa sia un'impresa quotata. Una corretta valorizzazione e gestione del patrimonio strategico è quindi, come facilmente comprensibile,un punto fermo particolarmente rilevante nel cammino di creazione di valore per gli azionisti. 2.3 Finalità d’impresa e Creazione di Valore per l’azionista Abbiamo affermato e siamo giunti a provare, nel precedente capitolo 1, come la finalità ultima dell’impresa, cui essa non può prescindere nel formulare le proprie scelte strategico – operative, sia quella della propria sopravvivenza. In questo paragrafo, al fine di giustificare l’utilizzo del criterio del valore, di cui è stato ampiamente discusso, nell’effettuare scelte strategiche ed operative, verranno analizzate le connessioni e convergenze esistenti tra l’utilizzo di tale criterio ed il perseguimento del fine ultimo della sopravvivenza dell’impresa. 76 Come già affermato nel capitolo precedente, la finalità ultima della sopravvivenza dell’impresa può essere meglio espressa come una tensione verso la continuazione dell’esistenza della stessa attraverso la propria capacità di autogenerazione e rigenerazione nel tempo, che può avvenire soltanto mediante una continua riprogettazione del proprio destino ed una costante generazione di valore economico 44 . Con ciò il legame tra la sopravvivenza e la creazione di valore economico è chiara così com’è chiaro che l’impresa non possa esimersi dal riprogettare continuamente se stessa in funzione dei mutamenti che avvengono nell’ambiente che la circonda. Il passaggio logico dalla necessità di creare valore economico a quella di creare valore per gli azionisti non è poi così arduo. Ciò è tanto più vero se si considera che, come è stato precedentemente descritto in modo più particolareggiato nel corso di questo capitolo, la creazione di valore economico è la base per la creazione di valore per gli azionisti dell’impresa. Creare valore economico significa produrre un bene o un servizio avente un certo valore economico che sia comunque superiore a quello dei fattori della produzione utilizzati per generarlo. Creare valore per l’azionista significa, invece, incrementare il valore della quota d’impresa che questi detiene e/o renderlo beneficiario dei proventi derivanti dall’opera di creazione di valore economico succitata. 44 Con riferimento alla necessità/capacità autogenerativa si rimanda al concetto di autoipotesi sviluppato il S.Vicari: “L’impresa vivente”, Etas Libri, 1992; sul tema della creazione di valore si vedano L. Guatri: “Contributo alla teoria di <<creazione>>del valore”, in Finanza, Marketing e Produzione, n°1, marzo 1992; ed L. Guatri: “La teoria di creazione del valore” Egea, Milano, 1991. 77 Creare valore economico è necessario per la sopravvivenza dell’impresa poiché, per definizione, l’impresa opera con economicità sfruttando, quindi, al meglio, risorse scarse. La creazione di valore economico tramite l’attività da essa svolta può essere considerata, senza ombra di dubbio, il principale strumento con il quale l’impresa persegue ogni sua strategia e la propria finalità ultima di sopravvivenza. Creare valore per gli azionisti è necessario per il perseguimento della finalità ultima dell’impresa poiché sono proprio tali soggetti che, mediante il proprio apporto di capitali, permettono alla stessa di sopravvivere. La creazione di valore per gli azionisti è quindi una necessità fondamentale per l’impresa che dovrà, perciò, adoperarsi a tal fine. Il passaggio dalla creazione di valore economico alla creazione di valore per il generico azionista, come abbiamo detto, non è né semplice, né diretto, né immediato, e deve tener conto di tutta una serie di condizioni quali, prime fra tutte, l’ambiente in cui l’impresa opera e la sua corporate governance che influenzano, in modo rilevante, il trasferimento del valore economico creato. Tralasciando i problemi del trasferimento del valore economico creato in valore creato per l’azionista, che sono stati affrontati in modo dettagliato nel paragrafo 2.1.3, ai nostri fini importa, in questo momento, soltanto evidenziare una relazione tra i due e l’importanza di tale trasferimento sulle sorti dell’impresa e sulla sua capacità di sopravvivere. 78 Creare valore per gli azionisti è importante in quanto questi sono i portatori d’interesse legittimo nell’impresa per eccellenza. Insieme ai clienti, ed in alcuni casi agli enti regolatori, gli azionisti sono i soggetti più rilevanti cui l’impresa deve saper rispondere e per cui deve creare valore se vuole sopravvivere. Ciò perché gli azionisti, come già detto, sono i soggetti che apportano i capitali con il vincolo del pieno rischio necessari: al funzionamento dell’impresa, alla sua capacità di attrarre ulteriori capitali sia sul mercato che presso istituzioni tramite la loro funzione di garanzia dei prestiti, alla possibilità per la stessa di attrarre nuovi azionisti ed espandere le proprie attività mediante l’emissione di nuove azioni, ecc. Un’adeguata creazione di valore per gli azionisti si trasferisce sempre, prescindendo dai meccanismi che stanno alla base di tale processo di trasferimento, sul valore delle azioni dell’impresa che aumenterà fornendole, quindi, sempre maggiori garanzie nel contrarre prestiti e dandole la possibilità di ampliare ulteriormente la propria base azionaria tramite aumenti di capitale che verranno accolti con maggior favore e, presumibilmente, a prezzi più elevati. Un’adeguata creazione e distribuzione di valore agli azionisti farà inoltre sì che l’impresa, oltre a poter disporre di sempre maggior capitale proprio ed ad avere sempre più facilità ad approvvigionarsi di capitale presso terzi, sarà in grado di far fronte più facilmente a nuovi investimenti, anche a lento ritorno, che a loro volta creeranno maggior valore economico e per gli azionisti permettendo all’impresa di sopravvivere e prosperare. 79 Creazione di valore per gli azionisti e sopravvivenza dell’impresa sono dunque strettamente legati poiché questa, nel perseguire il suo fine ultimo, non può prescindere dagli interessi legittimi dei primi che sono elemento fondante della stessa e che apportano quei capitali senza i quali l’impresa stessa non potrebbe esistere. Abbiamo affermato, quindi, che la creazione di valore per gli azionisti è condizione necessaria per la sopravvivenza dell’impresa e che una creazione di valore adeguata le permette di approvvigionarsi con maggior facilità sui mercati dei capitali in un circolo virtuoso che, in un accesso più facile a nuovo capitale proprio, e nella capacità dell’impresa di fornire migliori garanzie spuntando tassi d’interesse minori sui mercati dei capitali a credito, permette all’impresa stessa di operare sempre con la liquidità sufficiente alla propria crescita e con condizioni creditizie sempre più favorevoli generando ulteriore valore economico e, di conseguenza, creando ulteriore valore per gli azionisti. Detto questo è infine necessario evidenziare lo stretto e consequenziale legame esistente tra finalità dell’impresa, creazione di valore economico e perseguimento di obiettivi: tale legame fa sì che la finalità dell’impresa, ed in particolare la finalità ultima della sopravvivenza della stessa, come abbiamo già evidenziato poc’anzi, sia strettamente legata alla sua capacità di creare, e distribuire agli azionisti, una quantità adeguata di valore economico nel tempo; tale necessità di creazione di valore economico, però, può essere soddisfatta soltanto tramite la scelta ed il perseguimento di obiettivi di breve, medio e lungo termine. La scelta degli obiettivi da 80 perseguire sarà, come è evidente, conseguenza delle scelte strategiche dell’impresa, scelte prese sulla base dello svolgimento di analisi competitive e conseguente formulazione, valutazione ed implementazione delle stesse. Perciò possiamo, traendo le fila di quanto detto fino a questo punto, giungere ad affermare che la ratio di ogni scelta strategica, di ogni definizione di obiettivi, di ogni scelta operativa nel perseguirli, ecc. è quella di creare, sfruttando ed incrementando il proprio vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti, il maggior valore economico possibile al fine di assicurare, mediante il legame, già puntualmente analizzato in precedenza, che lega una congrua creazione di valore alla finalità ultima della sopravvivenza dell’impresa. 81