Le origini del “valore”

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2. IL VALORE
2.1 Impresa e creazione di valore
2.1.1 Le origini del valore
Il criterio del valore si è sviluppato in seguito all’esigenza di
stimare il valore dell’impresa allo scopo di stabilirne in modo
efficiente il prezzo in concomitanza ad eventi legati ad operazioni
di fusione ed acquisizione. In seguito il concetto si è esteso a
ricomprendere la creazione di valore e ad individuare i processi in
grado di creare valore. Il concetto di creazione di valore è stato
quindi applicato alla misurazione delle performance d’impresa, alla
scelta tra differenti strategie, alla corporate governance, al modo in
cui il management si deve porre nel suo operare quotidiano ed a
come il valore creato si trasferisca agli azionisti.
Creare valore, in realtà, significa semplicemente realizzare un
prodotto o un servizio che abbia un valore maggiore rispetto al
valore dei singoli fattori produttivi utilizzati per generarlo.
Il dibattito sulla creazione del valore, obiettivo che la teoria
economica aveva sempre considerato come un assunto scontato, si
propose con impeto negli Stati Uniti degli anni ’80. In quel periodo,
infatti, molte grandi public companies, aventi livelli di redditività
insoddisfacenti,
vennero
smembrate
da
ondate
di
fusioni,
acquisizioni, scorpori, leverage by out, scalate ostili, ecc. con il fine
28
di riportarle ad un livello di redditività che potesse essere
considerato soddisfacente 1 . L'obiettivo fu raggiunto proprio perché
si riuscì a far emergere un potenziale di valore, prima nascosto
all'interno della burocrazia della grande corporation, di enormi
dimensioni, segno che, in gran parte di queste imprese, gli strumenti
decisionali adottati non erano adeguati al raggiungimento del
massimo profitto possibile per gli azionisti o, meglio, sulla base di
quanto detto sopra, del massimo livello possibile di valore creato
per gli stessi.
Da quel momento in poi il tema della creazione di valore si è
evoluto ed ampliato: la creazione di valore per l’azionista come
modalità per misurare l’efficienza di un’impresa ha fatto sì che il
concetto di creazione di valore fosse utilizzato per valutare tutte le
scelte strategico – operative dell’impresa.
Nel tempo si sono anche sviluppati strumenti idonei a misurare il
valore creato, in particolare con il fine della valutazione preventiva
e consuntiva delle strategie.
2.1.2 I soggetti per cui si crea valore
Come accennato poc’anzi nella parte introduttiva, creare valore
significa innanzitutto proporre un bene o un servizio aventi un
valore superiore a quello delle risorse impiegate per generarlo.
Questa semplice considerazione ha degli effetti sulle scelte
dell’impresa, infatti, per creare valore per gli azionisti, e cioè per far
1
Giorgio Donna: “La creazione di valore nella gestione dell’impresa”, Carrocci Editore, 1999
e Jonson, Natarajan, Rappaport: “Shareholder Returns and Corporate Excellence”, in Journal
of Business Strategy, n°3, 1985.
29
si che le loro azioni abbiano un valore maggiore in termini di
dividendi e d’incremento del corso azionario, è necessario che il
ciclo produttivo del bene o servizio offerto dall’impresa sia tale per
cui il valore che i suoi clienti attribuiscono allo stesso sia maggiore
dei costi, in termini di valore delle risorse impiegate, sostenuti per
produrlo. Si ha quindi la necessità di creare valore per i clienti che
sono poi i soggetti che dovranno riconoscere al bene prodotto quel
maggior valore rispetto al valore dei fattori impiegati per produrlo.
Senza la creazione di valore per i clienti, è dunque ovvio, non ci
sarebbe creazione di valore economico, né creazione di valore per
gli azionisti.
I soggetti per cui si crea valore non sono, però, limitati ad azionisti
e clienti, ma sono molteplici. Tali soggetti sono in generale tutti i
portatori d’interesse legittimo nei confronti dell’impresa, e cioè gli
stakeholders 2 .
Bisogna infatti tener sempre ben presente, nel momento in cui è
necessario fare scelte di tipo strategico – operativo, che da tali
scelte conseguono comportamenti aventi effetti sull’ambiente in cui
l’impresa opera: creare valore per gli stakeholders significa
innanzitutto tener conto delle loro aspettative cercando di mediare
tra le stesse al fine di raggiungere un risultato soddisfacente. Infatti
qualunque azione ha risvolti nei confronti di molteplici attori che la
giudicano in base al valore che, con tale azione, l’impresa crea o
distrugge nei loro confronti. Il lancio di un nuovo prodotto che
comporti maggior inquinamento, ma un aumento dell’occupazione,
per esempio, potrebbe creare più valore, per la comunità locale, di
2
Si tratterà più approfonditamente di tali soggetti nel corso del prossimo capitolo.
30
quanto ne distrugga: ciò nel caso in cui prevalga la componente
occupazionale nel giudizio della comunità stessa. I riflessi della
stessa decisione in un gruppo di ambientalisti locali, invece, sarebbe
probabilmente giudicata in modo opposto. La stessa scelta
influenzerà probabilmente anche il mercato creditizio, creando
valore per le banche che appoggeranno l’impresa, ed ovviamente il
mercato cui il prodotto è destinato mediante un giudizio di valore
dei consumatori.
Ciò detto è bene sgomberare il campo da alcune possibili
perplessità del lettore su quanto appena affermato precisando che,
in realtà, l’importanza di ogni singolo stakeholder dipende dal suo
grado d’influenza sulla redditività dell’impresa. La conseguenza è
che, nell’economia capitalistica, il primo soggetto, ulteriore agli
azionisti, per cui si deve creare valore, è il cliente poiché è colui in
funzione del quale il bene è prodotto e che ne pagherà il prezzo,
riflesso del valore che attribuisce al bene stesso.
Creare valore per il cliente è il modo più sicuro per creare valore
per l’azionista 3 perché una maggior utilità percepita dal cliente
significa una sua maggior propensione a pagare per ottenere il
prodotto o servizio dell’impresa, con la conseguenza, per
quest’ultima, di poter conseguire prezzi più alti e quindi un maggior
differenziale tra costo dei fattori della produzione e prezzo del bene
prodotto e venduto, cioè un maggior valore creato tramite il
processo produttivo 4 .
3
Porter: “Il vantaggio competitivo”, Einaudi, 2002.
Inteso in modo estensivo a ricomprendere non soltanto il mero atto produttivo, ma anche tutte
le fasi accessorie quali la commercializzazione, l’assistenza, la promozione, ecc.
4
31
In apparente contraddizione con quanto detto fin qui la dottrina
aziendalistica si concentra, invece, molto sulla creazione di valore
per l’azionista: ciò avviene sia perché l’azionista è il soggetto
cardine dell’impresa cui i manager devono principalmente
rispondere poiché ad esso legati da un rapporto principale - agente,
sia perché il valore creato per questi è una misura sintetica del
valore creato per tutti gli altri stakeholders, primi fra tutti i clienti
dell’impresa.
2.1.3 Valore per l’azionista come misura sintetica del
valore creato
Il problema della creazione di valore per l’azionista si è sviluppato,
come abbiamo detto, negli Usa, in particolare negli anni ’80 in cui
sono emersi i problemi d’incapacità, da parte del management, di
soddisfare le aspettative degli azionisti ed a cui sono seguite
numerose scalate ostili e ristrutturazioni aziendali. Tutto il tema del
valore è perciò incentrato sul valore creato per il singolo azionista
della public company quotata.
La creazione di valore per gli azionisti è null’altro che il benessere
prodotto per gli stessi attraverso l’incremento del corso del titolo in
borsa ed i dividendi distribuiti nel periodo di misurazione
considerato.
In realtà il valore creato per l'azionista è un tema che è stato
approfondito moltissimo nel corso del tempo poiché la creazione di
valore per l'azionista è la migliore misurazione sintetica del valore
32
creato, in generale, per gli stakeholders. Difatti, creare valore per
l'azionista, significa ottenere un rapporto positivo fra il valore
dell'impresa al momento della misurazione ed il suo valore nel
passato, più precisamente all'inizio del periodo considerato. Creare
valore per l'azionista significa, quindi, creare valore per l'impresa e
questo valore si crea soltanto allorquando si sia trovato un
compromesso ottimale fra le richieste degli stakeholders ed, in
particolare, si sia ottenuta l'accettazione delle scelte dell'impresa da
parte dell'ambiente in cui essa opera, si sia dato il maggior valore
possibile al prodotto o al servizio che l'impresa offre, si siano
minimizzati i costi per i vari fattori della produzione e si sia, quindi,
massimizzato il valore creato e distribuito dall'impresa.
L'impresa, infatti, non crea valore soltanto per i propri azionisti, ma,
come abbiamo visto sopra, anche per la comunità locale in cui
opera, per i propri fornitori, per i propri clienti, per i propri
dipendenti, per il sistema creditizio, ecc.
Da queste considerazioni emerge che il valore creato per l'azionista
altro non è che una sintesi della capacità dell'impresa di creare
valore tramite la propria attività, o meglio può essere considerato il
riflesso del valore economico creato dall’impresa.
Nella creazione di valore per l'azionista, e soprattutto nel
trasferimento del valore, creato da una strategia piuttosto che da una
nuova prassi operativa, all'azionista stesso, si riscontrano, però,
alcuni problemi. Innanzitutto è rilevante la corporate governance
dell'impresa: esistono, infatti, elevate difformità nel trasferimento
tra il valore economico creato ed il valore creato per gli azionisti a
33
seconda che la proprietà dell'impresa sia chiusa; che ci sia una
struttura proprietaria aperta, ma con un socio di riferimento; o che si
sia in presenza di una public company.
Il tema del trasferimento del valore economico creato agli azionisti
è stato sviluppato in Italia da Guatri 5 che ha così sopperito ad un
disinteresse, in materia, da parte della dottrina d’oltreoceano che
considera tale meccanismo come automatico.
Guatri evidenzia in particolar modo problemi e vantaggi delle
imprese a proprietà chiusa ed a proprietà aperta con un “nocciolo
duro” di controllo poiché, il problema del trasferimento del valore
creato agli azionisti, in tali casi, è del tutto particolare.
Con riferimento alle imprese aventi proprietà aperta e definibili
public company si può semplicemente dire che, se il mercato in cui
ne sono quotati i titoli è sufficientemente sviluppato con
riferimento, in particolare, alla trasparenza informativa ed alla
liquidità dei titoli quotati, il valore creato si trasferisce agli azionisti
per il tramite dei dividendi e dell’incremento del corso del titolo.
Nel caso, invece, in cui la priorità dell'impresa sia chiusa, e cioè che
la compagine azionaria sia formata da un numero molto limitato di
soggetti aventi elevati poteri decisionali ed operativi, il valore
creato da un'azione dell'impresa si trasferirà interamente e
direttamente a tali soggetti: ci si distacca dalla teoria classica sulla
creazione di valore per l’azionista poiché, in questo caso, il valore
generato per lo stesso non è composto solo da dividendi e da un
aumento del valore delle quote o azioni possedute, ma anche, ed in
5
L.Guatri: La teoria di creazione del valore, Egea, Milano, 1991.
34
particolar modo con riferimento alle PMI 6 , dalla possibilità di
prelievo diretto di utili, prelievi “in natura” attraverso l’uso di
strumenti e strutture aziendali per fini privati, ecc. Tale situazione
particolare può far sì che vengano effettuate scelte strategiche subottimali dal punto di vista della creazione di valore economico, ma
con il fine di ottenere vantaggi fiscali privati poiché, in questo caso,
proprietà e controllo coincidono. Lo stesso problema si ripresenta
con riguardo alle scelte di finanziamento poiché queste sono
concentrate verso i finanziamenti deducibili piuttosto che verso una
gestione ottimale delle fonti: a ciò, ed al fatto che l’azionista non
vuole perdere il controllo dell’impresa, discende una tendenza
generale alla sottocapitalizzazione dell’impresa caratteristica, per
l’appunto, delle imprese a proprietà chiusa.
Una proprietà chiusa, però, presenta anche innegabili vantaggi
poiché, essendo l’imprenditore/proprietario libero dai vincoli
esterni, che spesso costringono i manager delle public company a
puntare più sui risultati di medio/breve periodo a scapito di opzioni
particolarmente vantaggiose, ma che daranno i frutti sperati solo nel
medio/lungo periodo, questi potrà essere gestire l’impresa in una
logica di obiettivi di medio/lungo termine che portano, spesso, a
fondare vantaggi competitivi particolarmente solidi e difendibili.
I rischi del modello della proprietà chiusa sono, invece, a livello
gestionale: la possibile inadeguatezza dell’azionista/imprenditore e
dei suoi collaboratori a radicali mutamenti del panorama
competitivo, il possibile dramma del ricambio generazionale, e la
6
PMI: Piccole e medie imprese.
35
già citata sottocapitalizzazione cronica dell’impresa possono
determinare crisi, anche gravi, dell’impresa e perfino la sua fine.
Nel caso, infine, in cui la proprietà sia aperta, ma che vi sia un
soggetto di riferimento, il cosiddetto azionista di maggioranza, il
trasferimento del valore creato dall'impresa al singolo azionista
avverrà in modo differente a seconda che l'azionista sia un generico
azionista di minoranza piuttosto che l'azionista di riferimento: in
questo caso l'azionista di riferimento, controllando le sorti
dell'impresa, si appropria di una quantità maggiore del valore creato
rispetto a quella che gli spetterebbe se non si trovasse nella sua
posizione privilegiata, e ciò avviene spesso a scapito degli azionisti
di minoranza. Anche in questo caso si possono avere episodi di
sottocapitalizzazione, anche se più rari di quanto avviene in caso di
una proprietà chiusa, dovuti al tentativo, da parte dell’azionista di
riferimento, di non perdere il controllo dell’impresa a seguito di una
diluizione, dovuta ad aumenti di capitale, della sua quota di
controllo.
Il problema del trasferimento del valore creato all'azionista è a dir
poco rilevante se si considera che soltanto il valore effettivamente
trasferito può essere misurato: ciò comporta che, se un'impresa non
riesce a trasferire parte del valore creato, per esempio da una
strategia, ai propri azionisti, questi saranno meno propensi ad
investire, o a mantenere l'investimento, nel capitale proprio
dell'impresa stessa con conseguente difficoltà, per essa, di reperire
tale preziosa fonte di finanziamento sul mercato dei capitali e della
sua conseguente, probabile, sottocapitalizzazione.
36
Come abbiamo detto il valore creato e trasferito all'azionista
proviene dalle scelte che l'impresa fa nel suo operare quotidiano. In
realtà, per la gran parte, il valore creato trae origine dalla
formulazione e messa in opera di strategie volte, per l’appunto, a
tale fine: quindi il valore creato per l'azionista, o meglio il valore
economico creato e trasferito all'azionista, è il risultato delle scelte
strategiche ed organizzative dell'impresa.
2.2 Il valore azionario
Abbiamo fino ad ora discusso di valore e creazione di valore in
termini teorici, adesso è giunto il momento di fornire qualche dato
più pratico.
2.2.1 Parametri e metodi di valutazione
Si potrebbe semplicemente affermare che, nella scelta fra
investimenti alternativi, un investitore dovrà certamente optare per
quella avente il valore attuale netto 7 maggiore.
Per poter sostenere tale affermazione dobbiamo, però, motivare la
scelta del VAN come miglior indice di misurazione per la
valutazione di un investimento, considerando i suoi vantaggi
rispetto ad altri indici e parametri di misurazione.
Innanzitutto definiamo la struttura del VAN:
7
D’ora in poi VAN.
37
Cash Flowt
VAN
= ∑∞t=1
─────── - costo dell’investimento.
(1 + r)t
Guardando alla formula si comprende subito quali siano le
difficoltà nell’applicare il VAN: cioè la valutazione dei flussi di
cassa e la scelta del tasso di attualizzazione. Infatti, se da una parte
il costo dell’investimento è un dato certo sia nel tempo che nella
consistenza, lo stesso non si può certo dire per i flussi di cassa futuri
attesi. A proposito del tasso di attualizzazione si può, invece, fare di
più; infatti è possibile, sapendo la data in cui l’insieme dei flussi di
cassa si sarà esaurito, o conoscendo la data del disinvestimento, che
altro non è se non il termine dell’orizzonte temporale di riferimento,
reperire il tasso di mercato relativo all’intervallo temporale
considerato ed applicarlo nella formula.
Per quanto concerne la valutazione dei flussi di cassa derivanti
dall’investimento, per quanto ci si possa sforzare di essere obiettivi,
permane, comunque, una certa qual soggettività nel giudizio,
soprattutto laddove si tratti di stabilire flussi di cassa attesi ad oltre
cinque anni di distanza. Perciò, per quanto il metodo di valutazione
sia piuttosto affidabile ed abbastanza obbiettivo, è bene far
particolare attenzione nell’applicarlo a casi concreti in cui
l’orizzonte temporale dell’investimento sia troppo lungo.
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Andiamo ora a definire, per motivare la scelta di utilizzare il VAN
come criterio valutativo, quali siano i problemi, più o meno
rilevanti, che hanno gli altri indici utilizzati solitamente per valutare
un investimento:
1. Il tempo di recupero: il tempo di recupero di un investimento
si ottiene calcolando il numero di anni necessario affinché i
flussi di cassa previsti, cumulati fra loro, eguaglino
l’investimento iniziale. Il tempo di recupero presenta almeno
due limiti gravi: ignora tutti i flussi di cassa successivi al “cut
- off period 8 ” e considera identici i flussi di cassa all’interno
dello stesso “cut - off period” senza tener conto del valore
finanziario del tempo (tra due investimenti alternativi, che
permettono di recuperare l’intera entità dell’investimento in 3
anni, sarà più conveniente quello avente flussi di cassa più
elevati nei primi anni!).
2. Tasso interno di rendimento 9 : Il TIR è il tasso interno di
rendimento di un investimento e si calcola ponendo il VAN =
0 e sostituendo il tasso d’interesse dei vari anni
dell’attualizzazione con un unico tasso, detto appunti TIR.
I problemi del TIR si manifestano in particolare allorché lo si
applichi ad un indebitamento e non ad un investimento (in
quel caso un TIR alto è un segnale negativo); nel caso in cui
ci siano tassi di rendimento multipli come, per esempio, nel
caso vi sia una tassazione progressiva; qualora lo si utilizzi
nella scelta tra progetti alternativi di diversa entità, ecc.
8
9
Tempo di recupero.
D’ora in poi TIR.
39
3. Tasso di rendimento contabile degli investimenti 10 : Il ROI,
un indicatore contabile utilizzato massicciamente per
mostrare le performance di un’impresa, è frutto del semplice
rapporto tra reddito operativo netto (dopo le imposte) ed il
valore netto contabile delle attività (al netto degli
ammortamenti).
Pur essendo, probabilmente, l’indice più usato per la
valutazione delle performance economico - finanziarie di
un’impresa e per la scelta tra diversi investimenti, presenta
limiti rilevanti. Tali limiti sono principalmente dovuti ad una
rappresentazione incompleta del patrimonio aziendale, in
particolare con riferimento alle risorse immateriali non
acquisite attraverso scambi monetari, i cosiddetti asset
intangibili 11 , e ad una determinazione non realistica del
reddito prodotto e del valore del capitale dell’impresa. Ciò
avviene soprattutto a causa di 12 :
Eccessiva importanza attribuita ai risultati conseguiti
in passato o conseguibili nell’immediato futuro;
Mancata considerazione delle opportunità di più ampio
respiro insite nei progetti d’investimento;
Mancata considerazione del valore finanziario del
tempo;
Mancata valutazione del rischio gravante sulle scelte
d’investimento possibili.
10
D’ora in poi ROI = Return on Investments (ritorno sugli investimenti).
Gli asset intangibili sono, tra l’altro, una delle principali fonti del vantaggio competitivo
delle imprese di oggi.
12
Federico Fontana in Corso di Reporting, a.a. 2004/2005.
11
40
Per meglio comprendere questi limiti del ROI è necessario
analizzare uno alla volta i differenti casi:
L’eccessiva importanza attribuita ai risultati conseguiti
in passato fa sì che un’impresa, che abbia avuto
storicamente un ROI alto, potrebbe apparire migliore
di un'altra, avente storicamente un ROI basso, anche
se, nel momento della valutazione, sia migliore il
rendimento dell’investimento fatto dalla seconda, o se i
rendimenti fossero identici;
L’eccessiva importanza dei risultati rientranti in un
piano prestabilito, cioè conseguibili nell’immediato
futuro, condiziona la scelta tra investimenti alternativi
poiché può darsi che il ROI di una delle alternative sia
maggiore considerando i tempi del piano, ma che,
avendo tali investimenti risultati anche oltre l’orizzonte
temporale del piano stesso, e considerando anche il
ROI prodotto in seguito, si riveli maggiormente
conveniente l’alternativa scartata in precedenza;
Il problema della mancata considerazione del valore
finanziario
del
tempo
è
evidente
qualora
un
investimento, avente un ROI mediamente peggiore di
quello dell’altra alternativa, avesse tempi di ritorno più
brevi e fosse, in termini monetari, molto più
conveniente;
Per quanto riguarda la mancata considerazione del
rischio si può evidenziare, per esempio, come il ROI di
41
un investimento in un sistema - Paese ad elevato
rischio come quelli asiatici, o a basso rischio come
negli USA, si calcoli su parametri identici e non tenga
conto, quindi, del rischio – Paese: è evidente che
investire con un ROI del 10% in USA è ben diverso
dall’investire con un ROI del 10% in Tailandia, ma
l’indicatore non aiuta a comprendere la differenza di
rischiosità dell’investimento.
4. L’utile di esercizio non può essere utilizzato nella
valutazione di un investimento poiché si basa non solo su dati
oggettivi bensì, ed in maniera troppo rilevante, su scelte
soggettive del management. Infatti due imprese, pressoché
identiche in tutto e per tutto, ed in particolar modo con
riferimento a ricavi e costi, potranno presentare utili di
esercizio anche molto diversi sulla base di diverse scelte
contabili: è ovvio, quindi, che non sia possibile utilizzare un
indicatore di questo tipo per scegliere un tra due investimenti.
5. L’EPS 13 è la percentuale di utile per azione: di per se ha una
grande utilità poiché fornisce un’informazione sintetica che
permette di valutare se un determinato titolo sia più
conveniente di un altro; il problema sorge quando si vanno ad
evidenziare le variabili che stanno dietro all’EPS e che
dimostrano come ci si trovi nuovamente in presenza di un
indicatore frutto di scelte soggettive in ordine ai dividendi,
agli utili realizzati, ecc. Nello stesso modo, senza nemmeno
necessitare di un apposito punto dell’elenco, possiamo
13
Earnings Per Share (quota di profitto per ogni azione).
42
tranquillamente congedare anche il DPS 14 in quanto frutto,
anch’esso, di tali scelte soggettive.
6. Il ROE, essendo il rapporto tra reddito netto, o utile/perdita
d’esercizio, e capitale netto, soffre degli stessi problemi di
soggettività nelle valutazioni degl’indici appena citati.
Questo ci dimostra come il VAN sia il miglior indice di
misurazione per la valutazione di un investimento.
2.2.2 Il processo di valutazione
Nel capitolo precedente, discutendo del particolare problema della
creazione e del trasferimento del valore creato agli azionisti, si è
evidenziato come questi siano indotti ad investire in un’impresa
sulla base del valore che questa crea e trasferisce loro. Ora,
assumendo che non si faccia riferimento ad un azionista, bensì ad
un potenziale investitore, possiamo chiederci come possa procedere
alla valutazione di un titolo piuttosto che di un altro e cosa possa
influenzare il corso dei titoli quotati 15 . Nella scelta, il potenziale
investitore, potrà contare su diversi strumenti che indicano le
performance dell’impresa quali l’utile d’esercizio, l’EPS, il DPS, il
ROE, il ROI ed, infine, il metodo del valore azionario.
Utile d’esercizio, EPS, DPS, ROE e ROI presentano, però, alcuni
problemi, poiché gli indici di derivazione contabile, anche se sono
molto efficienti nel fotografare la situazione attuale e nel permettere
lo studio ed il confronto fra serie storiche, nulla dicono sul futuro
14
Dividend Per Share (quota di dividendi per ogni azione).
La premessa è che si tratti di titoli quotati su un mercato efficiente ed appartenenti ad una
public company.
15
43
che attende l’impresa in questione, e soffrono di tutta una serie di
problemi poc’anzi descritti.
Il metodo del valore azionario, invece, stima il valore economico di
un investimento sulla base dei suoi flussi di cassa futuri attesi
attualizzati con un tasso pari al costo medio del capitale. Si utilizza
la stima dei flussi di cassa poiché questi sono all’origine del valore
azionario sia sotto forma di dividendi che d’incremento del corso
del titolo in borsa, con conseguente possibile plusvalenza per i
detentori dei titoli stessi. Certamente anche tale metodo, se
utilizzato per la scelta di un investimento, presenta il rischio di
essere troppo legato a scelte soggettive in merito alla definizione
dei flussi di cassa futuri attesi, ma è anche vero che tali flussi, in un
periodo relativamente breve di tempo, sono prevedibili con un
grado di obbiettività sufficiente.
Vediamo quindi il processo di valutazione di un titolo.
Partiamo dal valore economico di un’impresa, o valore societario,
che è la somma delle sue passività e del suo capitale netto, detto
anche valore azionario. Le passività includono i debiti, gli
accantonamenti, ed ogni altra esposizione derivante da diritti di
terzi sulle attività dell’impresa.
Per calcolare il valore azionario, che è la differenza tra il valore
societario e le passività, è necessario determinare, quindi, oltre alle
passività, il valore societario, o valore economico, dell’impresa
considerata. Tale valore può essere individuato considerando che è
composto dal valore attuale dei flussi di cassa attesi durante un
44
orizzonte temporale previsionale definito 16 e di un certo valore
residuo che rappresenta il valore attuale della nostra impresa per
tutto il periodo seguente 17 . A tali componenti si aggiunge il valore
di mercato dei titoli negoziabili eventualmente posseduti e degli
altri investimenti immediatamente liquidabili e non necessari per la
gestione operativa, in quanto anch’essi parti del valore societario
pur non essendo compresi nel cash flow operativo.
Volendo schematizzare il processo appena illustrato si può scrivere:
Dove: con E è indicato il valore di mercato del patrimonio netto
cioè, nei termini di cui sopra, il valore azionario complessivo
dell’impresa; OFCF indica il flusso di cassa atteso nell’anno t
dell’orizzonte temporale predefinito; il WACC indica il tasso
d’attualizzazione dei flussi di cassa; n è il numero di anni del
suddetto orizzonte temporale; Vf è il valore attuale dell’impresa per
tutto il periodo seguente l’orizzonte temporale predefinito, e cioè il
valore residuo; con D è indicata la posizione finanziaria netta; con
M è indicato il valore di mercato del patrimonio netto di terzi (M +
D = passività); SA, infine, rappresenta il valore di mercato dei titoli
negoziabili eventualmente posseduti e degli altri investimenti
immediatamente liquidabili e non necessari per la gestione
operativa.
16
Cash Flow operativo.
Ciò elimina il problema della mancata considerazione di flussi di cassa ulteriori rispetto a
quelli dell’orizzonte temporale di riferimento dell’investimento.
17
45
Sempre ai fini del calcolo del valore azionario bisogna, in aggiunta
a quanto detto finora, indagare le singole componenti, e quindi il
punto di partenza nel calcolo, dei valori suddetti.
Il singolo OFCF (operating free cash flow) atteso può essere
calcolato efficacemente partendo dal risultato operativo (EBIT) e
sottraendo le imposte sul risultato operativo stesso per giungere ad
un risultato operativo al netto delle imposte; a questo vanno
aggiunti gli ammortamenti, gli accantonamenti e le altre voci non
monetarie di bilancio ed eventuali variazioni negative del capitale
circolante e sottratte eventuali variazioni positive del capitale
circolante stesso ed i nuovi investimenti in capitale fisso o
immobilizzazioni 18 . Lo stesso risultato può essere ottenuto partendo
dai ricavi monetari della gestione caratteristica e sottraendo i costi
monetari della stessa.
Il WACC altro non è se non il costo medio ponderato del capitale:
abbiamo quindi che
dove Kd è
il costo del capitale di debito, T è il risparmio fiscale conseguente al
finanziamento, D/D+E è il “peso” del capitale di debito sul totale
del capitale utilizzato, Ke è il costo del capitale con il vincolo del
pieno rischio ed infine E/D+E è il “peso” del capitale netto sul
totale del capitale utilizzato.
A questo punto non resta altro da fare che andare ad individuare le
grandezze Kd e Ke.
18
Al netto di eventuali disinvestimenti.
46
Kd è il tasso a cui la nostra impresa prende il capitale di debito: è
quindi il tasso cui l'impresa può far riferimento nel raccogliere
capitale di debito sui mercati o presso il sistema bancario.
Ke è il tasso di remunerazione del capitale con il vincolo del pieno
rischio, cioè il costo del capitale con il vincolo di pieno rischio, o
meglio il costo che l'impresa deve sostenere per mantenere fedeli i
propri azionisti e per essere, quindi, attrattiva nei loro confronti. Ke
è piuttosto difficile da calcolare poiché bisogna prendere in
considerazione diversi parametri: innanzitutto è molto rilevante il
tasso d’interesse degli investimenti privi di rischio, quindi bisogna
considerare il rischio associato al mercato in cui l'impresa opera ed
infine la rischiosità specifica dell'attività della nostra impresa.
L'affermazione appena fatta può essere sintetizzata dalla formula
che segue: Ke = r + [β(m-r)]mi laddove r è il tasso d'interesse degli
investimenti privi di rischio, β è il tasso di rischio del settore in cui
l’impresa opera 19 , m è il tasso di rendimento medio degli
investimenti rischiosi (azioni), mi è il coefficiente di rischio
specifico della singola impresa.
Fino ad ora abbiamo analizzato una modalità atta a stimare il valore
azionario di un'impresa sulla base del suo valore societario e delle
passività; nel farlo abbiamo detto che il valore societario è
composto dal valore attuale dei flussi di cassa attesi durante
l'orizzonte temporale della previsione, ed al valore residuo, che
rappresenta il valore attuale della nostra impresa al termine
dell'orizzonte temporale di cui sopra.
19
Il β del mercato è =1
47
Con riferimento ai flussi di cassa abbiamo analizzato in particolar
modo i flussi di cassa operativi, ciò perché essi costituiscono la
fonte di liquidità con cui l'impresa può soddisfare finanziatori ed
azionisti; abbiamo considerato poi il costo del capitale ed abbiamo
visto che, per analizzarlo compiutamente, bisogna calcolare una
media ponderata dei costi del capitale di debito e del capitale
proprio.
A questo punto ci manca soltanto il calcolo del valore residuo che
non è altro che il valore attuale di un flusso di cassa perpetuo, e
può, quindi, essere calcolato come rapporto fra annualità e tasso di
rendimento, oppure fra annualità e costo del capitale, dando per
scontato che, dopo un certo tempo, che coincide con l'orizzonte
temporale di riferimento, si può ipotizzare che le annualità siano
tutte uguali tra loro.
Ciò detto possiamo tranquillamente affermare che il nostro
potenziale investitore si baserà molto probabilmente su tutti gli
indici a sua disposizione, ma tenendo ben presente il calcolo del
valore azionario che ha compiuto.
All’inizio del paragrafo ci si proponeva di evidenziare gli strumenti
che potessero permettere una scelta fra azioni quotate d’imprese
differenti, ma anche di definire, seppur brevemente, cosa potesse
influenzare il corso di un titolo.
Normalmente il corso di un titolo è influenzato, oltre che dalle
scelte e dalla redditività dell’impresa, anche dalle aspettative degli
investitori in merito ai flussi di cassa futuri attesi ed alla rischiosità
dell’investimento: perciò una variazione in una delle due
48
componenti determinanti il prezzo si rifletterà inevitabilmente, non
appena nota, sul corso del titolo stesso.
Nei paragrafi precedenti, però, si è evidenziato come la creazione di
valore, e più in particolare la creazione di valore per gli azionisti,
sia influenzata dalle scelte strategiche dell’impresa, ebbene a questo
punto conosciamo la via attraverso la quale la scelta fra diverse
alternative strategiche influenza il valore creato per gli azionisti, e
cioè tramite una variazione nella rischiosità o nei flussi di cassa
futuri attesi dell’impresa stessa.
La definizione e la scelta fra le diverse alternative strategiche è
quindi la chiave di lettura della creazione di valore per l’azionista,
poiché questa avviene proprio grazie ad esse, ma questo sarà
oggetto del prossimo paragrafo.
2.3 Strategie d’impresa e creazione di valore
2.3.1 Cenni introduttivi
Come detto in precedenza, per creare valore per l’azionista bisogna
creare valore per tutti gli stakeholders con particolare riferimento al
più rilevante tra questi, cioè il cliente. Nel corso del resto del
paragrafo 2.3 verrà approfondito il tema della scelta fra alternative
strategiche, degli strumenti decisionali utilizzabili nell’effettuarla e
della loro capacità di creare valore per l’azionista. In questa parte
introduttiva è riassunto il punto di partenza che ci porta a sviluppare
49
il resto del paragrafo, e cioè la necessità di una scelta, tra le
alternative strategiche, volta alla massima creazione di valore
possibile per l’azionista.
Con riferimento alla scelta, tra le diverse alternative strategiche,
sulla base della loro capacità di creare valore, è quantomeno
opportuno sottolineare l’apporto dato da Alfred Rappaport 20 che si
è occupato di approfondire la tematica della valutazione delle
strategie sulla base del valore creato per gli azionisti, ma che dava
per scontata la tematica, peraltro già sviscerata nel paragrafo 2.1.3,
molto scottante nel nostro Paese, del trasferimento del valore creato
agli azionisti stessi. Ciò perché Rappaport si riferiva al modello
americano, composto da grandi imprese a proprietà diffusa, le
cosiddette public companies, con azioni quotate in un mercato
borsistico dotato di un buon livello di trasparenza, efficienza e
liquidità e non coerente, quindi, con il caso italiano. In Italia la
tematica è stata sviluppata 21 , lo abbiamo visto, da Guatri 22 che ha
evidenziato le particolarità specifiche del nostro Paese rispetto al
caso americano.
Negli Stati Uniti è pienamente applicabile lo Shareholder Value
Approach: tale teoria sostiene che il valore borsistico dell’impresa è
funzione del valore attualizzato dei flussi di cassa che le strategie
realizzate permetteranno di generare in futuro; si dà, quindi, per
scontato, che il valore creato dall’implementazione di un’opzione
20
Alfred Rappaport: “Creating Shareholder Value: The New Standard for Business
Performance”, New York, Free Press, 1986 (ed. it., “La strategia del valore: le nuove regole
della performance aziendale”, Franco Angeli, Milano, 1986).
21
Vedi paragrafo 2.1.3.
22
L.Guatri: “La teoria di creazione del valore”, Egea, Milano, 1991; “Strategie d’impresa e
massimizzazione del valore azionario”, Prolusione all’inaugurazione dell’a.a. 1990/91,
Università L.Bocconi, Milano, 22 ottobre 1990.
50
strategica si rifletta direttamente ed integralmente sul corso del
titolo quotato e costituisca, in questo modo, parte della
remunerazione degli azionisti.
Il valore, quindi, rappresenta un utile criterio per misurare la
“bontà” di un’alternativa strategica ed è un indicatore, unico e
sintetico, in grado di agevolare il manager nella scelta tra risultati a
breve ed a medio/lungo termine.
Il valore creato dalla strategia, infatti, poiché misurato tenendo
conto del valore finanziario del tempo, permette all’azionista di
optare, anche se indirettamente, per un parziale reinvestimento degli
utili, a fronte della loro integrale distribuzione sotto forma di
dividendi, essendo ripagato da una variazione incrementale del
corso del titolo che risentirà delle attese per migliori performance
future dell’impresa 23 .
Volendo valutare un’alternativa strategica, e tenendo conto di come
questa possa influenzare il valore di un titolo, se ne considererà
l’impatto sui flussi di cassa futuri attesi, sul valore finale e sulle
passività. Nella scelta tra alternative strategiche, perciò, si andrà a
misurare quale alternativa produrrà un valore più alto per unità di
capitale investito.
23
Sulla base di quanto affermato nel paragrafo 2.2.2 laddove s’illustravano i fattori in grado
d’influire sul corso di un titolo quotato.
51
2.3.2 Come le strategie creano valore
Una volta delineata l’importanza delle strategie nel processo di
creazione di valore per gli azionisti andiamo ad analizzare la via
tramite la quale estrinseca tale sua facoltà.
In realtà le strategie sono implementate, sulla base degli studi
compiuti da Porter 24 , al fine di generare, per l’impresa, un
vantaggio competitivo solido e difendibile basato su un corretto
bilanciamento
delle
combinazioni
costo/differenziazione
dell’impresa e dei suoi prodotti o servizi.
Da quanto detto sembra che, nella scelta fra diverse opzioni
strategiche, alla ricerca delle alternative migliori, l’applicazione del
criterio del valore per gli azionisti e l’analisi strategica volta alla
creazione di vantaggio competitivo siano quasi sinonimi, ma non è
così 25 .
Difatti le due modalità d’analisi e scelta, pur essendo volte al
medesimo fine di trovare le opzioni strategiche migliori, presentano
differenze significative. Innanzitutto si fondano su due concezioni
del valore differenti: l’analisi strategica, infatti, si basa sulla ricerca
di un vantaggio competitivo che crei valore per il cliente,
permettendo all’impresa di operare con maggiori margini di
profitto 26 , tramite strategie di differenziazione, di leadership di
24
M.Porter: “La strategia competitiva”, Compositori, 1997 ; M.Porter: “Competitive
Advantage”, The Free Press, a Division of Macmillan Inc, New York, 1985, ed. it. “Il
vantaggio competitivo”, Edizioni Comunità, Milano, 1987.
25
P. Parini: “Vantaggio competitivo e controllo strategico”, Giappichelli Editore, Torino,
1996.
26
Creando quindi valore.
52
costo e di focalizzazione 27 ; mentre il criterio del valore si riferisce,
più in generale, all’obbiettivo ultimo di ogni strategia: creare valore
per l’azionista.
In secondo luogo le due analisi mettono in risalto parametri di
misurazione diversi: ai fini della creazione di vantaggio competitivo
emergono il valore riconosciuto ai prodotti, il rapporto con i
concorrenti e le rispettive quote di mercato, l’analisi dei costi,
l’evoluzione dell’ambiente competitivo, gli entranti potenziali, i
prodotti sostitutivi, ecc.; mentre nell’analisi della creazione di
valore per l’azionista rientrano parametri quali il patrimonio netto
dell’impresa, il corso del titolo in borsa, il DPS 28 , l’EPS 29 , ecc.
Ovviamente le due modalità di analisi e selezione delle strategie
non hanno solo differenze, ma anche punti in comune, o meglio,
considerando l’analisi strategica come divisa in formulazione e
valutazione 30 possiamo coniugare: il momento della formulazione
strategica, in cui abbiamo l’analisi strategica che valuta l’attrattività
del settore, il posizionamento, il rapporto costo/differenziazione,
ecc.: con il momento della valutazione delle strategie considerate
perseguibili tramite la stima del valore creato per l’azionista dalle
diverse opzioni strategiche.
Tale interconnessione è ancor più comprensibile se si rammenta
che, l’analisi strategica volta alla formulazione di una strategia
coerente con obbiettivi di posizionamento strategico, caratteristiche
del settore, ecc., permette di creare un maggior valore per i clienti,
27
M.Porter: “Competitive Advantage”, The Free Press, a Division of Macmillan Inc, New
York, 1985, ed. it. “Il vantaggio competitivo”, Edizioni Comunità, Milano, 1987.
28
Dividend per Share.
29
Earning per Share.
30
A. Rappaport: “La strategia del valore”, Franco Angeli, Milano, 1998, pagg. 95/103.
53
maggior valore che si riflette in un maggior differenziale
prezzo/costo, provocando un maggior profitto che va a costituire la
base su cui fondare le valutazioni in merito alla creazione di valore,
da parte delle opzioni strategiche stesse, per l’azionista.
Abbiamo visto, quindi, come le strategie creino valore mediante la
loro capacità di alimentare un vantaggio competitivo peculiare,
durevole e difendibile: atto, perciò, a creare valore per i clienti
aumentando il differenziale prezzo – costo del prodotto/servizio e
creando, conseguentemente, nuovo valore economico che, una volta
trasferito all’azionista, diverrà valore per l’azionista 31 .
A questo punto non resta che andare ad individuare una
metodologia atta a misurare il valore creato per l’azionista da
un’opzione strategica e le migliori metodologie per la scelta tra
opportunità strategiche sulla base del valore da queste creato. Di
questo si occuperanno i prossimi paragrafi.
2.3.3 Misurazione del valore creato dalla strategia
La misurazione del valore creato da una strategia può essere fatta in
sede
di
valutazione
dei
risultati
effettivamente
conseguiti
dall’adozione della strategia in oggetto.
In una valutazione, il valore creato da una strategia è uguale al
valore azionario finale meno il valore azionario iniziale. Il valore
azionario finale altro non è se non il valore attuale dei flussi di
cassa futuri attesi a seguito dell'implementazione della strategia; il
valore azionario iniziale è, invece, il valore attuale dei flussi di
31
Con tutti i limiti del trasferimento di valore all’azionista di cui al paragrafo 2.1.3.
54
cassa futuri attesi al netto di quelli conseguenti l’implementazione
della strategia.
Semplificando, il valore che un’alternativa strategica si suppone sia
in grado di creare per una certa impresa può essere misurato,
utilizzando la DCFA 32 , tramite il differenziale tra il valore attuale
dei flussi di cassa attualizzati dell’impresa in assenza della strategia
e lo stesso valore in presenza della stessa.
Per valutare più semplicemente un’opzione strategica, tuttavia, è
più semplice ed intuitivo prescindere dalle sue possibili ricadute ed
interconnessioni con il resto dell’impresa e delle sue strategie
passate, presenti e future ipotizzando che tali legami non sussistano
e che, di conseguenza, l’opzione strategica sia assimilabile, nella
sua valutazione, alla scelta di un investimento a se stante e privo di
sinergie con il resto dell’agire aziendale. Potremmo quindi
assimilare il decisore aziendale ad un ipotetico investitore che
debba valutare se un certo investimento in una certa impresa sia
stato o meno conveniente.
Innanzitutto il nostro ipotetico investitore, nel valutare la capacità
dell’impresa di creare valore nel tempo, potrà fare affidamento sul
corso del titolo sul mercato azionario poiché tale elemento, in caso
le azioni siano quotate in un mercato efficiente, è un buon
indicatore sintetico della capacità dell’impresa di creare valore. Ciò
perché, il prezzo dell’azione, come abbiamo visto nel paragrafo
2.2.2, può essere calcolato partendo dal valore attualizzato dei flussi
di cassa futuri attesi che l’impresa dovrebbe generare da quel
momento in poi ed è, dunque, un valido strumento per misurare sia
32
“Discounted Cash Flow Analysis” (Analisi dei flussi di cassa attualizzati).
55
il valore al momento dell’acquisto che al momento della vendita, e
la variazione dello stesso nell’arco di tempo trascorso.
Come detto nel paragrafo 2.2.1 è difficile individuare quale sia
l’entità dei cash flows futuri attesi, si usano, perciò, stime che, in
quanto tali, sono frutto di scelte relativamente arbitrarie. Per questo
motivo il valore dell’azione, e con esso quello dell’impresa, non è
un dato assolutamente oggettivo, ma il frutto di una valutazione
fatta dai diversi soggetti che operano sul mercato dei capitali. In
conseguenza di ciò, al variare delle aspettative di una larga parte
degli azionisti e degli investitori potenziali, varierà il corso del
titolo 33 .
Nel processo di misurazione del valore di un’impresa incideranno,
inoltre, diversi fattori soggettivi tra cui i più rilevanti possono
essere individuati come:
La qualità delle informazioni disponibili
La percezione o meno di un potere di controllo sul
management
L’orizzonte temporale
L’incertezza
La propensione al rischio
La qualità delle informazioni a disposizione dell’investitore è
l’elemento più importante nella determinazione del valore che lo
stesso conferisce all’impresa. Poiché non tutti dispongono delle
stesse informazioni, e non tutte le informazioni sono disponibili
immediatamente, si ha un’asimmetria informativa che comporta una
33
Sulla base di quanto affermato nel paragrafo 2.2.2 laddove s’illustravano i fattori in grado
d’influire sul corso di un titolo quotato.
56
diversa valutazione delle performance attese dall’impresa. In realtà
non è soltanto la quantità e qualità delle informazioni a determinare
la valutazione: interviene anche la traduzione delle informazioni in
azioni, che spesso presenta notevoli differenze tra i diversi soggetti.
La percezione di un potere di controllo sul management è,
evidentemente, un elemento positivo della valutazione, mentre
l’orizzonte temporale di riferimento, pur essendo molto rilevante ai
fini della valutazione, non è necessariamente un componente
positivo della stessa. Infatti se l’impresa in questione ha avviato una
politica di crescita e d’investimenti di lungo periodo ciò sarà visto
positivamente da chi ha investito in un ottica di lungo termine e
negativamente da chi attende ritorni nel breve periodo.
L’incertezza è un elemento ancor più ambiguo poiché, se le
previsioni del management sui ritorni degli investimenti fatti
vengono considerate realistiche e realizzabili, si avrà un maggior
interesse nei confronti del titolo; nel caso opposto, invece, la
valutazione sconterà il pessimismo nei confronti del giudizio del
management.
Infine, la propensione al rischio, fa sì che chi ha maggior
propensione al rischio sia disposto a pagare di più per acquistare il
titolo, a parità di rischio, rispetto ad un soggetto più avverso al
rischio.
Detto questo torniamo al nostro caso ed alla simmetria che lega la
scelta di un’opzione strategica alla scelta di un investimento in un
certo titolo: in comune abbiamo certamente il fatto che il decisore
aziendale, così come l’ipotetico investitore, avrà una certa
57
propensione al rischio, sarà sottoposto all’incertezza, avrà dinnanzi
a se opzioni aventi orizzonti temporali differenti, ecc. La differenza
maggiore nella scelta sta, invece, nel fatto che, mentre l’ipotetico
investitore, nel caso i titoli dell’impresa oggetto della sua
valutazione
siano
quotati
su
un
mercato
sufficientemente
sviluppato, potrà contare su un prezzo che rappresenti tutto ciò che
lui non può ponderare, tale facoltà è preclusa al decisore aziendale
che opera, quindi, con un’incertezza ancor maggiore.
Tornando alla domanda principale, cioè come misurare il valore
creato da una strategia, possiamo quindi affermare che questo può
essere misurato tramite il maggior valore che l’impresa acquista in
seguito all’implementazione della strategia ed alla trasmissione di
tale maggior valore direttamente agli azionisti o, in caso si tratti
d’impresa avente azioni quotate, al mercato ed, infine, per suo
tramite, agli azionisti.
Nel misurare il valore creato da una strategia per l’impresa, e quindi
per l’azionista, a livello ex post, e quindi dando per scontata la
scelta di una certa opzione strategica, non abbiamo affrontato un
tema che a questo punto assume una rilevanza ancor maggiore, e
cioè quello dell’individuazione e della scelta tra differenti opzioni
strategiche, che sarà affrontato nel prossimo paragrafo.
2.3.4 La scelta fra le opzioni strategiche
A questo punto la problematica si sposta sulla scelta tra le differenti
opzioni strategiche: scelta che avrà, come abbiamo visto sopra,
58
effetti rilevanti sul valore dell’impresa, sul valore creato per gli
azionisti e sulla capacità, da parte dell’impresa stessa, di adattarsi,
svilupparsi ed, in ultima analisi, sopravvivere.
La scelta fra diverse opzioni strategiche, basata sulla loro capacità
di creare valore, sarà quindi guidata dalla ricerca di un VAN
maggiore possibile essendo tale metodo di valutazione, come visto
nel paragrafo 2.2.1, il miglior metodo possibile per scegliere tra
investimenti alternativi ed essendo un strategia assimilabile ad un
investimento in quanto costituita da una serie d’investimenti.
Ovviamente tale valutazione si effettua entro una rosa di opzioni già
delimitata da una precedente analisi strategica volta alla creazione
di vantaggio competitivo basata, per lo più, sugli studi in tal senso
svolti da Porter 34 . Egli indica, come base per l’individuazione e
valutazione delle alternative strategiche l’analisi dell’ambiente
competitivo, ma nell’effettuare la valutazione ci si può validamente
servire anche della teoria della catena del valore e, nell’individuare
le differenti linee d’azione da porre in essere per sviluppare il
proprio vantaggio competitivo, di quella sulle strategie competitive
di base.
Vediamo adesso tutti questi elementi singolarmente:
Analisi dell’ambiente competitivo. La base di partenza per
comprendere l’analisi dell’ambiente competitivo è che
tale analisi porta alla comprensione dell’ambiente
competitivo stesso che è elemento chiave di qualunque
strategia competitiva. L’impresa deve infatti conoscere
34
M.Porter: “La strategia competitiva”, Edizioni Comunità, Milano, 1992. ; M.Porter:
“Competitive Advantage”, The Free Press, a Division of Macmillan Inc, New York, 1985, ed.
it. “Il vantaggio competitivo”, Edizioni Comunità, Milano, 1987.
59
perfettamente in quale ambiente competitivo si trova ad
operare per prendere le sue decisioni strategiche e valutare
in un contesto attendibile le opzioni strategiche che
intende
I
fattori
mettere
che
devono
in
essere
valutati
opera.
nell’analisi
dell’ambiente competitivo sono essenzialmente il livello
di attrattività del settore di attività ed il posizionamento
strategico – competitivo dell’impresa all’interno del
settore stesso. Nell’analizzare la struttura del settore, ed il
conseguente livello di attrattività dello stesso, ci viene in
aiuto il modello delle cinque forze competitive di
Porter 35 che mostra, inoltre, quali siano le possibilità di
posizionamento
valide
nel
settore
stesso.
Il modello delle cinque forze competitive considera tre
fonti di competizione “verticale”: potenziali entranti,
rivalità tra i concorrenti del settore e minaccia di prodotti
sostitutivi; e due fonti di competizione “orizzontale”:
potere contrattuale dei clienti e potere contrattuale dei
fornitori. Consideriamole ora separatamente:
¾ Potenziali entranti: tale forza competitiva è
rappresentata da tutte le imprese al momento non
presenti nel settore, ma che, in caso vedano una
lucrosa opportunità di business, avrebbero gli
strumenti
economico
–
finanziari,
strutturali,
organizzativi, ecc. per entrarvi. La minaccia dei
35
Porter: “La strategia competitiva. Analisi per le decisioni”, Tipografia Compositori,
Bologna, 1982.
60
potenziali entranti può essere, però, affievolita dalle
cosiddette
“barriere
all’entrata”.
Le
possibili
barriere all’entrata sono 36 :
ƒ Elevate economie di scala: si hanno quando
un aumento delle risorse impiegate nel
processo produttivo provoca un aumento più
che proporzionale nei risultati economici. Un
settore caratterizzato da elevate economie di
scala presenta una forte barriera all’entrata
rappresentata dalla necessità, per il nuovo
entrante,
o
di
effettuare
consistenti
investimenti per produrre subito su larga
scala con il rischio di non riuscire a vendere
la propria produzione o di entrare su piccola
scala accettando alti costi unitari.
ƒ Differenziazione del prodotto: si ha quando il
settore è caratterizzato da prodotti altamente
differenziati.
La
barriera
all’entrata
è
rappresentata dalla difficoltà, dai costi e dai
lunghi tempi richiesti affinché un nuovo
entrante
possa
crearsi
un’immagine
differenziando così i propri prodotti.
ƒ Ingenti fabbisogni di capitali: si hanno
quando sono richiesti, per operare nel settore,
ingenti capitali utili a reperire macchinari
36
Porter: “La strategia competitiva. Analisi per le decisioni”, Tipografia Compositori,
Bologna, 1982, pag. 15.
61
costosi o altro. La barriera all’entrata è
rappresentata, ovviamente, dalla difficoltà di
reperire molti fondi anche se in sostanza si
tratta di una barriera piuttosto semplice da
superare.
ƒ Costi di trasferimento: tali costi possono
essere sia fisici che psicologici; se sono
elevati il nuovo entrante dovrà offrire
rilevanti vantaggi di costo o qualità affinché
il cliente scelga il suo prodotto.
ƒ Accesso ai canali di distribuzione: è il
classico caso dello spazio limitato sugli
scaffali del supermercato; il nuovo entrante
dovrà, per superare tale ostacolo, a patto che
sia superabile, o crearsi un proprio canale
distributivo alternativo, o fare pressioni sul
canale distributivo esistente.
ƒ Vantaggi assoluti di costo: tali vantaggi sono
frutto di economie di apprendimento o di un
accesso privilegiato alle materie prime da
parte di chi già opera sul mercato. Il
problema, per i potenziali nuovi entranti, è il
dover operare con costi più elevati.
ƒ Scelte di politica pubblica: è una barriera
all’entrata che può essere insormontabile in
caso di monopoli pubblici o legislazioni che
62
vietano l’accesso ad una determinata attività
produttiva,
ma
possono
essere
anche
superabili come nel caso in cui per operare
nel settore sia richiesta una specifica
autorizzazione.
I potenziali entranti, oltre a considerare le barriere
all’entrata in quanto tali, dovrebbero anche
considerare le barriere all’uscita poiché da queste
dipenderà in larga misura la reazione dei soggetti
già operanti nel settore. Per fare solo un esempio
una possibile barriera all’uscita e di conseguenza
anche all’entrata, può essere rappresentata da
elevati investimenti in capitale fisso non liquidabili
per la particolarità, per esempio, dei macchinari.
Alte barriere all’entrata sono, per gli operatori del
settore, garanzia della possibilità, per loro, di
operare con margini molto più elevati di quelli
conseguibili in condizioni di libertà di accesso ed
uscita.
¾ Rivalità tra i concorrenti del settore: tale forza
competitiva
è
molto
rilevante
per
capire
l’attrattività di un settore, un elevata rivalità
comporterà risicati margini di profitto e di
conseguenza il settore sarà meno appetibile. In
particolare la rivalità aumenterà: con l’aumentare
del numero delle imprese presenti e con il loro
63
essere tutte poco rilevanti rispetto all’ampiezza del
mercato; quando il settore abbia una crescita
limitata o non cresca affatto; quando vi sia un alto
livello di costi fissi; quando i prodotti siano
indifferenziati ed infine quando vi sia capacità
produttiva in eccesso.
¾ La minaccia di prodotti sostitutivi è una minaccia
piuttosto grave per un settore poiché, in caso sia
elevata sarà difficile poter ottenere prezzi molto alti
e di conseguenza alti profitti. Per mitigare tale
minaccia i soggetti presenti nel settore dovrebbero
cercare di far percepire il proprio prodotto come
insostituibile creando, per quanto possibile, alti
costi di trasferimento sia a livello psicologico che
fisico.
¾ Il potere contrattuale dei clienti si manifesta come
elemento negativo, nel valutare l’attrattività di un
settore, qualora sia elevato. Normalmente un
elevato potere contrattuale dei clienti scaturisce dal
basso numero di clienti esistenti e/o dall’alto
numero di produttori presenti nel settore fra cui il
cliente possa agevolmente scegliere.
¾ Il potere contrattuale dei fornitori è un sintomo
negativo nella valutazione dell’attrattività di un
settore allorquando è particolarmente rilevante in
conseguenza di un numero ristretto di fornitori, o
64
della particolarità del prodotto/servizio che lo
specifico fornitore può offrire, e/o di non essere un
cliente rilevante per il fornitore stesso.
Nell’analisi dell’ambiente competitivo, però, non
contano soltanto le caratteristiche del settore, ma anche
il posizionamento competitivo dell’impresa poiché in
un settore difficile l’impresa può avere una posizione
competitiva particolarmente forte e può ottenere,
quindi, livelli di redditività più che soddisfacenti.
Teoria della Catena del Valore. La teoria della Catena del
Valore si basa sul fatto che l’impresa, nell’individuare le
migliori strategie perseguibili, debba tenere conto delle
sue caratteristiche in tema di catena del valore. La catena
del valore divide l’organizzazione in nove processi 37 di
cui cinque primari 38 e quattro di supporto 39 . I processi
primari sono quelli che contribuiscono direttamente alla
generazione dell’output, mentre quelli di supporto
contribuiscono indirettamente e trasversalmente. L’analisi
di ogni processo e del grado in cui l’impresa è
specializzata in tale processo permetterà di determinare le
aree su cui far maggiormente leva nel progettare una
strategia e quelle su cui investire per mitigarne la criticità.
Strategie competitive di base. Nella ricerca delle strategie
da mettere in campo per creare vantaggio competitivo e
37
Porter: “Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance”, Free
Press, New York, 1985.
38
Logistica in entrata, Produzione, Logistica in uscita, Marketing e vendite, Servizi post
vendita.
39
Infrastrutture, Gestione risorse umane, Ricerca e Sviluppo, Approvvigionamenti.
65
difenderlo nel tempo bisogna sempre tener presenti le
strategie competitive di base che sono la strategia di
leadership di costo, la strategia di differenziazione ed
infine la strategia di focalizzazione che può essere
alternativamente orientata al costo o alla differenziazione.
Vediamole singolarmente:
¾ La strategia di leadership di costo, con il relativo
vantaggio di costo, cioè la capacità dell’impresa di
giungere ad ottenere un economia di scala tale da
avere costi minori rispetto a quelli dei suoi
concorrenti, si estrinseca nella capacità, per
l’impresa, di offrire prodotti identici o equivalenti a
quelli dei propri concorrenti ad un prezzo minore o,
realisticamente,
allo
stesso
prezzo
con
la
conseguenza che, avendo una struttura dei costi
migliore rispetto a quella dei concorrenti, l’impresa
sarà avvantaggiata da maggiori differenziali prezzo
–
costo.
Tale strategia è tipicamente utilizzata ed utilizzabile
in modo proficuo in settori in cui si abbiano
prodotti fortemente standardizzati e la concorrenza
sia basata sul prezzo di vendita. Le opportunità di
una strategia di questo tipo sono evidenti e sono già
state evidenziate in precedenza: a quanto detto si
può aggiungere che per avere una struttura dei costi
particolarmente vantaggiosa servono normalmente
66
o innovazioni di processo difficilmente imitabili o
forti economie di scala in quanto tali imitabili, ma a
prezzo del sostenimento di elevati costi. I rischi
connessi
con
tale
strategia
derivano
dalle
innovazioni tecnologiche che possono vanificare il
vantaggio di costo vantato rispetto ai concorrenti; i
bassi costi di apprendimento e la conseguente bassa
barriera all’entrata per gli entranti potenziali;
l’aumento nei costi di approvvigionamento di
eventuali materie prime particolari che permettono
il particolare processo produttivo; il rischio di
concentrare troppe risorse sul risparmio in termini
di costi perdendo di vista la necessità d’innovare;
ecc.
In una strategia di leadership di costo il leader ha
davanti a se due possibili opzioni strategiche
derivanti dalla sua struttura dei costi: diminuire i
prezzi fino al punto in cui nessun concorrente sarà
in grado di resistere sul mercato e, incrementando
ancor più la propria quota di mercato, raggiungere
economie di scala ancora maggiori 40 oppure
sfruttare il propri minori costi per ottenere,
vendendo allo stesso prezzo dei concorrenti, un
elevato differenziale costo/prezzo e di conseguenza
una redditività maggiore di quella di tutti gli altri
concorrenti presenti nel settore.
40
Ovviamente se possibile.
67
¾ La
strategia
di
differenziazione
differisce
completamente da quella di costo ponendo il
problema competitivo su un piano differente.
Perseguire una strategia di differenziazione in modo
efficace significa poter vendere un prodotto ad con
un premium price, o un beneficio comunque
superiore agli investimenti fatti per ottenerlo
tramite
la
differenziazione
stessa.
Differenziare un prodotto significa dotarlo di tutta
una serie di caratteristiche fisiche ed emozionali tali
da giustificare il maggior prezzo pagato per averlo.
I rischi di una strategia di differenziazione sono che
l’acquirente non riconosca il fattore differenziale o
non sia disposto a pagarlo: ciò avviene in particolar
modo a causa dell’imitazione delle caratteristiche
del prodotto da parte dei concorrenti che lo offrono,
però,
ad
un
prezzo
minore.
Una strategia di differenziazione si utilizza
normalmente in settori in cui si hanno prodotti
differenziati o differenziabili. Come già detto la
differenziazione avvenire sul piano fisico e/o
emozionale: la differenziazione fisica è quella del
bene avente un estetica particolarmente accattivante
o funzioni accessorie in grado di attivare la
disponibilità a riconoscere un premium price da
parte del cliente; la differenziazione emozionale è
68
quella, fatta per lo più utilizzando i media di
comunicazione di massa, che giustifica l’esistenza
di un premium price sulla base di attributi
psicologici
ed
emozionali
del
prodotto 41 .
Ovviamente non è detto che la diversificazione
avvenga soltanto su un piano, anzi, ciò è piuttosto
raro.
Detto ciò possiamo affermare che differenziare non
significa tanto avere un prodotto qualitativamente
superiore, quanto avere un prodotto che è
riconosciuto come superiore ed in quanto tale i
clienti saranno disposti a pagare un premium price
aggiuntivo e maggiore dei costi sostenuti per
giustificarlo.
Un impresa che voglia differenziare il proprio
prodotto dovrà quindi fare attenzione alle possibili
fonti di unicità insite nel prodotto e passibili di
sviluppo e, in particolar modo, a quali siano, tra tali
possibili fonti di unicità del prodotto, quelle cui gli
acquirenti attribuiscano maggior valore ed i criteri
di valutazione sottostanti alla scelta fra essi.
¾ La strategia di focalizzazione è una strategia che
implica la scelta di un segmento particolare del
settore in cui l’impresa può godere di vantaggi di
41
E’ il tipico caso dei prodotti pubblicizzati in televisione tramite spot che non presentino
particolari funzionalità accessorie o un particolare grado di qualità del prodotto, quanto
l’essere, il prodotto stesso, uno status symbol in grado di completare e rendere espliciti tratti
della personalità di chi lo possiede.
69
costo o di differenziazione. I rischi di una strategia
di focalizzazione sono che la nicchia prescelta non
sia sufficientemente ampia per consentire di operare
con efficienza o che un soggetto, operante con
vasto raggio d’azione, notando la redditività della
nicchia, riesca, con aggiustamenti marginali dei
propri
prodotti,
soddisfandone
a
penetrare
la
nella
nicchia
domanda.
La strategia di focalizzazione, come abbiamo
accennato, è applicabile sia ricercando un vantaggio
competitivo di costo sia ricercandone uno di
differenziazione. Vediamoli separatamente:
ƒ La strategia di focalizzazione sui costi è una
strategia che prevede la scelta di una nicchia
non presidiata, profittevole ed adeguatamente
remunerativa, all’interno del settore, in cui,
per le caratteristiche specifiche dell’impresa
che focalizza e/o della nicchia stessa,
l’impresa si trovi ad operare con una struttura
dei costi da leader di costo. E’il caso, per
esempio, dell’installazione e manutenzione
degli impianti d’ascensore in particolar modo
nei centri minori dove le imprese locali,
focalizzandosi in senso geografico, riescono
ad avere una struttura di costi molto più
favorevole di quella di colossi multinazionali
70
come Otis o Schindler potendo quindi, nella
loro area, offrire il prodotto/servizio a prezzi
più contenuti rispetto a quelli del resto del
settore.
ƒ La strategia di focalizzazione mediante
differenziazione è, invece, una strategia che
prevede la scelta di una nicchia non
presidiata, profittevole ed adeguatamente
remunerativa, all’interno del settore, in cui vi
sia una domanda particolarmente esigente in
termini di qualità ed in cui sia difficile se non
impossibile, per i soggetti operanti su larga
scala, operare. L’impresa che focalizza
differenziando offrirà, così, un prodotto di
altissima qualità ad un prezzo superiore
rispetto a quello del resto del settore. Questo
è il caso delle piccole e medie imprese
italiane
che
operano
in
nicchie
ultraspecialistiche di settori all’avanguardia
dal punto di vista tecnologico.
Detto ciò possiamo passare ad analizzare brevemente le radici
del vantaggio competitivo, cioè del differenziale che permette
all’impresa di sopravvivere e prosperare creando valore per tutti
i suoi stakeholders. Se un’impresa possiede un vantaggio
competitivo, sia esso di differenziazione, di costo o di
focalizzazione, significa che dispone di qualcosa che le permette
71
di distinguersi dai suoi concorrenti e di conseguire, non
occasionalmente, una redditività di livello superiore. In altri
termini, significa che essa è dotata di risorse scarse e di
particolare qualità, preziose proprio in quanto difficilmente
imitabili o trasferibili.
Tale concetto può essere riassunto con il termine di “patrimonio
strategico” 42 , inteso come insieme di tutte le risorse che
concorrono in misura significativa alla determinazione della
posizione competitiva di un impresa nel suo business ed alle sue
potenzialità di creazione di valore in altri business. Una volta
definito il patrimonio strategico possiamo vedere come
valorizzarlo per creare maggior valore per gli azionisti. Partendo
dalla considerazione che la creazione di valore è riconducibile
all'aumento o ad un allungamento delle prospettive di redditività
e di crescita dell'impresa, alla diminuzione della rischiosità
dell'attività dell'impresa, ed all'arricchimento delle opzioni reali
che l'impresa detiene in portafoglio, possiamo aggiungere ad
individuare sei indirizzi strategici principali che possano
condurre in tali direzioni 43 :
1. Rafforzamento del patrimonio strategico. La via più ovvia
per creare valore consistono nel rafforzare e consolidare la
propria posizione competitiva. Ciò si traduce nel dar
luogo
ad
iniziative
d’investimento
destinate
ad
incrementare il valore delle risorse che compongono il
42
Giorgio Donna: “Gli ingredienti strategici del valore dell’impresa. Come incorporare le
variabili strategiche nei modelli di valutazione”, in La valutazione delle aziende, n°27, dic.
2002.
43
Giorgio Donna e Silvana Revellino: “Creazione di valore ed asset intangibili” in Dispense di
Economia Aziendale Progredito, Genova, a.a. 2005/2006.
72
patrimonio strategico. Il suddetto rafforzamento del
patrimonio
strategico
è
utile
sia
per
imprese
competitivamente deboli che per imprese aventi un
elevato vantaggio competitivo poiché, in entrambi i casi,
si andrà ad intervenire sugli elementi del patrimonio
strategico in cui l'impresa è in maggiore difficoltà.
2. Miglioramento della redditività del patrimonio strategico.
Una seconda via in grado di aumentare la capacità di
creazione di valore può essere ritrovata nell'utilizzo in
modo più produttivo, e quindi più redditizio, del
patrimonio strategico di cui l'impresa già dispone. Tale
via è strettamente legata a quella precedente poiché,
ovviamente, un miglioramento della redditività del
patrimonio
strategico
posseduto
dall'impresa,
sarà
conseguenza comporterà un rafforzamento del patrimonio
strategico stesso. Il miglioramento della redditività del
patrimonio strategico può avvenire, però, anche senza gli
investimenti necessari alla rafforzamento del patrimonio
strategico; questo significa che un miglioramento della
redditività può aversi anche senza particolari investimenti,
ma semplicemente razionalizzando e valorizzando il
patrimonio strategico già posseduto dall'impresa.
3. Qualificazione del patrimonio strategico. Questa terza via,
utile per incrementare il valore del patrimonio strategico,
consiste nel convertirlo in asset maggiormente strutturati e
protetti. In questo caso la creazione di valore avviene
73
mediante la conversione del capitale immateriale e del
capitale umano dell'impresa in capitale organizzativa: ciò
avviene tipicamente attraverso processi di diffusione e di
formalizzazione delle conoscenze. La diffusione delle
conoscenze consiste nella circolazione delle stesse
all'interno dell'impresa attraverso la comunicazione, e non
umani, le attività di formazione di addestramento, ecc. La
formalizzazione consiste, invece, nella trasformazione
della conoscenza, individuale ed organizzativa, in
conoscenza codificata attraverso la sua incorporazione
macchinari, manuali, software, brevetti, ecc.
4. Valorizzazione delle opzioni contenute nel patrimonio
strategico. un'altra strada per valorizzare il patrimonio
strategico è quella di sfruttare le opzioni reali in esso
contenute. Ciò può essere fatto in tre modi: creando nuove
opzioni di valore, attraverso l'investimento in risorse che
potrebbero permettere in futuro di cogliere nuove
opportunità di business in condizioni di vantaggio
competitivo; esercitando tali opzioni reali nel momento in
cui risultino mature per essere utilizzate mediante
investimenti nei business in cui creino elevato vantaggio
competitivo; abbandonando quelle opzioni reali che hanno
perso valore per il vanificarsi o ridimensionarsi delle
condizioni di attrattività del business in cui avrebbero
potuto essere impiegate.
74
5. Cessione di patrimonio strategico. Il patrimonio strategico
può essere, inoltre, valorizzato, tramite la cessione di
alcune risorse in esso contenute. Ovviamente, affinché sia
una creazione di valore conseguente al disinvestimento, è
necessario che il beneficio economico derivante dalla
vendita superi il valore delle risorse cedute avrebbero
generato
qualora
impiegate
dall'impresa
ed
alle
conseguenze della cessione in termini di competitività e di
cambiamento del contesto competitivo: infatti, la cessione
di un asset strategico, potrebbe essere conveniente qualora
si considerino solamente prezzo di vendita e valore che
l'asset avrebbe potuto creare se utilizzato dalle imprese,
ma non esserlo affatto considerando anche le modifiche
all'ambiente competitivo che tale cessione potrebbe
comportare. Un esempio potrebbe essere la cessione di
una tecnologia che l'impresa possiede, ma che non può
applicare per mancanza di fondi e che, anche qualora
applicata, creerebbe, per l'impresa, un certo valore
comunque minore del prezzo che un concorrente sarebbe
disposto a pagare per averle accesso a tale tecnologia. In
tal caso l'impresa, oltre a fare la votazione che abbiamo
visto poc'anzi, dovrà anche considerare quali possono
essere i risvolti l'utilizzo di tale tecnologia da parte del
concorrente: risvolti che potrebbero essere addirittura
disastrosi per l'impresa venditrice.
75
6. Comunicazione del patrimonio strategico. Infine, una
sesta via di creazione del valore, consiste nel trasmettere
al mercato dei capitali informazioni consenta migliore
percezione del valore economico dell'impresa tramite una
miglior percezione della consistenza del patrimonio
strategico che l'impresa possiede. Ovviamente tale
strategia ha senso che venga perseguita laddove impresa
sia un'impresa quotata.
Una corretta valorizzazione e gestione del patrimonio strategico è
quindi,
come
facilmente
comprensibile,un
punto
fermo
particolarmente rilevante nel cammino di creazione di valore per gli
azionisti.
2.3 Finalità d’impresa e Creazione di Valore per
l’azionista
Abbiamo affermato e siamo giunti a provare, nel precedente
capitolo 1, come la finalità ultima dell’impresa, cui essa non può
prescindere nel formulare le proprie scelte strategico – operative,
sia quella della propria sopravvivenza. In questo paragrafo, al fine
di giustificare l’utilizzo del criterio del valore, di cui è stato
ampiamente discusso, nell’effettuare scelte strategiche ed operative,
verranno analizzate le connessioni e convergenze esistenti tra
l’utilizzo di tale criterio ed il perseguimento del fine ultimo della
sopravvivenza dell’impresa.
76
Come già affermato nel capitolo precedente, la finalità ultima della
sopravvivenza dell’impresa può essere meglio espressa come una
tensione verso la continuazione dell’esistenza della stessa attraverso
la propria capacità di autogenerazione e rigenerazione nel tempo,
che può avvenire soltanto mediante una continua riprogettazione del
proprio destino ed una costante generazione di valore economico 44 .
Con ciò il legame tra la sopravvivenza e la creazione di valore
economico è chiara così com’è chiaro che l’impresa non possa
esimersi dal riprogettare continuamente se stessa in funzione dei
mutamenti che avvengono nell’ambiente che la circonda. Il
passaggio logico dalla necessità di creare valore economico a quella
di creare valore per gli azionisti non è poi così arduo. Ciò è tanto
più vero se si considera che, come è stato precedentemente descritto
in modo più particolareggiato nel corso di questo capitolo, la
creazione di valore economico è la base per la creazione di valore
per gli azionisti dell’impresa.
Creare valore economico significa produrre un bene o un servizio
avente un certo valore economico che sia comunque superiore a
quello dei fattori della produzione utilizzati per generarlo. Creare
valore per l’azionista significa, invece, incrementare il valore della
quota d’impresa che questi detiene e/o renderlo beneficiario dei
proventi derivanti dall’opera di creazione di valore economico
succitata.
44
Con riferimento alla necessità/capacità autogenerativa si rimanda al concetto di autoipotesi
sviluppato il S.Vicari: “L’impresa vivente”, Etas Libri, 1992; sul tema della creazione di valore
si vedano L. Guatri: “Contributo alla teoria di <<creazione>>del valore”, in Finanza,
Marketing e Produzione, n°1, marzo 1992; ed L. Guatri: “La teoria di creazione del valore”
Egea, Milano, 1991.
77
Creare valore economico è necessario per la sopravvivenza
dell’impresa poiché, per definizione, l’impresa opera con
economicità sfruttando, quindi, al meglio, risorse scarse. La
creazione di valore economico tramite l’attività da essa svolta può
essere considerata, senza ombra di dubbio, il principale strumento
con il quale l’impresa persegue ogni sua strategia e la propria
finalità ultima di sopravvivenza.
Creare valore per gli azionisti è necessario per il perseguimento
della finalità ultima dell’impresa poiché sono proprio tali soggetti
che, mediante il proprio apporto di capitali, permettono alla stessa
di sopravvivere. La creazione di valore per gli azionisti è quindi una
necessità fondamentale per l’impresa che dovrà, perciò, adoperarsi
a tal fine.
Il passaggio dalla creazione di valore economico alla creazione di
valore per il generico azionista, come abbiamo detto, non è né
semplice, né diretto, né immediato, e deve tener conto di tutta una
serie di condizioni quali, prime fra tutte, l’ambiente in cui l’impresa
opera e la sua corporate governance che influenzano, in modo
rilevante, il trasferimento del valore economico creato.
Tralasciando i problemi del trasferimento del valore economico
creato in valore creato per l’azionista, che sono stati affrontati in
modo dettagliato nel paragrafo 2.1.3, ai nostri fini importa, in
questo momento, soltanto evidenziare una relazione tra i due e
l’importanza di tale trasferimento sulle sorti dell’impresa e sulla sua
capacità di sopravvivere.
78
Creare valore per gli azionisti è importante in quanto questi sono i
portatori d’interesse legittimo nell’impresa per eccellenza. Insieme
ai clienti, ed in alcuni casi agli enti regolatori, gli azionisti sono i
soggetti più rilevanti cui l’impresa deve saper rispondere e per cui
deve creare valore se vuole sopravvivere. Ciò perché gli azionisti,
come già detto, sono i soggetti che apportano i capitali con il
vincolo del pieno rischio necessari: al funzionamento dell’impresa,
alla sua capacità di attrarre ulteriori capitali sia sul mercato che
presso istituzioni tramite la loro funzione di garanzia dei prestiti,
alla possibilità per la stessa di attrarre nuovi azionisti ed espandere
le proprie attività mediante l’emissione di nuove azioni, ecc.
Un’adeguata creazione di valore per gli azionisti si trasferisce
sempre, prescindendo dai meccanismi che stanno alla base di tale
processo di trasferimento, sul valore delle azioni dell’impresa che
aumenterà fornendole, quindi, sempre maggiori garanzie nel
contrarre prestiti e dandole la possibilità di ampliare ulteriormente
la propria base azionaria tramite aumenti di capitale che verranno
accolti con maggior favore e, presumibilmente, a prezzi più elevati.
Un’adeguata creazione e distribuzione di valore agli azionisti farà
inoltre sì che l’impresa, oltre a poter disporre di sempre maggior
capitale proprio ed ad avere sempre più facilità ad approvvigionarsi
di capitale presso terzi, sarà in grado di far fronte più facilmente a
nuovi investimenti, anche a lento ritorno, che a loro volta creeranno
maggior valore economico e per gli azionisti permettendo
all’impresa di sopravvivere e prosperare.
79
Creazione di valore per gli azionisti e sopravvivenza dell’impresa
sono dunque strettamente legati poiché questa, nel perseguire il suo
fine ultimo, non può prescindere dagli interessi legittimi dei primi
che sono elemento fondante della stessa e che apportano quei
capitali senza i quali l’impresa stessa non potrebbe esistere.
Abbiamo affermato, quindi, che la creazione di valore per gli
azionisti è condizione necessaria per la sopravvivenza dell’impresa
e che una creazione di valore adeguata le permette di
approvvigionarsi con maggior facilità sui mercati dei capitali in un
circolo virtuoso che, in un accesso più facile a nuovo capitale
proprio, e nella capacità dell’impresa di fornire migliori garanzie
spuntando tassi d’interesse minori sui mercati dei capitali a credito,
permette all’impresa stessa di operare sempre con la liquidità
sufficiente alla propria crescita e con condizioni creditizie sempre
più favorevoli generando ulteriore valore economico e, di
conseguenza, creando ulteriore valore per gli azionisti.
Detto questo è infine necessario evidenziare lo stretto e
consequenziale legame esistente tra finalità dell’impresa, creazione
di valore economico e perseguimento di obiettivi: tale legame fa sì
che la finalità dell’impresa, ed in particolare la finalità ultima della
sopravvivenza della stessa, come abbiamo già evidenziato poc’anzi,
sia strettamente legata alla sua capacità di creare, e distribuire agli
azionisti, una quantità adeguata di valore economico nel tempo; tale
necessità di creazione di valore economico, però, può essere
soddisfatta soltanto tramite la scelta ed il perseguimento di obiettivi
di breve, medio e lungo termine. La scelta degli obiettivi da
80
perseguire sarà, come è evidente, conseguenza delle scelte
strategiche dell’impresa, scelte prese sulla base dello svolgimento
di analisi competitive e conseguente formulazione, valutazione ed
implementazione delle stesse.
Perciò possiamo, traendo le fila di quanto detto fino a questo punto,
giungere ad affermare che la ratio di ogni scelta strategica, di ogni
definizione di obiettivi, di ogni scelta operativa nel perseguirli, ecc.
è quella di creare, sfruttando ed incrementando il proprio vantaggio
competitivo nei confronti dei concorrenti, il maggior valore
economico possibile al fine di assicurare, mediante il legame, già
puntualmente analizzato in precedenza, che lega una congrua
creazione di valore alla finalità ultima della sopravvivenza
dell’impresa.
81
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