Ematologia professor Leone 26/04/2007 - Digilander

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Ematologia professor Leone 26/04/2007
LEUCEMIA LINFATICA CRONICA (LLC)
La leucemia linfatica cronica è una malattia monoclonale caratterizzata dall’accumulo progressivo
di linfociti incompetenti, cioè che hanno perso la capacità di distinzione del self e del non self. Per
accumulo si intende che l’aumento dei linfociti è dovuto più all’accumulo che alla proliferazione.
Questa malattia è la forma più comune di leucemia nel mondo occidentale.
In passato si parlava di “sistema delle leucemie linfatiche croniche”, distinguendo un tipo T e un
tipo B, e si riteneva che circa il 95% delle leucemie linfatiche croniche fosse di tipo B e il 5% di
tipo T. Oggi questo non è più vero e la leucemia linfatica cronica classica è considerata quella di
tipo B, mentre le leucemie linfatiche croniche di tipo T vanno inserite in un altro capitolo.
Dal punto di vista della tipizzazione immunofenotipica arriveremo in definitiva a dire che la
leucemia linfatica cronica vera è quella CD5+ che ha il marker CD19, CD20, CD21 e CD23e
assenza di FMC7.
Dal punto di vista morfologico non esistono delle caratteristiche proprie, nel senso che nella
linfatica cronica classica il linfocita è simile a un linfocita maturo, però possono esserci dei linfociti
B che sono dei cosiddetti prolonfociti: il prolinfocita è una cellula grande, caratterizzata da un
grosso nucleolo e il fenotipo immunologico descritto; quando la quantità di prolinfociti supera il
55% allora si parla di forma prolinfocitica. Pertanto da un punto di vista morfologico si può parlare
di:
- forme miste, linfocitiche classiche e prolinfocitiche;
- forme classiche, in cui i prolinfociti sono al di sotto del 55%;
- forme prolinfocitiche in cui i prolinfociti sono più del 55%.
È importante sottolineare che più che la distinzione morfologica ciò che noi maggiormente andiamo
ad osservare è la tipizzazione fatta in citofluorimetria.
La caratteristica della LLC come vi dicevo è l’espressione di marker di tipo B insieme a un marker,
il CD5, che generalmente si riscontra nei linfociti T: questo fa pensare che le cellule B siano
presenti nella zona mantellare del linfonodo, dove generalmente si trovano i linfociti T CD5+. Nella
zona mantellare vedremo che esiste un’altra forma di proliferazione che non è la linfatica cronica
ma è il linfoma di tipo mantellare che molte volte leucemizza e che è caratterizzato anch’esso da
questa presenza di CD5 ma è diverso dalla LLC sia morfologicamente che immunofenotipicamente,
in quanto non presenta generalmente CD23 che è un classico marker della linfatica cronica.
Nella linfatica cronica le cellule B esprimono anche dei bassi livelli di immunoglobuline di
superficie, più frequentemente di tipo IgM alcune volte anche di tipo IgD, ma possono anche
esprimere delle quote estremamente basse di catene leggere κ o λ: questo è un dato importante
perché capite bene che quando ci troviamo di fronte ad un numero relativamente basso di linfociti
stabilire la clonalità è molto importante e il modo più semplice di stabilirla è di vedere se una
cellula linfoide ha le catene κ o le catene λ (per cui sarà clonale se ha tutte le catene κ o tutte le
catene λ ), se il livello di catene κ o λ è basso ciò è un po’ più difficile da verificare.
Un dato importante è che dal punto di vista fisiopatologico questi pazienti con LLC hanno una
iperespressione di un protoncogene che è molto importante nell’apoptosi e che sopprime l’apoptosi
stessa che è il bcl2. Questo aumento del bcl2 lo riscontrate anche in una patologia linfoproliferativa
di cui abbiamo parlato che è il linfoma follicolare in cui all’iperespressione del bcl2 si affianca una
traslocazione 14:18(invece nel caso della LLC questa traslocazione è assente, come faccia il bcl2 ad
iperesprimersi senza tale traslocazione nessuno lo sa).
Altro dato importante è che se nel passato per la linfatica cronica il cariotipo non veniva fatto
perché si avevano poche metafasi adesso con l’introduzione della FISH nello studio del cariotipo si
è data moltissima importanza alla citogenetica e vedremo come le alterazioni citogenetiche sono tra
i fattori più importanti nel determinare la prognosi. L’anomalia più frequente che si riscontra alla
FISH è un 13q (il libro specifica che si tratta di delezioni del braccio lungo del cromosoma 13) che
si ha nel 50% dei pazienti: i pazienti che hanno questa alterazione citogenetica hanno una malattia
più stabile che progredisce lentamente; invece la trisomia del 12 si osserva nel 15% dei pazienti ed
è associata ad una morfologia atipica e a una malattia progressiva; lo stesso vale per il 17 (libro:
delezione del braccio corto del cromosoma 17) che vedremo che è una delle alterazioni anch’essa a
prognosi negativa.
Negli Stati Uniti la frequenza è di 17000 nuovi casi ogni anno e in Italia i nuovi casi saranno circa
3000; la malattia è molto rara in oriente dove prevalgono però alcune forme T legate al virus htlv-1;
gli afroamericani si ammalano meno rispetto ai bianchi.
La malattia colpisce soggetti anziani, spesso oltre i 60 anni: i soggetti sotto i 40 anni sono
veramente pochi, dai 40 ai 60 relativamente pochi e l’incidenza sopra i 60 va aumentando con
l’aumentare dell’età. Il fatto che la malattia colpisca soprattutto gli anziani è una differenza con la
linfatica acuta che colpisce invece bambini dai 3 ai 10 anni e giovani fino ai 23-24 anni.
Quanto dura la malattia? La maggior parte dei pazienti vive dai 5 ai 10anni però esistono anche dei
pazienti che muoiono entro 2 anni. Il paziente in genere muore non perché la malattia evolve in una
forma acuta, come accadeva nella mieloide cronica (esiste una possibilità di forma acuta ma è
estremamente rara), ma perché nel 5-10% dei pazienti si ha una evoluzione della malattia in un
linfoma a grandi cellule B.
Il paziente affetto da leucemia linfatica cronica il più delle volte rimane per tanto tempo
asintomatico, per cui la diagnosi viene fatta casualmente perché il paziente fa degli esami di routine
e l’emocromo crea dei sospetti dalla formula leucocitaria: infatti se voi avete un paziente di 40-60
anni con una linfocitosi al 60-70% o con il 50% di linfociti (una linfocitosi in un giovane è più
frequente e non necessariamente associata a malattia) non consideratelo come una persona normale
soprattutto se non ha una leucopenia,cioè se la linfocitosi non è relativa ma è assoluta, perché
potrebbe essere un soggetto che sta sviluppando una linfatica cronica. Se il soggetto ha in totale più
di 10000 linfociti o più di 5000 linfociti con un’infiltrazione midollare superiore al 40% voi dovete
dimostrare la clonalità di questa malattia, e naturalmente voi sapete che se i linfociti B sono il 7080% vi deve venire il sospetto di LLC.
Abbiamo detto che il paziente può essere asintomatico e la malattia può essere scoperta per caso
oppure può esserci una sintomatologia. Tra i sintomi vanno menzionate delle infezioni abbastanza
particolari che non sono le infezioni del granulocitopenico (quindi infezioni batteriche): nella
linfatica cronica molte volte si osserva un paziente un po’ anziano che ha avuto l’herpes zoster in
forma abbastanza grave. Altro sintomo sono i linfonodi ingranditi, possibile splenomegalia (più
evidente però nelle malattie mieloproliferative), può esserci anche epatomegalia, petecchie e pallore
ma sono sintomi non sempre presenti, anzi si presentano quando la malattia è andata avanti.
Naturalmente non si conosce la causa di questa malattia linfatica cronica ma si può dire per esempio
che non è una patologia dovuta alla radioattività come la mieloide cronica, la mieloide acuta e le
malattie mieloproliferative.
La diagnosi differenziale va fatta più che altro dal punto di vista clinico con la mieloide cronica per
quanto riguarda la splenomegalia, ma la diagnosi più difficile può essere per esempio con un
linfoma mantellare o con un linfoma a basso grado o con un linfoma follicolare (sicuramente non
con un linfoma linfoblastico). C’è il problema della diagnostica differenziale tra il linfoma
linfocitico diffuso e la leucemia linfatica cronica: praticamente sono due malattie uguali che si
differenziano unicamente dal fatto che nella linfatica cronica prevale la compromissione midollare
mentre invece nel linfoma linfocitico la localizzazione è linfonodale; quindi queste due malattie
hanno la stessa caratterizzazione immunofenotipica e si distinguono solo per questo.
Tornando alla LLC, all’esame microscopico del sangue periferico c’è una linfocitosi e la presenza
delle cosiddette ombre di Gumprecht (ho controllato sul libro), cioè linfociti di cui rimane soltanto
il nucleo.
Dal punto di vista laboratoristico è importante anche vedere con l’immunoelettroforesi se le
immunoglobuline sono basse, spesso cosi è e questo può accompagnarsi al fatto che gli episodi
infettivi sono molto frequenti.
C’è un’altra patologia, la hairy cell leukemia, la cui diagnosi praticamente assomiglia alla linfatica
cronica ma è diversa dal punto di vista citofluorimetrico e dal punto di vista sintomatologico.
La hairy cell leukimia, che significa leucemia a cellule capellute perché dal punto di vista
morfologico si vedono delle protuberanze chiamate “capelli”, è una forma di malattia
linfoproliferativa caratterizzata fondamentalmente da una splenomegalia senza linfoadenomegalia
(invece presente spesso nella linfatica cronica). In genere il paziente ha più spesso una leucopenia
che una leucocitosi, generalmente c’è una diminuzione di tutta la serie bianca, e i linfociti sono
percentualmente aumentati ma non aumentati in assoluto. Nella malattia c’è una punctio sicca
all’aspirato midollare (proprio per questo la malattia veniva chiamata mielofibrosi linfoide) e alla
biopsia ossea si vedono queste protuberanze. Naturalmente c’è un’altra caratterizzazione
immunofenotipica caratterizzata in particolare dalla presenza del CD25.
La leucemia prolinfocitica ha un atipico fenotipo che è positivo per CD19 e CD20, e la
prolinfocitica vera, non i prolinfociti presenti nella linfatica cronica classica, spesso sono CD5-.
Un’altra patologia da distinguere dalla linfatica cronica è il linfoma di origine mantellare, linfoma
che è a prognosi non buona (in cui morfologicamente riscontriamo dei centrociti): questa forma
deve essere distinta perché il citofluorimetrista, che non vede la morfologia, molte volte mi dice che
il soggetto ha una linfatica cronica mentre in effetti è un linfoma mantellare. Un’ulteriore
distinzione con la linfatica cronica è possibile poiché nel linfoma mantellare manca il CD23.
Per quanto riguarda la radiodiagnostica in genere si fa l’ecografia perché costa meno e può mettere
in evidenza la splenomegalia; la TAC ormai la facciamo perché è un esame comune, anche se non è
un esame che usiamo spesso, in genere se ne fa una e basta.
Sempre dal punto di vista diagnostico si fa l’aspirato midollare, che prima specie in un paziente
anziano si preferiva non fare. La biopsia ossea viene fatta meno frequentemente e adesso ha perso
un po’ di significato, ma una volta veniva considerata importante dal punto di vista prognostico
perché si distinguevano due pattern, uno diffuso e uno nodulare, in base alle infiltrazioni midollari:
il pattern nodulare era considerato a buona prognosi mentre il pattern diffuso veniva considerato a
cattiva prognosi; questo fatto bioptico attualmente viene molto meno considerato.
La biopsia linfonodale non è essenziale, ma diventa importante quando possiamo sospettare
l’evoluzione di cui vi parlavo all’inizio e cioè il linfoma a grandi cellule B, in pratica quella che
viene chiamata sindrome di Richter, che è la trasformazione che si avvera in una percentuale bassa
di pazienti con leucemia linfatica cronica (intorno al massimo 5-10%). Questa trasformazione si
accompagna a linfoadenomegalia e ad una sintomatologia ingravescente di tipo generale: il paziente
si sente astenico, diventa febbrile, perde peso, ha dolori ossei, pallore e alla fine muore perché
diventa anemico, sideropenico, il midollo si esaurisce.
Fino a poco tempo fa per la prognosi del paziente era considerato importante più che il numero dei
linfociti lo stadio della malattia: c’erano due classificazioni, la classificazione di Rai e la
classificazione di Binet che alla fine sono molto simili ( se volete vederle ho riportato entrambe le
classificazioni nell’ultima pagina). Tra gli elementi che vengono messi in evidenza da questi
metodi c’è la linfocitosi, ma solo per fare la diagnosi, non è che il paziente con 20000 bianchi va
peggio di un paziente che ne ha 5000 o 10000, quindi la linfocitosi è importante per la diagnosi e
non importante per la prognosi; la linfocitosi diviene importante per la prognosi quando si esprime
come malattia progressiva: se io ho al giorno zero 10000 linfociti e dopo un mese ne ho 20000
allora questo diventa prognosticamente importante perché la malattia è in progressione; se però io
ne ho 30000 all’inizio e dopo uno, sei mesi ho ancora 30000 linfociti il paziente non è in
progressione quindi generalmente va meglio di quello che è partito da 10000.
Altri elementi che vengono considerati per l’assegnazione ai vari stadi di Binet o Rai sono la
linfoadenomegalia e la splenomegalia ma le cose più importanti sono la presenza di piastrinopenia e
la presenza di anemia, difatti lo stadio C che praticamente corrisponde allo stadio III o IV di Rai è il
paziente che ha o meno di 100000 piastrine o meno di 10grammi di emoglobina.
Se il paziente ha solo linfocitosi e ha meno di tre linfonodi interessati, questo paziente è ancora allo
stadio A, mentre il paziente allo stadio B ha più di tre aree linfonodali interessate nelle quali si
comprende anche la milza.
Diciamo che lo stadio 0, 1, 2 corrispondono allo stadio A.
Questa classificazione è importante perchè lo stadio A rispetto allo stadio C di Binet ha una
sopravvivenza molto superiore: il 50% dello stadio A è ancora vivo a 10anni, mentre invece solo il
10% dello stadio C sarà ancora vivo dopo 10 anni.
Il paziente con la linfatica cronica può morire anche per una malattia intercorrente, anche se il
paziente che muore di infezione e ha una linfatica cronica alla fine lo considero morto di linfatica
cronica, perché un’infezione di per sé è una conseguenza frequente in un paziente che ha questa
malattia.
L’anemia e la piastrinopenia nella linfatica cronica sono generalmente dovute alla infiltrazione
midollare, ma bisogna anche considerare che la linfatica cronica è la patologia che più
frequentemente ha una anemia emolitica per la presenza di anticorpi incompleti Coombs positivi (la
fularabina, usata nelle terapie, aumenta l’incidenza dell’anemia emolitica). Se l’anemia emolitica,
presente spesso nella linfatica cronica, non costituisca un fattore che mi fa andare al III o al IV
stadio è motivo di contendere. Alcune volte anche la piastrinopenia può essere dovuta ad anticorpi,
nel qual caso si parla della sindrome di Evans, nel senso che ci sono degli antigeni comuni tra
piastrine e globuli rossi, anche se la piastrinopenia immune è molto meno frequente dell’anemia
emolitica immune.
Ricordate che il paziente al III e al IV stadio va assolutamente trattato, mentre il paziente al I o al II
stadio potrà essere trattato o meno.
È importante considerare l’aumento del numero delle cellule, il cosiddetto tempo di reduplicazione:
se è inferiore ai 3 mesi sarà un segno prognostico negativo, mentre invece se uno raddoppia il
numero di cellule nell’arco di 3-6 mesi può essere dubbia l’interpretazione come segno negativo o
meno.
Oltre ai marker di cui abbiamo parlato prima, oggi ne sono stai individuati di nuovi, come ad
esempio la β2-microglobulina che è soprattutto importante per un’altra malattia, il mieloma
multiplo; nella linfatica cronica è importante la quantità di β2-microglobulina (che fa parte del
sistema HLA) perché più ce n’è più peggiora la prognosi.
La cosa più importante secondo me è la citogenetica secondo FISH (poi vedremo quali sono le
alterazioni cromosomiche più importanti) e lo stato mutazionale delle immunoglobuline pesanti
(IgVH), dove per stato mutazionale intendo se è mutato o non è mutato: una mutazione corrisponde
a buona prognosi, una non mutazione a cattiva prognosi. Un tempo si pensava addirittura che
fossero due forme di linfatica cronica di diversa derivazione: il non mutato riguardava la parte
germinativa, il mutato invece la parte la parte più periferica del linfonodo, poi si è visto che sono
tutte e due post-germinative.
Dell’espressione del V3.21 se ne ha tempo ne parlerà il dottor Laurenti e invece io mi soffermerò
sull’espressione della ZAP70, che sembra importante tanto quanto lo stato mutazionale. ZAP70
significa zeta associated protein, è una proteina che si trova sulla superficie del linfocita (più in là il
dr. Laurenti collocherà la ZAP70 nel citoplasma del linfocita, collocazione che mi vede pienamente
d’accordo), ci vorrebbe tempo per parlare della sua funzione e io non ve ne parlo, fondamentale è
sapere che è una proteina importante in senso proliferativo, alcuni dicono per esempio che chi ha
questo esprime anche di più le telomerasi, ma lasciate perder questo argomento.
I pazienti ZAP70 positivi raggiungono il III e il IV stadio molto prima di quelli ZAP70 negativi.
Quindi sopravvivenza e progressione sono due cose diverse: ricordate che la progressione è
maggiore in che ha lo ZAP70 e ricordate anche che lo si riscontra anche al I stadio, quindi non
compare dopo.
Per quanto riguarda il paziente con ZAP70 positivo al I stadio il problema è se debba essere trattato
o meno, secondo me in una clinica che non faccia sperimentazione non va trattato.
Nel nostro laboratorio abbiamo visto che probabilmente lo ZAP70 è ancora più importante se viene
dosato con il syk, che è una proteina molto simile alla ZAP che però non cambia nei pazienti con la
linfatica cronica: allora il concetto è che siccome probabilmente il sistema che controlla lo ZAP e il
syk è uguale nella persona normale allora la differenza tra ZAP e syk è molto più indicativa nella
linfatica cronica.
Facciamo una precisazione sulla positività o negatività allo ZAP70: la situazione in cui si ha lo
ZAP70 positivo e l’assenza di mutazione rappresenta la situazione peggiore, quindi le due cose si
cumulano, mentre la cosa migliore è essere ZAP70 negativi e presentare la mutazione per le
immunoglobuline e avere quindi una cellula più matura.
Se andate a vedere gli ultimi lavori, in cui tutti fanno trattamenti aggressivi con il ciclofosfamide, la
diversità tra mutato e non mutato si diluisce: ciò non significa che i dati precedenti non fossero veri,
ma che probabilmente la terapia può cambiare la storia naturale della malattia, che è la cosa più
importante che possa accadere, come avviene nel linfoma ad alto grado, in cui con la terapia i
pazienti vivono più a lungo.
Una delle cose più importanti è la citogenetica con la FISH, per cui le LLC in cui si ha una
delezione del cromosoma 17 sono di quelle che vanno peggio, la delezione dell’11 siamo più o
meno nella stessa situazione, le LLC con delezione del 13 vanno molto meglio.
In sostanza meno del 5% dei soggetti con delezione del 17 ha una lunga sopravvivenza, mentre
invece soggetti con delezione del 13 a 60 mesi hanno il 50% di probabilità di sopravvivenza: per
concludere chi ha il 17 e l’11 è abbastanza scalognato, questi dati sono stati confermati anche con le
terapie.
I pazienti non vanno tutti trattati: se sono al I o al II stadio, soprattutto se non hanno un
raddoppiamento, non vanno trattati; i pazienti invece al III e IV stadio, o allo stadio C,
generalmente (al 90%) vanno trattati.
Per la terapia è fondamentale il ciclofosfamide.
DOTTOR LAURENTI: CASI CLINICI
Caso clinico n°1.
Paziente maschio, 62 anni, giunge nel laboratorio di ematologia per linfocitosi assoluta scoperta con
esami di routine:
-62000 globuli bianchi, di cui 8% neutrofili e 152 000 linfociti: questa è la tipica inversione di
formula che indica la presenza di una patologia linfoproliferativa;
-assenza di anemia: 13,7g di emoglobina; MCV 88;
-piastrine 150 000.
All’esame obiettivo il paziente non presenta linfoadenomegalia superficiale né aumento degli
organi ipocondriaci; ecografia addominale normale, che mostra assenza di epato/splenomegalia.
Citofluorimetria:
-il linfocita appare piccolo (non più grande di un’emazia), maturo, caratterizzato da un altissimo
rapporto nucleo-citoplasma con cromatina a zolle (pertanto non attiva) e da una rima citoplasmatica
ad un lato della cellula.
-marker di superficie: CD23, CD19, CD5, che sono importanti insieme alla clonalità κ o λ per porre
diagnosi di linfatica cronica, e in più la coespressione di immunoglobuline di superficie di debole
intensità CD20positive, CD79bpositive.
La diagnosi di linfatica cronica viene posta in base alla linfocitosi e all’immunofenotipo.
Il soggetto no presenta linfonodi ingranditi per cui è nello stadio A0.
Il Natural Cancer Institute ha definito un alto, un intermedio e un basso rischio: rientrano nel basso
rischio gli stadio 0 e A, nell’intermedio gli stadi I, II e B e nell’alto gli stadi III, IV e C.
Oltre a questo ci sono dei criteri stabiliti sempre dall’NCI riguardo a quando trattare la malattia.
Il nostro paziente è un basso rischio, ha CD38 negativo e ZAP70 positivo solo al 20%, la FISH
mostrava una trisomia del cromosoma 12, che si colloca ad una media gravità.
Per trattare la malattia servono almeno 2 requisiti su 3, dove i 3 sono:
- ZAP70;
- CD38;
- Mutazione.
Se ne ho due su tre varrebbe la pena di cominciare la sperimentazione in una clinica ove ci sia un
protocollo e il consenso del paziente, al quale sia stato detto: “guardi che lei senza terapia potrebbe
stare anche 10 anni bene”.
Per il prof. Leone il paziente in questione non andrebbe trattato ma osservato per almeno sei mesi,
pertanto il paziente non verrà trattato e semplicemente farà un follow-up leggermente più recente,
anziché a 4 o 6 mesi (come si fa di solito in uno stadio 0), lo faremo ogni 2-3 mesi.
Vorrei fare un excursus sui fattori prognostici:
- CD38: facile esecuzione, può cambiare nel tempo, è un antigene di membrana, ha il più
basso peso dal punto di vista statistico;
- ZAP70: difficilissima esecuzione, è una tirosinchinasi intracitoplasmatica, per cui a livello
citofluorimetrico dobbiamo utilizzare delle perforine che rompono la superficie cellulare.
C’è un po’ di caos sullo ZAP70, noi per esempio abbiamo fatto lo ZAP/syk mRNA. Lo
ZAP70 però è un buon dato se siamo certi del risultato, ma come si fa a capire se è un buon
risultato? Lo si paragona a IgVH: sappiamo che chi è non mutato ce lo dovremmo aspettare
in un’altissima percentuale dei casi ZAP70 positivo mentre il mutato generalmente è ZAP70
negativo.
- FISH: c’è il grosso problema della lettura dell’esame stesso, bisogna leggere 2-300 cellule in
interfase, al microscopio in fluorescenza, il segnale è molto debole, bisogna porre molta
attenzione; c’è anche il problema del cut-off, cosa intendi positivo? C’è un protocollo
nazionale che prevede per affermare una delezione del 17 una positività al di sopra del 40%
delle cellule.
Vi dico questo perchè il nostro gruppo si sta impegnando per fare uno score, assegnando un
punteggio ad ogni valore prognostico, così da poter dare al paziente una sopravvivenza media di
tot mesi.
2° caso clinico
59 anni, giunta al nostro ambulatorio di ematologia per linfoadenomegalia prevalentemente
ascellare, calo ponderale sine causa (10 chili in 4 mesi), astenia e sudorazione profusa.
I globuli bianchi sono 48 000, con 42 000 linfociti e 3 200 neutrofili
Anemia normocromica normocitica con 9,6g di emoglobina, piastrinopenia con 68 000
piastrine.
L’esame obiettivo è positivo per linfoadenomegalia di 2-3 cm in sede latero-cervicale, 7 cm in
ascellare destra, maggiore di sinistra, 3-4 cm in sede inguinale bilaterale, milza all’ombelicale
traversa e fegato a 2 cm dall’arcata costale.
Un’ecografia evidenzia linfonodi lungo l’aorta di 4-5cm, conferma la presenza di splenomegalia
di 21 cm e di epatomegalia.
Il Coombs diretto e indiretto e i parametri di emolisi sono negativi, quindi è sicuramente un
anemia iporigenerativa, non emolitica.
La TAC evidenzia nell’addome diversi linfonodi.
Allo striscio del sangue periferico sono visibili diversi linfociti, piccoli, con un nucleo che
occupa più del 90% della cellula, diverse ombre di Gumprecht, che si formano durante
l’allestimento del preparato a causa della rottura dei linfociti.
Secondo il NCI è un alto rischio, perché è uno stadio III o IV, praticamente è un IV, perché ha sia
anemia che piastrinopenia, ed è uno stadio C secondo Binet.
Fattori prognostici: il paziente è CD38 positivo, ZAP70 altissimamente positivo, IgVH non mutato
e ha una delezione dell’11, quindi ha 4 parametri prognostici su 4 favorevoli, è un paziente che va
trattato?
Va trattato in maniera inizialmente aggressiva, noi abbiamo fatto in casi simili sia autotrapianti che
allo trapianti; si può ipotizzare quindi un trattamento aggressivo con ciclofosfamide, anticorpi
monoclonali. Generalmente adesso si usa il rituximab che è un’antiCD20, noi siamo stati scelti tra i
100 che faranno anche un antiCD23, che naturalmente dovrebbe essere più specifico.
Il problema delle terapie è che in un paziente già immunodepresso a causa della malattia stessa, noi
andiamo a peggiorare questa immunodepressione. Ci sono fenomeni autoimmuni, tenete presente
che chi provoca autoimmunità sono le cellule normali, non le malate.
Classificazone della LLC secondo Rai
Stadio 0: linfocitosi assoluta >15000/mm3 + linfocitosi midollare >40%
Stadio I: linfocitosi + linfoadenomegalie
Stadio II: linfocitosi + spleno/epatomegalia
Stadio III: linfocitosi + anemia (Hb<11g/dl)
Stadio IV: linfocitosi + trombocitopenia (<100000/mm3)
Classificazone della LLc secondo Binet
Stadio A (0,I,II di Rai): -interessamento di meno di 3 aree linfoidi
-assenza di anemia e piastrinopenia
Stadio B (I,II di Rai):
-interessamento di 3 o più aree linfoidi
-assenza di anemia e trombocitopenia
Stadio C (III,IV di Rai): -anemia (Hb<10g/dl) e/o piastrinopenia (<100000/mm3),
indipendentemente dal numero di aree linfoidi coinvolte.
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