Diogene Laerzio Gli stoici e le cose del mondo: buone, cattive, indifferenti (dalle Vite dei filosofi, VII) Autoconservazione e ordine del mondo Nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio il libro VII è dedicato alla filosofia stoica. Per quanto riguarda l’etica, Diogene mette in evidenza l’intreccio tra il principio del vivere secondo natura e il principio del vivere secondo ragione o secondo virtù, che guida l’uomo al compimento del dovere perfetto. In questa prospettiva Diogene illustra innanzitutto l’idea secondo cui ogni essere tende a realizzare o conservare se stesso in sintonia con l’ordine del mondo. Poiché la ragione umana è partecipe della ragione universale, l’uomo può arrivare a conoscere ciò che è veramente bene e orientare di conseguenza il suo agire. La norma morale secondo gli stoici La norma morale deve dunque essere espressa attraverso il principio del vivere secondo virtù, che porta all’azione retta, attraverso la quale si compie il dovere perfetto, non il dovere relativo che riguarda le azioni convenienti. I passi che presentiamo riguardano l’identificazione del vivere secondo natura con il vivere secondo virtù, e la distinzione tra ciò che è bene, ciò che è male, ciò che è indifferente. 1 Diogene nomina in questo elenco, insieme a Crisippo, i suoi discepoli e i successori (fra i quali era anche Ecatone, nominato più avanti). 2 Impulso è la spinta impressa dalla natura in una certa direzione, senza che necessariamente l’individuo che la prova ne abbia consapevolezza. L’impulso primario ha come fine la conservazione di sé e di tutte le proprietà naturali che appartengono a un certo essere. 3 Allusione all’atteggiamento polemico dello stoicismo verso la filosofia epicurea. Il piacere non è ciò che muove gli esseri viventi, ma è la conseguenza del realizzarsi dei fini naturali. 4 Secondo gli stoici, le piante, per natura immobili, perseguono il fine dell’autoconservazione senza essere spinte da impulsi. Gli animali, pur avendo in sé anche funzioni puramente vegetative, vanno oltre, in quanto dotati di impulsi che li spingono in varie direzioni. Gli uomini, che a loro volta hanno in sé funzioni puramente vegetative e sensitive, essendo dotati di ragione sono in grado di plasmare ed educare gli istinti alla luce dei princìpi razionali. Vivere secondo la legge razionale della natura Distinguono la parte etica della filosofia nella dottrina dell’impulso, in quella del bene e del male, in quella delle passioni, e della virtù e del fine e del primo (più alto) valore e delle azioni e dei doveri e delle esortazioni e dissuasioni. Questa distinzione è applicata dai seguaci di Crisippo, di Archedemo, di Zenone di Tarso, di Apollodoro, di Diogene, di Antipatro e Posidonio1. Ma Zenone di Cizio e Cleante in quanto filosofi dello Stoicismo più antico distinsero l’argomento in maniera più semplice. Costoro però suddivisero sia la Logica che la Fisica. Essi dicono che il primo impulso2 dell’essere vivente è quello della conservazione e che gli è stato dispensato dalla natura sin dall’inizio. Crisippo infatti nel primo libro Dei fini sostiene che la prima proprietà di ogni essere vivente è la sua stessa costituzione e la coscienza di essa. Non si può logicamente ammettere né che la natura renda a se stesso estraneo l’essere vivente (altrimenti non l’avrebbe creato) né che lo abbia estraneo né che non l’abbia come creatura propria. Bisogna dunque dire che la natura che l’ha costruito lo concilia a se stesso come creatura propria; per questo respinge da esso ciò che può danneggiarlo e accoglie tutto quello che si confà alla sua costituzione. Mostrano che dicono il falso quanti sostengono che il primo impulso degli esseri viventi sia verso il piacere3. Gli Stoici sostengono infatti che il piacere, se realmente esiste, viene in un secondo tempo, quando la natura per se stessa ha cercato e rinvenuto tutto ciò che s’adatta alla sua costituzione: in questo modo gli animali hanno l’umor lieto e le piante la piena fioritura. Essi dicono inoltre che la natura non fa alcuna differenza tra le piante e gli animali, perché essa regola anche la vita delle piante senza impulso e senza sensazione, e d’altra parte in noi si generano fenomeni nella medesima guisa che nelle piante. Ma poiché agli animali è stato ingenerato per sovrappiù l’impulso per mezzo del quale essi si dirigono ai loro propri fini, ne deriva che la loro disposizione naturale si attua nel seguire l’impulso. E poiché gli esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta più perfetta, il loro vivere secondo ragione coincide rettamente col vivere secondo natura, in quanto la ragione si aggiunge per loro come plasmatrice ed educatrice dell’istinto4. […] I beni, i mali e le cose indifferenti Gli Stoici affermano che tutti i beni sono eguali e che ogni bene è desiderabile in altissimo grado e non suscettibile né di diminuzione né d’accrescimento. Delle cose che 1 sono essi dicono che alcune sono buone, altre cattive; altre ancora né buone né cattive. Buone sono le virtù: prudenza, giustizia, fortezza, moderazione, etc.; cattivi sono i vizi: stoltezza, ingiustizia, etc.; indifferenti sono tutte le cose che non portano né vantaggio né danno: p. es. vita, salute, piacere, bellezza, forza, ricchezza, buona reputazione, nobiltà di nascita e i loro contrari, morte, infermità, pena, bruttezza, debolezza, povertà, ignominia, oscura nascita e simili, come afferma Ecatone nel settimo libro Del fine e Apollodoro nell’Etica e Crisippo. Questi dunque non sono beni, ma sono cose indifferenti e degne di essere desiderate in senso relativo, non in senso assoluto. Come infatti proprietà del caldo è riscaldare, non raffreddare, così anche proprietà del bene è giovare, non danneggiare; la ricchezza e la salute offrono più danno che vantaggio, dunque né la ricchezza è un bene né la salute. Inoltre essi dicono che non è un bene ciò di cui si può fare buono e cattivo uso; poiché sia della ricchezza sia della salute si può fare uso buono e cattivo, né la ricchezza è un bene né la salute. Posidonio tuttavia enumera anche queste ultime tra i beni. Ecatone nel nono libro Dei beni e Crisippo nell’opera Del piacere sostengono che neppure il piacere sia un bene; vi sono infatti dei piaceri vergognosi; nulla che sia vergognoso è bene. Il giovare è un muoversi o un comportarsi ispirato dalla virtù, il danneggiare è un muoversi o un comportarsi ispirato dal vizio. Definizione di “indifferente” Il termine “indifferente” ha un duplice significato. In primo luogo designa ciò che non contribuisce né alla felicità né all’infelicità, p. es. ricchezza, gloria, salute, forza e simili; infatti anche senza queste è possibile conseguire la felicità, dal momento che secondo l’uso che di esse si fa possono apportare felicità o infelicità. In secondo luogo il termine ”indifferente” designa ciò che non desta né propensione né avversione, p. es. l’avere sulla testa un numero di capelli pari o dispari o il tenere il dito disteso o contratto. Non in questo senso sono definite indifferenti le cose prima menzionate, perché esse possono generare sia propensione sia avversione. E perciò queste in parte sono scelte, in parte sono rigettate, mentre le altre non pongono affatto il problema di essere scelte o evitate. Delle cose indifferenti gli Stoici alcune dicono degne di essere scelte (proegména), altre degne di essere rigettate (apoproegména). Degne di essere scelte sono quelle che hanno un valore, degne di essere evitate sono quelle che non hanno valore. Intendono per “valore” (acsía) un certo contributo alla vita equilibrata della ragione (e questo è il requisito di ogni bene); ma intendono anche una certa mediata potenza o utilità che contribuisce alla vita secondo natura, come quel contributo che ricchezza e salute apportano alla vita secondo natura. [...] Dunque è degno di essere scelto tutto ciò che ha un valore: nel campo spirituale la dote naturale dell’ingegno, la capacità tecnica, il progredire e simili; nel campo materiale la vita, la salute, la forza, la buona complessione fisica, l’integrità degli organi, la bellezza e simili; nel campo dei beni esterni la ricchezza, la gloria, la nobiltà di natali e simili. È invece degno di essere rigettato: nel campo spirituale l’assenza di doti naturali o tecniche e simili; nel campo materiale la morte, la malattia, la debolezza, la cattiva complessione fisica, la mutilazione, la bruttezza e simili; nel campo esterno la povertà, l’assenza di gloria, l’oscurità di natali e simili. Ma vi sono anche cose che non fanno parte di nessuna delle due classi e pertanto non devono essere né scelte né evitate. [Ario Didimo-Diogene Laerzio, Etica stoica, a c. di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 83-84, 90-92] 2 Competenze Individuare e comprendere 1 Descrivi come (nel primo passo) le spinte naturali agiscono diversamente nelle piante, negli animali, negli uomini (max 3 righe). Riflettere e valutare 2 Nel secondo e nel terzo passo Diogene Laerzio considera le cose buone, le cose cattive, le cose indifferenti, secondo la prospettiva stoica. Ricavandola dal testo, esponi la nozione di “indifferente”; quindi, spiega perché alcune cose indifferenti sono degne di scelta e altre no (max 5 righe). 3